Prima lettera ai Corinti 15:1-58
Note in calce
Approfondimenti
a condizione che vi atteniate saldamente a essa A Corinto la risurrezione, uno degli “insegnamenti basilari” del cristianesimo, veniva contestata (Eb 6:1, 2). Alcuni sostenevano che non ci fosse alcuna risurrezione (1Co 15:12). Paolo richiamò l’attenzione su coloro che dicevano: “Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo” (1Co 15:32). Probabilmente stava citando Isa 22:13, ma le parole che usò rispecchiavano bene il pensiero di chi era influenzato da filosofi greci come Epicuro, che negavano che ci fosse vita dopo la morte (At 17:32; vedi approfondimento a 1Co 15:32). È anche possibile che alcuni componenti della congregazione di retaggio ebraico avessero subìto l’influenza delle dottrine dei sadducei, che negavano la risurrezione (Mr 12:18). Oppure alcuni forse pensavano che i cristiani in vita avessero già avuto qualche sorta di risurrezione spirituale (2Tm 2:16-18). Se i corinti non si fossero attenuti saldamente alla buona notizia, sarebbero diventati credenti inutilmente, ovvero la loro speranza non si sarebbe realizzata. (Vedi approfondimento a 1Co 15:12.)
a Cefa Cefa è un altro nome di Pietro. (Vedi approfondimento a 1Co 1:12.) Prima di apparire ai discepoli riuniti insieme, Gesù apparve a Pietro, a quanto pare mentre questi era solo (Lu 24:34). Quella visita personale dev’essere stata di grande conforto per Pietro: senza dubbio ricevette la guida di cui aveva bisogno e fu rassicurato del fatto che era stato perdonato per aver rinnegato Gesù tre volte. (Vedi approfondimento a Mr 16:7.)
ai Dodici L’apparizione “ai Dodici” menzionata qui sembra essere la stessa descritta in Gv 20:26-29, a cui assisté Tommaso. Se così fosse, qui l’espressione designerebbe gli apostoli come gruppo, anche se ne mancavano uno o due (Gv 20:24; At 6:1-6). Questa apparizione di certo li aiutò a vincere i loro timori e a testimoniare con coraggio la risurrezione di Gesù.
è apparso a più di 500 fratelli in una sola volta Dato che la maggior parte dei discepoli si trovava in Galilea, forse è nella circostanza descritta in Mt 28:16-20 che, dopo la sua risurrezione, Gesù apparve a “più di 500 fratelli”. (Vedi approfondimento a Mt 28:16.) A quanto pare fra questi c’erano le donne alle quali un angelo aveva detto che Gesù era stato risuscitato e sarebbe apparso loro in Galilea (Mt 28:7). La maggioranza di coloro che furono presenti in quell’occasione era ancora in vita quando nel 55 Paolo scrisse ai corinti questa prima lettera ispirata. Quindi Paolo stava dicendo a chi dubitava della risurrezione di Gesù che c’erano testimoni oculari ancora in vita i quali potevano confermare che quel miracolo era un dato di fatto.
si sono addormentati nella morte Vedi approfondimento ad At 7:60.
a Giacomo Probabilmente il Giacomo menzionato qui è il figlio di Giuseppe (padre adottivo di Gesù) e di Maria (madre naturale di Gesù). Prima della risurrezione di Gesù, a quanto pare Giacomo non era un credente (Gv 7:5). È probabile che qui Paolo si riferisca a un’apparizione che Gesù fece personalmente a Giacomo, grazie alla quale sembra che Giacomo si fosse convinto che il fratello maggiore era veramente il Messia. Giacomo diventò credente e forse ebbe un ruolo nel convertire gli altri suoi fratelli (At 1:13, 14).
come a uno nato prematuramente Il termine greco reso “uno nato prematuramente” può riferirsi a un bambino la cui nascita avviene all’improvviso, in modo traumatico e al momento sbagliato. Paolo lo usa metaforicamente in riferimento a ciò che accadde alla sua conversione, quando sulla via di Damasco gli apparve Cristo risorto. Nello specifico, però, il senso può essere più di uno. Forse Paolo intendeva dire che la sua conversione, durante la quale perse temporaneamente la vista, fu inaspettata e traumatica, sia per lui che per altri (At 9:3-9, 17-19). Oppure intendeva dire che, rispetto a quelli menzionati nei versetti precedenti, lui era metaforicamente nato come cristiano (o si era convertito) al momento sbagliato, ovvero quando Gesù era già tornato in cielo. Un’altra possibilità è che stesse parlando di sé con modestia, ammettendo di non meritare il privilegio che gli era stato concesso; questo sarebbe in armonia con ciò che dice in 1Co 15:9, 10. Qualunque cosa avesse in mente, non c’è dubbio che considerava preziosa quell’esperienza che gli aveva permesso di vedere Gesù risorto. Per lui infatti fu una prova schiacciante del fatto che Gesù era stato risuscitato (At 22:6-11; 26:13-18).
grazie all’immeritata bontà di Dio sono quello che sono Qui Paolo riconosce umilmente che non può attribuirsi il merito dei risultati che ha ottenuto nel servire Geova. Mette in risalto questo punto menzionando tre volte in questo versetto l’“immeritata bontà” di Dio. (Vedi Glossario, “immeritata bontà”.) L’enfasi che Paolo dà all’immeritata bontà permette di leggere nella giusta chiave la sua affermazione: ho faticato più di tutti loro (cioè più degli altri apostoli). Paolo era grato che Dio nella sua misericordia avesse scelto lui, un ex persecutore dei cristiani, perché diventasse un apostolo (1Tm 1:12-16). E dimostrò questa gratitudine faticando strenuamente per svolgere il suo incarico. Coprì lunghe distanze per mare e per terra diffondendo la buona notizia e fondando numerose congregazioni. Il suo ministero comportò scrivere 14 lettere ispirate che diventarono parte delle Scritture Greche Cristiane. Geova inoltre lo benedisse dandogli il dono di parlare in altre lingue, facendogli avere delle visioni e concedendogli la capacità di compiere altri miracoli, inclusa una risurrezione (At 20:7-10; 1Co 14:18; 2Co 12:1-5). Paolo considerava il suo servizio e tutte queste benedizioni un’espressione dell’immeritata bontà di Geova.
alcuni di voi dicono che non c’è risurrezione dei morti Se quello che dicevano fosse stato vero, chi era morto con la speranza di tornare a vivere sulla terra sarebbe rimasto nella Tomba per sempre (Mt 22:31, 32; Gv 11:23, 24; vedi approfondimento a 1Co 15:2). Inoltre i cristiani unti non sarebbero potuti andare in cielo, perché per andarci dovevano, una volta morti, essere risuscitati con un corpo spirituale (1Co 15:35-38; vedi approfondimenti a 1Co 15:36, 38). Paolo afferma che se la risurrezione non fosse una realtà la fede cristiana sarebbe inutile, senza alcuno scopo (1Co 15:13, 14). Quindi difende fermamente la speranza della risurrezione, concentrandosi qui sulla speranza dei cristiani unti.
risurrezione Vedi approfondimento a Mt 22:23.
se Cristo non è stato risuscitato La speranza della risurrezione fa parte del fondamento della fede cristiana, è uno degli “insegnamenti basilari” (Eb 6:1, 2). Se Gesù non fosse stato risuscitato, non avrebbe potuto adempiere un aspetto molto importante del suo ruolo di Sommo Sacerdote, quello di presentare a Geova in cielo il valore del suo sacrificio di riscatto (Eb 9:24). La risurrezione di Cristo inoltre è strettamente collegata ad altri insegnamenti biblici basilari, inclusi quelli relativi alla sovranità di Dio, al Suo nome, al Suo Regno e alla salvezza degli esseri umani (Sl 83:18; Mt 6:9, 10; Eb 5:8, 9).
Per di più ci troviamo a essere falsi testimoni di Dio Qui Paolo evidenzia un ulteriore risvolto del negare la risurrezione. Se quell’insegnamento fosse stato falso, allora Paolo e i suoi compagni d’opera avrebbero mentito non solo riguardo alla risurrezione di Gesù ma anche riguardo a colui al quale attribuivano quel miracolo, ovvero Geova Dio.
voi rimanete nei vostri peccati Negare la risurrezione avrebbe avuto un altro risvolto. Se Cristo non fosse stato risuscitato, a Dio non sarebbe stato pagato nessun riscatto. E se a Dio non fosse stato pagato nessun riscatto, gli esseri umani imperfetti sarebbero rimasti nei loro peccati, senza alcuna speranza di redenzione o salvezza (Ro 3:23, 24; 1Co 15:3; Eb 9:11-14).
sono perduti Se la speranza della risurrezione fosse stata una menzogna, allora i cristiani che erano morti sarebbero stati “perduti” per sempre, senza alcuna possibilità di tornare in vita. Quei cristiani, che in alcuni casi avevano subìto il martirio, sarebbero stati degli illusi che erano morti nella speranza di essere risuscitati.
siamo i più miserevoli di tutti gli uomini L’apostolo Paolo e altri cristiani avevano subìto delle perdite, sopportato la persecuzione, vissuto molte difficoltà e affrontato la morte perché credevano nella risurrezione. Se la speranza della risurrezione non avesse avuto alcun fondamento, i cristiani sarebbero stati “i più miserevoli di tutti”. Queste parole di Paolo si trovano alla fine di una serie di risvolti negativi che si sarebbero avuti se Cristo non fosse stato risuscitato (1Co 15:13-19). È chiaro però che per Paolo tutti questi erano risvolti impossibili, perché al v. 20 continua: “Ma ora Cristo è stato risuscitato dai morti”.
primizia di quelli che si sono addormentati nella morte Gesù fu risuscitato il 16 nisan del 33, giorno in cui il sommo sacerdote presentava a Geova alcune primizie del primo raccolto di cereali. Il sommo sacerdote agitava le primizie della mietitura dell’orzo, cioè quella che si poteva definire la prima delle primizie della terra (Le 23:6-14). Quel covone prefigurava Gesù Cristo risuscitato, il primo a essere destato dai morti alla vita eterna in cielo. Chiamare Gesù la “primizia” implicava che ci sarebbe stata un’ulteriore raccolta di persone che sarebbero state risuscitate alla vita celeste (1Co 15:23).
primizia Vedi Glossario, “primizie”.
durante la sua presenza Il termine originale reso “presenza” (parousìa) compare per la prima volta in Mt 24:3, dove alcuni discepoli chiedono a Gesù informazioni sul “segno della [sua] presenza”. Si riferisce alla presenza regale di Gesù Cristo, che comincia con la sua invisibile intronizzazione quale Re messianico all’inizio degli ultimi giorni di questo sistema di cose. Anche se in molte traduzioni bibliche è reso “venuta”, il termine parousìa letteralmente significa “l’essere presso”, “l’esserci”. La presenza di Gesù copre un periodo di tempo, non si riferisce semplicemente al momento della sua “venuta”, al suo arrivo. Questo significato di parousìa emerge da Mt 24:37-39, dove la “presenza del Figlio dell’uomo” è paragonata ai “giorni di Noè [...] prima del diluvio”. Inoltre il termine parousìa è usato in Flp 2:12, dove Paolo contrappone il periodo in cui era “presente” al periodo in cui era “lontano”, o assente. (Vedi approfondimento a 1Co 16:17.) Quindi qui in 1Co 15:23 Paolo sta spiegando che la risurrezione in cielo di quelli che appartengono al Cristo, cioè gli unti fratelli coeredi di Cristo, sarebbe avvenuta qualche tempo dopo la sua intronizzazione come Re celeste del Regno di Dio.
la fine O “il compimento”. (Vedi approfondimento a Mt 24:6.) La “fine” (in greco tèlos) menzionata qui è evidentemente la fine del Regno millenario (Ri 20:4), il momento in cui Gesù umilmente e lealmente “consegnerà il Regno al suo Dio e Padre”. A quel punto il Regno millenario di Cristo avrà portato a compimento il suo scopo. Non ci sarà più bisogno di questo governo ausiliario tra Geova e l’umanità. E dato che il peccato e la morte ereditati da Adamo saranno stati completamente eliminati e l’umanità sarà stata redenta, verrà meno anche la necessità del ruolo di Redentore svolto da Gesù (1Co 15:26, 28).
ridotto a nulla O “distrutto”. Lett. “reso inefficace”. Qui Paolo parla della fine della morte adamica e delle sue conseguenze. Una delle cose fondamentali perché la morte sia ridotta a nulla è che i morti vengano riportati in vita con la risurrezione (Gv 5:28), insegnamento che in questo contesto Paolo difende energicamente. Comunque, perché la morte sia annullata del tutto, è anche necessario che venga eliminata ogni traccia del peccato adamico. Per questo Paolo continua spiegando che il sacrificio di riscatto di Gesù Cristo eliminerà il peccato, “il pungiglione che dà la morte”. In virtù della risurrezione e del riscatto, Dio distruggerà la morte, la renderà inefficace. Paolo infatti dice: “La morte è eliminata [lett. “inghiottita”] per sempre” (1Co 15:54-57).
anche il Figlio stesso si sottoporrà Il Figlio, Cristo Gesù, cederà umilmente il Regno al Padre, Geova, e si sottometterà alla sua suprema sovranità. Non c’è gesto che possa rappresentare un tributo più grande alla legittimità del dominio di Geova. In questo modo Cristo dimostrerà anche che, alla fine del suo Regno millenario e dopo tutti i risultati conseguiti, è ancora umile come quando venne sulla terra come uomo (Flp 2:5-11; Eb 13:8).
affinché Dio sia ogni cosa a tutti Quando Cristo gli restituirà il Regno, Geova tornerà di nuovo a governare in modo diretto su tutta la sua creazione. L’umanità perfetta non avrà più bisogno di un governo ausiliario, il Regno messianico, che rimedi ai danni provocati dalla ribellione nell’Eden. Non ci sarà più alcun bisogno di un riscatto, di un mediatore o di un sacerdozio. Essendo suoi figli, gli esseri umani potranno comunicare direttamente con il loro Padre, Geova, e godranno di grande libertà (Ro 8:21). Quanto detto da Paolo sotto ispirazione si riferisce al tempo in cui Gesù “consegnerà il Regno al suo Dio e Padre dopo aver ridotto a nulla ogni governo e ogni autorità e potenza” (1Co 15:24).
si battezzano per essere morti Nel capitolo 15 di 1 Corinti, Paolo spiega che la risurrezione è una certezza. In questo contesto afferma che i cristiani unti vengono metaforicamente battezzati, o immersi, in un modo di vivere che li porta a morire fedeli come Cristo. Successivamente vengono risuscitati alla vita spirituale, come lo fu Gesù. Questo battesimo comporta difficoltà simili a quelle affrontate da Gesù e spesso porta a una morte simile alla sua (1Co 15:30-34). I cristiani unti fedeli nutrono la speranza di essere risuscitati in cielo. Il battesimo di cui si parla qui in 1Co 15:29, quindi, sembra collegato al battesimo menzionato da Gesù in Mr 10:38 e da Paolo stesso in Ro 6:3. (Vedi approfondimenti a Mr 10:38; Ro 6:3.)
per essere morti Nell’espressione greca compare la preposizione hypèr, che alla lettera significa “sopra” ma che in base al contesto può avere molti altri significati. Invece di “per essere morti”, alcune Bibbie traducono “per i morti” o usano espressioni simili. Rese di questo genere hanno portato alcuni a credere che il versetto si riferisca a una consuetudine del tempo, quella di farsi battezzare al posto o in favore di un defunto. Ma la Bibbia non menziona da nessuna parte un battesimo del genere, né ci sono prove che questa fosse una pratica comune al tempo di Paolo. Inoltre questa interpretazione non sarebbe in armonia con altri versetti dove si legge che i battezzati dell’epoca erano “discepoli” che personalmente “accolsero volentieri” il messaggio di Dio e personalmente “credettero” (Mt 28:19; At 2:41; 8:12).
ho combattuto a Efeso con le bestie feroci Spesso i romani giustiziavano i criminali gettandoli in pasto alle bestie nelle arene. Alcuni studiosi ritengono che questo tipo di condanna non potesse essere inflitta a un cittadino romano, come lo era Paolo, ma ci sono attestazioni storiche relative ad alcuni cittadini romani che furono effettivamente gettati in pasto ad animali feroci o costretti a combatterli. Ciò che Paolo dice in 2Co 1:8-10 potrebbe benissimo descrivere un episodio all’interno di un’arena. Se si trovò ad affrontare delle bestie letterali, probabilmente Paolo riuscì a scampare per intervento divino. (Confronta Da 6:22.) Questa eventuale esperienza sarebbe una delle tante in cui Paolo si trovò “in pericolo di morte” durante il suo ministero (2Co 11:23). Altri studiosi avanzano l’ipotesi che qui Paolo usi l’espressione “bestie feroci” in senso figurato per indicare la feroce opposizione incontrata a Efeso (At 19:23-41).
mangiamo e beviamo, perché domani moriremo Qui Paolo cita Isa 22:13, dov’è riassunto l’atteggiamento dei disubbidienti abitanti di Gerusalemme, i quali, di fronte alla distruzione incombente, invece di pentirsi si erano dati a una vita di piaceri. È possibile che Paolo abbia citato queste parole perché rispecchiavano bene il pensiero di chi negava la risurrezione. Tra coloro che non credevano nella risurrezione c’erano ad esempio gli epicurei, i quali si concentravano sul godimento del presente. Ma come sottolinea Paolo la risurrezione è una realtà, pertanto questa speranza fornisce ai cristiani non solo validi motivi ma anche la forza necessaria per continuare a fare sacrifici (1Co 15:58).
le cattive compagnie corrompono le buone abitudini O “le cattive compagnie corrompono i sani princìpi morali”. Sembra che Paolo stia citando un proverbio o un modo di dire tipico dell’epoca, il quale riflette anche un principio che ritorna più volte nella Bibbia (Pr 13:20; 14:7; 22:24, 25). Paolo qui lo cita per esortare i suoi compagni di fede a evitare, se non necessario, di stare in compagnia di chi rifiuta la dottrina scritturale della risurrezione (1Co 15:3-8; vedi approfondimento a 1Co 15:12). Paolo sapeva che la compagnia di chi rifiutava questo e altri insegnamenti cristiani ben fondati poteva essere distruttiva per la fede e poteva ‘corrompere’ (il verbo greco fthèiro ha in sé il senso di “guastare”, “rovinare”) le buone abitudini e il sano modo di ragionare (At 20:30; 1Tm 4:1; 2Pt 2:1). La congregazione di Corinto era piagata da diversi problemi molto seri, i quali erano forse riconducibili, almeno in parte, alla scelta di compagnie sbagliate (1Co 1:11; 5:1; 6:1; 11:20-22).
Tornate in voi Qui Paolo usa un verbo greco che principalmente significa “smaltire l’ubriachezza”, “tornare sobrio”. Dal momento che alcuni cristiani di Corinto prestavano ascolto a insegnamenti apostati, come quello che negava la risurrezione, si trovavano in uno stato di torpore spirituale: erano confusi e disorientati come fossero ubriachi. Paolo perciò li esorta a svegliarsi, a scrollarsi di dosso quella confusione afferrando il pieno significato dell’insegnamento della risurrezione. E dovevano farlo subito, prima che quel torpore li portasse ad ammalarsi o addirittura morire spiritualmente (1Co 11:30).
se prima non muore Nel parlare della risurrezione dei cristiani unti alla vita spirituale, Paolo paragona la sepoltura del corpo fisico alla semina di un seme. Il seme “muore” nel senso che, quando viene piantato, si disintegra. La pianta che ne deriva ha forma e aspetto completamente diversi dal seme. (Confronta Gv 12:24.) Allo stesso modo un cristiano che è stato scelto da Dio perché sia coerede di suo Figlio e riceva l’incorruzione e l’immortalità in cielo deve prima morire. In 1Co 15:42-44 la metafora dell’essere seminati ricorre quattro volte. Paolo la usa per descrivere il fatto che con la risurrezione un cristiano unto, al posto di un corpo fisico, ottiene un corpo spirituale. (Vedi approfondimento a 1Co 15:38.)
Dio gli dà un corpo Qui Paolo prosegue la metafora con cui paragona la risurrezione dei cristiani unti alla germinazione di un seme. (Vedi approfondimento a 1Co 15:36.) Usa l’esempio di un piccolo seme di grano che non somiglia per niente alla pianta che nascerà da esso. Il seme “muore” in quanto seme e diventa una pianta che germoglia (1Co 15:36, 37). In modo simile i cristiani unti devono prima morire quali esseri umani. Poi Dio, al tempo da lui stabilito, li riporta in vita con un corpo completamente nuovo (2Co 5:1, 2; Flp 3:20, 21). Gli unti vengono risuscitati con corpi spirituali per vivere nel mondo spirituale (1Co 15:44; 1Gv 3:2).
lo splendore di una stella è diverso da quello di un’altra Per alcuni corinti era inconcepibile che un essere umano, fatto di carne e ossa, una volta morto potesse essere risuscitato con un diverso tipo di corpo, uno spirituale; per questa ragione Paolo presenta degli esempi molto vividi. Qui menziona le stelle. Un osservatore del I secolo poteva benissimo confermare che le stelle variano tra loro per brillantezza e colore. Paolo intende dire che il Dio che ha creato una tale varietà di corpi celesti è in grado di risuscitare un essere umano e creare un corpo spirituale.
incorruzione Il termine “incorruzione” (in greco aftharsìa) si riferisce allo stato di qualcosa che non può decomporsi o corrompersi, qualcosa di imperituro. Con la risurrezione i cristiani unti, che hanno vissuto e servito fedelmente fino alla morte con un corpo fisico mortale e corruttibile, ricevono un corpo spirituale incorruttibile (1Co 15:44). Un corpo di questo genere “risuscitato nell’incorruzione” diventa intrinsecamente immune da decadimento o distruzione e a quanto pare autosufficiente. (Confronta approfondimento a 1Co 15:53.)
fisico Il termine greco psychikòs che compare nel testo originale deriva dalla parola psychè, tradizionalmente resa “anima”. Qui descrive corpi di creature terrene in contrasto con corpi celesti; si riferisce a ciò che è materiale, tangibile, visibile e mortale. (Vedi Glossario, “anima”.)
Il primo uomo, Adamo [...] L’ultimo Adamo Nella prima parte del versetto Paolo cita Gen 2:7 (“l’uomo diventò un essere vivente”), ma aggiunge le parole “primo” e “Adamo”. Nella seconda parte del versetto chiama Gesù “l’ultimo Adamo”. Poi in 1Co 15:47 chiama Adamo “il primo uomo” e Gesù “il secondo uomo”. Il primo Adamo disubbidì al Padre, colui che gli aveva dato la vita; l’ultimo Adamo gli mostrò assoluta ubbidienza. Il primo Adamo trasmise ai suoi discendenti il peccato; l’ultimo Adamo diede la sua vita umana come sacrificio di espiazione per i peccati (Ro 5:12, 18, 19). Geova poi riportò in vita Gesù come spirito (1Pt 3:18). Visto che Gesù, come Adamo, era un uomo perfetto, Geova coerentemente con i suoi stessi princìpi di giustizia ne poté accettare il sacrificio “come riscatto corrispondente” per ricomprare i discendenti di Adamo; questo sacrificio di riscatto avrebbe ridato agli esseri umani le stesse prospettive di vita che il primo Adamo aveva perso (1Tm 2:5, 6). Pertanto Gesù poteva giustamente essere definito “l’ultimo Adamo”, a indicare che dopo di lui non ci sarebbe stato bisogno di un altro Adamo. (Confronta approfondimenti a Lu 3:38; Ro 5:14.)
un essere vivente O “un’anima vivente”. Paolo sta citando Gen 2:7. Lì in ebraico compare il termine nèfesh, che letteralmente significa “una creatura che respira” e, come indica la nota in calce, può anche essere reso “persona” o “anima”. (Vedi Glossario, “anima”.)
del celeste Cioè di Cristo Gesù, “l’ultimo Adamo” (1Co 15:45).
in un batter d’occhio Il termine greco reso “batter d’occhio” (rhipè) dà l’idea di un movimento rapido. In questo contesto sembra descrivere un veloce battito di ciglia o un repentino movimento degli occhi, a indicare il modo istantaneo in cui “durante l’ultima tromba” i cristiani unti vengono risuscitati alla vita immortale in cielo (1Ts 4:17; Ri 14:12, 13).
immortalità Il termine greco reso “immortalità” (athanasìa) ricorre tre volte nelle Scritture Greche Cristiane: in 1Co 15:53, 54 e 1Tm 6:16. Si riferisce alla qualità della vita che gli unti ricevono, una vita senza fine e indistruttibile. Infatti gli unti discepoli di Cristo, che quali esseri umani mortali servono Dio fedelmente, vengono risuscitati non come le altre creature spirituali, che hanno la vita eterna, ma con qualcosa in più: Geova dà loro “una vita indistruttibile” (Eb 7:16). Questa è una straordinaria prova della fiducia che ripone in loro. (Confronta approfondimento a 1Co 15:42.)
La morte è eliminata per sempre Lett. “la morte è inghiottita nella vittoria”. Citando le parole scritte da Isaia nell’VIII secolo a.E.V., Paolo mostra che Dio aveva promesso di porre fine alla morte adamica già molto tempo fa. Il testo ebraico di Isa 25:8 alla lettera dice: “Egli [cioè Dio] inghiottirà la morte per sempre”. Nel citare queste parole Paolo usa un’espressione (qui resa “per sempre”) che significa “nella vittoria”. Questa resa vicina all’originale è adottata da varie traduzioni bibliche che rendono così la frase: “La morte è stata inghiottita nella vittoria” (La Nuova Diodati, CEI) o “La morte è distrutta! la vittoria è completa!” (Parola del Signore). Comunque in alcuni contesti l’espressione greca può significare “per sempre”. Nella Settanta viene usata per rendere un termine ebraico che ha il senso di “per sempre”, ad esempio in Isa 25:8 e La 5:20. Pertanto qui in 1Co 15:54 ci sono valide ragioni per rendere questa espressione greca con “per sempre”, soprattutto alla luce del testo ebraico originale da cui la citazione è tratta.
“Morte, dov’è la tua vittoria? Morte, dov’è il tuo pungiglione?” Paolo qui cita Os 13:14. La profezia di Osea non si riferiva al fatto che gli israeliti disubbidienti dell’epoca sarebbero stati risuscitati in quel tempo. L’applicazione che ne fa Paolo dimostra che quella profezia si riferiva a quando i morti saranno riportati in vita e la Tomba (Sceol o Ades) verrà privata di ogni potere. Paolo in parte cita queste parole dalla Settanta, che dice: “Dov’è la tua punizione [o “castigo”], o morte? Dov’è il tuo pungiglione, o Ades?” Con queste domande retoriche rivolte alla nemica Morte (1Co 15:25, 26), è come se Paolo stesse dicendo: “Morte, non riporterai più alcuna vittoria! Morte, il tuo pungiglione non può più fare del male a nessuno!”
pungiglione Il termine greco originale (kèntron) può riferirsi al pungiglione di un animale, come lo scorpione. Ricorre anche in Ri 9:10, dove si parla di locuste simboliche che hanno “code con pungiglioni come gli scorpioni”. Qui in 1Co 15:55 il termine viene usato metaforicamente per descrivere il dolore e la sofferenza che la morte ha causato a milioni di esseri umani (1Co 15:26). Proprio come uno scorpione privato del suo pungiglione non può più pungere, la morte non avrà più alcun potere sugli unti che saranno stati risuscitati quali eredi del Regno di Dio e che avranno ottenuto l’immortalità (1Co 15:57; Ri 20:6). Durante il Regno millenario di Cristo, Dio eliminerà del tutto il pungiglione della morte adamica quando milioni di persone saranno risuscitate e la morte sarà simbolicamente gettata “nel lago di fuoco” (Ri 20:12-14; 21:4; Gv 5:28, 29).
e la forza del peccato è la Legge O “e la Legge dà al peccato la sua forza”. Qui Paolo si riferisce alla Legge mosaica. La Legge spiegava chiaramente cosa dovesse essere considerato peccato, annoverando tra i peccati molte azioni e persino pensieri o sentimenti (Ro 3:19, 20; Gal 3:19). È in questo senso che la Legge dava al peccato la sua forza. E, come risultato, gli israeliti si rendevano conto di essere peccatori e colpevoli agli occhi di Dio, e di aver bisogno del Messia (Ro 6:23).
Quindi [...] siate saldi, irremovibili Il termine greco reso “saldi” ha il senso di stabile, fermo, ben piantato. Ricorre anche in Col 1:23 insieme all’espressione “solidamente poggiati sul fondamento”. Trasmette l’idea del tener duro grazie a un’incondizionata fede in Dio e nelle sue promesse (1Pt 5:9). Il termine reso “irremovibili” ha un significato simile e si riferisce a qualcosa di immobile, che non può essere smosso. Quando il cristiano si trova di fronte a difficoltà e prove di fede, la speranza che nutre è per lui come “un’ancora” che tiene ferma la nave affinché non si sposti dall’ormeggio (Eb 6:19). Paolo usa insieme questi due termini, “saldi” e “irremovibili”, per esortare i fratelli di Corinto a restare attaccati con determinazione e forza alla loro fede e speranza, certi che la loro fatica “nell’opera del Signore” non sarà mai inutile.
opera del Signore [...] nel Signore In questo contesto il termine greco Kỳrios (“Signore”) può riferirsi sia a Geova Dio sia a Gesù Cristo. Qui è probabile che si riferisca a Geova, visto che Paolo definisce i ministri cristiani “collaboratori di Dio” e il ministero “l’opera di Geova” (1Co 3:9; 16:10; Isa 61:1, 2; Lu 4:18, 19; Gv 5:17; Ro 12:11). Inoltre Gesù, parlando dell’opera di mietitura spirituale, si riferì a Geova Dio come al “Signore [Kỳrios] della messe” (Mt 9:38). C’è però anche la possibilità che Paolo avesse in mente l’opera, o ministero, che Gesù guidò quando fu sulla terra (Mt 28:19, 20). In ogni caso, che il termine Kỳrios qui si riferisca a Geova o a Gesù, i ministri cristiani hanno il grande privilegio di essere collaboratori sia del Sovrano Signore Geova sia del Signore Gesù Cristo nel proclamare la buona notizia.