Lettera ai Colossesi 3:1-25
Note in calce
Approfondimenti
alle cose di sopra Paolo esorta i cristiani unti di Colosse a concentrare la mente sulla speranza che hanno. Nella lettera ai Filippesi parla di qualcosa di simile quando menziona “il premio della chiamata celeste”, la prospettiva di regnare in cielo con Cristo (Flp 3:14; Col 1:4, 5). Quando dice tenete la mente rivolta, Paolo usa il presente, il che suggerisce un’azione che dura nel tempo. Se quei cristiani fossero rimasti concentrati non avrebbero permesso alle cose della terra, come ad esempio filosofie mondane e tradizioni vuote, di distrarli e di indebolirli, cosa che li avrebbe privati della loro preziosa speranza (Col 2:8).
fate morire Paolo usa un vivido linguaggio figurato per sottolineare che i desideri carnali sbagliati si possono eliminare solo adottando misure drastiche (Gal 5:24). Il verbo greco reso “fate morire” letteralmente significa “uccidere”. (Confronta Mt 5:29, 30; 18:8, 9; Mr 9:43, 45, 47.)
immoralità sessuale Per come è usato nella Bibbia, il greco pornèia, che compare qui, è un termine generico usato in riferimento a certi atti sessuali proibiti da Dio. Comprende adulterio, rapporti sessuali tra persone non sposate, atti omosessuali e altri gravi peccati di natura sessuale. (Vedi Glossario e approfondimento a Gal 5:19.)
impurità O “depravazione”, “impudicizia”, “sudiciume”. In senso metaforico “impurità” (in greco akatharsìa) include qualsiasi specie di impurità, sia nella sfera sessuale sia nel parlare, nell’agire o nell’ambito spirituale. (Confronta 1Co 7:14; 2Co 6:17; 1Ts 2:3.) Può quindi riferirsi a diversi tipi di trasgressione, che possono essere più o meno gravi. Dà risalto alla natura moralmente ripugnante di una condotta sbagliata o della condizione che ne consegue. (Vedi Glossario, “impuro; impurità”, e approfondimenti a Gal 5:19; Ef 4:19.)
passione sfrenata O “desiderio sessuale sfrenato”. Vedi approfondimento a Ro 1:26; confronta Gen 39:7-12; 2Sa 13:10-14.
avidità, che è idolatria Il sostantivo greco pleonexìa, qui reso “avidità”, denota un insaziabile desiderio di avere di più. (Vedi approfondimento a Ro 1:29.) Paolo spiega che l’avidità è idolatria a tutti gli effetti, perché chi è avido fa della cosa desiderata il proprio dio, mettendola al di sopra dell’adorazione che spetta a Geova. Appagare i propri desideri diventa per lui l’obiettivo principale della vita. (Vedi approfondimento a Ef 5:5.)
dovete allontanare da voi tutte queste cose Qui Paolo usa un verbo greco che significa “liberarsi di qualcosa”, “riporre”, “mettere via”, come si fa con abiti vecchi. Introduce così una metafora che prosegue nei vv. 9, 10, 12 e 14, dove richiama l’immagine di togliersi abiti non adatti per mettersene di appropriati. Vuole che i cristiani di Colosse considerino le cinque cose che elenca subito dopo come abiti sporchi che suscitano ribrezzo, abiti di cui un cristiano dovrebbe volersi disfare. (Vedi i successivi approfondimenti in questo versetto.) Sotto molti aspetti il brano di Col 3:8-10, 12, 13 richiama quello di Ef 4:20-25, 31, 32. Queste somiglianze avvalorano la conclusione che Paolo abbia scritto le due lettere pressappoco nello stesso periodo (Ef 6:21; Col 4:7-9).
ira, collera Le due parole usate qui da Paolo hanno un significato molto simile. Alcuni studiosi sostengono che il primo termine (orgè), per come era usato in origine, descriveva in particolare una rabbia provata dentro di sé ma non esternata, mentre il secondo (thymòs) l’esternazione o lo sfogo di quel sentimento. All’epoca in cui scrive Paolo, però, questa distinzione forse non era più così netta. Usando entrambi i termini, Paolo vuole mettere in guardia sia dal pericolo di lasciar inasprire la rabbia nel proprio cuore sia da quello di sfogarla in uno scoppio d’ira (Ef 4:31; vedi approfondimenti a Ef 4:26).
cattiveria Il termine greco usato qui da Paolo (kakìa) sembra includere l’idea di disprezzo e rancore, come pure il concetto di inclinazione a far del male agli altri (Ro 1:29; Ef 4:31; vedi anche 1Co 14:20, dove è reso “malizia”). Secondo un’opera di consultazione, per come è usato in questo contesto, il termine descrive “un impulso malvagio che distrugge legami esistenti”.
linguaggio offensivo Qui Paolo usa un termine greco (blasfemìa) che viene spesso tradotto “bestemmia” quando indica una parola o frase irriverente verso Dio (Ri 13:6). In origine comunque il senso non era ristretto a quello di ingiurie rivolte a Dio. Il termine poteva anche riferirsi a espressioni cattive o diffamatorie contro esseri umani, e il contesto mostra che è proprio questo il senso con cui lo usa Paolo. (Vedi anche Ef 4:31.) Altre traduzioni usano rese come “calunnia”, “maldicenza” e “insulti”. Commentando questa parola, un’opera di consultazione dice: “Descrive il tentativo di sminuire qualcuno e farlo cadere in discredito o rovinargli la reputazione”.
discorsi osceni Questa espressione traduce un termine greco che compare solo qui nelle Scritture Greche Cristiane. Si riferisce a un linguaggio volgare, scurrile e a volte offensivo. Espressioni oscene erano comuni nelle rappresentazioni teatrali (come le commedie) dai contenuti immorali; ad alcuni quel modo di parlare sembrava umoristico. Si ricorreva al linguaggio volgare anche per sfogare la rabbia, altra cosa dalla quale Paolo mette in guardia. (Vedi l’approfondimento ira, collera in questo versetto.) Senza dubbio Paolo fa queste raccomandazioni per aiutare i cristiani a evitare le cattive influenze di coloro che li circondano. (Vedi approfondimento a Ef 5:3.) In un passo simile, che si trova in Ef 4:29 (vedi approfondimento), esorta i cristiani con queste parole: “Non esca dalla vostra bocca nessuna parola corrotta”.
Spogliatevi della vecchia personalità Paolo prosegue con la metafora del togliersi e mettersi degli abiti. (Vedi approfondimento a Col 3:8.) Alla lettera il termine qui reso “personalità” significa “uomo” nel senso di persona. Paolo lo usa in senso metaforico, infatti un’opera di consultazione fa notare: “Il ‘vecchio uomo’ qui, come pure in Romani 6:6 ed Efesini 4:22, si riferisce all’intera personalità di un essere umano quando è dominato dal peccato”. (Vedi approfondimenti a Ro 6:6.) Le parole di Paolo lasciano intendere che, con l’aiuto dello spirito di Dio, un cristiano può ‘spogliarsi’ anche di caratteristiche e pratiche peccaminose profondamente radicate.
nuova personalità Qui Paolo si riferisce agli abiti simbolici che dovrebbero sostituire la “vecchia personalità”. (Vedi approfondimenti a Ef 4:24; Col 3:9.) Questa “nuova personalità” è caratterizzata da eccellenti qualità divine. È un’immagine della personalità di Geova Dio, nel senso che le somiglia. La parola greca qui resa “immagine” è la stessa che la Settanta usa in Gen 1:26. Paolo ricorda così ai cristiani di Colosse che persino gli esseri umani, benché imperfetti, possono riflettere le eccelse qualità di Dio. (Vedi approfondimento a Ef 5:1.)
si rinnova Paolo usa un verbo che non trova riscontri nei testi greci precedenti ai suoi scritti. Il tempo verbale descrive non un’azione che si compie una volta per tutte, ma un processo continuo. Se un cristiano smette di coltivare con impegno la nuova personalità, è probabile che in lui riaffiori la vecchia (Gen 8:21; Ro 7:21-25). Paolo perciò sottolinea che il cristiano deve continuare a mettere in pratica nella propria vita quello che impara man mano che acquisisce “conoscenza accurata” della personalità cristiana. Deve sforzarsi di sviluppare qualità come quelle elencate nei vv. 12-15. (Vedi approfondimento a 2Co 4:16.)
straniero In greco bàrbaros. (Vedi approfondimento a Ro 1:14.)
scita Ai giorni di Paolo il termine “scita” veniva usato per trasmettere l’idea di gente violenta e arretrata. Gli sciti erano perlopiù un popolo nomade che gli autori antichi ritenevano originario della regione a N e a E del Mar Nero. Varie ragioni portano a ritenere che nelle sue migrazioni si sia spinto fino alla Siberia occidentale, al confine con la Mongolia. Nel mondo classico il termine “scita” finì per richiamare il concetto di crudeltà. Qui Paolo elenca diversi gruppi di persone, mettendo insieme greci e giudei, circoncisi e incirconcisi, e proseguendo con stranieri, sciti, schiavi e liberi. Dicendo che nessuna di queste categorie ha valore, Paolo fa capire che i cristiani che si rivestono della nuova personalità dovrebbero liberarsi di qualsiasi divisione di carattere etnico, religioso, culturale o sociale.
rivestitevi Qui Paolo prosegue con la metafora degli abiti, che ha usato a partire dal v. 8. (Vedi approfondimento.) Ora menziona qualità specifiche della “nuova personalità” che tutti i discepoli di Cristo devono metaforicamente indossare come fosse un abito (Col 3:10). Queste qualità cristiane vengono coltivate nel cuore, ma dovrebbero essere ben visibili esternamente. Diverse opere di consultazione fanno notare che il modo in cui Paolo esprime il comando “rivestitevi” potrebbe suggerire la necessità impellente e l’irrevocabilità dell’azione. Questo lascerebbe intendere che il desiderio di Paolo è che i cristiani di Colosse agiscano prontamente e facciano proprie queste qualità per sempre, per così dire senza mai spogliarsene.
benignità Vedi Glossario.
umiltà O “modestia di mente”. (Vedi approfondimento ad At 20:19.)
Continuate a sopportarvi gli uni gli altri Qui Paolo esorta i cristiani di Colosse a essere pazienti, a tollerare i difetti o le caratteristiche irritanti degli altri. In 1Co 4:12 lo stesso verbo greco è reso “sopportiamo con pazienza”. Tutti i cristiani sono imperfetti e commettono errori (Gc 3:2), perciò bisogna essere ragionevoli in merito a cosa aspettarsi dagli altri (Flp 4:5).
anche se qualcuno ha motivo di lamentarsi di un altro Paolo riconosce che alcuni cristiani di Colosse possono aver dato agli altri fratelli un valido “motivo di lamentarsi”. Forse in qualche occasione non hanno manifestato le qualità cristiane oppure hanno fatto o detto qualcosa per cui qualcuno si è sentito ferito (vero o presunto che fosse il torto). Anche in queste situazioni i cristiani cercano di imitare Geova e perdonano senza riserve (Mt 5:23, 24; 18:21-35; Ef 4:32; 1Pt 4:8).
Proprio come Geova vi ha perdonato senza riserve La Bibbia spesso menziona che Geova Dio perdona i peccati degli esseri umani (Nu 14:19, 20; 2Sa 12:13; Sl 130:4; Da 9:9). Dice anche che è “pronto a perdonare” (Ne 9:17; Sl 86:5) e che “perdonerà generosamente” (Isa 55:7). Il verbo greco qui tradotto “perdonare senza riserve” non è quello solitamente reso “perdonare”, come nel caso di Mt 6:12, 14 o Ro 4:7 (vedi approfondimento). Si tratta invece di un verbo che ha la stessa radice del termine greco chàris, spesso tradotto “immeritata bontà” o “favore”. Se è usato con il senso di perdonare, questo verbo trasmette l’idea di un gesto fatto spontaneamente, generosamente, come quando si fa un regalo a qualcuno. Paolo ricorre allo stesso verbo in Col 2:13, dove dice che “Dio [...] ci ha benevolmente perdonato tutte le nostre colpe” (Ef 4:32; per maggiori informazioni sull’uso del nome divino qui, vedi App. C3 introduzione; Col 3:13).
rivestitevi di amore Vedi approfondimento a Col 3:12.
un legame che unisce perfettamente O “un perfetto vincolo d’unione”. Lett. “vincolo della perfezione”. La lettera di Paolo agli Efesini sottolinea il potere che la pace ha di unire la congregazione. (Vedi approfondimento a Ef 4:3.) Qui Paolo si concentra sulla straordinaria qualità dell’amore e sul potere unificante che ha. Il legame che unisce Geova e il suo Figlio unigenito è la più grande dimostrazione del potere unificante dell’amore. Si tratta del vincolo più forte che l’amore abbia mai creato (Gv 3:35). Prima di morire Gesù pregò suo Padre affinché creasse la stessa unità tra i suoi discepoli (Gv 17:11, 22; vedi approfondimento a Gv 17:23).
La pace del Cristo L’espressione si riferisce alla calma interiore, o alla serenità, che si ottiene diventando un discepolo del Figlio di Dio. I servitori di Geova Dio provano questa pace sapendo di essere amati e approvati da lui e da suo Figlio (Sl 149:4; Gv 14:27; Ro 5:3, 4).
del Cristo Alcuni antichi manoscritti qui riportano “Dio” anziché “Cristo”. Qualche traduzione in ebraico delle Scritture Greche Cristiane (definite J7, 8 nell’App. C4) in questo punto usa il nome divino. Ma la lezione adottata nel testo è ben attestata nei manoscritti disponibili.
regni nel vostro cuore O “controlli il vostro cuore”. Paolo esorta i cristiani a far sì che la pace del Cristo influenzi in modo dominante il loro cuore. Il verbo greco qui reso “regni” ha la stessa radice della parola per arbitro, giudice, la persona che controllava le gare delle competizioni atletiche e che assegnava il premio. Quando questa pace agisce metaforicamente da arbitro, o da principio dominante, nel cuore dei cristiani, le decisioni che prenderanno terranno conto della cosa migliore che possa preservare l’unità e la pace con gli altri compagni di fede.
La parola del Cristo L’espressione, che ricorre solo qui nelle Scritture Greche Cristiane, si riferisce al messaggio che proviene da Gesù Cristo ed è incentrato su di lui. Questa “parola” include l’esempio che Gesù diede nella sua vita e nel suo ministero. Paolo dice che i cristiani devono fare in modo che l’intero corpo degli insegnamenti impartiti da Cristo dimori in loro, ovvero diventi parte di loro. Possono farlo meditando sul messaggio della verità cristiana ed essendo completamente concentrati su di esso. A proposito di questa espressione usata da Paolo, un’opera di consultazione dice: “Il messaggio cristiano deve essere parte integrante della loro vita e vi deve operare in modo duraturo; non deve essere solo qualcosa di esteriore o una semplice routine”.
Continuate a istruirvi e a incoraggiarvi gli uni gli altri Qui Paolo esorta i cristiani a istruirsi e a incoraggiarsi (o ammonirsi) gli uni gli altri intonando canti basati sulle Scritture ispirate. Alcuni dei canti usati dai cristiani del I secolo nell’adorazione erano salmi tratti dalle ispirate Scritture Ebraiche. Molti salmi contenevano l’invito a lodare Dio, a rendergli grazie e a trovare in lui la propria gioia (Sl 32:11; 106:1; 107:1; vedi approfondimento a Mt 26:30).
incoraggiarvi O “ammonirvi”. La parola greca usata qui (nouthetèo) è composta dal sostantivo per “mente” (noùs) e dal verbo reso “mettere” (tìthemi); potrebbe essere tradotta letteralmente “porre la mente a qualcosa”. In questo contesto l’incoraggiamento di cui si parla può derivare anche dalla condivisione di pensieri confortanti e di consigli tratti dalle Scritture. In Ef 6:4 compare un termine affine (vedi approfondimento), che è reso “istruzione”.
salmi, inni e canti spirituali Vedi approfondimento a Ef 5:19.
cantare a Geova Vedi approfondimento a Ef 5:19; vedi anche App. C3 introduzione; Col 3:16.
con il cuore O “nel cuore”. Vedi approfondimento a Ef 5:19.
nel nome del Signore Gesù Nella Bibbia il termine “nome” a volte viene usato per indicare non solo la persona che lo porta ma anche la sua reputazione e tutto ciò che quella persona rappresenta. Il “nome del Signore Gesù” ha a che fare con la sua posizione di Re del Regno di Dio e con l’autorità che ha dal momento che ha provveduto il riscatto per redimere l’umanità dal peccato (Mt 28:18; At 4:12; 1Co 7:22, 23; Eb 1:3, 4; vedi approfondimento a Flp 2:9). In ogni aspetto della vita un cristiano dovrebbe parlare e agire “nel nome del Signore Gesù”, cioè come suo rappresentante.
siate sottomesse Qui Paolo parla della sottomissione volontaria che la moglie cristiana mostra all’autorità che Dio ha dato al marito. Quanto al marito cristiano, deve seguire l’esempio di Cristo nel modo in cui esercita la propria autorità; si sottomette inoltre di buon grado all’autorità di Cristo (1Co 11:3; Ef 5:22, 23; vedi approfondimento a Ef 5:21).
come è appropriato nel Signore Qui Paolo ricorda alle mogli cristiane che, quando assolvono il ruolo che le Scritture assegnano loro, fanno qualcosa di appropriato e rendono felice il loro Signore, Gesù Cristo, il quale diede un esempio perfetto di umile sottomissione al Padre (Ef 5:22; vedi approfondimento a Flp 2:6).
siate ubbidienti Il verbo greco originale è affine a un altro verbo che fondamentalmente significa “ascoltare”. Qui ha il senso di ascoltare le istruzioni dei genitori e di seguirle in ogni cosa. Ovviamente essere ubbidienti “in ogni cosa” significa ubbidire a tutto ciò che è in armonia con la volontà divina. Paolo infatti non vuole includere cose che porterebbero a disubbidire a Dio. Chi ascoltava le parole della sua lettera avrebbe capito che quella ubbidienza inappropriata non sarebbe stata “[gradita] al Signore”. (Confronta Lu 2:51 e approfondimento; At 5:28, 29; Ef 6:1, 2.)
non esasperate Il verbo greco per “esasperare” può anche essere reso “irritare”, “provocare” o “tormentare”. Paolo non si riferisce agli effetti della disciplina impartita da un genitore amorevole. (Confronta Pr 13:24.) Si riferisce piuttosto ai danni subiti dai figli quando vengono trattati dai genitori con insensibilità o eccessiva severità. Questo modo di fare da parte dei genitori non sarebbe in armonia con quanto le Scritture dicono sul rapporto equilibrato che Geova ha con i suoi servitori (Sl 103:13; Gc 5:11) o sui modi rassicuranti che ha usato con suo Figlio (Mt 3:17; 17:5).
si scoraggino Il verbo usato da Paolo ricorre solo qui nelle Scritture Greche Cristiane. Fa pensare a un tipo di scoraggiamento che può diventare così profondo da essere pericoloso per il benessere fisico ed emotivo di un figlio. Come suggerisce il contesto, questo scoraggiamento può essere la conseguenza dei modi irritanti usati dai genitori. A proposito del verbo originale, alcune opere di consultazione fanno notare che il trattamento esasperante di cui parla Paolo può portare un figlio a convincersi che è impossibile rendere felice il genitore. Questa convinzione, a sua volta, può indurlo a perdersi d’animo o addirittura farlo sprofondare nella tristezza o nell’ansia. (Vedi l’approfondimento non esasperate in questo versetto.)
padroni O “signori”. Qui il termine greco kỳrios (“signore”) si riferisce a esseri umani che hanno autorità su altri.
terreni Lett. “secondo [la] carne”. (Vedi approfondimento a Ef 6:5.)
non solo quando vi vedono, come per piacere agli uomini Lett. “non con servizi per l’occhio, come quelli che vogliono piacere agli uomini”. (Vedi approfondimento a Ef 6:6.)
nel timore di Geova L’espressione si riferisce a un profondo rispetto per Dio e al giusto timore di dispiacergli. Questo timore reverenziale nasce dalla fede in Dio e dall’amore per lui, e fa provare il desiderio di adorarlo e di ubbidirgli. Il concetto di temere Dio viene menzionato spesso nelle Scritture Ebraiche. Alcuni esempi si trovano in De 6:13; 10:12, 20; 13:4; Sl 19:9; Pr 1:7; 8:13; 22:4. Nelle Scritture Greche Cristiane il verbo originale reso “temere” è spesso usato in riferimento al timore reverenziale nei confronti di Dio (Lu 1:50; At 10:2, 35; Ri 14:7; vedi approfondimento ad At 9:31; per maggiori informazioni sull’uso del nome divino qui in Col 3:22, vedi App. C3 introduzione; Col 3:22).
con tutta l’anima Vedi approfondimento a Ef 6:6.
come per Geova e non per gli uomini Paolo qui mette in evidenza che, qualunque lavoro svolgano, gli schiavi dovrebbero tenere a mente il rapporto che hanno con Geova Dio. Questo comporta tra le altre cose che siano ubbidienti ai loro “padroni terreni” e li servano “con cuore sincero”, evitando così di recare disonore al “nome di Dio” (Col 3:22; 1Tm 6:1). Paolo diede agli schiavi consigli simili nella lettera agli Efesini, scritta grossomodo nello stesso periodo della lettera ai Colossesi (Ef 6:6, 7; vedi “Introduzione a Colossesi”; per maggiori informazioni sull’uso del nome divino in questo versetto, vedi App. C3 introduzione; Col 3:23).
è da Geova che sarete ricompensati con l’eredità Nella Bibbia Geova Dio viene descritto come colui che ricompensa le buone azioni di quelli che lo servono fedelmente. Alcuni esempi si trovano in Ru 2:12; Sl 24:1-5 e Ger 31:16. Anche Gesù disse qualcosa di simile su suo Padre (Mt 6:4; Lu 6:35; per maggiori informazioni sull’uso del nome divino in questo versetto, vedi App. C3 introduzione; Col 3:24).
Siate schiavi del Signore, Cristo Qui Paolo ricorda agli schiavi cristiani che il loro vero Signore, o Padrone, è Cristo. In Ef 6:5, 6 viene detto loro qualcosa di simile: “Siate ubbidienti ai vostri padroni terreni [...] quali schiavi di Cristo che fanno la volontà di Dio con tutta l’anima”. Chi decide di diventare schiavo di Cristo non conduce una vita gravosa; piuttosto si sente sollevato dai suoi pesanti carichi (Mt 11:28-30; confronta approfondimento a Ro 1:1).
non si fanno parzialità Questo versetto indica che coloro che commettono ingiustizie, come ad esempio i padroni che maltrattano i propri schiavi, non possono sfuggire al giudizio. In Ro 2:11 ed Ef 6:9 viene usata un’espressione simile, da cui si comprende che è Dio a giudicare senza parzialità o favoritismi queste persone. (Per ulteriori informazioni sul termine greco per “parzialità”, vedi approfondimento a Ro 2:11.)
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Nella congregazione di Colosse sia piccoli che grandi intonavano insieme canti di lode a Geova. Quando si riunivano per l’adorazione, probabilmente quei cristiani lo facevano in modeste case private e non in edifici sontuosi. Nella sua lettera ai Colossesi, Paolo li esortò con queste parole: “Continuate a istruirvi e a incoraggiarvi gli uni gli altri con salmi, inni e canti spirituali” (Col 3:16). È quindi possibile che, oltre ai salmi ispirati delle Scritture Ebraiche, cantassero anche nuovi componimenti incentrati su temi cristiani (Mr 14:26). Paolo sapeva per esperienza personale che “[lodare] Dio con canti” può dare conforto e incoraggiamento (At 16:25).
Nell’impero romano la figura dello schiavo faceva parte della vita quotidiana. La legislazione romana regolava alcuni aspetti del rapporto schiavo-padrone. Gli schiavi svolgevano buona parte dei lavori nelle case delle famiglie ricche che vivevano in tutti i territori dell’impero. Cucinavano, pulivano e accudivano i bambini. C’erano anche schiavi che svolgevano attività artigianali, che venivano usati nelle cave o che lavoravano nelle fattorie. Quelli più istruiti potevano fare i medici, gli insegnanti o i segretari. In pratica gli schiavi svolgevano qualunque mansione, a parte servire nell’esercito. In alcuni casi potevano essere affrancati, ovvero resi liberi. (Vedi Glossario, “libero; liberto”.) In merito alla schiavitù, i cristiani del I secolo non presero posizione contro l’autorità governativa, né fomentarono rivolte di schiavi (1Co 7:21). Rispettavano il fatto che possedere degli schiavi fosse un diritto legale e non giudicavano chi li aveva, anche se si trattava di loro compagni di fede cristiani. È per questo che l’apostolo Paolo rimandò lo schiavo Onesimo dal suo padrone Filemone. Essendo diventato cristiano, Onesimo ritornò di buon grado dal suo padrone, assoggettandosi come schiavo a un altro cristiano (Flm 10-17). Paolo incoraggiò gli schiavi a lavorare con onestà e scrupolosità (Tit 2:9, 10).