Seconda lettera a Timoteo 4:1-22
Approfondimenti
Cristo Gesù, il quale deve giudicare i vivi e i morti Nelle Scritture Ebraiche, Geova Dio viene definito “il Giudice di tutta la terra” (Gen 18:25). Anche nelle Scritture Greche Cristiane, Geova viene chiamato “Giudice di tutti” (Eb 12:23). Comunque, le Scritture Ebraiche profetizzavano che anche il Messia avrebbe agito in qualità di giudice (Isa 11:3-5). In armonia con queste profezie, Gesù rivelò che il Padre aveva “interamente affidato il giudizio al Figlio” (Gv 5:22, 27). Per di più la Bibbia parla di Gesù come di “colui che Dio ha costituito giudice dei vivi e dei morti” (At 10:42; 17:31; 1Pt 4:5; vedi anche approfondimento a 2Co 5:10).
ti ordino solennemente Con questa espressione Paolo cerca di imprimere nella mente di Timoteo la serietà di quello che sta per dirgli. (Vedi l’approfondimento a 1Tm 5:21, dove Paolo usa la stessa espressione.) Lui e Timoteo si erano dati tanto da fare per rafforzare le congregazioni e proteggerle dall’influenza dei falsi maestri. Sapendo che la sua morte è imminente (vv. 6-8), Paolo vuole che Timoteo continui a vigilare mentre applica le direttive che seguono (vv. 2-5).
la sua manifestazione In questo contesto, per “manifestazione” si intende uno stabilito periodo di tempo futuro in cui la posizione ricoperta da Gesù in cielo, in tutta la sua gloria, sarà chiaramente riconoscibile. Sarà allora che eseguirà i giudizi di Dio sull’umanità (Da 2:44; 7:13, 14; vedi anche approfondimento a 1Tm 6:14).
predica la parola Il contesto suggerisce che qui Paolo si riferisce principalmente al predicare all’interno della congregazione (2Tm 4:3, 4). Essendo un sorvegliante, Timoteo doveva predicare la parola di Dio in modo efficace così da rafforzare la fede di quelli che lo ascoltavano e da aiutarli a opporsi alle idee apostate. I falsi maestri suscitavano dibattiti incentrati su parole e si affidavano a opinioni personali e false storie. I sorveglianti, invece, dovevano predicare solamente “la parola”, l’ispirata Parola di Dio. (Vedi approfondimento a 2Tm 2:15; vedi anche 2Tm 3:6-9, 14, 16.) In senso più generico, questo consiglio si può applicare anche al predicare al di fuori della congregazione; Paolo infatti prosegue esortando Timoteo a “[svolgere] l’opera di evangelizzatore” (2Tm 4:5 e approfondimento).
fallo con urgenza Alla lettera il verbo greco usato qui da Paolo può essere reso “mettere sopra”, ma ha un significato ampio. Spesso è tradotto “stare vicino o presso”, “essere pronto”. In alcuni casi veniva usato in ambito militare in riferimento a una sentinella o a un soldato che dal suo posto di guardia era sempre pronto a intervenire. Si poteva riferire anche al prestare immediatamente attenzione a qualcosa. Include pure l’idea di essere entusiasta e tenace. Paolo desidera che Timoteo sia pronto a cogliere ogni opportunità per “[predicare] la parola”. (Vedi l’approfondimento predica la parola in questo versetto.)
sia in tempi favorevoli che difficili O “in tempo opportuno, in tempo non opportuno”. Paolo esorta Timoteo a continuare a difendere le verità della Parola di Dio in qualsiasi situazione. Deve farlo durante periodi di relativa pace, ma deve persistere anche davanti a ostacoli come la persecuzione da parte di falsi maestri e i loro tentativi di dividere la congregazione.
riprendi Vedi approfondimento a 1Tm 5:20.
rimprovera Il verbo greco che compare qui significa “redarguire”, “ammonire con forza” oppure “ordinare severamente”. Potrebbe riferirsi a un avvertimento dato allo scopo di impedire a una persona di fare qualcosa o di fermarla perché non continui ad agire in un certo modo (Mt 16:20; Mr 8:33; Lu 17:3).
esorta Vedi approfondimenti a Ro 12:8; 1Tm 4:13.
con ogni pazienza Timoteo aveva imparato molto sulla pazienza da Paolo (2Tm 3:10). Essendo un sorvegliante, Timoteo aveva bisogno di tanta pazienza perché alcuni nella congregazione erano stati contagiati da falsi insegnamenti. Quando riprendeva, rimproverava ed esortava i suoi compagni di fede, avrebbe dovuto padroneggiarsi sempre, facendo con pazienza appello al loro desiderio di fare ciò che era giusto. Se si fosse infastidito o avesse ceduto alla frustrazione, avrebbe potuto allontanare alcuni o persino far indebolire la loro fede. (1Pt 5:2, 3; vedi approfondimento a 1Ts 5:14).
con ogni [...] arte di insegnare L’espressione qui resa “arte di insegnare” traduce un unico sostantivo greco che si può riferire sia al modo di insegnare sia a ciò che viene insegnato. (Vedi l’approfondimento a Mt 7:28, dove lo stesso termine greco è reso “modo d’insegnare”.) In questo contesto l’attenzione è posta sullo stile dell’insegnamento, ed è per questo che il termine è stato reso “arte di insegnare”. Dal momento che Paolo in questa frase usa la parola greca che significa “ogni” o “tutta”, in alcune traduzioni compaiono rese come “ogni tipo di insegnamento”, “tutta la capacità d’insegnare” oppure “istruzione scrupolosa”. Commentando questo versetto, uno studioso ha affermato che Timoteo “doveva dimostrare sempre di essere un insegnante della verità cristiana bravo e pieno di risorse” (1Tm 4:15, 16; vedi approfondimenti a Mt 28:20; 1Tm 3:2).
sano O “benefico”. (Vedi approfondimento a 1Tm 6:3.)
che dicano loro quello che vogliono sentirsi dire O “per farsi solleticare gli orecchi”. Nell’originale Paolo ricorre a una vivida metafora contenente un verbo che può significare “solleticare”, “grattare”, ma anche “sentire prurito”. Compare solo qui nelle Scritture Greche Cristiane. A quanto pare la metafora fa pensare a persone che avvertono il desiderio (che alcune traduzioni paragonano a un prurito) di ascoltare quello che soddisfa i loro desideri egoistici anziché quello che le aiuterebbe a continuare a essere spiritualmente sane. Quindi si scelgono maestri che solleticano i loro orecchi, per così dire, dicendo loro quello che vogliono sentire. A motivo della predetta apostasia, ci sarebbe stata una marea di discepoli egoisti e di falsi maestri opportunisti; ecco perché l’opera di Timoteo era urgente. (Vedi approfondimento a 1Tm 4:1.)
false storie Vedi approfondimento a 1Tm 1:4.
mantieniti assennato Il verbo greco usato qui significa alla lettera “essere sobrio” (1Pt 1:13; 5:8; vedi approfondimento a 1Ts 5:6). Nelle Scritture Greche Cristiane è utilizzato in senso figurato per trasmettere l’idea di qualcuno che è equilibrato e sa controllarsi. Paolo non sarebbe rimasto in vita ancora a lungo (2Tm 4:6-8), perciò Timoteo doveva continuare a fare la sua parte come sorvegliante per edificare la congregazione e rafforzarla in vista della predetta apostasia (1Tm 3:15; 2Tm 4:3, 4). Doveva rimanere equilibrato, attento e vigile in tutti gli aspetti del suo ministero.
svolgi l’opera di evangelizzatore O “continua a predicare la buona notizia”. Gesù aveva affidato a tutti i cristiani il compito di evangelizzare, ovvero proclamare la buona notizia della salvezza che viene da Dio (Mt 24:14; 28:19, 20; At 5:42; 8:4; Ro 10:9, 10). Nelle Scritture Greche Cristiane i termini relativi all’opera di evangelizzazione di solito si riferiscono alla predicazione a favore dei non credenti. Quale sorvegliante cristiano, Timoteo aveva molte responsabilità legate all’insegnamento all’interno della congregazione, come descritto nei vv. 1 e 2. Comunque, lui e gli altri sorveglianti dovevano anche partecipare alla predicazione della buona notizia al di fuori della congregazione.
evangelizzatore O “proclamatore della buona notizia”. (Vedi approfondimento a Mt 4:23.) Il verbo greco affine al sostantivo che compare qui viene spesso reso “annunciare la buona notizia” e ricorre molte volte nelle Scritture Greche Cristiane. Di solito si riferisce all’opera che Gesù e tutti i suoi discepoli svolgevano nel proclamare la buona notizia del Regno di Dio (Lu 4:43 e approfondimento; At 5:42 e approfondimento; 8:4; 15:35). Invece il sostantivo usato qui da Paolo e reso “evangelizzatore” compare solo tre volte; ogni volta, come si evince dal contesto, sembra avere il significato speciale di “missionario”. (Vedi approfondimenti ad At 21:8; Ef 4:11.) Quale missionario, Timoteo aveva viaggiato molto con Paolo per dare il via all’opera di predicazione in luoghi in cui la buona notizia non era ancora arrivata. L’apostolo inoltre gli aveva affidato altri incarichi speciali (At 16:3, 4; 1Tm 1:3). Ora lo incoraggia a continuare a svolgere tali importanti incarichi.
compi pienamente il tuo ministero Per riuscire a seguire questa indicazione, Timoteo poteva rifarsi all’esempio di Paolo, per il quale provvedere ai bisogni spirituali di altri, sia all’interno che all’esterno della congregazione, era un grande onore. (Vedi approfondimenti a Ro 11:13; 2Co 4:1; 1Tm 1:12.) Comunque, a tutti i veri cristiani è stato affidato un ministero (2Co 4:1). In queste che possono essere considerate le ultime esortazioni a Timoteo, Paolo lo incoraggia a dedicarsi completamente al suo ministero, senza trascurarne nessun aspetto.
versato come una libagione Secondo la Legge mosaica, insieme a olocausti e offerte di cereali si dovevano presentare libagioni (Le 23:18, 37; Nu 15:2, 5, 10; 28:7). A proposito di queste ultime, un’opera di consultazione spiega: “Come per gli olocausti, tutto veniva offerto e niente veniva dato al sacerdote; veniva versata l’intera libagione”. Scrivendo ai filippesi, Paolo fece riferimento a questo tipo di offerta per dimostrare che era felice di spendersi completamente per i suoi compagni di fede, sia dal punto di vista fisico che emotivo (Flp 2:17 e approfondimento). Qui usa la stessa espressione, questa volta riferendosi alla sua morte imminente.
mia liberazione Paolo considerava la sua morte quale unto e fedele servitore di Dio come una “liberazione”, dal momento che gli avrebbe aperto la strada alla futura risurrezione nel “Regno celeste” di Cristo (2Tm 4:18; vedi anche approfondimento a 2Tm 4:8). Già in precedenza aveva detto qualcosa di simile quando aveva scritto ai filippesi: “Desidero essere liberato e stare con Cristo” (Flp 1:23 e approfondimento). Timoteo probabilmente ricordava queste parole perché era a Roma con Paolo all’epoca della stesura di quella lettera (Flp 1:1; 2:19).
Ho combattuto [...], ho corso [...], ho osservato Usando questi tre verbi diversi, Paolo enfatizza lo stesso concetto: ha fedelmente portato a termine la corsa della sua vita cristiana e il ministero, compiendo tutto ciò che il Signore Gesù gli aveva affidato (At 20:24). Anche se la vita di Paolo stava per finire, la sua opera avrebbe continuato a portare frutto.
l’eccellente combattimento Paolo paragona la sua vita e il suo ministero quale cristiano a un nobile combattimento, una lotta. (Vedi approfondimenti a 1Co 9:25; 1Tm 6:12.) Aveva servito Geova fedelmente nonostante numerose difficoltà; aveva coperto lunghe distanze per mare e per terra nei suoi viaggi missionari; aveva affrontato ogni tipo di persecuzione, come aggressioni da parte di folle inferocite, fustigazioni e prigionie; aveva fronteggiato anche l’opposizione di “falsi fratelli” (2Co 11:23-28). In tutto quello che aveva subìto, Geova e Gesù gli avevano dato la forza di cui aveva bisogno per rimanere fedele e portare a termine il suo ministero (Flp 4:13; 2Tm 4:17).
ho corso la corsa sino alla fine Per descrivere la sua vita da cristiano, Paolo si paragona a un corridore in una gara. Ora che si avvicina la fine della sua vita terrena, è sicuro di aver portato a termine la sua corsa simbolica. Più volte nelle sue lettere Paolo ha fatto esempi e metafore prendendo spunto dagli atleti che gareggiavano nei giochi che si tenevano in Grecia (Eb 12:1; vedi approfondimenti a 1Co 9:24; Flp 3:13).
D’ora in poi mi è riservata Paolo aveva compreso che la sua ricompensa celeste gli era ormai stata riservata; era certa. In precedenza aveva già ricevuto un anticipo, una sorta di caparra, del sigillo che ricevono gli unti figli di Dio. (Vedi approfondimenti a 2Co 1:22.) Comunque i cristiani unti ricevono il sigillo finale solo dopo aver perseverato fedelmente “sino alla fine” (Mt 10:22; 2Tm 2:12; Gc 1:12; Ri 2:10; 7:1-4; 17:14). Ora che la sua morte era imminente Paolo sapeva di aver dimostrato pienamente la sua lealtà. Per mezzo dello spirito santo, Geova gli assicurò che il sigillo finale era ormai completo, garantito. Pertanto, in quello che gli rimaneva da vivere sulla terra, la sua speranza celeste era certa.
la corona della giustizia Paolo usò la parola greca resa “corona” anche altrove. Ad esempio, in 1Co 9:25, 26 la usò in riferimento alla corona letterale, o serto, con cui venivano premiati gli atleti vincitori. In quello stesso passo scrisse che sperava di ricevere una ricompensa di gran lunga migliore: “una corona che [...] non si deteriora”. Qui si riferisce alla stessa ricompensa, definendola “la corona della giustizia”. Quando i cristiani unti conducono fino alla morte una vita all’altezza delle giuste norme divine, il Signore Gesù Cristo, qui chiamato il giusto giudice, è felice di concedere loro questa corona: la ricompensa della vita immortale in cielo.
in quel giorno Paolo qui non si stava riferendo al giorno della sua morte, ma a un tempo molto più distante, quando Cristo avrebbe regnato quale Re del Regno di Dio; allora Paolo e tutti gli altri unti morti fino a quel momento sarebbero stati risuscitati alla vita immortale in cielo (1Ts 4:14-16; 2Tm 1:12).
tutti quelli che hanno amato la sua manifestazione Durante la sua presenza regale, Cristo avrebbe rivolto la sua attenzione ai cristiani unti con lo spirito addormentati nella morte (1Ts 4:15, 16). Li avrebbe ricompensati risuscitandoli alla vita immortale in cielo, mantenendo così la sua promessa di ‘accoglierli a casa presso di lui’ (Gv 14:3; Ri 14:13; vedi l’approfondimento la corona della giustizia in questo versetto). In tal modo Cristo si sarebbe manifestato loro potentemente. Vedere questa manifestazione, cioè il loro amato Maestro nella sua gloria celeste, è qualcosa che “hanno amato”, o fortemente desiderato, nella loro vita. Anche i fedeli cristiani con la speranza di vivere sulla terra sotto il governo del celeste Regno di Dio desiderano ardentemente vedere la manifestazione di Cristo; allora la posizione ricoperta da Gesù in cielo, in tutta la sua gloria e potenza, sarà chiaramente riconoscibile a tutti (Da 2:44; vedi anche approfondimento a 1Tm 6:14).
Dema [...] mi ha abbandonato Il verbo greco “abbandonare” può riferirsi a chi lascia una persona da sola in mezzo a circostanze pericolose. Dema era stato uno dei più intimi amici di Paolo. Dalle lettere che Paolo scrisse durante la sua prima detenzione a Roma si comprende che Dema era lì con lui (Flm 24; vedi approfondimento a Col 4:14). Tuttavia in questa circostanza la situazione di Paolo era peggiore. Diversi compagni di fede lo avevano lasciato (2Tm 1:15). Paolo non sta dicendo che Dema fosse diventato un oppositore o un apostata. Dema si era comunque lasciato sfuggire l’immenso privilegio di stare accanto al fedele apostolo e confortarlo in quel momento di bisogno.
avendo amato l’attuale sistema di cose O “avendo amato l’attuale era”, “avendo amato l’attuale epoca”. (Vedi Glossario, “sistema/i di cose”.) Forse l’amore che Dema nutriva per le cose materiali e i piaceri del mondo era diventato più forte di quello per le cose spirituali. Oppure il timore della persecuzione o la paura di subire il martirio lo aveva indotto a cercare un luogo più sicuro. Secondo un commentario, qui “l’attuale sistema di cose” si riferisce a “una vita in questo mondo priva dei pericoli e dei sacrifici legati all’assistere l’apostolo”. È possibile che Dema se ne fosse andato a Tessalonica, visto che quella era la sua città. Ognuno di questi fattori potrebbe aiutare a spiegare perché Dema avesse permesso all’amore per “l’attuale sistema di cose” di soppiantare l’amore per lo speciale privilegio di servire al fianco di Paolo.
Dalmazia La Dalmazia si trova nella penisola balcanica, a E dell’Adriatico. Il nome era usato per riferirsi alla parte meridionale della provincia romana dell’Illirico. Comunque, quando Paolo scrisse questa lettera, la Dalmazia era una provincia a sé. (Vedi App. B13.) È possibile che Paolo avesse attraversato la Dalmazia, dal momento che aveva predicato “fino all’Illirico” (Ro 15:19 e approfondimento). Aveva chiesto a Tito che era a Creta di raggiungerlo a Nicopoli, forse la Nicopoli che si trovava sulla costa nord-occidentale di quella che oggi è la Grecia (Tit 3:12). Perciò è plausibile che Tito sia rimasto lì a Nicopoli con Paolo, e poi sia andato in Dalmazia per un nuovo incarico di servizio. Lì probabilmente servì come missionario e aiutò a organizzare le congregazioni, un po’ come aveva fatto a Creta (Tit 1:5).
Solo Luca è con me Sembra che, fra tutti i compagni di viaggio di Paolo, Luca sia l’unico che riuscì a rimanere in stretto contatto con lui durante la sua ultima detenzione (Col 4:14; vedi “Introduzione ad Atti”). Pare comunque che i due abbiano potuto contare su qualche tipo di aiuto. Nel v. 21, l’apostolo infatti menziona i saluti per Timoteo e per i fratelli di Efeso da parte di almeno altre quattro persone. Forse si tratta di cristiani della congregazione locale che avevano la possibilità di andare a trovare Paolo.
Porta con te Marco Qui Paolo si riferisce a Giovanni Marco, uno dei discepoli di Gesù e scrittore del Vangelo di Marco. (Vedi approfondimenti ad At 12:12.) Marco aveva accompagnato Paolo e Barnaba nel primo viaggio missionario di Paolo, ma poi li aveva lasciati ed era tornato a Gerusalemme (At 12:25; 13:5, 13). Per questo motivo Paolo si era rifiutato di portarlo con sé nel viaggio successivo (At 15:36-41). Comunque una decina di anni più tardi Marco era con Paolo a Roma. A quel tempo Paolo aveva parlato in tono positivo di lui, a indicare che si erano rappacificati e che lo considerava di nuovo affidabile (Flm 23, 24; vedi approfondimento a Col 4:10). Dimostrando di avere fiducia in questo fedele ministro cristiano, Paolo dice a Timoteo: “Porta con te Marco, perché mi è utile nel ministero”.
Tichico [...] l’ho mandato a Efeso Paolo aveva scelto Tichico, caro e fedele fratello, affinché visitasse la congregazione di Efeso, forse in sostituzione di Timoteo. (Vedi approfondimento a Col 4:7.) Sapendo che Tichico sarebbe arrivato presto e che la congregazione sarebbe stata in buone mani, Timoteo si sarà sentito libero di partire per andare a trovare Paolo a Roma per l’ultima volta (2Tm 4:9). Questo versetto contiene l’ultima menzione della congregazione di Efeso nelle lettere di Paolo. Circa 30 anni dopo, comunque, questa congregazione è tra quelle a cui Gesù indirizza la rivelazione data all’apostolo Giovanni (Ri 2:1).
i rotoli A quanto pare i rotoli che chiese Paolo contenevano parti delle ispirate Scritture Ebraiche. Il termine greco usato qui, biblìon, è affine alla parola bìblos, che in origine faceva riferimento al midollo del papiro. (Vedi Glossario, “rotolo”; “papiro”.) Dato che il papiro venne utilizzato per produrre materiale scrittorio, entrambi i termini greci finirono per riferirsi a un rotolo o a un libro (Mr 12:26; Lu 3:4; At 1:20; Ri 1:11). Nelle Scritture Greche Cristiane, la parola usata qui da Paolo può riferirsi a un breve documento scritto (Mt 19:7; Mr 10:4); comunque è più spesso utilizzata in riferimento a parti delle Scritture Ebraiche (Lu 4:17, 20; Gal 3:10; Eb 9:19; 10:7). Il sostantivo “Bibbia” deriva dal termine greco presente in questo versetto.
soprattutto le pergamene Con il termine pergamena si intende la pelle di pecora, capra o vitello conciata per essere usata come materiale scrittorio. (Vedi Glossario, “pergamena”.) Paolo non dice nello specifico a cosa facesse riferimento con questo termine. Forse aveva in mente rotoli di pelle che contenevano le Scritture Ebraiche. Oppure queste pergamene potevano contenere appunti o altri suoi scritti. Infatti secondo alcuni studiosi la parola greca per “pergamene” può indicare quaderni di pergamena. Quando Paolo scrisse questa lettera era sicuro di “[aver] combattuto l’eccellente combattimento” sino alla fine (2Tm 4:6-8). Nonostante questo, chiese a Timoteo di “[portargli] i rotoli, soprattutto le pergamene”. Evidentemente desiderava continuare a rafforzare sé stesso e altri tramite l’ispirata Parola di Dio.
Alessandro, il ramaio Paolo mette in guardia Timoteo contro un certo Alessandro che si era opposto “in maniera estrema” al messaggio che Paolo e i suoi compagni d’opera proclamavano (2Tm 4:15). Definendo Alessandro “ramaio”, l’apostolo usa un termine greco che nel I secolo poteva indicare una persona che lavorava qualsiasi tipo di metallo. È probabile che sia lo stesso Alessandro menzionato in 1Tm 1:20, che a quanto pare era stato espulso dalla congregazione. (Vedi approfondimenti.) Qui Paolo non specifica quali danni quest’uomo gli avesse procurato. Alcuni ritengono che Alessandro potrebbe aver avuto una parte nell’arresto di Paolo e possa addirittura aver testimoniato contro di lui dicendo cose false.
Geova lo ripagherà Qui Paolo esprime la sua fiducia nel fatto che Dio ripagherà il ramaio Alessandro secondo le sue azioni. Quello di Paolo è un richiamo a diversi versetti delle Scritture Ebraiche che si riferiscono a Geova Dio come a colui che ripaga gli esseri umani in base alle loro azioni, buone o cattive che siano. Un esempio è Sl 62:12, dove il salmista dice: “O Geova, [...] tu ripaghi ciascuno secondo le sue azioni”. (Vedi anche Sl 28:1, 4; Pr 24:12; La 3:64.) Paolo fa un’affermazione simile in Ro 2:6, dove riguardo a Dio dice: “Egli ripagherà ciascuno secondo le sue opere”. E in Ro 12:19, citando le parole di Geova riportate in De 32:35, scrive: “La vendetta è mia; io ripagherò”. (Per maggiori informazioni sull’uso del nome divino in questo versetto, vedi App. C3 introduzione; 2Tm 4:14.)
Nella mia prima difesa Nelle procedure legali romane all’accusato poteva essere chiesto di difendersi in varie fasi di un processo. In questo momento, intorno al 65, Paolo è imprigionato a Roma, e qui probabilmente fa riferimento a una prima difesa che aveva fatto durante questa sua seconda detenzione. Secondo alcuni, invece, Paolo si sta riferendo a una difesa da lui pronunciata durante la sua precedente detenzione a Roma, all’incirca nel 61 (At 28:16, 30). Comunque questa conclusione pare poco probabile: verrebbe da chiedersi come mai Paolo avrebbe scritto a Timoteo riguardo a fatti che già conosceva (Col 1:1, 2; 4:3).
ma questo non sia imputato loro A quanto pare Paolo si riferisce ai compagni di fede che non lo avevano sostenuto durante la sua “prima difesa”, esperienza che lui descrive con termini forti (2Tm 4:17). Comunque, da Cristo aveva imparato cosa significa perdonare. Al momento del suo arresto Gesù era stato abbandonato dai suoi amici più stretti (Mr 14:50). Come Gesù, Paolo rifiutò di covare risentimento o rancore contro i suoi fratelli. (Vedi approfondimento a 1Co 13:5.)
Il Signore [...] mi è stato vicino A quanto pare “il Signore” che “ha infuso potenza” a Paolo è Gesù Cristo. (Vedi anche 1Tm 1:12.) Ovviamente la Fonte primaria di potenza è Geova Dio; infatti è lui che dà forza ai suoi servitori tramite Gesù Cristo (Isa 40:26, 29; Flp 4:13; 2Tm 1:7, 8; vedi anche approfondimento a 2Tm 2:1).
sono stato liberato dalla bocca del leone Le parole di Paolo potrebbero essere un richiamo alla supplica di Davide riportata in Sl 22:21. Non si sa se vadano intese in senso letterale o figurato. (Confronta approfondimento a 1Co 15:32.) Se si trattò di leoni letterali, probabilmente la liberazione di Paolo da parte di Geova sarà stata simile a quella di Daniele (Da 6:16, 20-22). D’altra parte diversi studiosi ritengono che la cittadinanza romana che aveva Paolo lo avrebbe protetto dall’essere gettato in pasto ai leoni. L’espressione “dalla bocca del leone” può essere una metafora per indicare una situazione di estremo pericolo. (Confronta Sl 7:2; 35:17.)
Il Signore Come nel caso del versetto precedente, a quanto pare Paolo si sta riferendo al Signore Gesù Cristo. (Vedi anche 2Tm 4:8 e approfondimento.)
mi libererà da ogni opera malvagia A motivo della sua fede Paolo aveva affrontato molte situazioni di estremo pericolo, tra cui crudele persecuzione e attacchi degli apostati. Ma il Signore Gesù gli era stato vicino, gli aveva infuso potenza e lo aveva liberato (2Tm 3:11; 4:14-17). Adesso Paolo non si aspetta di evitare la morte (2Tm 4:6-8). Comunque, quello che ha vissuto in passato gli dà la certezza che Gesù Cristo continuerà a liberarlo da qualsiasi cosa possa distruggere la sua fede o impedirgli di entrare nel “Regno celeste”.
Da’ i miei saluti a Prisca e Aquila Paolo conosceva questa coppia ospitale da circa 15 anni. Prisca e Aquila si erano impegnati molto per rafforzare le congregazioni in diverse località. Dopo essere stati costretti a lasciare Roma, a Corinto incontrarono Paolo per la prima volta (At 18:1-3; 1Co 16:19); poi si trasferirono a Efeso (At 18:18, 19, 24-26); tornarono in seguito a Roma per un po’ (Ro 16:3, 4) e poi di nuovo a Efeso, nello stesso periodo in cui vi stava servendo Timoteo. (Vedi approfondimenti ad At 18:2; Ro 16:3.)
alla casa di Onesiforo Vedi approfondimento a 2Tm 1:16.
Fa’ tutto il possibile per arrivare prima dell’inverno Paolo desidera che Timoteo parta per Roma prima dell’inverno, forse perché i rigidi mesi invernali potevano rendere il viaggio troppo rischioso. Nell’antichità non era possibile navigare nel Mediterraneo nell’ultima parte dell’autunno, per tutto l’inverno e all’inizio della primavera. Durante tutto quel periodo le tempeste erano più frequenti e pericolose (At 27:9-44; vedi anche Galleria multimediale, “Atti degli Apostoli | Viaggio di Paolo verso Roma e prima detenzione nella città”). Inoltre la maggiore nuvolosità, insieme a pioggia, neve e nebbia, riduceva la visibilità e rendeva la navigazione difficile. Dato che non esisteva la bussola, i marinai dovevano fare completo affidamento su punti di riferimento o sulla posizione del sole, della luna e delle stelle. Inoltre se Timoteo fosse arrivato prima dell’inverno e avesse portato il mantello che Paolo aveva lasciato a Troas, quest’ultimo avrebbe avuto qualcosa con cui scaldarsi durante i freddi mesi invernali in prigione (2Tm 4:13; vedi anche Galleria multimediale, “Portami il mantello”).
Il Signore A quanto pare in riferimento al Signore Gesù Cristo. (Confronta Gal 6:18; Flp 4:23; 1Ts 5:28; Flm 25.)
con lo spirito che tu mostri Lett. “con il tuo spirito”, cioè con l’atteggiamento mentale dominante di Timoteo. (Vedi Glossario, “spirito”.) Paolo conclude questa lettera esprimendo il desiderio che lo spirito, o atteggiamento, positivo di Timoteo sia benedetto. (Vedi approfondimenti a Gal 6:18; Flm 25.)
immeritata bontà Vedi Glossario.
con voi Nella frase precedente di questo versetto Paolo si è rivolto a Timoteo usando il pronome singolare “tu”. Ora invece utilizza il pronome plurale “voi”. Quindi è probabile che volesse che questa lettera indirizzata a Timoteo venisse letta anche ad altri, inclusa la congregazione di Efeso, dove a quanto pare lo stesso Timoteo serviva a quel tempo.
Galleria multimediale
Mentre era prigioniero a Roma, Paolo scrisse a Timoteo: “Portami il mantello che ho lasciato a Troas” (2Tm 4:13). La parola greca per “mantello” potrebbe riferirsi a un soprabito da viaggio, simile a quello che si vede nell’immagine. Nel I secolo questo capo d’abbigliamento era indispensabile. Spesso era realizzato con un unico pezzo di tessuto (lana o lino) oppure di pelle, a cui si cuciva un cappuccio. Proteggeva dal freddo e dalle intemperie, e di notte poteva anche essere usato come coperta. Quando Paolo scrisse la sua lettera, l’inverno era ormai vicino, e questo potrebbe spiegare il motivo per cui chiese a Timoteo di portargli il suo mantello (2Tm 4:21).
La pergamena era un materiale scrittorio ricavato da pelle animale, come quella di pecora, capra o vitello. Rispetto al papiro, era più resistente. (Vedi Glossario, “papiro”.) La foto (1) mostra ciò che resta di un antico quaderno di pergamena risalente al II secolo; è possibile che, in origine, questo quaderno fosse composto da singoli fogli di pergamena cuciti lungo un lato, a mo’ di libro. La pergamena poteva essere utilizzata per realizzare anche i rotoli, come quello che si vede nell’immagine (2); più fogli di pergamena venivano uniti per formare un unico lungo rotolo. Quando chiese a Timoteo di portargli “le pergamene” (2Tm 4:13), probabilmente Paolo si riferiva a rotoli di pelle che contenevano le Scritture Ebraiche. È anche possibile, però, che avesse in mente degli appunti che aveva preso mentre studiava. Infatti secondo alcuni studiosi la parola greca per “pergamene” può indicare anche quaderni di pergamena contenenti appunti di carattere personale o bozze.
Nella cartina è indicata l’antica città di Mileto, sulla costa occidentale dell’Asia Minore (nell’odierna Turchia). Il racconto biblico suggerisce che Paolo sia stato in questa città almeno due volte. La prima volta fu verso la fine del suo terzo viaggio missionario (ca. 56). Mentre era diretto a Gerusalemme, arrivò via mare a Mileto, e da lì mandò a chiamare gli anziani della congregazione di Efeso per un’importante adunanza. Per andare da Efeso a Mileto, quegli anziani viaggiarono via terra e probabilmente anche con la nave, coprendo all’incirca 70 km. Quando fu il momento di lasciarlo, salutarono Paolo tra le lacrime e lo accompagnarono alla nave perché continuasse il viaggio (At 20:17-38). Sembra che Paolo sia tornato a Mileto dopo il rilascio dalla sua prima detenzione a Roma. Infatti scrisse: “Trofimo, che si è ammalato, l’ho lasciato a Mileto” (2Tm 4:20; vedi la cartina “Viaggi di Paolo successivi al 61 E.V. ca.”).
1. Parte di uno degli antichi porti di Mileto. A causa dell’interrimento, attualmente le rovine della città si trovano a circa 8 km nell’entroterra.
2. L’antico teatro fu costruito nel III secolo a.E.V. e ristrutturato più volte.
3. La cartina indica com’era la costa nell’antichità.