Prima lettera ai Corinti 10:1-33
Approfondimenti
furono tutti sotto la nuvola, passarono tutti attraverso il mare Qui Paolo si riferisce al grande miracolo che si verificò ai giorni di Mosè durante l’esodo. Geova fece in modo che le acque del Mar Rosso formassero come delle pareti alla destra e alla sinistra degli israeliti, che così lo attraversarono camminando sul fondale asciutto (Eso 14:21, 22, 29). La colonna di nuvola, che rappresentava la protezione di Geova, era sopra di loro e dietro di loro (Eso 14:19, 24; Nu 14:14). Gli israeliti, quindi, erano “sotto la nuvola” mentre passavano “attraverso il mare”.
battezzati in Mosè O “immersi in Mosè”. Qui Paolo parla di un simbolico battesimo, o immersione, della congregazione di Israele. In questo caso l’uso del verbo greco baptìzo implica che gli antenati degli ebrei erano stati affidati a Mosè, scelto da Dio perché fosse il loro condottiero. Geova aveva compiuto questo battesimo mediante il suo angelo. Mentre procedevano verso est camminando sul fondale asciutto del Mar Rosso, gli israeliti avevano pareti d’acqua a destra e a sinistra, e la nuvola li nascondeva alla vista degli inseguitori egiziani. Poi Dio li aveva fatti emergere simbolicamente dalle acque facendoli arrivare sulla riva orientale; a quel punto erano ormai una nazione libera (Eso 14:19, 22, 24, 25). Per ricevere questo battesimo, gli israeliti avevano dovuto unirsi a Mosè e seguirlo attraverso il Mar Rosso. Quindi erano stati simbolicamente battezzati “in Mosè” nel senso che avevano dovuto seguire la sua guida.
roccia Qui la parola “roccia” traduce il termine femminile pètra, che potrebbe indicare un fondamento roccioso, una rupe o un masso di roccia. Questo termine greco ricorre anche in Mt 7:24, 25; 16:18; 27:60; Lu 6:48; 8:6; Ro 9:33 e 1Pt 2:8. (Vedi approfondimento a Mt 16:18.) Almeno due volte e in due località diverse agli israeliti fu provveduta miracolosamente acqua da una roccia (Eso 17:5-7; Nu 20:1-11). Perciò la roccia, in quanto fonte di acqua, in effetti li seguiva. La roccia stessa era simbolica e rappresentava il Cristo, il quale disse agli ebrei: “Se qualcuno ha sete, venga da me e beva” (Gv 7:37).
rappresentava O “era”. Qui il verbo greco originale, che letteralmente significa “essere”, ha il senso di “rappresentare”, “significare”, “simboleggiare”. (Confronta approfondimento a Mt 26:26.)
esempi In questo contesto il plurale del termine greco tỳpos che compare qui potrebbe anche essere reso “esempi negativi” o “avvertimenti”. In questo versetto e in quelli successivi Paolo menziona diversi avvenimenti della storia dell’antico popolo di Dio che possono servire di monito ai cristiani.
non desideriamo cose dannose Gli israeliti iniziarono a desiderare “cose dannose” (oppure, come dicono altre Bibbie, “cose malvagie” [La Nuova Diodati] o “cose cattive” [CEI]) in parte perché non mostrarono gratitudine per le cose buone che Geova aveva dato loro. Per esempio, disprezzarono più volte la manna provveduta miracolosamente (Nu 11:4-6; 21:5). L’ingratitudine li portò a manifestare una vergognosa avidità quando Geova provvide loro una gran quantità di quaglie da mangiare. In sé le quaglie non erano “cose dannose”, così come non lo erano i porri, le cipolle e i cetrioli che gli israeliti desideravano tanto (Nu 11:19, 20, 31-34). Era la loro avidità, la loro brama egoistica, a rendere quelle cose “dannose” o “malvagie”, come le definì Paolo.
Non diventate idolatri come alcuni di loro Qui Paolo si riferisce all’occasione in cui gli israeliti adorarono il vitello d’oro ai piedi del monte Sinai (Eso 32:1-6). In quel modo violarono apertamente la legge di Geova contro quella pratica malvagia, legge alla quale avevano accettato di ubbidire solo poche settimane prima (Eso 20:4-6; 24:3). A quanto pare non intendevano rinnegare Geova e smettere di riconoscerlo come loro Dio; infatti Aronne chiamò quella celebrazione idolatra “una festa in onore di Geova”. Gli israeliti caddero però nella trappola di mischiare l’adorazione che spetta a Geova con l’idolatria.
pratichiamo l’immoralità sessuale [...] commisero immoralità sessuale Mentre gli israeliti si trovavano a Sittim (nelle pianure di Moab), a un passo dalla Terra Promessa, delle donne moabite indussero migliaia di loro a commettere immoralità sessuale e ad aderire al culto impuro del Baal di Peor (Nu 25:1-3, 9; vedi approfondimento a 1Co 5:1).
in un solo giorno ne caddero 23.000 Evidentemente Paolo si riferisce all’episodio di Nu 25:9 per dare un severo avvertimento in merito all’immoralità sessuale. (Vedi approfondimento a 1Co 5:9.) Nu 25:9 dice che “quelli che morirono a causa del flagello ammontarono a 24.000”; pertanto alcuni sostengono che ci sia una contraddizione tra questo dato e la cifra menzionata da Paolo. Paolo, però, specifica che i 23.000 che lui menziona morirono “in un solo giorno”, a quanto pare perché furono uccisi direttamente dal flagello. I “capi” di quella gente morirono invece per mano dei giudici (Nu 25:4, 5). Probabilmente la cifra indicata in Numeri rappresenta il totale di quelli che morirono e comprende i capi che Dio ritenne responsabili dei peccati del popolo.
Non mettiamo Geova alla prova Probabilmente Paolo ha in mente varie occasioni in cui gli israeliti misero Geova alla prova nel deserto, come quelle menzionate in Eso 16:2, 3; 17:2, 3, 7 e Nu 14:22. Nella seconda parte di 1Co 10:9 Paolo allude a un episodio specifico, infatti scrive: come lo misero alla prova alcuni di loro, solo per essere uccisi dai serpenti. Di questo episodio si parla in Nu 21:5, 6, dove viene detto che il popolo “parlava contro Dio e Mosè” e che “Geova mandò [...] fra gli israeliti serpenti velenosi”. Paolo forse allude anche a Sl 78:18, dove si dice che gli israeliti “sfidarono [lett. “misero alla prova”] Dio nel loro cuore”. (Vedi App. C3 introduzione; 1Co 10:9.)
Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro Gli israeliti mormorarono lamentandosi contro Geova in diverse occasioni. Per esempio criticarono aspramente Mosè e Aronne quando 10 dei 12 esploratori fecero un rapporto negativo dopo aver ispezionato il paese di Canaan. Proposero addirittura di nominare qualcun altro che li guidasse al posto di Mosè, e pensarono che sarebbe stato meglio tornare in Egitto (Nu 14:1-4). In seguito “tutta l’assemblea [...] iniziò a mormorare” a motivo della morte dei ribelli Cora, Datan e Abiram e di quelli che si erano schierati dalla loro parte. A quanto pare coloro che mormorarono pensavano che quella condanna a morte fosse stata ingiusta, e le loro lamentele contagiarono tanti altri. Geova reagì mandando un flagello che uccise 14.700 israeliti (Nu 16:41, 49). Per Geova era come se i mormorii contro i suoi rappresentanti fossero rivolti a lui personalmente (Nu 17:5).
come esempio O “come avvertimenti”, “come esempi negativi”. (Vedi approfondimento a 1Co 10:6.)
sui quali è arrivata la fine dei sistemi di cose L’apostolo Paolo ha ricordato una serie di episodi della storia di Israele (1Co 10:1-10) per arrivare qui a menzionare la fine dei sistemi di cose, o condizioni prevalenti, dei suoi giorni. (Vedi Glossario, “sistema/i di cose”.) Quei “sistemi di cose” erano strettamente collegati al patto della Legge e includevano elementi caratteristici come: un sacerdozio, un sistema di sacrifici e di norme dietetiche, un sistema di adorazione presso il tabernacolo e il tempio che prevedeva anche feste e Sabati, e un sistema nazionale che ebbe poi dei re umani. Molti degli elementi tipici dell’era (epoca) israelitica o ebraica giunsero alla loro fine definitiva solo nel 70, quando Gerusalemme e il tempio vennero distrutti. Questo pose fine per sempre all’adorazione presso il tempio, al sacerdozio e ai sacrifici, tutte cose prescritte dalla Legge. Inoltre il popolo ebraico, un tempo la nazione scelta da Dio, fu disperso tra le nazioni, adempiendo così la profezia di Gesù riportata in Lu 21:24 e le parole di Paolo relative alla “fine dei sistemi di cose” ebraici.
quello che le nazioni sacrificano lo sacrificano ai demòni Nel versetto precedente Paolo fa capire che un idolo di per sé non è nulla. Il vero pericolo sta nella forza che si nasconde dietro all’idolo che viene adorato. Pare che Paolo stia citando o parafrasando De 32:17. Un concetto simile è espresso in Sl 106:36, 37. Gesù disse che la forza che si nasconde dietro a tutti gli idoli che vengono adorati è Satana, il “capo dei demòni” (Mt 12:24-26). Quindi, quando facevano sacrifici agli idoli o a falsi dèi, le persone delle nazioni stavano in realtà adorando i demòni. Durante la cerimonia, inoltre, quelli che presentavano i sacrifici spesso mangiavano una parte della carne offerta. Era come se mangiassero con i loro dèi e di conseguenza stessero in compagnia dei demòni.
il calice di Geova Cinque versetti prima Paolo parla del calice di vino che alla Cena del Signore rappresenta il sangue di Cristo (1Co 10:16). Lì lo definisce “il calice della benedizione che benediciamo”. Quando Gesù istituì questa celebrazione, prima di passare il calice ai suoi discepoli pronunciò una benedizione, o preghiera (Mt 26:27, 28; Lu 22:19, 20). Allo stesso modo oggi viene pronunciata una benedizione, o preghiera, prima che venga passato il calice. In ogni caso è stato Geova a provvedere ai cristiani tutto quello di cui hanno bisogno, compreso il sacrificio di riscatto di Gesù; è Geova colui al quale Gesù presentò il valore del suo sacrificio; è stato Geova a stabilire come sarebbe stato impiegato quel sacrificio; è stato Geova a predire e istituire il nuovo patto (Ger 31:31-34). Quindi è opportuno parlare del “calice di Geova”. (Vedi App. C3 introduzione; 1Co 10:21a.)
calice dei demòni [...] tavola dei demòni La Cena del Signore è un pasto di comunione. Il cristiano che partecipava alla Cena del Signore prendeva parte a un pasto di comunione sotto certi aspetti simile ai sacrifici di comunione offerti nell’antico Israele (Le 3:1-16; 7:28-36; 1Co 10:16). In modo analogo il cristiano che avesse partecipato con degli idolatri a un pasto in occasione di un sacrificio avrebbe condiviso quel pasto con i demòni. Non poteva partecipare sia alla Cena del Signore che ai pasti con cui i pagani adoravano i loro falsi dèi.
tavola di Geova Si ritiene che questa espressione sia un richiamo più o meno esplicito a Mal 1:7, 12, dove l’altare del tempio di Geova è chiamato appunto “tavola di Geova”. Viene detta “tavola” perché i sacrifici che vi erano offerti erano paragonati a “cibo [lett. “pane”]” (Mal 1:7; nt.; Ez 41:22). Quando gli israeliti mangiavano parte dei sacrifici di comunione offerti a Dio, era come se condividessero un pasto con lui, dato che l’altare rappresentava proprio Dio. (Vedi l’approfondimento il calice di Geova in questo versetto e App. C3 introduzione; 1Co 10:21b.)
O facciamo ingelosire Geova? Paolo avverte i cristiani di non provocare la gelosia e l’ira di Geova praticando una qualunque forma di idolatria. Allude a De 32:21, anche se non lo cita direttamente. Dal brano di De 32:19-21 si capisce che è Geova a dire: “Mi hanno fatto infuriare [o “ingelosire”, nt.] con ciò che non è un dio”. (Per una trattazione sull’uso del nome divino in questo versetto, vedi App. C3 introduzione; 1Co 10:22.)
è lecito O “è permesso”. (Vedi approfondimento a 1Co 6:12.)
Mangiate tutto quello che si vende al mercato Il termine “mercato” traduce il greco màkellon, che indicava il mercato di generi alimentari, dove tra le altre cose si potevano comprare carne e pesce. A volte la carne che avanzava nei templi veniva venduta a commercianti che la mettevano in vendita nei loro negozi. La carne che si poteva comprare al mercato non aveva più alcun valore “sacro” ed era come qualunque altra carne. Il cristiano non doveva considerare la carne proveniente da un tempio di per sé impura o contaminata. Poteva comprarla senza problemi, a patto che fosse stata debitamente dissanguata. (Vedi approfondimenti a 1Co 8:1, 4.)
Geova Nell’originale ebraico di Sl 24:1, qui citato, compare il nome divino trascritto con quattro consonanti ebraiche (traslitterate YHWH). (Vedi App. C1 e C2.)
della coscienza Alcuni manoscritti greci posteriori e antiche traduzioni in altre lingue aggiungono: “Poiché la terra appartiene al Signore come pure la sua pienezza”. Questa lezione è stata adottata da qualche traduzione moderna. In molti manoscritti antichi e autorevoli, comunque, questa frase non compare nel punto che corrisponde al v. 28, il che sembra suggerire che non facesse parte del testo originale. Una frase simile si trova in 1Co 10:26, dove il testo greco non lascia incertezze. (Vedi App. A3 e approfondimento a 1Co 10:26.)
congregazione di Dio Nelle Scritture Greche Cristiane il termine originale ekklesìa, di solito reso “congregazione”, può riferirsi a cose diverse. (Vedi Glossario, “congregazione”.) A volte può indicare l’intero gruppo dei cristiani unti con lo spirito (Mt 16:18; Eb 2:12; 12:23). In questo contesto, però, Paolo lo usa con un senso più specifico: esorta i cristiani di Corinto a non essere d’ostacolo ai componenti della “congregazione di Dio”, ovvero i cristiani che erano in vita a quel tempo e che avrebbero potuto risentire delle loro azioni.