Lettera ai Romani 15:1-33
Approfondimenti
di comune accordo [...] con una sola voce Lett. “con la stessa mente, con una sola bocca”. Proprio come Gesù pregò perché i suoi discepoli fossero uniti, così Paolo prega perché i suoi fratelli abbiano unità di pensiero e di azione (Gv 17:20-23; vedi approfondimento a Gv 17:23). In questo versetto Paolo usa due espressioni per enfatizzare il concetto di unità. Il termine reso “di comune accordo” è usato varie volte nel libro degli Atti per descrivere la straordinaria unità che regnava tra i primi cristiani (At 1:14, “di comune accordo”; 2:46, “uniti dallo stesso fine”; 4:24, “unitamente”; 15:25, “unanime”). L’espressione resa “con una sola voce” dimostra il desiderio di Paolo che i cristiani ebrei e non ebrei della congregazione di Roma unissero le loro voci per dare gloria a Dio in modo concorde.
accoglietevi O “ricevetevi”. Il verbo greco usato qui trasmette l’idea di essere gentili e ospitali, come quando si accoglie qualcuno in casa o all’interno di una cerchia di amici. Lo stesso verbo è reso anche “accogliere benevolmente” (Flm 17), “accogliere premurosamente” (At 28:2) o “prendere con sé” (At 18:26).
ministro O “servitore”. Nella Bibbia il termine greco diàkonos è spesso usato in riferimento a qualcuno che serve umilmente gli altri. (Vedi approfondimento a Mt 20:26.) Qui il termine è usato in riferimento a Cristo. Nella sua esistenza preumana Gesù aveva servito Geova per epoche incalcolabili. Al battesimo però iniziò un nuovo ministero, che comportava soddisfare i bisogni spirituali di esseri umani peccatori e dare la propria vita come riscatto (Mt 20:28; Lu 4:16-21). Inoltre, qui in Ro 15:8 viene detto che Gesù diventò ministro degli ebrei circoncisi per confermare la veracità di Dio, dal momento che con il suo ministero adempì le promesse che Dio aveva fatto ai loro antenati. Tra queste c’era quella fatta ad Abraamo secondo cui tutte le nazioni sarebbero state benedette per mezzo della sua discendenza (Gen 22:17, 18). Quindi il ministero di Gesù avrebbe recato benefìci anche alle persone delle nazioni che avrebbero riposto in lui la loro speranza (Ro 15:9-12).
Come è scritto Nel passo di Ro 15:9-12 Paolo cita le Scritture Ebraiche quattro volte per dimostrare che da molto tempo Geova aveva predetto che persone di tutte le nazioni lo avrebbero lodato. Quindi anche i non ebrei beneficiano insieme agli ebrei del ministero di Cristo. Paolo usa questo ragionamento a sostegno dell’esortazione “accoglietevi gli uni gli altri” che ha rivolto poco prima alla congregazione internazionale di Roma, composta da cristiani ebrei e non ebrei (Ro 15:7; vedi approfondimento a Ro 1:17).
fra le nazioni A quanto pare Paolo sta citando in parte Sl 18:49, dove il testo in ebraico dice: “Ti celebrerò fra le nazioni, o Geova”. Un verso simile si trova in 2Sa 22:50. Qui in Ro 15:9 qualche manoscritto legge “fra le nazioni, o Signore”. Pare infatti che, sulla base di copie della Settanta, alcuni copisti abbiano in seguito esteso la citazione perché includesse il vocativo che compare in Sl 18:49 (17:50, LXX) e 2Sa 22:50. Comunque, la resa che si trova nel testo principale di Ro 15:9, ovvero senza il vocativo, è ben attestata nei manoscritti disponibili.
Geova Nell’originale ebraico di Sl 117:1, qui citato, compare il nome divino trascritto con quattro consonanti ebraiche (traslitterate YHWH). (Vedi App. A5 e C.)
la radice di Iesse Paolo cita queste parole, secondo cui “le nazioni” avrebbero riposto la loro speranza nella “radice di Iesse”, per dimostrare che la congregazione cristiana sarebbe stata composta anche da persone delle nazioni. Iesse era il padre di Davide (Ru 4:17, 22; 1Sa 16:5-13). Qui Paolo cita dalla Settanta il passo di Isa 11:10, dove il Messia che doveva venire è definito “la radice di Iesse”. (Confronta Ri 5:5, dove Gesù è chiamato “la radice di Davide”; vedi anche Ri 22:16.) In natura di solito la radice di un albero o di una pianta viene prima del tronco e dei rami. Poteva quindi sembrare più logico definire Iesse, o suo figlio Davide, la radice da cui sarebbe venuto Gesù, e non il contrario; d’altronde il Messia era un discendente, non un antenato, di Iesse o di Davide (Mt 1:1, 6, 16). Ma l’idea che Gesù è la radice di Iesse è confermata da altri passi della Bibbia. Visto che Gesù è immortale, la linea genealogica di Iesse è in vita grazie a lui (Ro 6:9). Inoltre Gesù ha ricevuto l’incarico di Giudice e Re celeste, il che influisce sulla sua posizione anche rispetto ai suoi antenati (Lu 1:32, 33; 19:12, 15; 1Co 15:25). E profeticamente Davide chiamò Gesù “mio Signore” (Sl 110:1; At 2:34-36). Infine, durante il futuro Millennio, il sacrificio di riscatto di Gesù recherà beneficio anche a Iesse, la cui vita sulla terra dipenderà proprio da Gesù. A quel tempo Gesù ricoprirà per Iesse e per Davide il ruolo di “Padre eterno” (Isa 9:6).
immeritata bontà Vedi Glossario.
servitore pubblico Il sostantivo greco leitourgòs deriva dai termini laòs, “popolo”, ed èrgon, “lavoro”. In origine era usato dagli antichi greci in riferimento a qualcuno che svolgeva un lavoro per le autorità civili, di solito a spese proprie, a beneficio della comunità. Si trattava di una consuetudine comune anche nel mondo romano. Nella Bibbia questo termine di solito si riferisce a chi svolge un incarico sacro. Il termine affine leitourgìa è frequentemente usato nella Settanta in riferimento ai “compiti” (Nu 7:5) e al “servizio” (Nu 4:28; 1Cr 6:32 [6:17, LXX]) svolti dai sacerdoti presso il tabernacolo e presso il tempio di Geova a Gerusalemme. Qui Paolo usa leitourgòs in riferimento a sé stesso, visto che proclamava la buona notizia di Dio quale “apostolo delle nazioni”, ovvero dei non ebrei (Ro 11:13). Questa sua predicazione era effettivamente un servizio di grande utilità pubblica, in particolare per le persone delle nazioni.
Svolgo la santa opera Questa espressione traduce il verbo greco hierourgèo, che compare solo qui nelle Scritture Greche Cristiane e che denota il compiere un incarico sacro, l’officiare come sacerdote. La “santa opera” che Paolo svolgeva aveva a che fare con la proclamazione della buona notizia di Dio, il messaggio cristiano rivolto a persone di tutte le nazioni. (Vedi approfondimenti a Ro 1:1; 1:9.) Usando questo verbo, Paolo dimostra di rendersi conto della natura sacra e della serietà dell’opera. Il verbo hierourgèo è affine al verbo reso “servire come sacerdote” (hieratèuo) in Lu 1:8 e al sostantivo tradotto “tempio” (hieròn) che ricorre in Mt 4:5 e in molti altri versetti. Forse a motivo di ciò che questo verbo richiama, Paolo allude ai sacrifici offerti dai sacerdoti presso il tempio quando paragona le nazioni che accettano il messaggio a un’offerta fatta a Dio. Quell’offerta era approvata da Dio e benedetta con il suo spirito (Ro 1:1, 16).
prodigi O “portenti”. (Vedi approfondimento ad At 2:19.)
spirito di Dio Alcuni antichi manoscritti qui riportano “spirito santo” o semplicemente “spirito”, ma la lezione che è stata adottata nel testo è ben attestata nei manoscritti disponibili.
in un lungo giro fino all’Illirico L’Illirico era una provincia romana. Il territorio, chiamato anche Illiria, aveva preso il nome dalle tribù illiriche che lo abitavano. Si trovava nella parte nord-occidentale della penisola balcanica, lungo le coste dell’Adriatico. (Vedi App. B13.) I confini e le suddivisioni di questa provincia subirono molte variazioni durante la dominazione romana. Non si può stabilire con certezza se la preposizione greca resa “fino a” sia da intendersi nel senso che Paolo predicò effettivamente nell’Illirico o che arrivò solo ai suoi confini.
territori inesplorati Paolo attribuiva grande importanza all’espansione dell’opera di evangelizzazione. Voleva con tutto sé stesso predicare in zone in cui la buona notizia non era ancora arrivata. (Confronta 2Co 10:15, 16.) Nel versetto successivo Paolo esprime l’intenzione di estendere la sua opera missionaria a O, verso la Spagna. Paolo scrive queste parole verso la fine del suo terzo viaggio missionario, all’inizio del 56.
Spagna Nella sua lettera ai Romani Paolo menziona due volte la Spagna, qui e in Ro 15:28. Non si sa con certezza se ci sia mai andato. Intorno al 95, comunque, Clemente Romano scrisse che Paolo era “giunto al confine dell’occidente”, che poteva includere la Spagna (Prima di Clemente ai Corinti, V, 1, 7, in I Padri Apostolici, trad. di A. Quacquarelli, Città Nuova Editrice, Roma, 1998). Se Paolo andò davvero in Spagna, questo dovette probabilmente avvenire dopo il rilascio dalla sua prima detenzione a Roma (ca. 61) e prima della sua seconda detenzione sempre a Roma (ca. 65). A quel tempo la Spagna si trovava sotto la dominazione romana. In quel paese, che Paolo evidentemente considerava uno dei “territori inesplorati”, il latino era più parlato del greco (Ro 15:23).
Macedonia Vedi Glossario.
Acaia Vedi approfondimento ad At 18:12.
erano in debito O “erano debitori”, “erano in obbligo”. Nelle Scritture i termini greci per “debito”, “debitore” e simili non si riferiscono solo a debiti di natura economica, ma anche in senso più ampio a obblighi e doveri. (Vedi approfondimento a Ro 1:14.) Qui Paolo vuole dire che i cristiani non ebrei erano in debito verso i cristiani ebrei di Gerusalemme per i benefìci spirituali che avevano ricevuto grazie a loro. Era quindi giusto che aiutassero in senso materiale i loro fratelli ebrei che erano poveri (Ro 15:26).
contribuzione Lett. “frutto”. Qui il termine “frutto” viene usato nel senso di “risultato”, “ricavato”, “prodotto”. Evidentemente si riferisce al denaro raccolto con la colletta in favore dei fratelli di Gerusalemme.
il mio servizio Qui ricorre il termine greco diakonìa, spesso reso “ministero”. In questo versetto viene usato nel senso di “soccorsi” (At 11:29; 12:25) o “ministero in soccorso” (2Co 8:4). Le congregazioni della Macedonia e dell’Acaia avevano partecipato a un “ministero in soccorso” dei fratelli bisognosi della Giudea raccogliendo una contribuzione che Paolo avrebbe poi portato loro (2Co 8:1-4; 9:1, 2, 11-13). Invece di diakonìa, in qualche antico manoscritto si trova il termine doroforìa (lett. “il portare doni”). Alcuni hanno avanzato l’ipotesi che questo derivi dal tentativo di uno scriba di esplicitare il tipo di “ministero” a cui Paolo si stava riferendo. (Vedi approfondimento ad At 11:29.)
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Il libro degli Atti menziona molti dei primi viaggi di Paolo, inclusi i tre viaggi missionari e il suo viaggio da Cesarea a Roma. Le sue lettere invece danno indicazioni sui viaggi che intraprese dopo la sua prima detenzione a Roma (cioè dopo il 61 E.V. ca.), indicazioni che non si trovano nel libro degli Atti. Per esempio Paolo scrisse che intendeva mettersi in “viaggio verso la Spagna”, ma non sappiamo se fu in grado di realizzare i suoi piani prima della sua seconda detenzione (65 ca.) (Ro 15:24). Durante la prima detenzione a Roma, Paolo scrisse che voleva ritornare a Filippi e recarsi anche a Colosse (Flp 2:24; Flm 22; confronta Col 4:9). Nelle lettere che scrisse a Tito e a Timoteo dopo quella prima detenzione, Paolo menzionò altri particolari sui suoi viaggi. In quel periodo forse si recò a Efeso con Timoteo (1Tm 1:3). In Tit 3:12 viene detto che Paolo aveva deciso di trascorrere l’inverno a Nicopoli. Questa cartina mostra alcuni luoghi che Paolo probabilmente visitò.
1. Spagna. Ro 15:24 (dopo il 61 ca.)
2. Creta. Tit 1:5 (61-64 ca.)
3. Mileto. 2Tm 4:20 (prima del 65 ca.)
4. Colosse. Flm 22 (confronta Col 4:9 con Flm 10-12) (dopo il 61)
5. Efeso. 1Tm 1:3 (61-64 ca.)
6. Troas. 2Tm 4:13 (prima del 65 ca.)
7. Filippi. Flp 2:24 (dopo il 61)
8. Macedonia. 1Tm 1:3 (61-64 ca.)
9. Nicopoli. Tit 3:12 (forse Paolo fu arrestato a Nicopoli nel 64-65 ca.)
10. Roma. 2Tm 1:17 (seconda detenzione, probabilmente nel 65)
Quando è indicato un arco di tempo si intende che l’avvenimento è collocabile all’interno di quel periodo