Prima lettera a Timoteo 2:1-15
Note in calce
Approfondimenti
suppliche, preghiere, intercessioni e ringraziamenti Per mettere in risalto l’importanza della preghiera, Paolo usa termini diversi dal significato simile. (Vedi approfondimento a Flp 4:6.) Per quanto riguarda il termine “intercessioni”, in questo contesto sembra fare riferimento a richieste fatte a Dio in favore di altri. Nella Bibbia si fa menzione di questo tipo di richieste. Un esempio è quello di Mosè che intercede in favore di Miriam e del popolo d’Israele (Nu 12:10-13; 21:7). Altri esempi si trovano nelle Scritture Greche Cristiane, dove i servitori di Dio sono esortati a pregare in favore di altri (2Co 1:11; 2Ts 3:1; Eb 13:18, 19; Gc 5:14-18). Per quanto riguarda il termine “ringraziamenti”, invece, Paolo più volte invitò i cristiani a esprimere la loro gratitudine in preghiera (2Co 4:15; Col 2:7; 4:2).
tutti quelli che hanno una posizione di autorità Questa espressione si riferisce ad autorità governative e a funzionari di vario tipo. (Vedi approfondimento a Ro 13:1.) Il termine re che compare in questo versetto includeva sia le autorità locali sia l’imperatore romano. Quando Paolo scrisse questa lettera, intorno al 61-64, l’imperatore era Nerone, che regnò dal 54 al 68.
affinché possiamo continuare a condurre una vita calma e tranquilla Qui Paolo spiega un motivo per cui i cristiani dovrebbero pregare riguardo a chi ha una posizione di autorità: Dio potrebbe rispondere a queste preghiere inducendo le autorità a permettere ai cristiani di continuare a servirlo senza essere perseguitati e di vivere in pace “con totale devozione [...] e serietà”. (Confronta Ger 29:7.) In questo modo i cristiani possono avere più libertà per continuare a predicare, attività che dà a “ogni tipo di persona” la possibilità di essere salvata (1Tm 2:4). Quando Paolo gli scrisse, Timoteo serviva a Efeso; i cristiani che erano stati tra i primi componenti della congregazione locale avranno sicuramente capito in che modo uomini che hanno posizioni di autorità possono influire sul ministero. Ricordavano ad esempio quando, alcuni anni prima, durante il terzo viaggio missionario di Paolo (ca. 52-56), un funzionario aveva acquietato una folla che si era opposta alla predicazione sua e dei suoi compagni d’opera (At 19:23-41). Comunque, indipendentemente da quello che fanno le autorità, i cristiani pregano Dio perché li aiuti a continuare a predicare (At 4:23-31).
devozione a Dio O “santa devozione”. Il termine greco usato qui, eusèbeia, fa riferimento a un senso di riverenza e di profondo rispetto nei confronti di Dio; per questo motivo la parola “Dio”, anche se non compare nel termine originale, è stata esplicitata. (Per una trattazione del termine greco reso “devozione a Dio”, vedi approfondimento a 1Tm 4:7.) Questo stesso termine a volte viene usato anche nella Settanta. Per esempio compare in Isa 11:2 e 33:6, dove il testo ebraico usa l’espressione “timore di Geova”, che si riferisce ugualmente a profondo rispetto per Geova Dio. Quando nel V secolo fu realizzata la Pescitta, traduzione della Bibbia in siriaco, in 1Tm 2:2 il termine greco eusèbeia fu reso “riverenza verso Dio”, con l’esplicitazione della parola “Dio”. Sulla stessa falsariga, alcune successive traduzioni in ebraico delle Scritture Greche Cristiane hanno reso eusèbeia con “timore di Geova” sia in questo versetto sia in altri dove compare il termine (1Tm 3:16; 4:7, 8; 6:3, 6, 11). Comunque, il Comitato di Traduzione della Bibbia del Nuovo Mondo ha ritenuto che non ci fossero sufficienti ragioni a sostegno del ripristino del nome divino nel testo principale di questo versetto. (Per altre ragioni prese in considerazione nel valutare se ripristinare il nome divino in altri versetti, vedi App. C; confronta approfondimento a Ro 10:12.)
ogni tipo di persona Anche se l’espressione greca usata qui potrebbe essere tradotta letteralmente “tutti gli uomini” (nel senso di esseri umani, sia maschi che femmine), la resa “ogni tipo di persona” è giustificata dal contesto. (Per altri esempi, vedi approfondimenti a Gv 12:32; At 2:17.) Dio desidera che tutti gli esseri umani “giungano al pentimento” (2Pt 3:9), quindi offre a tutti in modo imparziale la possibilità di salvarsi, indipendentemente da genere, etnia e condizione economica o sociale (Mt 28:19, 20; At 10:34, 35; 17:30). Vari passi delle Scritture, però, indicano chiaramente che molti non accetteranno l’invito di Dio e non saranno salvati (Mt 7:13, 21; Gv 3:16, 36; 2Ts 1:9). Pertanto la resa “ogni tipo di persona” è in armonia con questi versetti. Questa scelta traduttiva è appropriata anche nei versetti precedenti, dove Paolo esorta i cristiani a pregare “riguardo a ogni tipo di persona, riguardo a re e a tutti quelli che hanno una posizione di autorità” (1Tm 2:1, 2).
sia salvata A volte i termini resi “salvare” e “salvezza” vengono usati dagli scrittori biblici per trasmettere l’idea di liberazione da un pericolo o dall’annientamento, dalla distruzione (Eso 14:13, 14; At 27:20). Spesso, però, questi termini fanno riferimento alla liberazione dal peccato (Mt 1:21). Dato che la morte è una conseguenza del peccato, chi viene salvato da esso ha la speranza di vivere per sempre (Gv 3:16, 17; vedi approfondimento a 1Tm 1:1).
giunga all’accurata conoscenza La volontà di Dio è che tutti conoscano lui e i suoi propositi nel modo più accurato, o completo, possibile. (Per una trattazione del termine greco qui reso “accurata conoscenza”, vedi approfondimenti a Ro 10:2; Ef 4:13.)
mediatore Il termine “mediatore” si riferisce al ruolo legale ricoperto da Gesù in relazione al nuovo patto; infatti in Eb 9:15 è definito “mediatore di un nuovo patto”. (Vedi Glossario, “mediatore”, e approfondimento a Gal 3:19.) Gesù “ha dato sé stesso come riscatto corrispondente per tutti”, il che ha permesso a ogni tipo di uomini e donne di entrare a far parte del nuovo patto (1Tm 2:6). Questo è un patto tra Dio e i 144.000 cristiani unti con lo spirito (Lu 22:20; Eb 8:6, 10-13; Ri 7:4-8).
ha dato sé stesso come riscatto corrispondente L’espressione “riscatto corrispondente” traduce il termine greco antìlytron, che è composto da antì- (“in cambio di”, “in corrispondenza di”, “in luogo di”) e lỳtron (“riscatto”, “prezzo di riscatto”). Gesù diede in sacrificio la sua vita umana perfetta la quale corrisponde esattamente alla vita umana perfetta che Adamo aveva perso ribellandosi a Dio. Geova poté accettare il sacrificio di Gesù come “riscatto corrispondente” perché questo soddisfa pienamente le sue alte norme di giustizia. In questo versetto molte traduzioni della Bibbia hanno semplicemente “riscatto”, come in Mt 20:28 e Mr 10:45; ma in questi versetti compare il termine lỳtron. (Vedi approfondimento a Mt 20:28; Glossario, “riscatto”.) Qui in 1Tm 2:6, invece, Paolo usa il termine antìlytron, che nelle Scritture Greche Cristiane compare solo in questo punto. Commentando il suo significato, un lessico dà questa definizione: “Riscatto, prezzo di redenzione, o per meglio dire riscatto corrispondente” (A Greek and English Lexicon to the New Testament, a cura di J. Parkhurst). Alla luce di tutto ciò, la resa “riscatto corrispondente” è più appropriata. (Confronta approfondimento a 1Co 15:45.)
per tutti O “per ogni tipo di persona”. (Vedi Mt 20:28; Gv 3:16; vedi anche approfondimento a 1Tm 2:4.)
sono stato costituito predicatore Le Scritture Greche Cristiane indicano chiaramente che l’apostolo Paolo prendeva sul serio il compito che gli era stato assegnato. Per esempio, qui e in 2Tm 1:11, per descriverlo usa tre termini (“predicatore”, “apostolo”, “maestro”), ognuno dei quali mette in risalto un aspetto particolare del suo incarico. Il primo di questi termini è “predicatore”: Paolo era un predicatore, o proclamatore del messaggio di Dio, proprio come lo erano stati Gesù e Giovanni Battista (Mt 4:17; Lu 3:18; vedi approfondimento a Mt 3:1). Allo stesso modo Noè era stato “predicatore di giustizia” (2Pt 2:5).
apostolo Gesù Cristo scelse Paolo come “apostolo”, che alla lettera significa “mandato”, “inviato” (At 9:15; Ro 1:5). Paolo stesso si definisce “apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio” e “apostolo delle nazioni” (1Co 1:1; Ro 11:13 e approfondimento; vedi approfondimento a Ro 1:1).
dico la verità, non mento Paolo potrebbe aver sentito la necessità di ribadire la veridicità delle sue parole perché certuni asserivano che lui fosse un falso apostolo. A quanto pare qualche cristiano si era lasciato influenzare da queste accuse (2Co 11:4, 5; Gal 1:6, 7, 11, 12). Forse alcuni di coloro che cercavano di screditare Paolo erano tra i falsi maestri che Timoteo doveva affrontare a Efeso (1Tm 1:3, 4). In questo versetto Paolo usa un’espressione che richiama alcune formule o giuramenti comuni nelle procedure legali romane. In questo modo rassicura Timoteo, come pure gli altri cristiani di Efeso, del fatto che lui, Paolo, era un vero apostolo. Espressioni simili ricorrono anche in Ro 9:1 e Gal 1:20.
maestro di nazioni In qualità di “maestro”, Paolo ragionava con i suoi ascoltatori e persuadeva molti a riporre fede in Cristo (At 17:2; 28:23; vedi approfondimento a Mt 28:20). Inoltre, dal momento che insegnava a molti non ebrei, poteva essere definito “maestro di nazioni”. Questa espressione evidenzia la portata mondiale dell’opera di predicazione e insegnamento svolta dai cristiani e iniziata nel I secolo.
gli uomini preghino Paolo si sta riferendo alle preghiere pronunciate in pubblico nella congregazione, privilegio riservato solo agli uomini (1Co 14:34; 1Tm 2:11, 12). L’espressione alzando mani descrive una posizione che nei tempi biblici era comune assumere quando si pregava. Ad esempio, non era insolito che un uomo che pronunciava una preghiera pubblica stendesse le mani verso il cielo per chiedere il favore di Dio. (Confronta 1Re 8:22, 23.) Comunque i fedeli servitori di Dio potevano pregare anche in altre posizioni, e la Bibbia non considera una postura migliore di un’altra (1Cr 17:16; Mr 11:25; At 21:5). La cosa più importante quando si pregava era l’atteggiamento. In questo versetto Paolo sottolinea infatti che coloro che pregano devono essere leali. Il termine greco reso “leale” potrebbe anche essere tradotto “santo”, “puro” o “consacrato”. Pertanto, ciò che conta per Geova è la purezza morale dell’uomo che prega e il suo affidarsi a Lui con devozione e lealtà. (Confronta approfondimento a Tit 1:8.)
senza ira e dibattiti Questo consiglio ispirato è in armonia con uno dei requisiti per i sorveglianti cristiani menzionati più avanti nella lettera, dove si legge che questi non devono essere litigiosi (1Tm 3:1, 3). Paolo pertanto fa comprendere che nessun fratello dovrebbe pronunciare una preghiera in pubblico se ha un atteggiamento divisivo. Alcune traduzioni qui menzionano “collera”, “polemiche” o “rancore”. Tali atteggiamenti negativi infatti potrebbero facilmente condizionare toni o contenuti delle preghiere pronunciate. Questo consiglio è perfettamente in linea con le parole con cui Paolo esorta tutti i cristiani a evitare rancore e discussioni divisive (Ef 4:31; Flp 2:14; Col 3:8 e approfondimento).
in modo appropriato O “in modo decoroso”. L’espressione traduce un termine greco che, in questo contesto, trasmette l’idea di un abbigliamento dignitoso e opportuno. Questo è l’aspetto che dovrebbe avere chi si professa ministro di Dio.
con modestia Qui l’idea di modestia include la capacità di tenere conto non solo della propria coscienza ma anche dei sentimenti e delle opinioni altrui. Un cristiano che è modesto dovrebbe evitare di vestirsi o acconciarsi in un modo che possa essere considerato indecente, che attiri troppa attenzione o che possa offendere o scandalizzare altri (1Co 10:32, 33).
buon senso O “sanità di mente”, “assennatezza”. (Vedi approfondimento a 1Tm 3:2.)
non con acconciature intrecciate, oro, perle o abiti molto costosi Ai giorni di Paolo molte donne pagane erano solite fare sfoggio della loro ricchezza o del loro status. Si facevano acconciature elaborate, intrecciavano i capelli con ornamenti d’oro e indossavano abiti costosi e gioielli preziosi in abbondanza. Questo sfoggio era ritenuto eccessivo persino da molti non cristiani. Tanto più era considerato disdicevole dai cristiani, perché poteva creare competizione o addirittura distrarre molti dalla pura adorazione. Per questo motivo Paolo esorta le donne cristiane a mostrare giudizio e a evitare di andare agli estremi con il proprio look. In modo simile, Pietro consigliò le donne cristiane a concentrarsi non sull’aspetto esteriore ma sulla “persona segreta del cuore” (1Pt 3:3, 4; confronta Pr 31:30).
devote a Dio Nell’originale compare theosèbeia, termine composto dalla parola theòs (“Dio”) e dalla radice seb- (che ha il senso di devozione, venerazione). Descrive un profondo rispetto per Dio e trasmette il senso di religiosità e riverenza verso di lui e la vera adorazione. Theosèbeia è affine a eusèbeia (anch’esso reso “devozione a Dio”), ma contiene esplicitamente il termine tradotto “Dio”. (Vedi approfondimenti a 1Tm 2:2; 4:7.) Compare solo qui nelle Scritture Greche Cristiane, ma lo si trova anche nella Settanta, ad esempio in Gen 20:11 e Gb 28:28, dove il testo ebraico originale legge “timore di Dio” o “timore di Geova”, con il senso di riverenza e profondo rispetto per lui. Qui in 1Tm 2:10 alcune traduzioni delle Scritture Greche Cristiane in ebraico rendono il termine con “timore di Geova”. Comunque, il Comitato di Traduzione della Bibbia del Nuovo Mondo ha ritenuto che non ci fossero sufficienti ragioni a sostegno del ripristino del nome divino nel testo principale di questo versetto. (Per altre ragioni prese in considerazione nel valutare se ripristinare il nome divino in altri versetti, vedi App. C; confronta approfondimento a Ro 10:12.)
La donna impari Qui Paolo respinge l’idea comune tra molti capi religiosi ebrei del suo tempo secondo cui le donne non dovevano studiare le Scritture. Lui sapeva che questa mentalità non trovava riscontro nelle Scritture Ebraiche, e nemmeno Gesù la pensava in quel modo. Anzi, Gesù insegnò apertamente alle donne (Gsè 8:35; Lu 10:38-42; Gv 4:7-27). Sotto ispirazione, comunque, Paolo afferma che nell’ambito della congregazione una donna dovrebbe imparare in silenzio; l’espressione greca potrebbe essere resa anche “quietamente”. Questo suo consiglio ne richiama un altro che aveva già dato alla congregazione di Corinto, dove forse alcune donne esercitavano un’influenza divisiva. (Vedi approfondimento a 1Co 14:34.)
con piena sottomissione Con questo consiglio ispirato Paolo invita le donne cristiane ad accettare e sostenere quanto Geova ha stabilito in materia di autorità all’interno della congregazione. Subito dopo, nel v. 12, spiega che Dio ha assegnato agli uomini la responsabilità di insegnare nella congregazione. Paolo non associa il concetto di sottomissione solo ed esclusivamente alle donne. Ad esempio, dice che Gesù “si sottoporrà” a Geova (1Co 15:27, 28) e che “la congregazione è sottomessa al Cristo” (Ef 5:24). Inoltre esorta tutti i cristiani, sia uomini che donne, a essere sottomessi a coloro che guidano la congregazione (Eb 13:17).
prima fu formato Adamo, poi Eva Paolo qui menziona l’ordine in cui l’uomo e la donna furono creati per aiutare a capire perché le donne cristiane non hanno il permesso “di insegnare né di esercitare autorità sull’uomo” nella congregazione (1Tm 2:12; Gen 2:7, 18-22). Paolo intende dire non che Geova abbia fatto Adamo meglio di Eva, ma semplicemente che lo creò prima di lei. In questo modo Dio gli assegnò un ruolo, quello di capofamiglia. Successivamente creò Eva, e anche a lei diede un ruolo d’onore, quello di essere “un aiuto, un complemento” per suo marito (Gen 2:18). Paolo lascia intendere che il principio dell’autorità faceva parte del proposito originale di Geova per gli esseri umani e che era valido già prima che questi peccassero e diventassero imperfetti (1Co 11:3). Dal suo ragionamento si evince che anche all’interno della congregazione cristiana Dio ha dato a uomini e donne ruoli diversi.
Inoltre non fu Adamo a essere ingannato Qui sotto ispirazione Paolo fornisce un dettaglio che non viene detto espressamente nel racconto della Genesi: Adamo fece la sua scelta in maniera del tutto consapevole. Sapeva, ad esempio, che il serpente aveva mentito a Eva quando le aveva detto che non sarebbe morta se avesse disubbidito a Dio (Gen 3:4-6, 12); piuttosto che rivolgersi a Geova, però, seguì Eva nel peccato. In questo modo perciò venne meno al ruolo di capofamiglia datogli da Dio. La responsabilità che grava su di lui è grande, infatti Paolo lo definì il “solo uomo” per mezzo del quale “il peccato è entrato nel mondo”. (Vedi approfondimento a Ro 5:12.)
fu la donna a essere completamente ingannata, cadendo nella trasgressione La parola originale resa “trasgressione” fa pensare a qualcuno che oltrepassa certi limiti. Eva conosceva benissimo il comando di Dio relativo all’albero della conoscenza del bene e del male; lo aveva persino ripetuto al serpente (Gen 3:3). Paolo dice che lei fu “completamente ingannata” e credette alle menzogne del serpente. Eva stessa infatti disse: “Il serpente mi ha ingannato, e così ho mangiato” (Gen 3:13). Ma non per questo era innocente, in quanto scelse deliberatamente di ribellarsi a Geova. È da notare che Eva prese quella decisione in maniera autonoma, senza ricercare la guida del suo capofamiglia. Inoltre mancò di assolvere il suo ruolo di aiuto leale per il marito; anzi, usò a sproposito la sua influenza su Adamo, spingendolo a peccare (Gen 2:18; 3:1-6, 12). Paolo si avvale dell’esempio di Eva per dimostrare che i limiti che Dio stabilisce si rivelano una benedizione e una protezione.
lei sarà salvaguardata per mezzo del parto Una donna che aveva figli, che li educava e che si prendeva cura della famiglia poteva essere “salvaguardata” perché tenersi occupata con queste cose le avrebbe impedito di diventare pettegola o invadente immischiandosi negli affari altrui (1Tm 5:11-15). Il duro lavoro svolto per la sua famiglia e qualità come “fede”, “amore” e “santità” le avrebbero permesso di rimanere vicina a Geova.
buon senso O “sanità di mente”, “assennatezza”. (Vedi approfondimento a 1Tm 3:2.)
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Nel I secolo le donne di solito portavano i capelli lunghi; spesso li pettinavano creando una riga al centro della testa e poi li raccoglievano in uno chignon (1). Alcune si acconciavano in modi più elaborati, con trecce e riccioli (2). Per arricciare i capelli si usava il calamistro (calamistrum, il moderno arricciacapelli), un ferro vuoto all’interno che veniva scaldato sui carboni. Le donne agiate avevano acconciature più ricercate, di cui comunemente si occupava una schiava. Per questo tipo di acconciature si utilizzavano forcine, pettini, nastri e retine. Gli apostoli Paolo e Pietro esortarono le donne cristiane a non attirare l’attenzione su sé stesse con acconciature stravaganti. Le incoraggiarono piuttosto ad “[adornarsi] con modestia” e a mostrare “uno spirito quieto e mite”, caratteristiche che hanno “grande valore agli occhi di Dio” (1Tm 2:9; 1Pt 3:3, 4).