Prima lettera a Timoteo 1:1-20
Note in calce
Approfondimenti
Prima lettera a Timoteo A quanto pare intestazioni come questa non facevano parte del testo originale. Antichi manoscritti dimostrano che furono introdotte successivamente, senza dubbio per identificare con più facilità i vari libri. Ad esempio, il codice Sinaitico, famoso manoscritto del IV secolo, al termine della lettera contiene la dicitura “Prima a Timoteo”. Anche in altri antichi manoscritti compare questa dicitura, ma con delle varianti.
Dio, nostro Salvatore Nella prima lettera a Timoteo e in quella a Tito, Paolo usa il termine “Salvatore” sei volte riferendosi a Geova Dio (qui e in 1Tm 2:3; 4:10; Tit 1:3; 2:10; 3:4); nel resto delle Scritture Greche Cristiane, invece, compare solo due volte riferito a Geova (Lu 1:47; Gda 25). Nelle Scritture Ebraiche, si parla spesso di Geova come del Salvatore del suo popolo, Israele (Sl 106:8, 10, 21; Isa 43:3, 11; 45:15, 21; Ger 14:8). Anche Gesù, però, può a buon diritto essere definito “Salvatore”, perché è tramite lui che Geova salva gli esseri umani dal peccato e dalla morte (At 5:31; 2Tm 1:10). Inoltre è definito “colui che [...] conduce alla salvezza” (Eb 2:10). Il nome Gesù, dato sotto guida angelica al Figlio di Dio, significa “Geova è salvezza”; infatti l’angelo spiegò: “Salverà il suo popolo dai loro peccati” (Mt 1:21 e approfondimento). Questo nome, quindi, sottolinea il fatto che Geova è la Fonte della salvezza mediante Gesù. Ecco perché il termine “Salvatore” può essere giustamente utilizzato per riferirsi sia al Padre che al Figlio (Tit 2:11-13; 3:4-6). Il termine ebraico e quello greco (nella Settanta) per “salvatore” vengono usati per indicare anche esseri umani scelti come “salvatori che [...] liberavano” il popolo di Dio dai nemici (Ne 9:27; Gdc 3:9, 15).
Cristo Gesù, nostra speranza Paolo considerava Geova “l’Iddio che dà speranza” (Ro 15:13), ma qui ricorda a Timoteo che è per mezzo di Cristo Gesù che Geova ha offerto ai cristiani questa speranza fidata. Gesù realizza tutte le promesse di Geova e fa in modo che la speranza degli esseri umani di vivere per sempre si avveri. (Vedi 2Co 1:20 e approfondimenti; 1Pt 1:3, 4.)
Timoteo Significa “[uno] che onora Dio”. (Vedi approfondimento ad At 16:1.)
genuino figlio Definendo Timoteo in questo modo, Paolo esprime il tenero affetto paterno che lo lega a lui. Le Scritture non dicono se sia stato lui a far conoscere la buona notizia a Timoteo e alla sua famiglia. Quello che dicono, però, è che, quando era relativamente giovane, Timoteo iniziò ad accompagnarlo nei suoi viaggi (At 16:1-4). Perciò, quando Paolo scrisse questa lettera, lo considerava suo figlio nella fede, cioè un figlio spirituale. (Confronta Tit 1:4.) Il loro legame speciale si era consolidato nel corso del tempo, da 10 anni o più (1Co 4:17; Flp 2:20-22).
Che tu possa avere immeritata bontà, misericordia e pace Vedi approfondimento a Ro 1:7.
immeritata bontà Vedi Glossario.
rimanere a Efeso In questo versetto si trovano utili informazioni sul contesto della prima lettera a Timoteo. Quando la ricevette, Timoteo serviva come sorvegliante nella congregazione di Efeso, congregazione che Paolo conosceva bene (At 19:1, 9, 10; 20:31). Paolo incoraggia Timoteo a rimanere a Efeso aggiungendo: “Affinché tu comandi a certi individui di non insegnare dottrine diverse”. La stesura della lettera si può collocare tra il 61 e il 64, cioè dopo la fine degli arresti domiciliari di Paolo a Roma ma prima della sua ultima detenzione lì. (Vedi Introduzione a 1 Timoteo e Galleria multimediale, “Viaggi di Paolo successivi al 61 E.V. ca.”.)
affinché tu comandi a certi individui di non insegnare dottrine diverse Paolo affida a Timoteo grande autorità nella congregazione di Efeso: dovrà comandare a certi individui di smettere di insegnare dottrine diverse dagli insegnamenti ispirati di Gesù e di coloro che Gesù aveva nominato. Il verbo originale usato qui per “comandare” si può riferire a un dovere impellente. L’indicazione che Paolo impartisce dà un’idea del suo continuo combattimento contro l’apostasia. (Vedi approfondimento a 2Ts 2:3.) Alcuni anni prima, intorno al 56, Paolo aveva parlato agli anziani di Efeso avvertendoli del fatto che tra gli uomini con incarichi di responsabilità ci sarebbero stati “lupi rapaci” che “[avrebbero detto] cose distorte per trascinarsi dietro i discepoli” (At 20:29, 30). In altre lettere ispirate, Paolo esortò i cristiani a non ascoltare “un’altra sorta di buona notizia” (Gal 1:6 e approfondimento; 2Co 11:4). È evidente che alcuni di quelli che promuovevano questi falsi insegnamenti erano ormai presenti anche nella congregazione di Efeso.
false storie In 2Tm 4:4 “false storie” e “verità” sono messe in contrapposizione. Il termine greco qui reso “false storie” è mỳthos, che secondo un lessico può essere definito “leggenda”, “favola”, “mito”. Nelle Scritture Greche Cristiane è sempre usato con un’accezione negativa. Paolo forse aveva in mente leggende stravaganti che promuovevano insegnamenti religiosi falsi o dicerie di natura sensazionale (Tit 1:14; 2Pt 1:16; vedi approfondimento a 1Tm 4:7). In questo versetto esorta i cristiani a non prestare attenzione, o non dedicare tempo, a tali false storie, perché non sarebbero state di nessuna utilità e avrebbero potuto distogliere la loro mente dalla verità contenuta nella Parola di Dio (2Tm 1:13).
genealogie Paolo forse fa riferimento a linee di discendenza o alberi genealogici delle singole famiglie. Avverte i cristiani di non farsi distrarre dallo studio e dalla discussione di questi argomenti. Probabilmente alcuni si dedicavano a cose del genere per un senso di orgoglio riguardo alla propria discendenza o per far mostra della conoscenza che avevano. Comunque concentrarsi su questo tipo di indagini non aggiungeva nulla di utile alla fede cristiana. I cristiani ebrei non avevano nessun valido motivo per tracciare la propria linea di discendenza, dato che nella congregazione Dio non faceva ormai alcuna distinzione fra ebrei e non ebrei (Gal 3:28). Ciò che veramente contava era che i cristiani riuscissero a tracciare la discendenza di Cristo attraverso la linea genealogica di Davide (Mt 1:1-17; Lu 3:23-38).
speculazioni Paolo parla di un pericolo che sorge quando si presta attenzione a false storie e a genealogie. (Vedi gli approfondimenti false storie e genealogie in questo versetto.) Usa un termine greco che un lessico definisce “inutile speculazione”. Un’altra opera di consultazione fa notare che questo termine ha a che fare con “domande a cui non è possibile rispondere, che non meritano risposta”. Paolo mette in contrasto tali speculazioni con “qualcosa che [viene] da Dio riguardo alla fede”. In questo versetto, quindi, non si riferisce a ragionamenti logici che si fondano su solide basi scritturali e che pertanto possono rafforzare la fede (At 19:8; 1Co 1:10); piuttosto mette in guardia contro domande inutili e risposte discutibili che invece di unire i discepoli di Cristo è più probabile che li dividano.
obiettivo O “meta”, “scopo”. (Vedi approfondimento a Ro 10:4.)
direttiva O “mandato”, “ordine”, “comando”. Il sostantivo greco, come spiega un lessico, trasmette l’idea di “qualcosa che deve essere fatto”. Paolo si sta riferendo a quello che poco prima ha detto a Timoteo, e cioè di “[comandare] a certi individui” nella congregazione “di non insegnare dottrine diverse e di non prestare attenzione a false storie” (1Tm 1:3, 4). Il termine originale e altri affini ricorrono diverse volte in questa lettera (1Tm 1:18; 4:11; 5:7; 6:13, 17).
l’amore che scaturisce da un cuore puro In questo versetto Paolo mette in relazione l’altruistico amore cristiano con “un cuore puro”, “una buona coscienza” e “una fede senza ipocrisia”. Il cristiano che ha un cuore puro, cioè che è puro interiormente, lo è dal punto di vista morale e spirituale. I suoi motivi sono puri ed è completamente dedicato a Geova (Mt 5:8 e approfondimento). La purezza del suo cuore lo spinge a mostrare vero amore nei rapporti che ha con gli altri.
l’amore che scaturisce [...] da una buona coscienza Dio ha dotato l’essere umano della coscienza, cioè la capacità di esaminare sé stesso e di giudicare i propri pensieri, i propri sentimenti e le proprie azioni. Gli esseri umani imperfetti hanno bisogno della Parola di Dio per educare la coscienza così che questa possa aiutarli a fare valutazioni corrette, che tengano conto delle norme divine. Il cristiano che ha una buona coscienza, ovvero una coscienza che è addestrata per essere in armonia con la volontà di Dio, non deve sentirsi in colpa per peccati commessi in passato, perché si è pentito, ha smesso di fare ciò che è sbagliato e ora si comporta nel modo giusto (1Pt 3:16, 21; vedi approfondimento a Ro 2:15). In questo versetto Paolo indica che una buona coscienza permette di manifestare amore altruistico.
l’amore che scaturisce [...] da una fede senza ipocrisia Paolo conosceva bene l’ipocrisia dei farisei e i risultati disastrosi del loro comportamento (At 26:4, 5; confronta Mt 23:13). Mise in guardia Timoteo contro l’insincerità e la doppiezza (1Tm 4:1, 2). I termini greci che trasmettono il significato di “ipocrisia” e “ipocrita” si riferivano in origine ad attori di teatro che avevano il volto coperto da una maschera, il che permetteva loro di interpretare più personaggi nel corso di uno spettacolo. (Vedi approfondimento a Mt 6:2.) Il termine greco qui reso “senza ipocrisia” può significare “senza simulazione”, “senza fingere come fa un attore”. Quindi Paolo in questo versetto mostra che avere una fede sincera e genuina permette ai cristiani di manifestare amore altruistico.
Pretendono di essere maestri della legge O “vogliono essere maestri della legge”. A quanto pare gli uomini di cui parla qui Paolo erano motivati dal desiderio egoistico di avere la preminenza e l’autorità che secondo alcuni derivavano dall’essere un insegnante nella congregazione. Quegli uomini ambiziosi non erano idonei a insegnare al gregge di Dio e a pascerlo né avevano ricevuto la nomina per farlo. Un fratello che invece era spinto dal desiderio altruistico di servire gli altri con l’insegnamento e che soddisfaceva i requisiti scritturali “[desiderava] un’opera eccellente” (1Tm 3:1).
la Legge è eccellente purché sia applicata in modo appropriato Ai giorni di Paolo, alcuni insegnavano che i cristiani dovessero attenersi scrupolosamente ai precetti della Legge mosaica, come se fossero ancora indispensabili per essere salvati. Paolo sapeva che quei maestri applicavano la Legge in modo inappropriato. I cristiani non sono tenuti a osservarla, ed esercitano fede nel sacrificio di Cristo per ottenere la salvezza (Gal 2:15, 16). La Legge mosaica è comunque utile per loro, a patto che ne applichino i princìpi “in modo appropriato” (lett. “legittimamente”). Vale la pena studiarla, dal momento che è “un’ombra delle benedizioni future” collegate a Cristo Gesù (Eb 10:1). Inoltre la Legge rende evidente il bisogno che l’umanità ha del sacrificio espiatorio di Gesù Cristo (Gal 3:19) e, soprattutto, rivela il modo di pensare di Geova (Eso 22:21; Le 19:15, 18; Ro 7:12).
le leggi sono fatte non per chi è giusto Coloro che avevano accettato il cristianesimo erano giusti perché avevano fatto proprie le norme divine su ciò che è giusto e sbagliato. Di buon grado permettevano allo spirito di Dio di operare su di loro (Gal 5:16-23). Non avevano quindi bisogno di tante norme dettagliate, come quelle contenute nella Legge mosaica. Seguivano piuttosto “la legge del Cristo”, che è una legge superiore e si basa sull’amore (Gal 6:2 e approfondimento).
quelli che praticano l’immoralità sessuale Vedi approfondimenti a 1Co 5:9; Gal 5:19.
uomini che praticano l’omosessualità O “uomini che hanno rapporti sessuali con uomini”. Lett. “uomini che giacciono con uomini”. (Vedi approfondimento a 1Co 6:9.)
gloriosa buona notizia La buona notizia può giustamente essere definita “gloriosa” a motivo del suo straordinario messaggio. Per esempio fa conoscere la gloriosa personalità e le gloriose qualità di Geova Dio, la Fonte di questo messaggio meraviglioso. Grazie a questa buona notizia, il “felice Dio” ha dato all’umanità la gloriosa speranza di essere salvata attraverso Gesù Cristo. Non sorprende quindi che Paolo si sentisse onorato di aver ricevuto l’incarico di predicarla. (Vedi approfondimenti a 2Co 4:4, 6.)
felice Dio Qui Paolo indica che la felicità è una caratteristica peculiare della personalità di Geova. Dio è sempre esistito e continuerà a esistere per tutta l’eternità; è sempre stato felice, anche quando era da solo (Mal 3:6). Il legame con il suo Figlio primogenito gli fece provare ancora più felicità (Pr 8:30). Anche se la ribellione e la calunnia di Satana gli hanno procurato dolore e sofferenza, Geova continua a essere felice e si rallegra della fedeltà dei suoi servitori leali (Pr 27:11). Quando incontrò gli anziani di Efeso, Paolo citò le parole di Gesù: “C’è più felicità nel dare che nel ricevere” (At 20:35 e approfondimento). Da queste parole si evince una ragione per cui Geova è il “felice Dio”: nessuno nell’universo è più generoso di lui (Sl 145:16; Isa 42:5). Se lo imitano, anche i suoi servitori possono essere felici (Ef 5:1). In Sl 1:1, 2, chi legge quotidianamente la sua legge è definito “felice”. Nella Settanta, in questo passo, compare lo stesso termine greco usato qui da Paolo. Nel Discorso della Montagna più volte Gesù indica che i suoi discepoli possono essere felici, anche se affrontano difficoltà e persecuzione (Mt 5:3-11; vedi approfondimenti a Mt 5:3; Ro 4:7).
Sono grato a Cristo Gesù Nel suo incarico “di svolgere un ministero”, Paolo vedeva la prova della misericordia, dell’amore e della fiducia di Gesù Cristo nei suoi confronti. In precedenza era stato “un persecutore e un insolente”, e aveva addirittura approvato l’assassinio di Stefano (1Tm 1:13; At 6:8; 7:58; 8:1, 3; 9:1, 2). Per dimostrare la propria gratitudine serviva con entusiasmo gli altri soddisfacendo i loro bisogni spirituali. È con questo stesso atteggiamento, per esempio, che predicò la buona notizia. (Vedi approfondimento a Ro 11:13.)
l’immeritata bontà del nostro Signore Paolo era perfettamente consapevole degli errori che aveva commesso quando aveva perseguitato i cristiani. Qui però preferisce concentrarsi su quello che di positivo era successo dopo: nonostante il suo passato, era stato oggetto dell’immeritata bontà di Geova. (Vedi approfondimenti ad At 13:43; 1Co 15:10; Gal 2:20.) Per mettere in evidenza questo punto, Paolo dice che nel suo caso la bontà di Geova ha abbondato oltremodo. Usa un verbo greco che può descrivere un contenitore così pieno da essere stracolmo, da traboccare. Un lessico dice che questo verbo significa “abbondare oltremisura”.
Di questi io sono il principale Quello che Paolo dice qui a proposito dei peccatori lascia trasparire sia la profondità della sua umiltà che la forza della sua speranza. Umilmente rifiuta di sminuire la sua precedente condotta peccaminosa, quando aveva perseguitato i cristiani. Nonostante i suoi grandi peccati, comunque, la sua speranza è granitica perché sa bene che “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori”. (Confronta Mt 9:13.)
facendo di me un esempio Qui il versetto sposta l’attenzione dai benefìci che Paolo ha avuto grazie alla misericordia di Cristo al modo in cui altri possono avvalersi dell’esempio dello stesso Paolo. I cristiani che vengono a conoscenza della misericordia che Dio gli ha mostrato si convincono che il perdono dei peccati è possibile. Essendo “il principale peccatore”, Paolo diventò la prova vivente del fatto che la misericordia di Dio mostrata attraverso Cristo può coprire anche peccati gravi, se il peccatore è sinceramente pentito.
Re d’eternità Lett. “Re delle epoche”. Questo titolo si applica esclusivamente a Geova Dio, che viene anche chiamato “l’Antico di Giorni” (Da 7:9, 13, 22). Lui esiste da sempre, da prima che chiunque o qualunque altra cosa nell’universo venisse all’esistenza, e continuerà a esistere per sempre, in eterno (Sl 90:2). Geova è quindi l’unico che può avere un “proposito eterno” e adempierlo (Ef 3:11 e approfondimento). È anche l’unico che può concedere la “vita eterna” (Gv 17:3; Tit 1:2). Il titolo “Re d’eternità” compare anche in Ri 15:3, in quello che è chiamato “il canto di Mosè, lo schiavo di Dio, e il canto dell’Agnello”. Infatti in Esodo si legge che Mosè e gli israeliti cantarono: “Geova regnerà per sempre, per l’eternità” (Eso 15:18; Sl 10:16; 29:10; 146:10).
Amen Vedi approfondimento a Ro 1:25.
direttiva O “mandato”, “ordine”, “comando”. (Vedi approfondimento a 1Tm 1:5.)
figlio mio Paolo usa il termine “figlio” per esprimere affetto (2Tm 1:2; Tit 1:4; Flm 10; vedi approfondimenti a Mt 9:2; 1Tm 1:2).
in armonia con le profezie che furono fatte riguardo a te Paolo ricorda a Timoteo le profezie che erano state fatte sul suo conto e a quanto pare sul suo futuro ruolo all’interno della congregazione. Queste profezie furono pronunciate per opera dello spirito di Dio. (Vedi approfondimento a 1Tm 4:14.) Paolo dice che sulla base di quelle, cioè sulla base delle profezie, Timoteo poteva combattere la guerra spirituale contro i falsi maestri. È perciò probabile che quelle profezie su Timoteo includessero l’autorizzazione a svolgere il suo incarico.
combattere l’eccellente guerra Proprio come fa in 2Co 10:3, anche qui Paolo usa la metafora della guerra per illustrare l’incessante lotta sostenuta per difendere la congregazione dalle influenze nocive. Il ruolo di Timoteo era di proteggere la congregazione da coloro che cercavano di infiltrarsi al suo interno e di corromperla con false dottrine (1Tm 1:3, 4; vedi approfondimento a 2Co 10:3).
facendo così naufragare la loro fede Per spiegare quanto sia pericoloso rinunciare intenzionalmente alla fede e a una buona coscienza, Paolo si serve di un’immagine molto chiara: il cristiano può perdere la fede nello stesso modo in cui un’imbarcazione può fare naufragio. In una precedente lettera l’apostolo aveva detto di essere sopravvissuto a tre naufragi letterali (2Co 11:25 e approfondimento), e quando scrisse questa prima lettera a Timoteo era sopravvissuto almeno a un altro (At 27:27-44). Perciò sapeva per esperienza personale quanto i naufragi potessero essere pericolosi. A ragione, quindi, fa capire che chi respinge deliberatamente la propria fede potrebbe non riprendersi mai. I naufragi, comunque, non sempre erano fatali. In modo simile, anche chi perde rovinosamente la fede non è senza speranza; può infatti ristabilirsi, a condizione che si avvalga dell’aiuto spirituale disponibile (Gal 6:1; Gc 5:14, 15, 19, 20).
Imeneo e Alessandro Questi uomini “[avevano fatto] naufragare la loro fede” (1Tm 1:19) e a quanto pare promuovevano false dottrine. In 2Tm 2:16-18, per esempio, Paolo scrisse che Imeneo e Fileto asserivano che la risurrezione fosse già avvenuta e “[sovvertivano] la fede di alcuni”. (Vedi approfondimenti a 2Tm 2:18.) Alessandro forse era il ramaio menzionato in 2Tm 4:14, 15 che “[aveva] arrecato molti danni” a Paolo e che si era opposto “in maniera estrema” al messaggio che lui e i suoi compagni d’opera proclamavano. (Vedi approfondimento a 2Tm 4:14.) L’espressione tra questi ci sono lascia intendere che fossero già diversi quelli che avevano rinnegato la fede e che stavano esercitando un’influenza negativa su alcuni nella congregazione.
che io ho consegnato a Satana A quanto pare questa espressione si riferisce all’espulsione, o disassociazione, di Imeneo e Alessandro dalla congregazione. Il provvedimento si era reso necessario perché questi uomini avevano deliberatamente intrapreso una condotta peccaminosa senza pentirsi. (Vedi approfondimento a 1Co 5:5.)
dalla disciplina imparino Con queste parole Paolo spiega uno degli obiettivi per cui un peccatore che non si pente viene “consegnato a Satana”, o espulso dalla congregazione. (Vedi l’approfondimento che io ho consegnato a Satana in questo versetto.) Imeneo e Alessandro “[avevano fatto] naufragare la loro fede”, ed era stato necessario disassociarli perché potessero imparare “a non bestemmiare”. (Vedi approfondimento a 1Tm 1:19.) Quello che qui Paolo ha in mente, perciò, non è solo una forma di punizione, ma anche di insegnamento; la speranza è quindi, come indica un’opera di consultazione, “che imparino la lezione”.
bestemmiare O “parlare ingiuriosamente”. (Vedi approfondimenti a Mt 12:31; Col 3:8.)