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Princìpi di traduzione della Bibbia
In origine la Bibbia fu scritta in ebraico, aramaico e greco. Oggi è disponibile per intero o in parte in più di 3.000 lingue. La stragrande maggioranza dei lettori della Bibbia non conosce le lingue originali e deve perciò affidarsi a una traduzione. Ma quali princìpi si dovrebbero seguire nel tradurre la Bibbia? E come sono stati applicati nella Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture?
Si potrebbe pensare che una rigorosa traduzione parola per parola, simile a quelle interlineari, permetterebbe al lettore di avvicinarsi il più possibile a ciò che era scritto nelle lingue originali. Tuttavia non è sempre così. Consideriamo alcuni motivi.
Non esistono due lingue che siano perfettamente uguali quanto a grammatica, lessico e sintassi. Come scrisse l’ebraista Samuel Driver, le lingue “non differiscono solo in fatto di grammatica e radici, ma anche [...] nel modo in cui le idee sono inserite nel periodo”. Popoli che parlano lingue diverse pensano in maniera diversa. “Di conseguenza”, aggiungeva il professor Driver, “la struttura del periodo nelle diverse lingue non è la stessa” (A Dictionary of the Bible Dealing with Its Language, Literature, and Contents Including the Biblical Theology, a cura di J. Hastings, 1911).
Dato che nessuna lingua rispecchia esattamente il lessico e la grammatica dell’ebraico, dell’aramaico e del greco biblici, una traduzione parola per parola della Bibbia non sarebbe chiara, e a volte potrebbe addirittura risultare fuorviante.
Il significato di una parola o di un’espressione può cambiare a seconda del contesto in cui viene usata.
In alcuni casi il traduttore potrebbe riuscire a riprodurre letteralmente il testo originale, ma questo va fatto con estrema attenzione.
Seguono alcuni esempi di come una traduzione parola per parola potrebbe portare fuori strada.
Nelle Scritture i verbi “dormire” e “addormentarsi” si riferiscono sia al sonno vero e proprio che al sonno della morte (Matteo 28:13; Atti 7:60). Quando vengono usati in contesti che si riferiscono alla morte, il traduttore può esplicitare il concetto con espressioni come ‘addormentarsi nella morte’ per evitare fraintendimenti da parte del lettore (1 Corinti 7:39; 1 Tessalonicesi 4:13; 2 Pietro 3:4).
In Efesini 4:14 l’apostolo Paolo usò un’espressione che alla lettera significa “nel dado degli uomini”. Questa antica frase idiomatica alludeva all’abitudine di barare al gioco dei dadi. Nella maggioranza delle lingue, però, tradurla letteralmente non avrebbe molto senso; la resa “per mezzo dell’inganno degli uomini” trasmette il significato in modo più chiaro.
In Romani 12:11 è usata un’espressione greca che letteralmente significa “bollenti nello spirito”, resa che però nella nostra lingua non trasmette il giusto significato; in questa traduzione è stata perciò adottata l’espressione “ferventi nello spirito”.
Durante il famoso Discorso della Montagna, Gesù usò un’espressione che spesso è tradotta “beati i poveri in spirito” o, alla lettera, “nello spirito” (Matteo 5:3). In molte lingue, però, la traduzione letterale di questo passo è poco chiara, e in alcuni casi può anche dare a intendere che “i poveri in spirito” siano persone mentalmente instabili o prive di energia e determinazione. Gesù invece stava insegnando ai suoi ascoltatori che la loro felicità non dipendeva dal soddisfare le necessità materiali, ma dal riconoscere che avevano bisogno della guida di Dio (Luca 6:20). Perciò una traduzione che trasmette il significato con maggiore accuratezza è: “Felici quelli che sono consapevoli del loro bisogno spirituale”.
In diversi contesti la parola ebraica resa “gelosia” fa riferimento al significato comune del termine, cioè alla rabbia che si prova per il presunto tradimento da parte di una persona amata o all’invidia nei confronti di qualcuno per qualcosa che possiede (Proverbi 6:34; Isaia 11:13). Comunque il termine ebraico ha anche una connotazione positiva; ad esempio, può essere usato per indicare lo “zelo”, o istinto di protezione, che Geova ha verso i suoi servitori, oppure il suo ‘esigere devozione esclusiva’ (Esodo 34:14; 2 Re 19:31; Ezechiele 5:13; Zaccaria 8:2). Può inoltre riferirsi allo “zelo” che i fedeli servitori di Dio hanno per lui e per la sua adorazione o al fatto che ‘non tollerano alcuna rivalità’ nei suoi confronti (Salmo 69:9; 119:139; Numeri 25:11).
Il termine ebraico che alla lettera si traduce “mano” ha una vasta gamma di significati. A seconda del contesto può significare “autorità”, “generosità”, o anche “potere” (2 Samuele 8:3; 1 Re 10:13; Proverbi 18:21). Nell’attuale edizione della Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture questo termine è tradotto in più di 40 modi diversi.
Alla luce di tutto ciò, è evidente che per tradurre la Bibbia non ci si può limitare a rendere una parola della lingua originale sempre nello stesso modo. I traduttori devono avere buon senso nello scegliere parole che trasmettano al meglio le idee dell’originale. Inoltre devono formulare le frasi rispettando le regole grammaticali della lingua in cui traducono, in modo da rendere il testo facilmente comprensibile.
D’altra parte, vanno evitate eccessive riformulazioni testuali. Il traduttore che fa una parafrasi del testo biblico sulla base di una personale interpretazione potrebbe distorcerne il senso, ad esempio inserendo erroneamente la sua opinione sul significato del testo oppure omettendo dettagli importanti. Una libera parafrasi della Bibbia potrebbe quindi essere facile da leggere, ma proprio a motivo della sua libertà potrebbe impedire al lettore di cogliere il vero messaggio del testo.
Il lavoro del traduttore può essere facilmente influenzato dalle sue convinzioni in campo dottrinale. Ad esempio, Matteo 7:13 dice: “Larga è la porta e spaziosa la strada che conduce alla distruzione”. Eppure alcuni traduttori, forse condizionati dalle loro credenze, hanno usato la parola “inferno” invece di quella che rispecchia il vero significato del termine greco, “distruzione”.
Il traduttore deve anche tener conto che la Bibbia fu scritta nella lingua usata tutti i giorni da persone comuni, come agricoltori, pastori e pescatori (Neemia 8:8, 12; Atti 4:13). Perciò una buona traduzione rende il messaggio della Bibbia comprensibile alle persone di cuore sincero, qualunque sia il loro retaggio culturale. Espressioni chiare, di ampio uso e di immediata comprensione sono da preferire a termini usati raramente dalla maggioranza.
Diversi traduttori si sono arbitrariamente presi la libertà di omettere nelle Bibbie moderne il nome di Dio, Geova, benché esso sia presente negli antichi manoscritti biblici. (Vedi Appendice A4.) Molte traduzioni hanno sostituito il nome di Dio con titoli come “Signore”, mentre altre addirittura nascondono il fatto che Dio abbia un nome. Nel riportare la preghiera di Gesù nel capitolo 17 di Giovanni, alcune versioni bibliche hanno adottato rese del tipo: “Ti ho fatto conoscere a loro” (v. 26) e “Ho rivelato chi sei agli uomini che mi hai dato” (v. 6). Tuttavia, una traduzione fedele delle parole di Gesù sarebbe: “Ho fatto conoscere loro il tuo nome” e “Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato”.
La prefazione alla prima edizione inglese della Traduzione del Nuovo Mondo affermava: “Non si è fatto ricorso a parafrasi delle Scritture. Piuttosto, si è compiuto uno sforzo per rendere la traduzione la più letterale possibile laddove l’inglese moderno lo permette e quando la versione letterale non risulta incomprensibile a motivo di qualche espressione strana”. Il Comitato di Traduzione della Bibbia del Nuovo Mondo si è quindi adoperato per trovare il giusto equilibrio tra l’aderenza al testo originale e la necessità di evitare espressioni che risultino goffe o che oscurino il senso autentico. Questo fa sì che la Bibbia possa essere letta con facilità, e il lettore può avere la piena certezza che il messaggio ispirato è stato trasmesso fedelmente (1 Tessalonicesi 2:13).