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Italia

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ITALIA è il nome della lunga penisola che si protende al centro del Mar Mediterraneo. È pure chiamata “lo Stivale” per la sua forma simile a uno stivale del Settecento, con la Puglia nel tallone, la Calabria nella punta del piede e le Alpi che ne incorniciano il bordo superiore. Il nome fu dato dagli antichi romani alla parte meridionale della penisola e, secondo la leggenda, significa “terra di vitelli”. L’Italia è nota per i suoi paesaggi incantevoli: pianure, monti, laghi, spiagge e colline, queste splendidamente adornate da ulivi, viti e cipressi. L’Italia ha anche due grandi isole, la Sicilia e la Sardegna.

La popolazione, oltre 57 milioni di abitanti, è costituita nella stragrande maggioranza da cattolici, la cui partecipazione alla vita della chiesa è però veramente limitata.

Come vi nacque il vero cristianesimo per scomparire successivamente? Quando e come iniziò nel paese l’opera dei testimoni di Geova?

I PRIMI CRISTIANI IN ITALIA

Era l’anno 59 E.V. Alcuni prigionieri, fra cui un uomo in età matura, stavano compiendo un faticoso e pericoloso viaggio condotti da un ufficiale dell’esercito. Dopo essere miracolosamente sopravvissuti a un naufragio, giunsero a Malta, un’isola a sud dell’Italia, e dopo tre mesi ripresero il viaggio. La nave su cui erano imbarcati aveva l’insegna “Figli di Zeus”, in onore dei Dioscuri, considerati i protettori dei marinai. Ma uno dei prigionieri non era un adoratore di divinità greco-romane. Era un discepolo di Gesù Cristo di nome Paolo. Il viaggio li portò a Siracusa, in Sicilia, dove rimasero tre giorni. Proseguirono poi il viaggio e attraversarono lo Stretto di Messina, fermandosi a Reggio. Poco dopo sbarcarono a Pozzuoli vicino a Napoli, dove i fratelli spirituali del posto li supplicarono di rimanere. Ripartirono dopo sette giorni in direzione di Roma, percorrendo la via Appia, la più famosa strada militare e commerciale dell’impero. La notizia dell’arrivo di Paolo giunse alla congregazione di Roma e i fratelli gli vennero amorevolmente incontro al Mercato Appio e alle Tre Taverne, accompagnando poi i viaggiatori fino al termine del viaggio. — Atti 27:1–28:16.

Paolo aveva una stima così elevata dei cristiani di Roma che in precedenza aveva scritto loro dicendo: “Della vostra fede si parla in tutto il mondo”. — Rom. 1:8.

Ma dopo aver prosperato per qualche tempo, il vero cristianesimo venne soffocato col sorgere dell’apostasia predetta da Gesù Cristo. (Matt. 13:26-30, 36-43) I capi religiosi acquistarono sempre più potere temporale e con l’avvento dell’imperatore romano Costantino si unirono alle forze politiche. Sorsero in tal modo il cattolicesimo e il papato.

LE TENEBRE SPIRITUALI AVVOLGONO L’ITALIA

Durante l’“era dell’oscurantismo” il vento della cosiddetta Riforma soffiò debolmente in Italia, o almeno non abbastanza da diradare le fitte tenebre spirituali che tenevano gli abitanti della penisola nella più completa oscurità. Anche se in Italia ci furono dei ricercatori della vera conoscenza della Parola di Dio, molti di questi dovettero rifugiarsi all’estero per condividere con altri la nuova conoscenza delle Scritture. Quelli che rimasero in Italia furono imprigionati e condannati a morte dall’Inquisizione.

Nel 1870 il territorio dello Stato della Chiesa, che includeva vaste estensioni di terra su cui la Chiesa Cattolica esercitava il potere civile, fu annesso all’Italia, tranne il piccolo lembo di terra che costituisce ancor oggi lo Stato del Vaticano. Questo avvenimento fece sperare nel progresso della libertà religiosa. Ma tali speranze andarono deluse quando nel 1922 Benito Mussolini assumeva il potere, e, nel 1929, stipulava un concordato con la Chiesa Cattolica concedendo alla Chiesa e al clero eccezionali privilegi. Iniziava così un altro periodo di repressione. Ma come ha avuto inizio l’opera compiuta dai testimoni di Geova nell’Italia moderna?

L’INIZIO

La rinascita del vero cristianesimo risale alla fine del secolo scorso. Siamo a Pinerolo, una cittadina a 38 chilometri da Torino, il capoluogo del Piemonte. Pinerolo è situata in una delle belle vallate che scendono dalle Alpi Cozie, chiamate “valli valdesi”. Devono il loro nome ai seguaci di Pietro Valdo, un mercante di Lione che apprese dalla Bibbia molte verità.

È l’anno 1891. Un uomo arriva a Pinerolo proveniente dagli Stati Uniti d’America, nel corso del suo primo giro di visite in Europa. È il fratello Charles Taze Russell, il primo presidente della Watch Tower Society. Incontra il professor Daniele Rivoire, un valdese, insegnante di lingue a Torre Pellice, il centro culturale dei valdesi. Il professor Rivoire non divenne mai un testimone di Geova, ma si interessò vivamente di divulgare il messaggio della Bibbia spiegato nelle pubblicazioni della Watch Tower.

Passa qualche anno. Intanto all’inizio del secolo Fanny Lugli, una valdese di S. Germano Chisone, vicino a Pinerolo, riceve da parenti negli Stati Uniti il libro Il divin piano delle età. Verso il 1903 aveva già riconosciuto la verità e conduceva in casa sua delle adunanze a cui partecipava un gruppetto di persone.

Nel 1903 il professor Rivoire tradusse in italiano Il divin piano delle età, che fece stampare nel 1904 a sue spese presso la “Tipografia Sociale”. Questo prima che uscisse l’edizione italiana negli Stati Uniti. Nell’edizione del 1904 il professor Rivoire in una nota ai lettori scriveva: “Poniamo questa prima versione Italiana sotto la protezione del Signore; voglia Egli benedirla, malgrado le sue imperfezioni, affinché essa contribuisca alla glorificazione del suo nome santissimo e all’incremento della pietà de’ suoi figliuoli di lingua italiana”. Geova doveva veramente benedire i risultati della diffusione di questo libro.

Il professor Rivoire cominciò a tradurre in italiano anche La Torre di Guardia che venne chiamata La Vedetta di Sion e l’Araldo della presenza di Cristo. Usciva trimestralmente nel 1903 ed era stampata a Pinerolo. Cosa interessante, la sua distribuzione venne affidata ad agenzie giornalistiche che la consegnavano alle principali rivendite di giornali dei capoluoghi di provincia.

In quegli anni accettarono la verità Clara Cerulli Lantaret e Giosuè Vittorio Paschetto e, alcuni anni dopo, Remigio Cuminetti. Sentiremo parlare di loro nel corso della nostra storia.

SI FORMA UNA CONGREGAZIONE

Nel 1908 si formava in Italia la prima congregazione di servitori di Geova nei tempi moderni. Le adunanze si tenevano il giovedì sera a Pinerolo in piazza Montebello 7, presso l’abitazione della sorella Cerulli, e la domenica pomeriggio a S. Germano Chisone, frazione Gondini, presso la sorella Lugli.

Quando nel 1912 il fratello Russell tornò in Italia e visitò quell’unica congregazione esistente, alle adunanze partecipavano circa 40 persone. A quel tempo l’attività era sotto la sorveglianza della filiale svizzera della Watch Tower Society, e questa disposizione rimase in vigore fino al 1945. La sorella Cerulli, che conosceva bene oltre alla lingua italiana anche l’inglese e il francese, rappresentava in Italia la filiale svizzera.

UNA VANA ATTESA

Durante la prima guerra mondiale per i pochissimi fratelli italiani ci fu come in altri luoghi un periodo di prova e purificazione. Nel 1914 alcuni Studenti Biblici, come allora si chiamavano i testimoni di Geova, s’attendevano di essere rapiti “nelle nubi per incontrare il Signore nell’aria” e credevano di essere pervenuti al termine dell’opera di predicazione sulla terra. (I Tess. 4:17) “Un giorno”, si legge in una relazione, “alcuni si recarono in un luogo appartato ad attendere l’avvenimento. Ma non essendo successo niente, se ne ritornarono tutti mesti alle loro case. Di questi un certo numero si allontanò definitivamente”.

Rimasero fedeli circa una quindicina di persone che continuarono a frequentare le adunanze e a studiare le pubblicazioni della Società. Parlando di quel periodo, il fratello Remigio Cuminetti disse: “Ci aspettavamo la corona della gloria e invece trovammo un bel paio di stivali per continuare il lavoro di predicazione”.

IL PROCESSO DEL FRATELLO CUMINETTI

Quando nel maggio del 1915 l’Italia entrò in guerra, iniziarono le difficoltà particolarmente per uno del gruppo, il fratello Remigio Cuminetti. Fu chiamato per il servizio militare, ma egli decise di mantenersi neutrale. (Isa. 2:4; Giov. 15:19) Per questo fu processato dal Tribunale Militare di Alessandria. La sorella Clara Cerulli, presente al processo, ne fece una dettagliata relazione al fratello Giovanni De Cecca della Betel di Brooklyn, che sempre si interessò dell’attività svolta dai fratelli italiani. La lettera, datata 19 settembre 1916, costituisce un’autentica testimonianza:

“Caro fratello in Cristo,

“Non voglio aspettare più a lungo a dirti la lieta notizia di come il nostro caro fratello Remigio Cuminetti manifestò la sua forte fede, dando durante il processo ad Alessandria una commovente e bella testimonianza.

“La sorella Fanny Lugli ed io avemmo il grande privilegio di assistere a questo processo e di godere così la grande manifestazione d’una aperta confessione e d’una ferma fede del nostro fratello.

“Invano il Presidente cercò d’indurre Remigio in qualche trappola, ma non riuscì mai a confonderlo. Ora segue il processo con le seguenti parole:

PRESIDENTE: ‘Faccia attenzione, lei è davanti al Tribunale, la sua accusa è grave, sembra che abbia voglia di ridere!’

F.LLO CUMINETTI: ‘Non posso cambiare l’espressione del mio viso, ho il cuore pieno di gioia, cosicché si rispecchia nella mia faccia”.

PRESIDENTE: ‘Perché non ha indossato la divisa militare, rifiutandosi di difendere la patria?’

FRATELLO: ‘Non sarei qui se non avessi fatto ciò, poiché so di non aver commesso altre cose, salvo che non ho indossato la divisa militare, e questo solo; perché non si addice che un figlio di Dio indossi un vestito che significa odio e guerra! Per la stessa ragione mi sono rifiutato di lasciarmi mettere il bracciale in fabbrica e considerarmi militarizzato, preferendo portare il segno di un figlio di Dio, che significa pace per il mio prossimo’.

PRESIDENTE: ‘È vero che nel carcere di Cuneo lei si spogliò rimanendo in mutande?’

FRATELLO: ‘Sì, signor Presidente, è vero. Tre volte mi fecero indossare la divisa e tre volte mi spogliai. La mia coscienza si ribella al pensiero di fare del male al mio prossimo. Offro la mia vita per il bene del mio prossimo, ma mai muoverò un dito per recargli del male, poiché Iddio mi dice mediante il Suo spirito di amare il prossimo e non di odiarlo’.

PRESIDENTE: ‘Quale scuola ha frequentato?’

FRATELLO: ‘Questo ha poca importanza, ho studiato la Bibbia!’

PRESIDENTE: ‘Risponda a ciò che le domando: per quanti anni ha frequentato la scuola?’

FRATELLO: ‘Tre anni, ma ripeto che questo ha poca importanza in confronto a ciò che ho imparato da quando frequento la scuola di Cristo!’

PRESIDENTE: ‘Peccato che lei sia venuto in contatto con certe persone (indicando la sorella Lugli e me) che l’hanno condotto in una via sbagliata. Da quanto tempo lei studia questo libro (con disprezzo) che lei chiama “Bibbia”?’

FRATELLO: ‘Da sei anni. Una sola cosa mi dispiace: di non averla conosciuta prima!’

PRESIDENTE: ‘Chi le insegna questa nuova religione?’

FRATELLO: ‘Iddio stesso istruisce i suoi. Gli studenti più anziani mi aiutano a comprendere la verità della Bibbia, ma solo Iddio può aprire gli occhi del nostro intendimento’.

PRESIDENTE: ‘Si rende conto quant’è pericolosa la sua disubbidienza? La sua coscienza le consente di affrontarla?’

FRATELLO: ‘Sì, certo. Sono pronto a qualsiasi cosa mi avvenga; anche se vengo condannato a morte, non violerò mai il patto che ho fatto con Dio, perché voglio servire in tutto il Signore’.

“Dopo questo fu richiesta la condanna di Remigio Cuminetti a 4 anni e 4 mesi di carcere e data la parola all’avvocato (statale).

“L’avvocato si alzò e diede riguardo all’atteggiamento del fratello una meravigliosa testimonianza, dicendo che un tal uomo non è da condannare, anzi da ammirare per il suo coraggio e per la sua fedeltà verso Dio. Egli non vuole andare contro Dio né contro la sua coscienza, poiché la Bibbia gli dice di non uccidere e così vuole ubbidire alla Legge divina. . . .

“In seguito i giudici si ritirarono e dopo cinque minuti rientrarono nella sala delle udienze dove fu letta la sentenza: ‘Remigio Cuminetti è condannato a tre anni e due mesi di carcere per la sua infedeltà al Re e alle leggi nazionali’.

“Il fratello ringraziò con un sorriso di beatitudine!

“Il Presidente gli chiese se avesse ancora qualcosa da dire.

“Remigio rispose: ‘Avrei tante cose da narrare riguardo all’amore di Dio e al Suo piano meraviglioso per l’umanità’.

“Il presidente irritato: ‘Abbiamo già sentito abbastanza di queste cose. Ripeto la domanda: Ha qualche cosa da dire riguardo alla sentenza?’

“‘No’, rispose il fratello con viso raggiante. ‛Ripeto che sono pronto a dare la mia vita per il bene del mio prossimo, ma mai muoverò un dito per recargli del male!’

“Qui finisce il processo.

“La sorella Fanny Lugli ed io avemmo il privilegio di parlare con il nostro caro fratello. Tutti l’ammiravano. Persino i giudici erano stupiti da tale atteggiamento umile e anche per il suo coraggio, che solo i figli della luce possiedono; poiché non piegano i loro ginocchi davanti alle potenze terrene, ma solo davanti a Dio pregandolo in spirito e verità”.

“L’ODISSEA DI UN OBBIETTORE”

Ciò che accadde dopo il processo fu così sorprendente che anni più tardi venne narrato dal periodico L’Incontro nel suo numero di luglio-agosto 1952. Dall’articolo intitolato “L’odissea di un obbiettore durante la I guerra mondiale” sono tratti i seguenti brani:

“Questo testimone fu Remigio Cuminetti, nato a Porte di Pinerolo nel 1890. . . .

“Ma, scoppiata la prima guerra mondiale nel 1915, quelle Officine [la RIV di Villar Perosa] furono considerate come ausiliarie di guerra e perciò fu imposto agli operai di mettere un bracciale e considerarsi militarizzati. Sarebbe bastato che il Cuminetti accettasse questa mobilitazione civile per evitare tutte le angustie per cui dovette passare in seguito, poiché avrebbe avuto quale operaio specializzato l’esonero permanente; ma immediatamente si presentò alla sua mente il quesito: Posso io fare la volontà di Dio al quale mi son consacrato e in pari tempo contribuire alla guerra e disubbidire, sia pure indirettamente, ai comandamenti: ‘Non uccidere’, e ‘Ama il tuo prossimo come te stesso’? Non sono forse i Tedeschi e gli Austriaci mio prossimo come lo sono i Francesi, gl’Inglesi, i Russi? E siccome nel suo cervello non c’era posto per i ragionamenti cavillosi, la risposta al quesito fu netta ed esplicita. . . .

“Quando fu richiamata la sua classe, egli coerentemente rifiutò di partire, fu nuovamente arrestato e processato dal tribunale militare di Alessandria, il quale lo condannò a tre anni e mezzo di reclusione [in realtà tre anni e due mesi], e fu mandato al reclusorio di Gaeta. . . . Ma le autorità militari giudicarono che non era giusto che, mentre i suoi coetanei affrontavano i disagi, le durezze e i pericoli della vita di guerra e rischiavano la vita sui campi di battaglia, egli se ne rimanesse così tranquillo in carcere! . . . Perciò lo prelevarono da Gaeta e lo mandarono al distretto per costringerlo a fare il soldato e a combattere . . . si rifiutò di vestire la divisa militare; allora fu spogliato dei suoi abiti e lasciato in camicia in cortile.

“Passato alquanto tempo così, tra le beffe e le risa dei compagni, finì col riflettere che dopo tutto . . . l’abito non fa il monaco e neppure il soldato, e che egli poteva bene indossare quei panni, ma che un uomo non può essere considerato soldato e sottoposto alla disciplina militare se non appunta le stellette alla giubba. Così indossò l’uniforme, ma senza le stellette, che nessuno riuscì mai a fargli appuntare al colletto. Per questo fu rimandato in carcere e quindi giudicato pazzo, fu spedito in manicomio. Ma il direttore del manicomio non poteva ritenerlo pazzo, visto che il Cuminetti ragionava benissimo; perciò lo rimandò al Corpo che, di fronte al reciso suo rifiuto di mettere le stellette e di fare qualsiasi servizio militare, lo ricacciò in carcere. Così, fra carceri e manicomio, passarono parecchi mesi.

“Finalmente, rimandato al Corpo, un maggiore volle ridurlo all’ubbidienza, e un giorno gl’impose, puntandogli la rivoltella, di prendere le armi e di andare in linea. Cuminetti, . . . dato che gli era stato riferito che quel maggiore aveva già ammazzato parecchi soldati per motivi meno gravi, . . . aveva ritenuto per certo che fosse per lui venuta l’ora della morte. Tuttavia si rifiutò imperturbabile di prendere quelle armi. Allora il maggiore ordinò a due soldati di preparargli lo zaino e quindi caricarglielo sulle spalle, dopo avergli allacciato la cinghia con le giberne, la sciabola, ecc. Dopo averlo fatto bardare a quel modo, gl’impose nuovamente, minacciandolo sempre con la rivoltella, di recarsi in linea. Ma siccome Cuminetti non si muoveva, il maggiore ordinò ai due soldati di prenderlo sotto braccio e condurlo in linea a viva forza. Allora, mentre stavano avviandosi, egli si limitò a osservare: ‘Povera Italia, se per mandare un soldato in linea si deve farlo condurre da due altri, come farà a vincere la guerra?’ A tale osservazione anche quel feroce e implacabile maggiore rimase disarmato, ordinò che Cuminetti fosse spogliato di tutta quella bardatura e lo rimandò in prigione.

“Alquanto tempo dopo, fu mandato a chiamare dal colonnello del reggimento al quale era stato aggregato. Questo colonnello volle fare il tentativo d’indurlo a mettere le stellette prendendolo con le buone. Lo fece chiamare nel suo ufficio e gli fece le più ampie promesse che, s’egli si sottometteva, non avrebbe mai avuto da prendere un fucile in mano, che sarebbe sempre stato adibito a servizi di retrovia. Cuminetti ebbe a dire . . . che quella fu la lotta più dura ch’egli dovesse sostenere. Vedendolo umile e remissivo, il colonnello credette a un dato momento di averlo convinto e gli disse, parlandogli paternamente: ‘Come puoi fare a lottare tutto solo, poveretto che sei, contro la formidabile forza costituita dall’esercito? Ne rimarresti schiacciato. Io stesso ti appunterò le stellette e tu le porterai senza ribellarti più oltre. Ti parlo per il tuo bene; e ti prometto solennemente che il tuo desiderio di non essere obbligato a sparare sul tuo simile sarà appagato in pieno”.

“Cuminetti si limitò a rispondere: ‘Signor Colonnello, se ella mi mette le stellette, certo io me le lascio mettere, ma appena fuori di qui le levo di nuovo’. Di fronte a tale indomabile volontà, anche quel colonnello non insisté più oltre e lo abbandonò al suo destino.

“Quest’uomo umile e semplice dovette subire per la sua fede cinque processi, fu ospite, oltre che del reclusorio di Gaeta, del carcere di Regina Coeli [a Roma] e di Piacenza, e del manicomio di Reggio Emilia”.

Infine, dopo aver scontato altri mesi in prigione fu portato sul fronte delle operazioni di guerra per fargli trasportare i feriti. Il periodico prosegue:

“Un giorno, trovandosi agli avamposti per il suo servizio, seppe che un ufficiale ferito si trovava davanti alla trincea senza aver più la forza di ritirarsi, e che nessuno osava andarlo a trarre di là. Egli si offerse subito per quella rischiosa impresa e riuscì a portare in salvo l’ufficiale, ma rimase egli stesso ferito a una gamba”.

Per questo salvataggio gli fu assegnata la medaglia d’argento al valor militare, “ma egli rifiutò l’onorificenza dicendo che, prima di tutto, non aveva compiuto quell’atto per guadagnarsi un ciondolo, ma bensì per amor del prossimo”.

La sentenza pronunciata in data 18 agosto 1916 dal Tribunale Militare Territoriale di Alessandria porta il n. 10419 del Registro Processi che si trova presso l’archivio del Tribunale Militare di Torino. Il fratello Cuminetti fu senza dubbio il primo Testimone italiano che sostenne la neutralità cristiana e probabilmente il primo obiettore di coscienza dell’Italia moderna.

APERTO UN UFFICIO IN ITALIA

La guerra terminò lasciando sul suolo della penisola rovine e morti. Dopo il 1919 venne aperto un ufficio in Italia, anche se l’opera rimase sotto la giurisdizione della filiale svizzera. Fu aperto a Pinerolo in un locale preso in affitto in Via Silvio Pellico 11.

Nel 1922 il fratello Remigio Cuminetti divenne rappresentante per l’Italia in sostituzione della sorella Cerulli. Fu ritenuto appropriato non lasciare l’incarico di responsabilità a una donna, là dove c’era un uomo capace che, oltre tutto, aveva dato sufficienti prove della sua integrità. La sorella Cerulli si sentì ferita e lasciò la verità.

Dopo la guerra il compito di tradurre le pubblicazioni della Watch Tower Society venne affidato al professore Giuseppe Banchetti. Egli era un pastore valdese, ma conosceva la verità e l’apprezzava. E aveva tentato dal pulpito di farla penetrare nella sua chiesa, ma senza successo. Precedentemente, tuttavia, aveva sparso il seme della verità in alcune parti della penisola. Verso il 1913 costui era stato a Cerignola, in provincia di Foggia, e lì riceveva dalla Società dei pacchi di letteratura che continuarono ad arrivare alla locale Chiesa Valdese anche dopo la sua morte. In seguito a Cerignola si formò un gruppo di Studenti Biblici sorti tra coloro che avevano letto quella letteratura.

Il professor Banchetti, oltre alla Torre di Guardia, tradusse anche i libri L’Arpa di Dio e Liberazione e vari opuscoli. Come il professor Rivoire, egli non lasciò mai definitivamente la Chiesa Valdese, anche se credeva alle spiegazioni bibliche della Watch Tower Society e ne diffondeva il messaggio.

Il professor Banchetti morì nel 1926 e il lavoro di traduzione fu affidato per breve tempo a una certa signora Courtial, che tradusse il libro Creazione. Ma nel 1928 il lavoro di traduzione fu affidato a una persona dedicata, il fratello Giosuè Vittorio Paschetto, che lo svolse fino al giorno del suo arresto, avvenuto il 7 novembre 1939, da parte della polizia fascista. Fino a quel tempo aveva tradotto i libri Governo, Riconciliazione, Vita, Profezia, Luce (2 volumi), Rivendicazione (3 volumi), Preparazione, Preservazione, Geova, Ricchezza, Nemici e Salvezza. Queste pubblicazioni furono un vero “cibo a suo tempo” per il popolo di Dio (Matt. 24:45) Una di queste in particolare, il libro Nemici, per le sue forti dichiarazioni sulla neutralità, doveva scatenare una tremenda persecuzione contro lo sparuto gruppo di fratelli di allora.

Dopo la sua liberazione, avvenuta il 23 agosto 1943, il fratello Paschetto continuò a collaborare con altri traduttori sino alla fine della sua vita terrena nel 1956.

AIUTO DALL’ESTERO

Ma ritorniamo alla fine della prima guerra mondiale. Poco tempo dopo il 1918 rientrava in Italia il fratello Marcello Martinelli che aveva appreso la verità negli Stati Uniti. Originario della Valtellina, una bella valle delle Alpi Retiche che giunge fino al lago di Como, la percorse più volte col messaggio del Regno. Nel 1923 divenne “colportore”, cioè proclamatore del Regno a tempo pieno, e si unì al fratello Cuminetti nella predicazione della buona notizia nella zona di Pinerolo. Il fratello Martinelli era un fratello molto amato per la sua bontà. Nei periodi di intensa persecuzione scriveva amorevoli lettere ai pochi fratelli sparsi. Continuò a dichiarare il messaggio fino al 1960, anno in cui morì terminando il suo ministero terreno. Nella provincia di Sondrio, dove svolse l’opera del Signore, si formò un piccolo gruppo di Studenti Biblici.

Dal 1920 al 1935, rientrarono altri emigrati che avevano conosciuto la verità in Belgio, in Francia e negli Stati Uniti. Nei luoghi dove si stabilirono essi continuarono a predicare con zelo e riuscirono a trovare degli ascoltatori. Così si formarono altri gruppi di Studenti Biblici.

Nel 1923 la filiale svizzera invitò a trasferirsi in Italia tre colportori che avevano prestato servizio nel Canton Ticino, dove si parla l’italiano. Erano il fratello Ignazio Protti e le sue sorelle Adele e Albina. L’anno successivo, ad essi si unì un’altra colportrice, la sorella Emma Hotz.

LA ZELANTE ATTIVITÀ DI CINQUE COLPORTORI

L’attività di questi zelanti colportori è degna di essere menzionata. Le tre sorelle lavoravano in un territorio e i fratelli Ignazio Protti e Marcello Martinelli in un altro. Dal 1923 al 1927 essi percorsero varie zone del Piemonte e una parte della Lombardia. La sorella Adele Protti, che in seguito sposò il fratello Brun della Svizzera, scriveva diversi anni fa:

“Nel 1924 furono stampate a Pinerolo ventimila copie dell’opuscolo Un Governo desiderabile. Da Berna avevamo ricevuto centomila copie del trattato L’Ecclesiasticismo in istato d’accusa (Accusati gli ecclesiastici). Esso conteneva l’accusa letta all’assemblea di Columbus, Ohio, nel 1924. Era una tremenda condanna per gli ecclesiastici. Fu distribuito nelle principali città d’Italia”.

A proposito di questa campagna, il rapporto sulla Torre di Guardia del 1° dicembre 1925 (ediz. inglese) affermava: “I nostri fratelli italiani hanno distribuito 100.000 copie dell’‘Accusa’ e si sono assicurati che il papa e gli altri alti funzionari del Vaticano ne ricevessero ciascuno una copia”.

Si può immaginare l’emozione di quei colportori nel distribuire un messaggio così pungente! La narrazione della sorella Brun continua:

“Il fratello Cuminetti, la sorella Hotz ed io distribuimmo a Genova in un solo giorno 10.000 copie dell’‘Accusa’. In seguito giunsero dalla Svizzera centomila copie del trattato ‘Appello alle potenze del mondo’, che in gran parte furono sequestrate. Circa ogni tre mesi andavamo per due o tre giorni a visitare i fratelli per ristorarci spiritualmente alle riunioni a S. Germano Chisone. È difficile esprimere il desiderio che avevamo, il vivo desiderio di unirci un po’ con i fratelli.

“Un giorno lavorai in un paese da mattina a sera con grande soddisfazione. Il mio cuore giubilava. La sera, facendo a piedi la strada del ritorno, dovetti attraversare un bosco; non c’era altra possibilità. Mentre ero tutta assorta nella mia gioia, ad un tratto mi raggiunse un giovanotto in bicicletta. Non c’era nessuno attorno a noi. Egli si mise a camminare al mio fianco. Non sospettando niente di male incominciai a dargli testimonianza sul Regno di pace e giustizia. Così percorremmo insieme la strada sino ad Ivrea, circa due ore di cammino. Verso la fine del viaggio, questo giovanotto mi disse:

“‘Signorina, lei non sa di avermi impedito di commettere una terribile azione. L’avevo raggiunta per assalirla. E se si fosse ribellata, l’avrei anche uccisa. Ma quando l’ho raggiunta e l’ho vista con un viso raggiante e con uno sguardo fiducioso e ingenuo, sono stato talmente colpito che non ho potuto abusare della sua fiducia. Poi lei mi ha parlato subito di tante belle cose mai udite prima. In queste due ore di cammino ho cambiato il mio modo di pensare e vedo come ero miserabile. Ora desidero fare un’altra vita. Mi dia tutto ciò che ha da farmi leggere’.

“Gli diedi la letteratura che mi rimaneva nella borsa e me la pagò. Mi salutò poi con una stretta di mano. In quella occasione, come in altre, sono stata protetta in modo meraviglioso”.

La sorella Brun è rimasta fedele fino alla morte avvenuta nel 1976 a Zurigo, dopo cinquant’anni di devoto servizio. Suo fratello Ignazio, uno dei cinque colportori, scriveva nel 1970:

“Non si teneva conto di quante ore si dedicavano all’opera. Si lavorava dalla mattina alla sera. Spesso venivamo arrestati dalla polizia e subito dopo rimessi in libertà. A Gallarate (vicino a Varese) io e il fratello Martinelli siamo stati arrestati e condotti in prigione a causa delle false accuse del clero. Si poteva andare nel cortile della prigione un’ora al giorno e questa era un’occasione per dare testimonianza ai detenuti. Si formava spesso un gruppo di ascoltatori e perfino le guardie venivano ad ascoltare. Un giorno venne anche il direttore del carcere. Quando poi i detenuti seppero che saremmo stati liberati, ci abbracciarono ringraziandoci molto cordialmente. Anche noi eravamo commossi e ringraziammo Dio per questa bella occasione.

“Un giorno”, continua a narrare il fratello Protti, “andando di casa in casa notai che un uomo mi stava seguendo. E quando uscii da una casa, mi fermò e si presentò come un agente di pubblica sicurezza. Mi chiese di fargli vedere la mia carta d’identità e mi domandò che cosa stavo facendo. Gli risposi: ‘Sto proclamando un governo desiderabile’. Dissi questo per introdurre l’opuscolo che trattava quel tema. L’agente, quasi offeso, disse che c’era già un governo desiderabile. Egli ovviamente si riferiva al governo fascista. Ma gli dissi: ‘Il governo di cui lei parla è temporaneo, ma quello che le annuncio durerà in eterno’. Poi presi la Bibbia e gli feci leggere Daniele 2:44 e 7:14. Avreste dovuto vedere con quanta attenzione lesse quei due versetti. Egli mi restituì la Bibbia e, invece di arrestarmi come pensavo, se ne andò e mi lasciò libero. Mi domando ancor oggi, dopo tanti anni, se quell’agente avrà ricordato questa conversazione quando cadde il regime fascista”.

Il fratello Protti svolse fedelmente il servizio del Regno fino alla sua morte avvenuta nel 1977 a Basilea, all’età di 80 anni.

1925: PRIMO CONGRESSO

Mentre l’opera, anche se con molte difficoltà, si stava sviluppando, dal 23 al 26 aprile 1925 fu tenuto a Pinerolo il primo congresso. A questa assemblea fu presente il fratello Macmillan della sede centrale della Società, che stava effettuando un giro di visite. Si tenne in una sala dell’albergo Corona Grossa.

Poiché era impensabile che il governo fascista autorizzasse quel congresso, i fratelli fecero figurare l’assemblea come una festa nuziale. Durante l’assemblea il fratello Remigio Cuminetti sposò una delle colportrici venute dalla Svizzera, la sorella Albina Protti. I presenti a questo storico congresso furono settanta e dieci di questi furono battezzati.

“Furono giorni di benedizione, di esultanza e di allegrezza”, scrisse la sorella Brun che era presente al congresso, e aggiunse: “Il padrone dell’albergo fece venire i suoi ospiti, i clienti, nella nostra sala, dicendo: ‘Venite, venite gente, abbiamo la chiesa primitiva nella nostra casa!’ . . . Tutto era ben organizzato. In un momento sgombravamo la sala e mettevamo le sedie e più tardi si toglievano per mettere tutto in ordine. Eravamo tutti volenterosi e gioiosi. Fu una grande testimonianza”.

Ma durante quel primo congresso ci fu anche un curioso inconveniente: “Sebbene diversi per abitudini, eravamo in piena armonia. Ma in una cosa non andavamo d’accordo, cioè nel cantare i cantici. I fratelli dell’Italia del nord seguivano un ritmo svelto, mentre quelli del sud cantavano lentamente, con un ardore tale che era quasi un peccato distoglierli. E così il fratello che presiedeva dovette far cantare prima quelli dell’Italia meridionale e dopo quelli del nord”.

L’OPERA INCOMINCIA A DECLINARE

L’attività di predicazione era molto promettente. Il rapporto pubblicato nella Torre di Guardia del 1° dicembre 1924 (edizione inglese) diceva: “Sono state provvedute delle biciclette a tre colportori che stanno percorrendo il paese, distribuendo letteratura e vendendo libri. Abbiamo grandi speranze che vi sarà un’ampia diffusione della verità in Italia nel prossimo futuro”.

Il fratello Cuminetti precedentemente aveva ereditato l’allora bella somma di diecimila lire; poteva dunque dedicare tutto il suo tempo a dare testimonianza ed edificare i fratelli, visitandoli nei loro paesi. La Torre di Guardia del 1° maggio 1925 (edizione italiana) riportava il “Resoconto di un viaggio attraverso l’Italia”, effettuato dai fratelli Cuminetti e Martinelli alla fine del 1924. Essi percorsero ben cinquemila chilometri per visitare alcuni fratelli isolati e persone interessate sparsi in diverse regioni, dalla Lombardia alla Sicilia. A Porto S. Elpidio (Italia centrale), riferisce il resoconto, furono svolte le pratiche per ottenere un locale per un discorso e, “quantunque le autorità masticassero un po’ per darci questo permesso, pure ce lo dovettero dare per la nostra insistenza . . . all’ora fissata più di 200 uditori vennero a sentire svolgere il soggetto ‘Il ritorno dei nostri morti è vicino’”. Fu indubbiamente un grande successo per quei tempi.

Ma poi, per vari motivi, l’opera incominciò lentamente a declinare. Dal 1926 al 1927 tre colportori dovettero ritornare in Svizzera, chi a causa della salute, chi per altre ragioni. Ma, soprattutto, il declino fu dovuto al fatto che nel 1929 fra la Chiesa Cattolica e il governo fascista fu stipulato il Concordato che concedeva eccezionali privilegi alla Chiesa. In tal modo iniziò un triste periodo di repressione della libertà religiosa.

Rimanevano quei piccoli fuochi accesi qua e là, gruppi di fratelli o persone isolate che era difficile raggiungere e mantenere uniti in qualche modo. Erano come piccoli tizzoni ardenti nascosti sotto la cenere, che rischiavano di spegnersi del tutto. E alcuni in effetti si spensero. In una sua lettera il fratello Cuminetti così descriveva la situazione:

“Si vorrebbe poter fare ben altro, ma siamo osservati più che mai . . . ci fermano tutto. L’Age d’Or [L’Età d’Oro, ora Svegliatevi!] ci è pervenuta fino a marzo e poi più. Da Brooklyn ci annunziarono la spedizione di alcuni pacchi di libri e di opuscoli dei più recenti, ma niente è giunto. Della Torre di Guardia si fanno sempre più rari i numeri che giungono a destinazione. Se vi è qualche fratello che dimostra un po’ di zelo, il nemico lo fa arrestare . . . altri sono minacciati col confino e con ogni sorta di maltrattamenti”.

L’OPERA DEL REGNO NON È SOPPRESSA COMPLETAMENTE

Per la coalizione clerico-fascista il compito di controllare l’attività di alcune decine di persone per sopprimerla poi del tutto non sarebbe stato troppo difficile. Ma ‘la mano di Geova non era divenuta troppo corta che non potesse salvare, né il suo orecchio troppo grave che non potesse udire’. (Isa. 59:1) Egli non permise che i suoi leali fossero cancellati.

Qua e là piccoli gruppi di proclamatori del Regno riuscirono a rimanere in vita. Il modo in cui si formarono e perseverarono mostra che Geova li protesse con la Sua potente forza attiva.

IL GRUPPO DI PRATOLA PELIGNA

A Pratola Peligna, un piccolo centro in provincia dell’Aquila, la buona notizia del Regno venne portata nel 1919 da un emigrato che era tornato dagli Stati Uniti dopo avervi conosciuto la verità. Questo fratello, Vincenzo Pizzoferrato, rimase fedele alla chiamata celeste fino alla sua morte avvenuta nel 1951. Era un fruttivendolo ambulante e per il suo lavoro si recava in paesi vicini come Sulmona, Raiano e Popoli. Vi si recava carico di frutta e di letteratura che distribuiva alle persone: Il divin piano delle età, L’Arpa di Dio e altre pubblicazioni, e incominciò subito a radunare intorno a sé alcuni interessati.

Nel 1924 stava distribuendo presso il cimitero di Popoli (Pescara) il volantino Il ritorno dei nostri morti è vicino e aveva quasi terminato la distribuzione quando il prete, accompagnato da alcuni giovani fascisti, lo fermò. Fu portato alla caserma dei carabinieri e interrogato dal maresciallo. Ma questi fu amichevole. Radunò tutti i carabinieri della caserma per ascoltare il fratello che poté dare una eccellente testimonianza e distribuire della letteratura. Il maresciallo, affinché il fratello Pizzoferrato non avesse ulteriori disturbi dai fascisti, dispose di farlo scortare fino alla stazione ferroviaria da due carabinieri.

Nel 1925 si tenne il congresso a Pinerolo e il fratello Pizzoferrato vi partecipò con sua moglie e un interessato che divenne un fratello. A quel tempo in casa sua si radunavano già una trentina di persone. In seguito, quando una famiglia si costruì la casa nuova, una stanza fu usata come Sala del Regno.

Nel 1939 le autorità, istigate dal clero, crearono gravi difficoltà ai fratelli. La letteratura venne confiscata e le adunanze furono vietate. Il fratello Pizzoferrato fu arrestato e in seguito processato e condannato dal Tribunale Speciale di Roma. Fu liberato dopo non molto a causa di malattia. E così riprese a diffondere la “buona notizia” nonostante il pericolo di essere nuovamente arrestato. In questo modo il locale gruppo di fratelli non fu mai interamente soppresso.

IL GRUPPO DI ROSETO DEGLI ABRUZZI

Roseto degli Abruzzi è un paesino sul mare in provincia di Teramo. Gli abitanti del posto ascoltarono le prime parole del messaggio da una sorella, Caterina Di Marco. Nativa di Roseto ed emigrata negli Stati Uniti, nel 1921 conobbe la verità a Filadelfia. Fu battezzata un anno dopo e ritornò a Roseto degli Abruzzi nel 1925. Che fece al suo ritorno a Roseto? La sorella scrisse:

“Appena arrivata cominciai a parlare della mia fede. Distribuivo i volantini e gli opuscoli anche al mare, presso le cabine. Un opuscolo capitò nelle mani di un uomo che lo lesse e disse: ‘Ah! Questa è la nuova religione che Caterina ha portato dall’America’. Volle leggere l’altra letteratura che avevo e capì che questa era la verità”. Egli fu il primo e a lui si aggiunsero in seguito altre persone sincere. Il fratello De Cecca una volta definì la sorella Di Marco “una vera spada” contro gli oppositori religiosi. Questa sorella ha mantenuto la sua integrità e ha conservato viva la sua speranza fino alla morte avvenuta nel 1982.

Domenico Cimorosi, il fratello che per primo apprese da lei la verità, svolse il servizio di pioniere regolare fino alla morte avvenuta all’età di 87 anni. Alcuni anni prima di morire scrisse in merito all’inizio dell’opera nella zona:

“Cominciai a parlare della verità a mio fratello, a mio padre, a mio cugino e ai compagni di lavoro. Eravamo ormai quattro o cinque a riunirci per leggere il piccolo opuscolo che avevamo fra le mani, Conforto per il Popolo, e ne confrontavamo i passi biblici. Decidemmo di visitare la signora ritornata dall’America, Caterina Di Marco. Fummo subito d’accordo con le spiegazioni ricevute e cominciammo a tenere delle adunanze anche a casa sua. Anche se poco tempo dopo i fascisti cercarono di sorprenderci, con l’aiuto di Geova riuscimmo a tenere nascosti i posti di raduno”.

L’intolleranza religiosa non tardò a manifestarsi contro quel gruppo di persone sincere. “Il parroco mi querelò perché avevo distribuito il trattato L’Ecclesiasticismo in istato d’accusa”, narrava Caterina Di Marco. “Fui assolta, ma i guai non erano finiti. Fui arrestata per la prima volta con l’accusa di non essere andata a sentire un discorso del Duce [Mussolini]. Il giudice mi chiese il perché. Gli risposi citando il capitolo 3 di Daniele sull’episodio dei tre giovani ebrei che non si inginocchiarono davanti all’immagine d’oro. Mi condannarono a cinque anni di confino”.

Vittorio Cimorosi, figlio di Domenico, ricorda che negli anni trenta la letteratura veniva molto spesso sequestrata. Tuttavia qualche copia della Torre di Guardia e qualche altra pubblicazione giungevano a destinazione. Egli narra: “Il fratello De Cecca scriveva spesso a mio padre, ad altri fratelli e interessati, e inviava loro il cibo spirituale. Frequentemente usava delle frasi che non ci avrebbero compromessi. Una volta scrisse: ‘Se non avete “nemici” li troverete a Montone’. Il fratello Guerino Castronà seguendo il suggerimento andò al paese di Montone e vi trovò un uomo che aveva il libro Nemici e altra letteratura”.

IL GRUPPO DI MALO

“Non ringrazierò mai abbastanza Geova per il prezioso dono di essere stato timorato di Dio sin dall’infanzia”. Queste parole furono scritte dal fratello Girolamo Sbalchiero prima che morisse, nell’anno 1962, fedele alla sua assegnazione cristiana. Seguendo brevemente la sua vita si può sapere qualcosa sull’origine di un gruppo di testimoni di Geova che in tempi successivi doveva divenire una fiorente congregazione.

Il fratello Sbalchiero era stato uno zelante cattolico. Portava un cilicio intorno alla vita sulla pelle nuda. Era un cordone pieno di nodi col quale mortificava la sua carne come penitenza. Spesso pregava inginocchiato su dei sassolini, per soffrire e donare le proprie sofferenze a Dio. Partecipava a lunghi pellegrinaggi a piedi e una volta ne fece uno camminando per cinquanta chilometri. Poi, nel 1924, da una persona che aveva precedentemente conosciuto la verità negli Stati Uniti, Girolamo incominciò ad ascoltare le prime parole del messaggio. Come lo accolse? Questo devoto falegname di Malo, un paesino veneto presso Vicenza, scrisse:

“Di giorno lavoravo e la notte leggevo le Scritture. Il mio datore di lavoro mi diede la sua Bibbia, dato che egli non se ne faceva niente. Di quello che leggevo comprendevo ben poco, ma mi colpì il soggetto della battaglia di Har-Maghedon e mi misi subito a parlarne ad altri. Scrissi allora al fratello Cuminetti che serviva a Pinerolo ed egli mi aiutò molto con le sue lettere. Ma non avendo nessuna assistenza diretta, mi ci vollero otto anni per afferrare pienamente la verità. Quando la compresi, però, smisi di entrare in chiesa e di fare la comunione, che fino a quel tempo avevo fatto ogni mattina”.

La persecuzione non tardò: “Per studiare la Bibbia”, egli narrava, “andavamo dietro le siepi e in luoghi remoti. Una volta perfino celebrammo la Commemorazione in una grotta. Altri si interessarono al messaggio e si unirono a me. Una domenica pomeriggio ci eravamo riuniti in cinque per studiare le Sacre Scritture in una delle nostre case, quando irruppe il prete del paese. Ci insultò dicendo che eravamo degli ignoranti e incapaci di capire la Bibbia. E aggiunse che solo loro, i preti, erano in grado di salvare le anime”.

Dopo un’accesa discussione, nel corso della quale il prete non seppe rispondere a nessuna delle domande postegli, se ne andò. Più tardi fece chiamare il fratello dal maresciallo dei carabinieri. Ma questi, che lo conosceva e sapeva che era molto stimato per la sua bontà, lo lasciò andare.

“In seguito”, continua la narrazione del fratello Sbalchiero, “la Società stabilì di fare una campagna con l’opuscolo Il Regno, la speranza del mondo. Partii in bicicletta per Padova con 165 opuscoli. Ma nel corso del viaggio delle guardie mi fermarono e mi arrestarono e furono iniziate le pratiche per condannarmi al confino. Quando le autorità del mio paese lo seppero, intervennero a mio favore; riuscirono a farmi rilasciare e mi riaccompagnarono a casa. Quando arrivammo nella piazza del paese mi dissero: ‘Non ne hai avuto abbastanza?’ Ed io risposi: ‘No, anzi, ora mi sento più forte di prima’. Si guardarono in faccia perplessi”.

Giuseppe Sbalchiero, figlio di Girolamo, racconta: “Un giorno dissi a mio padre: ‘Come faremo noi due soli a resistere contro queste migliaia di giganti che si oppongono, e a dare testimonianza?’ Mi rispose: ‘Non temere, figlio mio, perché quest’opera “non è dagli uomini, ma da Dio”’”. — Vedi Atti 5:33-40.

IL GRUPPO DI FAENZA

Ricordate Ignazio Protti, il colportore che venne in Italia dalla Svizzera nel 1923? Ebbene, nel 1924 egli ebbe l’opportunità di dare testimonianza a Marradi, suo paese natio, un paesino circondato da montagne ricoperte di maestosi castagni. Il seme cadde su “terreno eccellente” e alcune persone accolsero il messaggio. (Matt. 13:8) A loro volta ne parlarono ad altri.

In seguito della letteratura giunse nelle mani di un certo Domenico Taroni, un umile contadino che abitava a Faenza, frazione Sarna, non lontano da Marradi. Questi accettò prontamente la “buona notizia”. Nel 1927 si abbonò alla Torre di Guardia, ma ne ricevette soltanto alcune copie, probabilmente quelle che sfuggivano al sequestro o che arrivavano clandestinamente. Egli divenne uno dei primi testimoni di Geova della fertile terra di Romagna. Fra i primi ad ascoltare da lui il messaggio ci fu Vincenzo Artusi, che divenne un fedele fratello e che in seguito ha prestato servizio come anziano in una delle tre congregazioni di Faenza fino alla sua morte avvenuta nel 1981. A sua volta Vincenzo riuscì a trasmettere la buona notizia ad altri, fra cui Emilio Babini e suo fratello Antonio. Entrambi sono rimasti fedeli a Geova sino alla morte.

Questi zelanti fratelli si radunavano in case private. Non appena furono identificati dal clero, anch’essi subirono la persecuzione. Alcuni abbandonarono la verità, ma altri rimasero fedeli. Nel 1939 erano rimasti in nove, un numero sufficiente per dare inizio all’estesa attività del dopoguerra.

IL GRUPPO DI ZORTEA

Negli anni 1931-1932 due emigrati tornarono dall’estero con la verità nel cuore. Erano Narciso Stefanon, proveniente dal Belgio, e Albino Battisti dalla Francia. Immediatamente incominciarono a predicare. Il primo si stabilì a Zortea (Trento), una piccola frazione di alcune centinaia di anime, appollaiata sui monti a oltre mille metri di altezza. Il secondo a Calliano, a circa 15 chilometri da Trento. Egli aveva conosciuto la verità da alcuni fratelli polacchi.

Prima di tornare in Italia, Narciso Stefanon aveva avuto il tempo soltanto di abbonarsi alla Torre di Guardia e di leggere qualche pubblicazione della Watch Tower Society. Ritornato a Zortea continuò ancora per un po’ a frequentare la chiesa, ma proprio lì cominciò a dare testimonianza. Quando nel corso della messa il parroco fece una predica spiegando il Vangelo, Narciso lo contestò pubblicamente usando la sua copia della Bibbia, una versione Diodati, per dimostrare dov’è che il prete era in errore.

Si formarono due opposte fazioni: una a favore di Stefanon, l’altra del parroco. Ma a causa dell’influenza del prete il primo gruppo si assottigliò e soltanto qualche persona accolse il messaggio del Regno. Stefanon si staccò definitivamente dalla Chiesa Cattolica e con lui altri che si radunarono per studiare le pubblicazioni dello “schiavo fedele e discreto”. (Matt. 24:45-47, Traduzione del Nuovo Mondo) Si riunivano nei fienili, nelle stalle, dove meglio potevano, per evitare la persecuzione da parte del clero e dei fascisti. A quel tempo il regime non risparmiò nessun vero cristiano.

Una delle persone che ebbe ‘orecchi per ascoltare’ fu Francesco Zortea. Il suo cognome era uguale al nome del paese. Udì il messaggio nel 1933 quando aveva 25 anni. Avrebbe dimostrato una fede indomabile fino alla morte, avvenuta nel 1977.

Nel narrare la sua esperienza di vita cristiana, il fratello Zortea scrisse:

“Eravamo vigilati, controllati e pedinati fino al punto di doverci nascondere per consultare le Scritture. Ho avuto molte esperienze personali e tutte sono servite a rafforzare la mia fede anziché demolirla. Nel mese di aprile del 1934 mi recai a piedi a Fonzaso (Belluno), un paese distante venti chilometri, per darvi testimonianza. Mentre andavo di casa in casa offrendo il messaggio del Regno, fui fermato dai carabinieri ed accompagnato in caserma dove, dopo avermi interrogato riguardo all’opera che stavo compiendo, sequestrarono la letteratura. Poi mi rinchiusero in camera di sicurezza dove rimasi fino all’indomani mattina.

“Poi, nel mese di luglio del 1935, fui invitato dai carabinieri a recarmi in caserma per urgenti comunicazioni che mi riguardavano. Non appena fui arrivato, il maresciallo mi disse: ‘Signor Zortea, l’abbiamo invitata per dirle che il suo caso è nelle mani della Pretura di Trento. Richiedono una sua dichiarazione che specifichi in che cosa consiste la sua attività’. Nella mia dichiarazione dissi che ‘annunciavo il Regno di Dio’ a tutte le persone.

“Poco dopo, ad agosto, fui di nuovo invitato d’urgenza dai carabinieri i quali mi dissero che la Pretura di Trento non era soddisfatta della mia dichiarazione. Ne volevano un’altra in cui avrei dovuto spiegare cosa intendevo dire con la frase ‘annunciare il Regno di Dio’. E così spiegai il significato biblico in armonia con le parole del Padrenostro, ‘venga il tuo regno’. Evidentemente avevano scambiato il Regno per un governo politico!” — Matt. 6:9, 10.

Ma questo era soltanto l’inizio delle difficoltà. Nell’ottobre del 1935 l’Italia dichiarò guerra all’Etiopia. Quando il fratello Zortea fu chiamato a prestare servizio militare decise di mantenere una posizione neutrale. Egli scrisse: “Mi rifiutai di indossare la divisa e di combattere contro il mio prossimo”. In seguito fu condannato a cinque anni di confino, sorte che subirono anche i fratelli Stefanon e Battisti.

Al confino a Muro Lucano, in provincia di Potenza, il fratello Zortea continuò a dare testimonianza. Egli riferiva: “Appena sistemato, mi misi in contatto col fratello Remigio Cuminetti per avere della letteratura e per continuare l’opera. Infatti poco tempo dopo ebbi un pacco di opuscoli che cominciai a distribuire con cautela. Impiegavo diversi metodi: alcuni li consegnavo di persona, in certe occasioni li mettevo sulle panchine lungo la strada oppure all’interno delle vetture in sosta”.

Liberato nel 1937 a seguito di un’amnistia concessa dal governo, il fratello tornò a Zortea in tempo per assistere a un nuovo episodio di intolleranza religiosa del clero nei confronti dei testimoni di Geova. Morì una sorella in fede e il prete del posto non voleva farla seppellire nel cimitero che era di proprietà della parrocchia con la pretesa che, altrimenti, avrebbe profanato un luogo sacro. Passarono tre giorni e la salma non poteva ancora essere sepolta. Per decidere il da farsi si riunirono il parroco di Zortea, il parroco del vicino paese di Prade, il podestà (nome del sindaco durante il periodo fascista) e il segretario comunale. Ciò che accadde sembra la rievocazione di una storia di vita vissuta all’inizio del cristianesimo. Il fratello Zortea scrisse:

“Soltanto a metà del terzo giorno fummo avvertiti che il funerale doveva farsi immediatamente e che la salma doveva essere tumulata a Prade dove c’era un pezzo di terra di proprietà del comune. Ci mettemmo in cammino. Eravamo in quattro seguiti dai familiari e da altre persone che studiavano la Bibbia, accompagnati dal messo comunale e dai carabinieri. Eravamo oggetto di scherni, risa e fischi. Giunti a Prade trovammo una folla in attesa di assistere all’ultimo atto della commedia, il più interessante.

“Era stato disposto di non farci entrare nel cimitero dalla porta di ingresso considerata ‘benedetta’. Avremmo dovuto scavalcare il muro con la bara per mezzo di due scale, una all’esterno e l’altra all’interno del cimitero. E la gente era lì per vedere come avremmo portato la bara oltre il muro. A questo punto intervenne il messo comunale per chiedere chi aveva dato ordine di fare a quel modo. Gli venne detto che era stato il parroco del paese. Il messo comunale allora disse che le disposizioni del podestà erano di passare per l’entrata del cimitero. E così fu fatto”.

I GRUPPI DI MONTESILVANO, PIANELLA E SPOLTORE

All’inizio degli anni trenta Luigi D’Angelo rientrò a Spoltore, negli Abruzzi, dalla Francia dove aveva conosciuto la buona notizia, e al suo ritorno mostrò amore cristiano a parenti, amici e vicini parlando con loro di ciò che sapeva. Di lui i fratelli che lo hanno conosciuto dicono:

“Era un fratello molto attivo, pieno di zelo. Molte volte partiva in bicicletta e faceva chilometri e chilometri per visitare fratelli lontani, sfidando le innumerevoli difficoltà che il viaggio presentava. È incoraggiante ricordare uno dei suoi viaggi, forse il più lungo, quando con la bicicletta, il più usato mezzo di trasporto privato a quel tempo, scavalcò le montagne dell’Appennino per raggiungere un fratello di Avellino, percorrendo quasi 600 chilometri fra andata e ritorno. Nell’accingersi al viaggio si procurò un bastone e lo legò alla bicicletta, per proteggersi dai lupi che avrebbe potuto incontrare attraversando le montagne. Legò inoltre un cuscino sul sedile della bici e pieno di entusiasmo partì, spinto dal desiderio di godere dell’associazione fraterna così necessaria per tutti noi. La sua opera fu di breve durata perché nel 1936 si ammalò e morì”.

Ma i semi di verità che questo fratello aveva piantato non morirono. Anzi, germogliarono secondo la volontà di Dio, che “fa crescere”. (I Cor. 3:7) E così da quell’unico Testimone sorsero dei gruppi di proclamatori nei comuni di Montesilvano, Pianella e Spoltore, nella provincia di Pescara. Anche questi fratelli dovettero ‘prendere il loro palo di tortura’ e sopportare la persecuzione per seguire Gesù Cristo. — Luca 9:23.

La famiglia Di Censo fu tra coloro che a Montesilvano accettarono il messaggio del Regno. Si erano sbarazzati delle immagini religiose e poco tempo dopo la loro casa divenne un luogo d’incontro per la lettura delle Sacre Scritture. Che accadde allora? La sorella Mariantonia Di Censo, che continua a perseverare fedelmente nella via della verità, racconta:

“Ben presto il clero incominciò ad opporsi organizzando un’imponente processione a cui partecipò l’intero paese. Questa processione sfilò lentamente intorno alla nostra casa. Poi i partecipanti piantarono una croce nei pressi e cominciarono a gridare: ‘Fuori i protestanti! Tornate in chiesa!’ Eravamo divenuti uno spettacolo. Eravamo l’unica famiglia a essere bersagliata. Ma Geova fu il nostro Sostenitore e ci diede la forza per difendere la verità e continuare ad andare avanti”.

Gerardo Di Felice, un altro del gruppo di Montesilvano, ebbe l’opportunità di mettere alla prova la sua fede in diverse circostanze. Una volta, mentre in casa sua si stava tenendo una riunione per studiare la Parola di Dio, irruppe una banda di fanatici fascisti, istigati dal clero, che lo colpirono lasciandolo a terra privo di sensi.

In seguito dovette affrontare il problema della neutralità e lo fece con coraggio e fermezza. Egli ha narrato: “Fui spedito a Bari presso l’ospedale militare e poi a quello psichiatrico di Bisceglie [che lo riformò per ‘psicosi paranoica’]. Mentre mi trovavo in ospedale un giorno una suora, trovandomi la Bibbia sotto il cuscino, me la sequestrò dicendomi che conteneva veleno”.

Il fratello Francesco Di Giampaolo, che faceva l’orologiaio a Montesilvano, racconta: “Un giorno mentre ero intento al mio lavoro una banda di teppisti, istigata dal prete, lanciò una fitta pioggia di dure zolle contro la mia abitazione. Gli inquilini e i vicini uscirono immediatamente dalle loro case gridando: ‘Noi non siamo protestanti!’ Essi furono colpiti, mentre io ne uscii indenne”.

UNA CAMPAGNA LAMPO

La nostra storia ci riporta ora all’anno 1932. Il fratello Martin Harbeck, sorvegliante della filiale svizzera, riteneva che l’opera in Italia avrebbe avuto maggiore impulso se l’ufficio, che fino a quel tempo era stato a Pinerolo, si fosse trasferito in una zona più centrale, presso un centro più importante. Così in quell’anno fu aperto un ufficio a Milano. Il fratello Cuminetti ritenne che in quel periodo di forte persecuzione era poco prudente per lui esporsi troppo trasferendosi in un altro luogo. E preferì continuare a mantenere i contatti con i fratelli clandestinamente, rimanendo a Pinerolo.

Il nuovo ufficio fu aperto in Corso di Porta Nuova 19. Era un appartamento con uffici decorosi e ben arredati. Vi fu assegnata per lavorare come segretaria del fratello Harbeck la sorella Maria Pizzato.

È interessante sapere come la sorella Pizzato conobbe la verità. Ricordate che nei primi anni del secolo La Torre di Guardia veniva diffusa dalle principali rivendite di giornali dei capoluoghi di provincia? Ebbene, negli anni 1903-1904 la madre di Maria Pizzato ne aveva acquistato alcune copie a Vicenza, in Piazza Vittorio Emanuele, presso una fra le principali edicole della città. Maria Pizzato rilesse con maggiore attenzione le riviste soltanto dopo molti anni, nel 1915. Questa volta la lettura suscitò il suo interesse e fu spinta a scrivere a Pinerolo. Dopo una settimana ricevette una lettera dall’allora sorella Clara Cerulli, che le inviò anche alcune pubblicazioni. E così Maria Pizzato incominciò ad apprezzare la vera conoscenza vivificante.

Il nuovo ufficio di Milano fu registrato alla locale Camera di Commercio con la denominazione “Società Watch Tower”, che venne iscritta come società per la stampa e la diffusione di libri e trattati biblici. Il direttore responsabile era il fratello Harbeck. Fu anche aperto un conto corrente postale e affittata una casella postale. Tutto era stato predisposto e con molta fiducia si sperava di poter svolgere un’estesa opera nel territorio della penisola.

Si doveva iniziare l’attività con una campagna per distribuire l’opuscolo Il Regno, la speranza del mondo. Doveva esser fatta così velocemente da sorprendere e anticipare il prevedibile intervento della temibile O.V.R.A. (Opera di vigilanza repressione antifascista). Inoltre, per non causare difficoltà ai pochi fratelli italiani di quel tempo, forse una cinquantina, l’ufficio di Berna dispose di far distribuire l’opuscolo a 20 fratelli della Svizzera, ciascuno dei quali doveva recarsi in una diversa città dell’Italia centro-settentrionale, fino a Firenze, e distribuire l’opuscolo di porta in porta, nelle vie e nelle piazze.

Una copia gratuita dell’opuscolo doveva inoltre essere inviata per posta a tutti i professionisti e gli intellettuali della provincia di Milano. E poiché, secondo le disposizioni allora vigenti, era proibito importare letteratura dall’estero, ne venne affidata la stampa a una tipografia di Milano, l’“Archetipografia”. Tre copie furono sottoposte all’Ufficio Stampa della Prefettura per ottenere la prevista autorizzazione, che venne accordata.

Come avrebbero reagito le autorità politiche ed ecclesiastiche a questo “blitz” teocratico? Tutto era pronto per la data stabilita, qualche giorno prima del 19 marzo, la festa religiosa cattolica di S. Giuseppe. Su questa speciale campagna la sorella Adele Brun, che fu una dei venti Testimoni svizzeri che vi presero parte, scrisse:

“Fui mandata a Torino dove ero attesa dal fratello Boss di Berna. Mi aveva già trovato una stanza. In un magazzino erano depositate diecimila copie dell’opuscolo, confezionate in pacchi. Mi disse di cercare delle giornalaie per farmi aiutare nella distribuzione e così feci. Il lavoro doveva essere fatto alla svelta. Il fratello se ne andò e mi lasciò fare da sola.

“Trovai dodici giornalaie e fu stabilito che avrei dato loro venti lire a testa per distribuire gli opuscoli nella giornata. Scelsi la più esperta come loro capo e le promisi dieci lire in più se avesse diretto bene il lavoro. Avevo pure scelto quattro edicole di giornali come luogo di ritrovo e per il rifornimento di altri opuscoli. Il lavoro procedeva nel migliore dei modi. Si lasciavano gli opuscoli ovunque, inclusi ristoranti e uffici.

“Verso mezzogiorno il padrone del locale dove c’era il deposito degli opuscoli venne a dirmi che l’indomani, festa di S. Giuseppe, avrebbe chiuso. Cosa fare? Aspettare dopo la festa significava dar tempo ai preti di far sequestrare gli opuscoli.

“Alle tre circa del pomeriggio una dopo l’altra le dodici giornalaie ritornarono. Erano stanche e non avevano mangiato nulla. Volevano tornarsene a casa. Io invece andai a comperare qualcosa da mangiare e poi mangiammo tutte insieme. Poi dissi loro: ‘Se finirete il lavoro entro sera, vi darò altre dieci lire’. Furono d’accordo e dopo aver riposato un poco si misero di nuovo al lavoro. Alla fine della giornata avevamo distribuito tutti gli opuscoli”.

Dopo aver partecipato alla campagna anche nella città di Novara, la sorella Brun partì. Il suo racconto dice: “Presi il treno e arrivai a Milano dove avevano sequestrato 200.000 copie dell’opuscolo. Partii quella stessa notte per la Svizzera dove mio marito mi aspettava ansiosamente. Quest’attività fu così fulminea e inaspettata che nessuno dei venti fratelli fu arrestato”.

Si calcola che, nonostante i sequestri, furono distribuiti circa trecentomila opuscoli!

Le reazioni non tardarono. “Appena due o tre giorni dopo l’inizio della campagna”, narra la sorella Pizzato, “i giornali, specialmente quelli clericali, attaccarono furiosamente l’opera. All’ufficio di Corso di Porta Nuova, in cui l’attività era al massimo, da ogni parte d’Italia pervenivano già giornalmente lettere, richieste di libri o chiarimenti.

“A questo punto l’ufficio fu visitato da due funzionari di polizia che intimarono al fratello Harbeck e a me di recarci immediatamente dal capo dell’Ufficio Stampa della Questura. Qui, dopo alcune domande formali, il funzionario ingiunse al fratello Harbeck di chiudere l’ufficio. Concesse la restituzione degli opuscoli sequestrati a condizione che venissero esportati in Svizzera. E dichiarò che tali disposizioni venivano prese esclusivamente per salvaguardare il prestigio e la dignità della Chiesa Cattolica in virtù dei Patti Lateranensi”.

Con la chiusura dell’ufficio di Milano, avvenuta soltanto pochi mesi dopo la sua apertura, restava il fratello Cuminetti a Pinerolo che continuò la sua paziente e clandestina opera di corrispondenza con i fratelli. Inviava loro qualche pubblicazione, qualche lettera e, quando poteva, faceva qualche visita per incoraggiarli nell’opera del Signore.

Nel 1935 egli trasferì la sua attività clandestina da Pinerolo a Torino, in Via Borgone 18, dove si era stabilito. Vi abitò fino alla morte, avvenuta il 18 gennaio 1939, a seguito di un intervento chirurgico, quando non aveva ancora cinquant’anni. Egli diede testimonianza fino all’ultimo ai medici e agli infermieri. Probabilmente la morte gli risparmiò un’altra “odissea” durante la seconda guerra mondiale. Altri Testimoni avrebbero avuto il privilegio di mostrare lealtà a Geova durante la grande persecuzione.

LA GRANDE PERSECUZIONE

Con la dichiarazione di guerra all’Etiopia nel 1935 e l’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale nel giugno del 1940, si accentuò ancora di più la persecuzione contro i pochi Testimoni nel paese. E naturalmente divenne sempre più difficile per i fratelli mantenere la propria neutralità.

La filiale svizzera tentò in qualche modo di mantenere i contatti con i proclamatori del Regno e nel 1939 incaricò la sorella Adele Brun di visitare quelli dell’Italia centrale e settentrionale. Essa fece queste visite in un periodo di tre settimane. I fratelli tuttora viventi ricordano con piacere l’incoraggiamento che ricevettero da quella edificante visita. Non appena rientrata in Svizzera, la sorella Brun seppe da sua sorella Albina, rimasta vedova, che la polizia l’aveva ricercata.

Anche se i proclamatori erano pochi e sparsi, fu organizzata l’opera di predicazione clandestina, particolarmente dal fratello Martinelli. La letteratura entrava in Italia per mezzo di persone che si recavano in Svizzera per motivi di lavoro e che alla sera rientravano portando letteratura ben nascosta.

Inoltre il fratello Harbeck si incontrò segretamente con la sorella Pizzato e la incaricò di mettersi in comunicazione con i fratelli rimasti privi di collegamento dopo la morte del fratello Cuminetti. L’ufficio di Berna le fornì gli indirizzi, circa cinquanta. La letteratura che la sorella Pizzato doveva spedire era stata depositata a Milano presso una donna che pareva interessata, figlia di una sorella cristiana deceduta, ma che invece collaborò in qualche modo con la polizia. La sorella Pizzato narra:

“Questa nuova fase dell’opera fu di brevissima durata. Iniziammo nel settembre del 1939 con l’invio di piccoli pacchi del peso non superiore ai tre chilogrammi, per i quali, secondo le disposizioni in materia postale in vigore a quel tempo, non esisteva l’obbligo di indicare l’indirizzo del mittente. Confezionavo i pacchi la sera, e la mattina, prima di recarmi al lavoro, andavo a portarli in uffici postali diversi per non dare nell’occhio”.

Ma accadde qualcosa che scatenò la persecuzione contro i Testimoni. Il 28 ottobre 1939 uno di questi pacchetti sfortunatamente fu aperto da un impiegato delle poste di Montesilvano. Conteneva alcuni opuscoli e due copie del libro Nemici. Fu immediatamente consegnato alla polizia che fece delle indagini ed accertò senza difficoltà la provenienza del pacco, sebbene non vi fosse indicato il mittente. Questo pacchetto era indirizzato alla sorella Mariantonia Di Censo, la quale fu arrestata il giorno dopo. Quindi il 1° novembre alcuni membri dell’O.V.R.A., la polizia fascista, andarono a casa della sorella Pizzato, che racconta:

“Era di buon mattino. La polizia fece irruzione nel mio domicilio in Via Vincenzo Monti 28 a Milano. Erano in sette, un commissario e sei agenti. Invasero la stanza e brutalmente mi comandarono di alzare le mani, come fossi un pericoloso bandito. Trovarono il corpo del reato: si trattava di Bibbie, libri e opuscoli biblici!”

Nell’appartamento della sorella Pizzato l’O.V.R.A. era riuscita a trovare gli indirizzi di vari fratelli. Così la polizia fece dei veri e propri “raid” nelle loro case. Dal mese di ottobre ai primi di dicembre del 1939 circa trecento persone furono interrogate dalla polizia e fra queste anche persone che semplicemente erano abbonate alla Torre di Guardia o erano in possesso di pubblicazioni della Watch Tower Society. Circa 120-140 fra uomini e donne furono arrestati e condannati, fra cui 26 fratelli che furono processati davanti al Tribunale Speciale, poiché ritenuti i maggiori responsabili.

Guerino D’Angelo, che faceva parte di quest’ultimo gruppo, narra come venne arrestato: “Seminavo il grano per una famiglia di fratelli, i cui uomini si trovavano già in prigione. Erano rimasti a casa solo i vecchi e i bambini. Vennero gli agenti, e mi ordinarono di lasciare la seminatrice lì dov’era. Mi portarono in prigione, dove fui percosso duramente”.

Vincenzo Artusi narrava: “Il 15 novembre 1939, mentre scendevo le scale di casa per andare a lavorare, mi trovai davanti a due della polizia. Mi chiesero se ero io Artusi. Alla risposta affermativa, mi fecero rientrare in casa che perquisirono da cima a fondo rovesciando tutto e aprendo i cassetti per trovare le prove della mia colpa. Finalmente riuscirono ad avere quello che cercavano: la Bibbia e il libro Nemici. Mi portarono via senza lasciarmi il tempo di abbracciare e baciare i miei tre bambini. Mi portarono al commissariato, in una stanza piena di poliziotti dove fui sottoposto a un interrogatorio di tre ore”.

La sorella Albina Cuminetti, da poco rimasta vedova, fu arrestata e successivamente condannata dal Tribunale Speciale. In seguito scrisse:

“Fui arrestata e portata in prigione in automobile. Nella macchina con me c’erano due agenti di pubblica sicurezza, un commissario e un alto funzionario del Ministero dell’Interno. Mi venne da sorridere mentre mi portavano via, al pensiero che per arrestare una donna così debole si fossero dovuti muovere quattro uomini, due dei quali così importanti. Non ne ebbi timore, anzi parlai loro con ardore del regno di Dio. Si misero a ridere. Ma io dissi che non deridevano me, bensì la Parola di Geova Dio che non si lascia deridere impunemente. E aggiunsi che il loro sarcasmo si sarebbe trasformato in amarezza. Infatti il commissario e il funzionario, caduto il fascismo, morirono in prigione”.

IL GOVERNO FASCISTA PRENDE MISURE SPECIALI

È stato già narrato che la persecuzione dei veri cristiani si fece sempre più intensa dopo il 1935. Perché?

In data 9 aprile 1935 la Direzione Generale dei Culti del Ministero dell’Interno diramava una circolare sulle “Associazioni pentecostali”. A quel tempo le autorità non avevano ancora correttamente identificato l’opera dei testimoni di Geova e ritenevano che essi fossero comunità di “pentecostali”. Con questa circolare indirizzata ai prefetti delle province si intimava l’immediato scioglimento di queste associazioni le cui attività erano ritenute “contrarie all’ordine sociale e nocive all’integrità fisica e psichica della razza”.

In data 22 agosto 1939 veniva diramata un’altra circolare, la n. 441/027713 con oggetto “Sette religiose dei pentecostali ed altre”, che diceva in parte:

“Da vari anni si è constatata l’esistenza in Italia di particolari sette religiose evangeliche, importate dall’estero, ma specialmente dagli Stati Uniti d’America, le cui dottrine sono contrarie ad ogni ordine costituito. . . .

“I ‘pentecostali’ sono attivissimi e tenaci propagandisti e, dopo i provvedimenti adottati contro di loro, cercano di riunirsi in qualsiasi località, anche in piena campagna, ma generalmente in casa di qualche adepto, sia di giorno che di notte, per sfuggire alla vigilanza delle autorità. . . .

“Recentemente si sono verificati alcuni casi di individui richiamati alle armi che si sono rifiutati di sparare alle esercitazioni del tiro a segno, perché, quali ‘pentecostali’, era loro vietato, per precetto religioso, l’uso delle armi. . . .

“È necessario quindi contrastare col massimo vigore tali sette. . . .

“A tale fine si prega di fare eseguire accurate indagini per accertare l’esistenza nelle rispettive provincie di nuclei della setta dei ‘pentecostali’ o di altre sette simili, procedendo contro di essi a termine di legge, nel caso che i componenti siano sorpresi in riunioni per pratiche rituali o in attività propagandistica e richiedendo istruzioni al Ministero, per gli opportuni provvedimenti, negli altri casi. Si raccomanda inoltre di sottoporre ad assidua vigilanza coloro che sono già conosciuti quali aderenti alle sette in questione, facendoli anche sottoporre a perquisizione personale e domiciliare, ogni volta che diano luogo a sospetti, per accertare se detengono stampe destinate alla propaganda e per accertare anche se si tengono in relazione con correligionari a scopo di culto. . . .

“Tutti gli opuscoli finora sequestrati ai seguaci della setta dei ‘pentecostali’ sono traduzioni di pubblicazioni americane, di cui è quasi sempre autore un certo J. F. Rutherford e figurano editi dalla ‘Watch Tower Bible and Tract society - international bible students association - Brooklyn, N. J., U.S.A.’ . . . Detti opuscoli portano i seguenti titoli: [Segue un elenco di pubblicazioni edite dalla Watch Tower].

“Di tali opuscoli ed altri consimili deve essere impedita l’introduzione e la circolazione nel Regno.

“È da osservarsi in ultimo che, pur avendosi, come si è detto, una precisa cognizione soltanto dell’esistenza della setta dei ‘pentecostali’, si è parlato di ‘sette’ e non di ‘setta’, perché i suddetti opuscoli danno la sensazione che esistano altre sette o correnti settarie del genere in seno alle varie religioni evangeliche riconosciute . . . ”

Furono dunque le disposizioni impartite con questa circolare a sollevare l’ondata di arresti che, alla fine del 1939, causarono l’imprigionamento in massa dei testimoni di Geova.

RAPPORTO SUI TESTIMONI

L’Ispettore Generale di Pubblica Sicurezza di Avezzano (L’Aquila), dott. Pasquale Andriani, seguendo le istruzioni della citata circolare effettuò indagini a seguito delle quali, in data 12 gennaio 1940, inviava un rapporto al Procuratore Generale presso il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, e, per conoscenza, al Capo della Polizia. Oggetto del rapporto era la “SETTA RELIGIOSA ‘Testimoni di Geova’”. Eccone alcuni punti salienti:

“L’ON.LE Ministero dell’Interno con circolare dell’agosto scorso, impartiva disposizioni per la identificazione dei componenti tali sette che, entrando con la loro attività nel campo politico debbono essere considerate e trattate alla pari dei partiti politici sovversivi.

“In esecuzione di tali ordini quest’Ufficio ha sentito il dovere di approfondire le indagini per vedere chiaro fra queste sette, che in alcune provincie del Regno costituiscono nuclei alquanto compatti. . . . La [setta dei Testimoni di Geova] costituisce un particolare pericolo dal punto di vista politico. . . .

“In breve si può dire che il DUCE è paragonato [dall’opuscolo ‘Avvertimento’] al mostro Goliath e che ‘la odiosa mostruosità di oggi è il Regime Totalitario sotto un dittatore assoluto ed arbitrario’ il quale, sostenuto dalla Chiesa Romana ‘la grande meretrice’ dopo aver soggiogato il popolo italiano ha intrapreso la guerra di conquista in Etiopia che è costata tante vite umane . . .

“Ma il fenomeno più grave è quello che deriva dal rispetto del precetto cristiano ‘non uccidere’ perché i componenti la setta credono che per nessun motivo debbano impugnare le armi.

“Si sentono, quindi, dispensati da ogni dovere militare: i giovani non prendono parte ai corsi premilitari, e, se condannati per tale inosservanza dopo espiata la pena, si rifiutano nuovamente di frequentare”.

Il rapporto parla anche di una circolare che la sorella Pizzato aveva inviato ai fratelli e ne cita alcuni brani: “Con detta circolare, della quale sono stati sequestrati parecchi esemplari e di cui allego copia . . . , dopo aver informati i credenti che occorreva non privarli ‘del nutrimento spirituale tanto necessario in questi tempi di calamità’ si comunicava che era stato istituito a Milano un recapito a cui bisognava rivolgersi per richiedere ‘la letteratura’ e per rinnovare gli abbonamenti del periodico ‘La Torre di Guardia’. Si rendeva anche noto, che, ‘date le difficoltà che vi sono nel nostro paese’ occorreva usare ‘molta prudenza’ e le ordinazioni si dovevano fare con linguaggio convenzionale, per cui il titolo di ogni libro doveva essere indicato con un gruppo di cifre o lettere: ‘Nemici’ 1-33-1; ‘Avvertimento’ 2-44-2; ‘Il Regno’ 3-55-3; ‘Torre di Guardia’ T.d.G.”.

SMASCHERATI GLI ISTIGATORI

Le autorità agivano contro di noi senza incertezze. Ma perché? Chi aveva realmente promosso la campagna di arresti? Il succitato rapporto, parlando della chiusura dell’ufficio di Milano, affermava esplicitamente: “L’ufficio, dopo pochi mesi dal suo funzionamento, venne chiuso dalla Questura di Milano, per l’intonazione antifascista dei libri distribuiti ed anche per la reazione del clero cattolico”. [Il corsivo è nostro]

Il rapporto proseguiva denunciando le responsabilità a carico dei 26 Testimoni arrestati perché ritenuti i maggiori responsabili del movimento religioso in Italia.

Che il clero cattolico fosse l’istigatore dell’azione del governo fascista contro i testimoni di Geova è ulteriormente provato dalle false accuse contenute in un articolo pubblicato dalla rivista cattolica Fides del febbraio 1939. Questo articolo, sottoscritto da un anonimo “sacerdote in cura d’anime”, affermava:

“Rutherford [il secondo presidente della Watch Tower Society] . . . mina i principi basilari, che reggono le nazioni ed i popoli, preparando gli animi per una prossima rivoluzione mondiale, che ha lo scopo di rovesciare le religioni tutte ed in principal modo la Chiesa Cattolico-Romana ed i regni e governi tutti, per poi introdurre nel mondo l’utopia comunista atea . . . Il movimento dei testimoni di Geova è comunismo ateo e aperto attentato alla sicurezza dello Stato”.

Come potevano le autorità fasciste ignorare le accuse del clero così altamente stimato e non perseguitare i testimoni di Geova accusati di voler ‘rovesciare i regni e i governi’ e “introdurre nel mondo l’utopia comunista atea”?

L’OPERA DEFINITIVAMENTE MESSA AL BANDO

A seguito di questo rapporto il Ministero dell’Interno diramava un’altra circolare, l’ultima, con la quale i testimoni di Geova, questa volta chiaramente identificati, venivano messi al bando. Era la circolare n. 441/02977 del 13 marzo 1940, con oggetto “Setta religiosa dei ‘Testimoni di Geova’ e ‘Studenti della Bibbia’ ed altre sette religiose i cui principi sono contrari alle nostre istituzioni”. Essa affermava:

“Dopo la diramazione della circolare di questo Ministero 22 agosto 1939, n. 441/0297713, sono state intensificate le indagini per la precisa identificazione di quelle sette religiose, fondate su dottrine contrarie agli ordinamenti dello Stato, che si differenziano dalla già nota setta dei ‘pentecostali’.

“Da tali indagini è risultato che la ‘Watch Tower Bible and tract Society - international bible students association - Brooklyn New York - U.S.A.’ . . . è una setta evangelica per sé stante, detta comunemente dei ‘testimoni di Géova’ o degli ‘Studenti della Bibbia’, la cui figura è stato possibile delineare con esattezza attraverso l’interrogatorio di numerosi settari arrestati e l’esame degli scritti ad essi sequestrati. . . .

“Unica legge, per i ‘testimoni di Géova’, è la legge di Dio; tuttavia essi ammettono l’osservanza anche delle leggi civili quando non siano in contrasto con la legge divina. . . .

“I ‘testimoni di Geova’ proclamano che il Duce ed il fascismo sono emanazioni del demonio e costituiscono fenomeni già previsti nel libro dell’Apocalisse e che, come in tale libro è profetizzato, dopo momentanee vittorie dovranno infallibilmente cadere. . . .

“Nessun mezzo quindi deve essere trascurato per reprimere ogni conato di attività della setta e poiché questa si alimenta delle stampe pubblicate dalla ‘Watch Tower’, pregasi di impartire rigorose disposizioni perché tali stampe ogni volta che sia possibile rintracciarle siano sequestrate e siano intercettate qualora venissero spedite per posta”. *

DAVANTI AL TRIBUNALE SPECIALE

Il Tribunale Speciale fascista era stato istituito dopo un attentato a Mussolini, avvenuto a Bologna nell’ottobre del 1926. Era uno dei tanti provvedimenti presi per la repressione antifascista. Ufficialmente venne chiamato “Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato” e svolse la sua attività dal 1927 al 1943. Emise oltre cinquemila sentenze, incluse 42 condanne a morte (di cui 31 eseguite). La sua sede era presso il Palazzo di Giustizia a Roma.

Era il 19 aprile 1940. Nell’austera aula del Palazzo di Giustizia i giudici erano assisi nell’imponente banco semicircolare. Fra di essi c’era il temuto presidente, Tringali Casanova. Gli imputati, 4 donne e 22 uomini, questi ultimi ammanettati, erano seduti di fianco nel banco loro riservato, sorvegliati da alcuni carabinieri. Si stava ripetendo ciò che nell’antica Roma veniva fatto contro i veri cristiani.

La sorella Pizzato racconta: “Il processo non era altro che una farsa. Fu celebrato in una sola giornata. Evidentemente le condanne erano prestabilite. Ricordo un particolare che ora dopo tanti anni mi sembra quasi divertente. Quando fui chiamata per prima davanti alla corte, la grande tensione nervosa che provavo mi fece scattare come una freccia in direzione del presidente. Evidentemente temendo qualche atto di violenza o degli insulti, i carabinieri di guardia, allarmati, mi corsero dietro e mi tennero a distanza. Il principe Tringali Casanova, che fungeva da presidente della corte, era livido!

“La difesa era stata affidata d’ufficio ad alcuni avvocati del foro romano. Debbo dire che sostennero buone tesi difensive e con tale ardore da indurre il presidente a chiedere ad uno di loro, con evidente sarcasmo, se per caso si fosse convertito alla religione dei testimoni di Geova!”

I sette avvocati della difesa fecero del loro meglio, anche se non poterono evitare che i fratelli fossero condannati. Uno di loro ebbe il coraggio di chiamare i 26 Testimoni “il fior fiore della nazione italiana”. Un altro avvocato affermò: “Se il regime fascista è così forte, perché ha paura di queste persone?” Un altro disse: “Questo processo me ne rammenta un altro di 1900 anni fa, quando Pilato chiese ‘cos’è verità’” e con un gesto verso i fratelli aggiunse: “Questi dicono la verità, e volete condannarli; questa brava gente invece dovrebbe essere approvata per la sua fede”. Un altro avvocato dichiarò: “Sono in 26 e parlano con una sola bocca poiché hanno un solo Maestro”. — Giov. 18:33-38.

Di fronte al Tribunale i fratelli furono forti e coraggiosi, sebbene alcuni, a causa delle minacce da parte di chi li aveva interrogati, temessero persino di subire la condanna a morte. Il fratello Guerino D’Angelo narra:

“Solo uno di noi 26 imputati fu sopraffatto dal timore dell’uomo e fece compromesso. Firmò una dichiarazione di sottomissione allo Stato fascista, che fu letta da un giudice. Ma non per questo evitò la condanna. Il giudice rivolto ai fratelli disse: ‘Costui non è buono né per noi, né per voi’. In seguito questa persona abbandonò la verità e fu uno dei pochi a non mantenere l’integrità”.

Furono tutti condannati da un minimo di 2 anni di reclusione ad un massimo di 11 anni, per un totale di 186 anni e 10 mesi. La sentenza di questo Tribunale era definitiva, quindi inappellabile. I fratelli condannati rimasero in prigione fino alla caduta del fascismo. Salvo qualche eccezione, ne vennero fuori dopo l’agosto del 1943.

Il volume Aula IV - Tutti i processi del Tribunale Speciale fascista (La Pietra 1976, su licenza dell’ANPPIA, Milano) riporta la sentenza n. 50 del 19 aprile 1940, relativa ai 26 testimoni di Geova, commentando:

“Sorto negli USA, si diffonde in Italia un movimento religioso denominato ‘Testimoni di Geova’. I suoi componenti subiscono continue persecuzioni ad opera del fascismo, ma essi continuano a proclamare la propria avversione alla guerra, rifiutano di impugnare le armi contro chicchessia, considerano il regime fascista ‘emanazione di Satana’. La maggiore ondata di arresti ha luogo nell’autunno del 1939. (Costituzione di associazione antinazionale, appartenenza alla stessa, propaganda, offese al ‘duce’ e al papa)”.

Un’idea delle accuse mosse contro i fratelli si può avere da un certificato generale rilasciato in seguito alla sorella Pizzato dalla Procura del Re di Vicenza. Essa era stata condannata in base a cinque capi d’accusa: “Anni cinque di reclusione per cospirazione politica mediante associazione; anni uno reclus. per offese all’onore ed al prestigio del Duce del Fascismo Capo del Governo; anni due reclus. per offese al Sommo Pontefice; anni uno reclus. per offese all’onore del Capo dello Stato Estero [Hitler] ed anni due di reclusione per offese al prestigio del Re imperatore”.

Dato che su 26 imputati in questo processo 13 erano abruzzesi, il libro Abruzzo, un profilo storico di Raffaele Colapietra (Rocco Carabba editore), afferma: “[In Abruzzo] nessun partito politico, neppure i comunisti, raccolsero dinanzi al regime un gruppo così numeroso e tanto duramente colpito come questi miti ed innocui popolani della Riviera”.

FRATELLI IN PRIGIONE

Le esperienze dei fratelli che nel periodo bellico subirono imprigionamenti, oltre a fornire esempi di fede e coraggio, mostrano come in quei difficili momenti l’amorevole aiuto di Geova non mancò mai loro. Essi continuarono zelantemente a parlare ad altri della “buona notizia” anche in prigione. E anche lì dovettero affrontare i soprusi del clero.

Santina Cimorosi di Roseto degli Abruzzi, che al tempo del suo arresto nel 1939 aveva 25 anni, narra:

“Ci portarono in caserma. Dissero che eravamo pericolosi per lo Stato perché non volevamo sostenere la guerra. Misero mio padre [Domenico Cimorosi] in una cella e me in un’altra. Le celle erano buie. Il carabiniere accese una pila per farmi vedere che c’era un tavolaccio per dormire. Poi mi chiuse dentro. Quando sentii il rumore del catenaccio mi venne una crisi di nervi e di paura. Cominciai a piangere. Mi inginocchiai e gridai, chiamando Geova ad alta voce. Poco dopo la paura mi passò. Non piangevo più. Geova aveva ascoltato la mia preghiera e mi diede forza e coraggio. Allora compresi che se Egli non mi avesse ascoltata non sarei stata nulla. Pregai tutta la notte. La mattina dopo mi portarono al carcere di Teramo. Misero me in una cella con Caterina Di Marco, e mio padre insieme ad altri tre fratelli: eravamo in sei.

“Ogni tanto ci interrogavano cercando di scoprire chi fossero i nostri ‘capi’. Mi domandavano spesso: ‘Sei ancora testimone di Geova?’ Ed io naturalmente rispondevo sempre di ‘Sì’. Cercavano di intimorirmi dicendo che non mi avrebbero fatta più uscire dalla prigione. Ma avevo molta fiducia in Geova e nella sua potenza. In seguito fecero, proprio per me, un altare davanti alla porta della mia cella. Per qualche settimana il prete continuò a celebrarvi la Messa e apriva la porta della cella per vedere se io volevo ritornare alla Chiesa Cattolica, o con la speranza che io disturbassi la funzione per farmi condannare ad una pena maggiore. Ma io me ne stavo seduta dentro la mia cella come se fuori non accadesse nulla. Ringrazio Geova che mi fece agire con sapienza senza commettere errori. Qualche tempo dopo, visto il mio comportamento, tolsero l’altare e il prete non venne più”.

Il fratello Dante Rioggi, che aveva appreso la verità dal fratello Marcello Martinelli, ha raccontato: “Nel carcere non potevo corrispondere né con i familiari, né con altri. Mi furono sequestrati letteratura, soldi, orologio. Da novembre [del 1939] alla fine di febbraio dovetti stare in cella a battere i denti dal freddo perché oltre a non esserci il riscaldamento, la finestra della cella era senza vetri. Non potevo neppure cambiarmi gli indumenti. Mi ridussi in uno stato miserabile, ripugnante, ed ero pieno di pidocchi. Due o tre volte vennero dei preti per dirmi che se ritornavo alla religione dei miei genitori sarei stato subito liberato. Facendo domanda alla Questura ottenni una Bibbia. E mi feci coraggio leggendo gli esempi degli uomini di fede che rimasero leali a Geova anche a costo della vita e come Geova li aveva benedetti. Anche la preghiera rafforzava la mia fiducia nelle promesse di Geova”.

Il fratello Domenico Giorgini, che è fedele nel servizio cristiano da oltre 40 anni e serve come sorvegliante in una congregazione in provincia di Teramo, ricorda: “Era il 6 ottobre 1939. Mentre raccoglievamo i primi frutti della nuova vigna, vidi arrivare a casa due brigadieri dei carabinieri con una camionetta. Mi portarono nuovamente al carcere di Teramo dove mi trattennero per cinque mesi. Fui poi condannato a 3 anni di confino da scontare nell’isola di Ventotene. Vi trovai altri cinque fratelli. Eravamo insieme a circa 600 prigionieri politici. Fra questi c’erano alcune personalità politiche molto note, compreso l’attuale Presidente della Repubblica. Ebbi il privilegio di dare loro testimonianza intorno a regno di Dio. Poiché molti prigionieri politici erano considerati dal governo fascista particolarmente pericolosi, l’isola era rigorosamente sorvegliata all’esterno da un motoscafo dotato a poppa di una mitraglia pronta a far fuoco su chiunque avesse tentato la fuga”.

SORELLE IN PRIGIONE

La sorella Mariantonia Di Censo, condannata a 11 anni di reclusione dal Tribunale Speciale, racconta: “Non dimenticherò mai le parole del giudice istruttore al cancelliere: ‘Ho letto tutta la loro letteratura per vedere di che cosa si trattasse. Ho esaminato i 26 imputati. Sono tutti coerenti con se stessi e sono tutti disposti a discolpare l’altro accusando se stessi. La cosa non è grave come si pensava. I preti hanno fatto troppo chiasso’”.

La sorella Di Censo scontò la sua pena presso il carcere di Perugia. Un’altra sorella detenuta nel carcere di Perugia era Albina Cuminetti, che morì fedele alla chiamata celeste nel 1962. In una relazione si legge: “Una volta una detenuta chiese ad Albina cosa avesse commesso. Albina rispose: ‘Niente, siamo qui perché non vogliamo uccidere’.

“‘Cosa!’, esclamò la donna. ‘Perché non volete uccidere? E a quanti anni è stata condannata?’

“‘A undici anni’, rispose la sorella Cuminetti.

“E la detenuta: ‘Ma cosa dice! A lei che non vuole uccidere hanno dato undici anni e a me che ho ucciso mio marito ne hanno dati dieci. Non ci capisco niente. O sono pazza io, o sono pazzi quelli di fuori!’”

“Un giorno”, prosegue il racconto, “Albina ebbe la possibilità di parlare della verità col direttore del carcere in presenza di una suora addetta alla sorveglianza”.

LETTERA DEL DIRETTORE DELLA PRIGIONE

Quando nel 1953 la sorella Cuminetti si ritrovò ad un congresso insieme alle altre tre sorelle compagne di prigionia, scrisse insieme a loro una lettera al direttore della prigione di Perugia. Ed egli, che nel frattempo si era trasferito ad Alessandria, le rispose in data 28 gennaio 1954 con questa significativa lettera:

“Gentile Signora,

“Grazie delle buone espressioni a mio riguardo e sono felice di sapere che ancora una volta vi siete ritrovate tutte in un Congresso a Roma, che un giorno vi vide condannate per un ‘reato inesistente’, per cantare le lodi del Vostro Dio Geova.

“Se avrà occasione di parlare o di essere, come credo, in corrispondenza con le altre che tanto soffrirono per solo amore della Divinità, a cui credevano e credono, mi usi la cortesia di salutare tutte per me, che sempre vi ricordo ammirando la vostra fede e la vostra forza d’animo.

“Grazie del libro che vorrà mandarmi e mi creda suo

Dott. Antonio Paolorosso

Direttore Superiore Stabilimenti Penali di Alessandria”

“La provata qualità della vostra fede”, scrisse l’apostolo Pietro, è “di valore assai più grande dell’oro”. (1 Piet. 1:7) I fratelli che hanno mantenuto la loro integrità durante le prove riconoscono che esse li hanno veramente rafforzati.

LA NEUTRALITÀ, UNA PROTEZIONE

Come in altri paesi, la condotta neutrale è servita di protezione per i fratelli in Italia. A questo proposito Aldo Fornerone, un fedele fratello ora 77enne, che durante la seconda guerra mondiale è stato in prigione e al confino, narra questa esperienza:

“[Verso la fine della guerra] ci trovammo sotto il controllo dei nazisti in ritirata. Durante un loro rastrellamento entrarono in casa tre militari tedeschi. Il graduato vide sul tavolo la Bibbia e appeso al muro un quadro che raffigurava la scena di Isaia 11:6-9: un lupo, degli agnellini, un leone, un capretto ed un vitello, insieme a un piccolo bambino. Egli chiese in lingua tedesca: ‘Bibelforscher?’, ossia ‘Studenti biblici?’ Accennai di sì col capo.

“Allora in francese si rivolse a mia moglie chiedendo da mangiare e diede ordine ai suoi uomini di chiudere la porta e di non muoversi. Sempre in francese disse: ‘Ho rassicurato i miei uomini dicendo loro che siete testimoni di Geova, le uniche persone al mondo dalla quali non abbiamo nulla da temere’. E proseguì dicendo che aveva dei parenti Testimoni nei lager in Germania. Mentre questi soldati mangiavano, fuori si sparava; molte case vennero incendiate e numerosi civili furono uccisi. Terminato il rastrellamento questi soldati se ne andarono dal paese e il graduato ci salutò dandoci la mano.

“Poco dopo venne a casa un comandante dei partigiani con sedici uomini. Mi chiese: ‘Come mai non ti hanno portato via come gli altri civili?’ Egli mi conosceva e sapeva che ero stato in prigione e al confino per non aver preso parte alla guerra. Quindi ascoltò insieme agli altri la mia testimonianza e accettarono l’opuscolo Conforto per il popolo. Anch’essi, come i soldati tedeschi, dopo aver mangiato e bevuto se ne andarono. Il comandante disse ai suoi uomini: ‘Se tutti avessero fatto come lui non saremmo stati cacciati come lepri e ora non ci troveremmo nei guai’. Da allora ho apprezzato ancor più l’importanza di mantenersi neutrali”.

L’AIUTO DEI FRATELLI

Molti fratelli messi in prigione furono costretti ad abbandonare moglie e bambini in tenera età lasciandoli soli a casa. In che modo furono aiutati? Il racconto di Vincenzo Artusi dice:

“Fui inviato al confino per un anno. Ero preoccupato per mia moglie e i tre piccoli, perché temevo che il clero avrebbe approfittato della mia assenza per influire religiosamente su di loro. Ma Dio li salvaguardò perché, con l’aiuto dei fratelli liberi, la mia famiglia fu sostenuta materialmente e spiritualmente, tanto che mia moglie lasciò definitivamente la Chiesa Cattolica. Le visite amorevoli dei fratelli l’avevano edificata”.

L’OPERA CONTINUA MALGRADO LA GUERRA

Nel 1943 avvenne la caduta del fascismo e quell’anno la maggioranza dei fratelli furono rilasciati. Ma la guerra infuriava ancora in tutta la penisola. Mentre gli Alleati avanzavano dal sud, le truppe naziste si ritiravano lentamente a nord lasciando dietro di sé morte e desolazione.

Anche mentre si combatteva ancora la guerra furono fatti tentativi per riprendere i contatti con i pochi fratelli rimasti nelle loro case e che godevano di una relativa libertà. Agostino Fossati, un fratello rimasto fedele sino alla sua morte avvenuta nel 1980, era stato espulso dalla Svizzera a causa della verità. Negli anni 1940-1941 fece il possibile per corrispondere con alcuni fratelli inviando loro varie pubblicazioni e articoli della rivista Torre di Guardia, che egli stesso traduceva dal francese. Fu arrestato nel gennaio del 1942 e poi mandato al confino.

Qualche tempo dopo si rifugiò in Italia il fratello Narciso Riet. Egli era nato in Germania da genitori italiani della provincia di Udine. Viveva in Germania a Mülheim an der Ruhr ed era ricercato dalla Gestapo perché si adoperava per introdurre clandestinamente La Torre di Guardia nei campi di concentramento. Sapendo di essere in pericolo, con l’aiuto di un fratello ferroviere poté raggiungere sua moglie che da poco si era stabilita a Cernobbio, sul lago di Como, vicino al confine svizzero.

Riet ricevette dalla filiale svizzera l’incarico di tradurre dal tedesco in italiano la rivista Torre di Guardia che doveva far recapitare ai fratelli. Per evitare che la polizia intercettasse la corrispondenza, le consegne dovevano essere fatte a mano ai fratelli meno lontani del centro e del nord Italia.

Il fratello Riet acquistò una macchina per scrivere e si accinse subito a tradurre gli articoli principali delle riviste. Era coadiuvato dal fratello Agostino Fossati, appena tornato dal suo anno di confino, e in seguito dalla sorella Maria Pizzato quando fu rilasciata nel 1943. Le riviste venivano introdotte in Italia clandestinamente. Gli articoli tradotti venivano riprodotti in ciclostile e consegnati al fratello Fossati che faceva da corriere. Egli fece viaggi a Pescara, Trento, Sondrio, Aosta e Pinerolo. Per portare il cibo spirituale ai fratelli rischiò continuamente l’arresto e l’imprigionamento.

Dopo l’arrivo della sorella Pizzato, i nazisti con l’aiuto dei fascisti scoprirono l’abitazione del fratello Riet. La sorella Pizzato narra: “Un giorno a fine dicembre la casa fu circondata e un ufficiale delle SS col suo seguito vi fece irruzione. Egli puntò la rivoltella contro Narciso e lo arrestò. Fece perquisire la casa e trovò le prove del reato: due Bibbie e alcune lettere! Narciso fu ricondotto a tappe in Germania e rinchiuso nel campo di concentramento di Dachau, dove subì delle torture inaudite. Fu tenuto per molto tempo legato alla catena come un cane, in una cella stretta e bassa, dov’era costretto a stare rannicchiato giorno e notte. Sopportò molte sofferenze in un campo di concentramento dopo l’altro, e prima che gli Alleati entrassero in Berlino fu soppresso insieme ad altri sventurati prigionieri. Nessuno ha mai trovato le sue spoglie”.

La sorella Pizzato continuò il lavoro iniziato dal fratello Riet, e quando il fratello Fossati fu nuovamente arrestato lei stessa dovette consegnare il cibo spirituale. Faceva circa 70 copie degli articoli tradotti e, finché fu possibile viaggiare, le consegnava personalmente.

Quando a causa dei bombardamenti tutte le vie di comunicazione furono interrotte, volle tentare di inviare per posta l’articolo principale apparso sulla Torre di Guardia del 1° gennaio 1945 (edizione inglese) ai fratelli di Castione Andevenno (Sondrio). Se non che l’articolo fu intercettato e consegnato alla polizia. Ancora una volta la sorella Pizzato fu fermata e sottoposta a interrogatorio. Fu però lasciata libera, e ne approfittò per abbandonare la zona, evitando così di coinvolgere altri. Quella stessa notte, dopo aver eliminato tutte le prove dell’attività svolta dal dicembre 1943 al marzo 1945, grazie all’aiuto di persone amiche si rifugiò in Svizzera insieme alla sorella Riet rimasta vedova.

Al termine del conflitto tutti i rifugiati dovettero rientrare in Italia e le due sorelle tornarono a Cernobbio. La sorella Pizzato fu incaricata dalla filiale svizzera di riprendere nuovamente i contatti con i fratelli. Il fascismo era stato spazzato via definitivamente e la guerra era terminata. I fratelli, così duramente provati, erano grati a Geova e pieni di zelo. Pochissimi erano caduti vittime dei trabocchetti tesi dal Diavolo. Ora si apriva dinanzi a loro una grande porta che doveva condurli a un’enorme attività. — I Cor. 16:9.

RIORGANIZZATA L’OPERA E APERTA LA FILIALE

Verso la fine del 1945 il fratello Nathan H. Knorr, presidente della Watch Tower Society, e il suo segretario il fratello Milton G. Henschel visitarono l’Europa. La sorella Pizzato fu invitata dalla filiale svizzera a recarsi a Berna per fare al fratello Knorr un rapporto sull’attività in Italia. Su quell’incontro la sorella Pizzato riferisce:

“Il fratello Knorr vide la necessità di fare stampare al più presto degli opuscoli in italiano per poter riprendere l’opera di predicazione. Perciò, in attesa di poterli ricevere dagli Stati Uniti, diede disposizioni di trovare una tipografia a Milano o a Como a cui affidare la stampa di alcuni opuscoli. Egli disse anche che la mia collaborazione, sebbene apprezzata, era soltanto provvisoria, poiché un fratello sarebbe stato inviato dagli Stati Uniti per prendere la direttiva dell’opera al più presto possibile”.

In quell’occasione era presente il fratello Umberto Vannozzi, un giovane che pur risiedendo in Svizzera aveva anche la cittadinanza italiana. Egli fu incaricato per qualche tempo di visitare i piccoli gruppi dei fratelli per rafforzarli e istruirli nelle vie di Geova.

Appena trovata a Como una tipografia, vennero stampate 20.000 copie dell’opuscolo Libertà nel nuovo mondo e 20.000 copie de “I mansueti erederanno la terra”, 25.000 copie dell’opuscolo “Rallegratevi, o nazioni!”, 25.000 copie de I Testimoni di Geova nel crogiuolo e 50.000 copie dell’opuscolo L’allegrezza per tutto il popolo.

Cernobbio, all’epoca un paese di circa 3.000 abitanti, non era il luogo adatto per far fronte all’espansione che si sperava. Pertanto il fratello Knorr nella primavera del 1946 diede istruzioni di trovare una casa atta a ospitare una piccola famiglia Betel di sei o sette persone. Con l’assistenza di un fratello della filiale di Berna fu acquistato un villino di sei vani a Milano, in Via Vegezio 20, dove fu trasferita tutta l’attività da poco ripresa. Ciò avvenne nel luglio del 1946. In quell’anno ci furono in media 95 proclamatori del Regno con un massimo di 120 predicatori appartenenti a 35 piccole congregazioni. Questo era il punto di partenza per la nostra futura espansione.

Nell’ottobre del 1946 giunse dagli Stati Uniti il fratello Giorgio Fredianelli. Nel 1943 egli si era diplomato nella prima classe della scuola missionaria di Galaad e successivamente aveva svolto il servizio di circoscrizione. Venne incaricato di visitare le congregazioni della nostra unica circoscrizione esistente, che andava dalle Alpi alla Sicilia.

Nel gennaio del 1947 giunsero altri due missionari, Giuseppe Romano e sua moglie Angela. Il fratello Romano era stato nominato sorvegliante della filiale e si mise subito all’opera nella nuova casa Betel di Milano. Alcuni mesi più tardi arrivarono altri due diplomati di Galaad, Carmelo e Costanza Benanti, e il 14 marzo 1949, tutti in una volta, giunsero altri 28 missionari. Il loro arrivo fu veramente un provvedimento di Geova per dare inizio all’espansione. In un primo tempo essi furono assegnati a gruppi in cinque città: Milano, Genova, Roma, Napoli e Palermo.

Poco più di un centinaio di proclamatori sparsi qua e là e quasi privi di contatti fra loro e con l’organizzazione: ecco la situazione nel 1946, l’anno della ripresa. Non c’erano delle vere e proprie adunanze, anche se i proclamatori si riunivano lodevolmente dove potevano, nelle case e persino nelle stalle. Leggevano qualche pubblicazione, cercavano i versetti e li commentavano come meglio sapevano. L’attività di predicazione per lo più consisteva nel parlare ad amici o parenti, e la struttura teocratica della congregazione cristiana era quasi sconosciuta.

“Soltanto verso il 1944”, scrisse Domenico Cimorosi, “apprendemmo che le nomine a incarichi di responsabilità dovevano avvenire teocraticamente e non per elezione. Non sapendo tuttavia come fare, pensammo di adottare la procedura seguita dagli apostoli per nominare Mattia. (Atti 1:23-26) Scrivemmo i nomi di dieci fratelli, scelti fra i più anziani del gruppo, su pezzetti di carta che piegammo e ponemmo in un’urna. Una bambina doveva poi prelevare ad uno ad uno i biglietti e il primo nome estratto sarebbe stato quello del sorvegliante. In tal modo fui scelto io, e così andammo avanti fino all’arrivo del primo sorvegliante di circoscrizione”.

I fratelli si edificavano con i pochi mezzi a disposizione ed evidentemente lo spirito di Dio li soccorreva in grande misura. Ma era arrivato il tempo in cui Geova avrebbe ‘affrettato’ l’aumento del suo popolo. — Isa. 60:22.

LA PRIMA ASSEMBLEA DEL DOPOGUERRA

Stabilita la filiale a Milano, il fratello Knorr dispose di visitarla. Questo fu un provvedimento opportuno per sviluppare l’opera appena ripresa. Durante questa visita si doveva tenere un’assemblea della durata di un giorno. Fu la prima assemblea del dopoguerra. Tutti i fratelli e gli interessati erano molto ansiosi di radunarsi insieme ai fratelli Knorr e Henschel.

Il 16 maggio 1947 vennero tutti al luogo dell’assemblea, il cinema Zara. Alla sessione del mattino e a quella del pomeriggio assisterono 239 persone provenienti da varie parti del paese, anche dalla lontana Sicilia. I battezzati furono 31, di cui 13 sorelle. Un fatto degno di nota è che fra gli immersi c’erano alcuni di coloro che erano stati condannati dal Tribunale fascista e che a causa del limitato intendimento delle esigenze cristiane non erano ancora battezzati. Il punto culminante del congresso fu il discorso pubblico tenuto alle ore 20,30 sul tema: “L’allegrezza per tutto il popolo”. Furono presenti oltre 700 persone.

I fratelli dovettero affrontare grandi sacrifici per recarsi a quel congresso, sia perché erano poveri e per essi le spese di viaggio e di alloggio erano molto elevate, sia perché le ferrovie erano ancora sconvolte dalla guerra. Teresa Russo, un’anziana sorella di Cerignola, racconta:

“A causa della miseria che c’era a quel tempo, non avevamo i soldi per partecipare al congresso. Come fare? Ricordo come fosse ora che cominciammo a mettere da parte lo zucchero anziché usarlo. Poi lo avremmo venduto per poterci pagare il biglietto del treno e l’albergo. Riempimmo le valigie di zucchero, e facemmo anche dei sacchetti da mettere intorno alla vita, come dei cacciatori che in tal modo portano il cibo. Sembravamo tutti molto grassi. Ma in questo modo potemmo partire in sette per Milano e grande fu la gioia nel vedere tanti fratelli”.

Qualcosa che alcuni dei presenti ricordano ancora è la commozione di rivedersi insieme liberi dopo essersi conosciuti nelle prigioni o al confino. Aldo Fornerone, che partecipò a quel congresso, dice:

“Non posso dimenticare l’emozione che provai nel rivedere e riabbracciare tutti quei cari fratelli dell’Italia centrale e meridionale che erano stati con me al confino o in prigione. Solo Geova può sapere come fummo riconoscenti di poterci riunire insieme in un paese dov’era ritornata la libertà di adorazione. La nostra gratitudine andava tutta a Lui, al grande Dio, Geova, che era intervenuto a favore del suo popolo”.

Durante quell’assemblea il fratello Knorr annunciò il programma per realizzare l’espansione teocratica nel paese. Dal successivo mese di giugno si doveva stampare l’Informatore, un foglio mensile contenente istruzioni per le congregazioni. I gruppi e le congregazioni sarebbero stati visitati ogni sei mesi da un sorvegliante di circoscrizione e pure ogni sei mesi sarebbe stata tenuta un’assemblea di circoscrizione.

L’Informatore del giugno 1947 fu dunque il primo numero uscito e per qualche mese venne ciclostilato. Questa edizione, commentando il programma annunciato dal presidente, concludeva con questo incitamento: “Allora, avanti fratelli nella speranza che anche qui in Italia Iddio avrà una greggia consacrata che canterà le sue lodi assieme al suo popolo in tutte le altre nazioni!”

HA INIZIO L’ATTIVITÀ DI CIRCOSCRIZIONE

Non c’è dubbio che uno degli strumenti per realizzare l’espansione dell’opera del Regno è stata l’attività dei sorveglianti viaggianti le cui visite alle congregazioni dovevano edificare i fratelli, istruirli nelle norme teocratiche e addestrarli nell’opera di predicazione. Ricordate Umberto Vannozzi che nel 1945 a Berna incontrò il fratello Knorr e la sorella Maria Pizzato? Negli anni trenta egli aveva svolto il servizio di pioniere in Francia, Belgio e Olanda, in gran parte clandestinamente. Dopo l’incontro col fratello Knorr, in attesa dell’arrivo dei missionari fu incaricato di visitare i fratelli sparsi in varie zone del paese per ristabilire i contatti con loro. E così nei mesi di maggio e giugno del 1946 visitò i maggiori raggruppamenti di proclamatori.

Comunque il primo sorvegliante di circoscrizione nominato fu il fratello Giorgio Fredianelli, che iniziò il suo giro di visite nel novembre 1946, accompagnato la prima volta dal fratello Vannozzi.

Nel 1947 fu formata la seconda circoscrizione a cui fu assegnato il fratello Giuseppe Tubini. E poiché questi dopo qualche mese iniziò a lavorare alla Betel, lo sostituì il fratello Piero Gatti. Entrambi questi fratelli avevano conosciuto la verità in Svizzera mentre si trovavano in un campo profughi dov’erano migliaia di soldati italiani sfuggiti alla cattura dei nazisti. Altri fratelli, che avevano conosciuto la verità all’estero nell’immediato dopoguerra, rientrarono in Italia per predicarvi il messaggio del Regno. Il fratello Tubini e il fratello Gatti sono tuttora nel servizio continuo dopo 35 anni, il primo alla Betel e il secondo nella circoscrizione.

I VIAGGI DEL FRATELLO VANNOZZI

La narrazione che il fratello Vannozzi ha scritto sui suoi viaggi rivela i disagi che dovevano essere affrontati in quel tempo dai sorveglianti viaggianti:

“Partito da Como, dopo varie peripezie giunsi a Foggia in Puglia. Cercai la stazione, ma non c’era più. I bombardamenti l’avevano rasa al suolo. Presi il treno per Cerignola, dove si trovava il primo gruppo da visitare, ma esso arrivava fino a un certo punto, poi dovetti proseguire con una camionetta. Arrivai a destinazione alle sette di sera del giorno dopo, stanco e pieno di polvere. All’adunanza un proclamatore ringraziò Geova in preghiera perché dopo tanti anni di attesa erano stati visitati da qualcuno inviato dall’organizzazione. Al termine della visita i fratelli piangevano per la gioia e ciò mi commosse profondamente.

“Ho percorso l’Italia attraverso le strade rovinate dalla guerra. Non ho visto un ponte intatto. Ventiduemila ponti erano stati fatti saltare con le mine e quelli che si potevano attraversare erano stati ricostruiti provvisoriamente dalle truppe alleate. Ho visto centinaia di vagoni ferroviari e locomotive distrutte. Tutte le città erano bombardate.

“Partii da Cerignola alle sei del mattino per visitare il gruppo di Pietrelcina, in provincia di Benevento. Verso le sette di sera arrivai a Benevento, dopo diverse ore di viaggio seduto sui bagagli in un vagone merci! Alla stazione mi misi ad attendere con la rivista ‘Torre di Guardia’ in mano per farmi riconoscere dai fratelli. Ma non si vedeva nessuno. Che fare?

“Pietrelcina si trovava a circa 12 chilometri di distanza e a quell’ora non c’erano più mezzi. Mentre stavo così in attesa, un uomo con un calesse tirato da un cavallino mi vide e si offrì di portarmi a Pietrelcina. Vi giunsi verso le 21,30 e lì, nel buio della notte, mi misi a cercare la casa del fratello Cavalluzzo. Non era un’impresa facile. Ma l’angelo di Geova vigilava e non mi abbandonò. Finalmente trovai la casa. Il fratello Cavalluzzo pieno di gioia mi fece preparare rapidamente una buona cenetta. Che fame avevo! Non mangiavo dalla sera del giorno precedente. Ero anche tanto stanco e desideravo un letto, ma il caro fratello Cavalluzzo aveva molte domande da farmi e desiderava narrarmi dall’inizio alla fine come aveva conosciuto la verità. E così facemmo mezzanotte. La mattina dopo arrivò il telegramma che annunciava il mio arrivo. Ma avevo vinto io la corsa: ero arrivato per primo!

“Ogni sera alle adunanze parteciparono circa 35 persone, ma quasi nessuno era battezzato. Da Pietrelcina ripartii alle quattro del mattino per prendere il treno delle sei per Foggia. Un fratello portò me e il sorvegliante, il fratello Donato Iadanza, sul suo carretto tirato da un cavallo. Sebbene non si fosse più negli anni venti, quello era il mezzo di trasporto più usato nelle campagne nell’immediato dopoguerra. Ma giunti a Benevento, ahimè, il treno era già partito.

“Qualcuno mi suggerì di andare da un macchinista che doveva condurre una locomotiva a Foggia. Lo raggiunsi mentre stava già brontolando con alcuni che pure volevano salire e dicendo loro che non c’era posto. Ma poi salimmo tutti. La locomotiva era già in movimento e il fratello Iadanza, rincorrendola, fece a tempo a porgermi la valigia. Entrai nello stretto corridoio della locomotiva dov’erano già una decina di persone. E così pigiati come sardine rimanemmo per tutta la durata del viaggio, cinque ore. Si sudava e mancava l’aria ed eravamo investiti dalle scintille che venivano da sotto la caldaia. Arrivati alla periferia di Foggia il macchinista fermò la locomotiva, in aperta campagna, e noi scendemmo tutti.

“Visitai poi i gruppi di Spoltore, Pianella, Montesilvano, Roseto degli Abruzzi e Villa Vomano. L’ultima tappa del mio itinerario fu Faenza. Alle adunanze di quel gruppo erano presenti una cinquantina di persone, molto unite fra loro e zelanti. Incoraggiai i giovani a intraprendere la carriera di pioniere. E nel rapporto sulla visita al gruppo scrissi: ‘Speriamo che un giorno alcuni di questi giovani decidano di intraprendere questo privilegiato servizio’”.

L’ATTIVITÀ DI CIRCOSCRIZIONE DEL FRATELLO FREDIANELLI

Il fratello Giorgio Fredianelli, ora membro del comitato della Filiale, sull’attività nella circoscrizione ricorda:

“Visitando i fratelli, insieme a loro trovavo ad aspettare anche i loro parenti e amici, tutti ansiosi di ascoltare. Anche alle visite ulteriori le case erano piene di parenti. Il sorvegliante di circoscrizione in pratica non pronunciava soltanto un discorso pubblico alla settimana, ma uno di qualche ora a ciascuna visita ulteriore. A queste visite c’erano anche trenta presenti e a volte molti di più riuniti ad ascoltare attentamente.

“Le conseguenze della guerra rendevano difficile l’opera nella circoscrizione. I fratelli, come in genere le altre persone, erano estremamente poveri, ma il loro amore era commovente. Offrivano il poco cibo che avevano con tutto il cuore. Spesso insistevano che io dormissi nel loro letto, mentre essi si stendevano sul pavimento senza coperte. Qualche volta ho dovuto dormire nelle stalle, sulla paglia o sulle foglie di granoturco.

“Una volta arrivai alla stazione di Caltanissetta, in Sicilia. Avevo viaggiato con una locomotiva a vapore che aveva reso la mia faccia nera come quella di uno spazzacamino. Impiegai ben 14 ore per percorrere 80-100 chilometri. Ma quando arrivai alla stazione ero contento poiché, pensavo, sarei andato all’albergo e poi, dopo un bel bagno, mi sarei riposato. Ma le cose andarono diversamente. A Caltanissetta si celebrava la festa di San Michele, e ogni albergo era occupato, gremito di suore e preti. Tornai alla stazione col proposito di sdraiarmi alla meno peggio su una panca che avevo visto nella sala d’attesa. Ma la stazione aveva chiuso dopo l’ultimo treno arrivato. Per riposarmi un po’ dovetti sedermi sugli scalini esterni della stazione”.

Con l’aiuto dei sorveglianti di circoscrizione le congregazioni incominciarono a tenere regolarmente lo studio di libro e lo studio Torre di Guardia. Inoltre, mentre miglioravamo la qualità delle adunanze di servizio i fratelli divenivano sempre più capaci nell’attività di predicazione e di insegnamento.

LA CONDIZIONE SPIRITUALE DEL GRUPPO DI CERIGNOLA

Ricordate il gruppo di Cerignola, quello formato a seguito della predicazione del professor Banchetti? “La sua condizione spirituale non era buona”, narra ancora il fratello Fredianelli precisando:

“Vi esisteva una strana situazione. La congregazione, se così si poteva chiamare quel gruppo di persone, era formata principalmente da protestanti e comunisti che pretendevano di essere testimoni di Geova. Dovetti ragionare per ore e ore prima di convincerli della necessità di separarsi dalla falsa religione e di mantenere la neutralità rispetto alla politica.

“A una visita successiva pronunciai il discorso della Commemorazione e misi in chiaro che soltanto gli appartenenti alla classe dell’unto rimanente potevano prendere gli emblemi. Tutto andò bene fino al termine. Ma appena finita l’adunanza uno del gruppo, che si considerava il responsabile, si oppose apertamente dicendo in presenza di tutti che quanto avevo detto sugli emblemi non era corretto. Egli suscitò perplessità in tutto il gruppo e non mi restò altro da fare che invitare i presenti a prendere una decisione. Dissi: ‘Chi è per la verità e vuole essere dalla parte dei testimoni di Geova mi segua fuori. Chi non è per la verità rimanga’.

“Quasi tutti con mia grande consolazione uscirono con me. Soltanto tre o quattro individui rimasero con l’oppositore, un preminente capo del partito comunista locale. Così, salvo pochissimi, i presenti mi seguirono in un’altra stanza e in seguito continuarono a far progresso nella verità”.

LA PRIMA ASSEMBLEA DI CIRCOSCRIZIONE

La prima assemblea di circoscrizione si tenne nel settembre del 1947 a Roseto degli Abruzzi. Si sarebbe dovuta tenere a Pescara, ma a causa dell’intervento del clero il locale in quella città non fu più concesso. Imperterriti, i fratelli si riunirono in una via privata senza sbocco, dalla quale si accedeva alla casa del fratello Domenico Cimorosi. La strada fu chiusa e coperta con dei teloni e il podio era un tavolino sotto un pergolato. I felici partecipanti furono un centinaio.

Di solito all’inizio degli anni cinquanta le assemblee incominciavano con 40-60 presenti mentre al discorso pubblico partecipavano in media 200 persone. I fratelli erano veramente contenti di essere così numerosi!

L’opera progrediva e nel 1954 il fratello Giorgio Fredianelli fu nominato sorvegliante di distretto.

ALTRI PROVVEDIMENTI

Nel gennaio 1945 la Società aveva iniziato in varie nazioni una campagna di discorsi pubblici. In Italia ciò fu possibile solo qualche anno dopo. L’Informatore del febbraio 1948 annunciò che la campagna doveva incominciare il 28 marzo e nel mese successivo furono pronunciati 13 discorsi pubblici. Dovevano passare ancora diversi anni prima che le adunanze pubbliche fossero tenute regolarmente in ogni congregazione.

I fratelli evidentemente avevano bisogno di addestramento e così nel 1948 fu istituita la Scuola di Ministero Teocratico. All’inizio questa adunanza si svolgeva in modo alquanto approssimativo poiché non erano disponibili pubblicazioni adatte in italiano. Le congregazioni in cui qualcuno conosceva l’inglese dovevano tradurre le lezioni del libro Theocratic Aid to Kingdom Publishers. Ma quanti potevano conoscere questa lingua nel 1948? In seguito, verso la fine del 1950, le congregazioni incominciarono a ricevere dalla filiale dei fogli ciclostilati con la traduzione delle lezioni del libro “Preparato per ogni opera buona” e ciò migliorò notevolmente la qualità della scuola.

Nel 1956 ci fu un ulteriore progresso. Nella Torre di Guardia del 1° gennaio 1956 cominciarono a uscire a puntate le lezioni del libro “Preparato” e in Svegliatevi! dell’8 gennaio 1956 gli studi tratti dal libro Qualificati per essere ministri. Il libro “Preparato” in italiano fu poi stampato nel 1960 e il libro Qualificati per essere ministri nel 1963, così che anche i nuovi fratelli potevano seguire il programma e prepararsi per le adunanze.

TRASFERITA LA FILIALE A ROMA

Poiché Milano si trova nell’estremo nord dell’Italia, con l’aumento dell’attività fu avvertita la necessità di spostare la filiale in una località più centrale. La città più adatta era Roma anche perché, essendo la capitale, è anche il centro dell’amministrazione nazionale. Nel settembre del 1948 fu acquistato un villino di tre piani, oltre al seminterrato, con una dozzina di vani più i servizi, in Via Monte Maloia, in una bella zona verde. L’ufficio vi fu trasferito nello stesso mese. Mentre l’immobile di Milano fu venduto, il villino di Via Monte Maloia è rimasto di proprietà della Watch Tower Society e viene tuttora pienamente utilizzato.

In quella nuova casa Betel venne completata la traduzione del libro “Sia Dio riconosciuto verace” che fu stampato l’anno successivo, nel 1949. Quella pubblicazione trattava argomenti dottrinali molto interessanti per le persone di mentalità religiosa, ed ha aiutato migliaia di persone a trovare la verità.

COMPLOTTO PER ESPELLERE I MISSIONARI

In questo paese, dove per secoli e secoli il popolo non aveva mai sentito parlare della Bibbia, l’opera dei missionari ha portato abbondante frutto. Il gruppo più numeroso di missionari venne in Italia, come è stato narrato, nella primavera del 1949 e ovunque furono assegnati sorsero delle fiorenti congregazioni. Le persone avevano realmente ‘sete di udire’ la Parola di Dio.

A parte i consueti problemi di ambientamento e di lingua, i nostri missionari dovettero superare un ostacolo ben più arduo, la concessione del permesso di soggiorno da parte delle competenti autorità. La filiale fece richiesta al Ministero dell’Interno della proroga del visto per tutto l’anno 1949. Ma improvvisamente, dopo sei mesi, invece del permesso i missionari ricevettero l’ordine di lasciare il paese. E soltanto dopo molte insistenze fu concesso loro di rimanere fino al 31 dicembre 1949. Entro quella data dovevano andarsene via tutti. Poteva essere un colpo molto grave per l’opera che aveva avuto un inizio così promettente!

Ma perché i missionari venivano espulsi dall’Italia? A chi poteva interessare? Il retroscena venne spiegato in una relazione riportata sulla Torre di Guardia del 1° marzo 1951:

“Anche prima che i ventotto missionari fossero arrivati in Italia nel marzo 1949 l’ufficio aveva fatto regolare domanda richiedendo il visto per un anno per tutti loro. Dapprima i funzionari fecero capire che il Governo guardava la questione da un punto di vista economico e la situazione sembrava quindi rassicurante per i nostri missionari. Dopo sei mesi ricevemmo improvvisamente una comunicazione dal Ministero degli Interni che ordinava ai nostri fratelli di lasciare il paese per la fine del mese, in meno di una settimana di tempo. Naturalmente, noi rifiutammo di accettare questo ordine senza una battaglia legale e ogni sforzo possibile fu compiuto per giungere al fondo della questione affin di appurare chi era responsabile di questo colpo sleale. Parlando con persone che lavoravano al Ministero sapemmo che i nostri schedari non mostravano nessun ricorso della polizia o di altre autorità e che, perciò, solo qualche ‘pezzo grosso’ poteva esser responsabile. Chi poteva essere egli? Un amico del Ministero c’informò che l’azione contro i nostri missionari era assai strana poiché l’atteggiamento del Governo era molto tollerante e favorevole verso i cittadini americani.

“Forse l’Ambasciata poteva essere d’aiuto. Visite personali all’Ambasciata e numerosi colloqui col segretario dell’Ambasciatore risultarono tutti inutili. Era più che evidente, come ammisero anche diplomatici americani, che qualcuno che esercitava molto potere nel Governo Italiano non voleva che i missionari della Watch Tower predicassero in Italia. Contro questo forte potere i diplomatici americani semplicemente scrollarono le loro spalle e dissero: ‘Ebbene, voi lo sapete, la Chiesa Cattolica è la Religione di Stato qui e praticamente essi fanno quello che [a] loro piace’.

“Da settembre a dicembre ritardammo l’azione del Ministero contro i missionari. Infine, fu stabilito un limite; i missionari dovevano essere fuori del paese per il 31 dicembre. Non c’era da fare altro che osservare questi ordini. Inviammo i missionari nella parte della Svizzera dove si parla l’italiano. Dopo pochi mesi l’intero gruppo tornò in Italia, predicando di nuovo. Questa volta furono assegnati a diverse città, e quindi, questo non avrebbe fatto altro che far progredire migliormente l’opera.

“E che dire degli interessati . . . che i missionari avevano trovato nelle precedenti città alle quali erano stati assegnati? Le ‘pecore’ non dovevano essere abbandonate. Il fratello Knorr approvò la scelta di nuovi pionieri speciali italiani che occupassero le case dei missionari e compissero la buona opera. Non si perse tempo nell’effettuare il mutamento e l’opera non ne soffrì. Il risultato di questo avvenimento fu che la parola andò in nuovi campi vergini”.

In che modo i missionari poterono rientrare nel paese dopo la loro espulsione? Usufruendo del visto turistico della durata di tre mesi. E così ogni tre mesi essi dovevano andare all’estero per rientrare in Italia qualche giorno dopo: ogni volta col timore di non poter ottenere il rinnovo del visto. Spesso il clero in qualche città riusciva a identificarli e faceva pressione presso la locale Questura affinché fossero espulsi. Quindi dovevano trasferirsi in un’altra città, stare sempre desti e agire accortamente.

Il clero aveva fatto i suoi piani: “Via i missionari, il loro sparuto gruppo di seguaci si scioglierà come la neve al sole”. Ma non poteva ostacolare il proposito di Geova e opporsi al suo irresistibile potere.

ESPERIENZE NELL’OPERA MISSIONARIA

Carmelo e Costanza Benanti svolgono il servizio missionario in Italia da oltre 35 anni. Il fratello Benanti racconta:

“Mentre eravamo a Brescia, mia moglie compiva l’opera in una zona sulla quale esercitava notevole influenza un ente ecclesiastico, e in particolare un frate. Nonostante questa influenza, in quella zona accettarono la verità 16 persone. Molti anni dopo io e mia moglie siamo ritornati a Brescia per vedere alcuni dei fratelli che avevamo aiutati a conoscere la verità. Mentre eravamo a cena in casa di un anziano, i fratelli presenti ci chiesero di narrare come era iniziata l’opera in quella città. Mia moglie allora raccontò l’esperienza che ebbe quando un giorno quel frate istigò contro di lei un gruppo di ragazzi. Stavano nascosti dietro il muro di un edificio bombardato pronti a prenderla a sassate. Essendosene accorta, lei pregò Geova affinché non le accadesse nulla di male. A questo punto un sorvegliante di una delle congregazioni di Brescia disse: ‘Sorella, uno di quei ragazzi ero io. Ero giovanissimo, naturalmente. Il frate ci aveva promesso delle caramelle se ti prendevamo a sassate. Ci chiedemmo poi cosa ci avesse trattenuti dal farlo’”.

Un altro missionario narrava: “Ero a Napoli. A causa del mio corretto modo di vestire qualcuno mi scambiò per una persona facoltosa. Camminavo da qualche tempo, quando mi accorsi che un uomo mi stava seguendo, probabilmente allo scopo di derubarmi. Decisi di rivolgergli la parola e gli diedi testimonianza. Egli fu sorpreso e colpito dal messaggio ed accettò la verità. Seppi poi che in quella circostanza aveva veramente l’intenzione di derubarmi. Naturalmente accettando di cuore la verità cambiò vita”. Questo ex ladro divenne pioniere speciale e rimase fedele a Geova fino alla sua morte.

I PRIMI LUOGHI DI ADUNANZA

Una breve descrizione dei luoghi in cui i fratelli si riunivano nei primi anni del dopoguerra vi aiuterà a capire il graduale progresso dell’opera nella penisola. Quasi tutte le Sale del Regno erano in case private. Una delle ragioni era che il clero intimoriva i proprietari di immobili che difficilmente concedevano locali in affitto ai testimoni di Geova. Il fratello William Wengert, un diplomato di Galaad che serve ora nel distretto, dice:

“In quei giorni le sale nelle città erano spesso degli scantinati. Non c’era riscaldamento e alcune sale non avevano neppure il gabinetto. Spesso invece della luce elettrica c’erano due lumi, uno sul podio e uno per l’uditorio. Eppure, ripensandoci, a quel tempo ci sembrava una cosa del tutto normale. In compenso i fratelli erano sempre allegri e manifestavano un amore caloroso. Qualcosa che mi colpiva era il volume dei cantici: i fratelli italiani cantano veramente. Geova ha benedetto l’opera in questa nazione provvedendo bei luoghi di adunanza in cui i fratelli possono radunarsi e lodare il suo santo nome”.

Pur disponendo di luoghi improvvisati quei cari fratelli degli anni cinquanta erano felici e manifestavano un grande apprezzamento per le adunanze. Il fratello Nicola Magni a questo proposito riferisce: “Spesso il leggio era composto dal tavolo della cucina con sopra uno scatolone della letteratura. Ma serviva allo scopo. La gioia dei fratelli traspariva dal loro vivido sguardo che con la debole luce delle lampade risaltava maggiormente”.

A causa delle condizioni dei luoghi di adunanza, talvolta si verificavano insolite situazioni, come ricorda il fratello Francesco Bontempi, un sorvegliante viaggiante, parlando di una delle prime Sale del Regno di Milano:

“Sebbene la Sala fosse in un seminterrato era molto pulita all’interno. Una sera l’adunanza era già cominciata, quando avemmo un insolito visitatore: un piccolo topolino! Entrò nella sala e si arrampicò su una sedia dove una sorella piuttosto grassa stava seduta ascoltando attentamente. Si fermò su una traversa della sedia e vi rimase fermo per alcuni interminabili minuti. Non osavo intervenire per non disturbare l’adunanza, immaginando anche l’immancabile reazione della sorella. Finalmente il topolino scese dalla traversa, fece un giro attorno alla sedia, sfiorò i piedi della sorella e scomparve silenziosamente . . . con mio grande sollievo. Ma nonostante quei piccoli inconvenienti quanto amore e quanto zelo per il servizio e per le adunanze c’era nei fratelli!”

Secondo quanto riferisce l’Annuario del 1976 si suppone che la prima Sala del Regno costruita dai fratelli negli Stati Uniti fosse quella di Roseto in Pennsylvania, inaugurata nel 1927 con un discorso pubblico pronunciato dal fratello Giovanni De Cecca. Per una strana coincidenza anche in Italia la prima Sala costruita dai fratelli era in un luogo chiamato Roseto, Roseto degli Abruzzi. Fu terminata nel 1953, 26 anni dopo la sua antenata americana.

IL CLERO CAUSA ANCORA DIFFICOLTÀ

Il 27 dicembre 1947 fu una data molto importante per la libertà in Italia. In quel giorno fu promulgata la Costituzione della Repubblica Italiana con cui venivano riconosciuti alcuni diritti basilari completamente calpestati sotto la dittatura e che riguardavano da vicino la nostra opera di annunciare il regno di Geova.

Nonostante la nuova Costituzione, però, le difficoltà per il popolo di Geova non erano ancora finite. La gerarchia cattolica, sebbene non più sostenuta da una dittatura, si avvaleva del potente appoggio del più importante partito politico del paese. Cercava di impedire l’opera del Regno ricorrendo a quelle leggi fasciste che, sebbene in contrasto con la Costituzione, non erano state ancora abrogate.

A volte i sacerdoti istigavano turbe di fanatici contro i fratelli riuniti in adunanza o impegnati nel servizio. Per esempio, il quotidiano L’Unità del 22 settembre 1954, in un articolo dal titolo “Un parroco istiga donne e ragazzi contro i ‘testimoni di Geova’ a Molfetta”, riferiva:

“Il fanatismo religioso alimentato da un sacerdote [seguono nome e indirizzo] contro onesti cittadini colpevoli soltanto di professare una religione diversa da quella professata dal predetto sacerdote, riveste particolare carattere di gravità. . . .

“Nei giorni scorsi la laboriosa e civile cittadina di Molfetta ha dovuto assistere ad una delle scene più disgustose di persecuzione religiosa, degna dei periodi più oscuri dell’inquisizione. Come di consueto una diecina di componenti della predetta comunità erano riuniti nei locali di Via Zuppetta 7, quando, salmodiando e seguito da una turba di ragazzi, donne e giovinastri, giunse don [segue il nome], il quale diede il segnale per dare il via a una incivile gazzarra protrattasi per oltre due ore. Detta manifestazione ebbe luogo con una fitta sassaiola contro la porta del locale delle riunioni, accompagnata da schiamazzi, urla, minacce ed invettive della turba. . . .

“Costretti ad uscire per evitare il peggio, questi furono fatti oggetto al dileggio, a insulti e minacce e, circondati da ragazzi e donne scalmanate, colpiti da pugni e da qualche pietra, a stento riuscirono a raggiungere la caserma dei carabinieri per ottenere non solo la protezione, ma la punizione dei mandanti della delittuosa aggressione. Ma il comandante dei carabinieri, evidentemente per coerenza, non ha inteso intervenire per imporre il rispetto della Costituzione e della legge; così gli aggressori ed i mandanti sono rimasti impuniti, quasi con l’avallo e il tacito consenso di chi è invece preposto alla tutela dell’integrità personale e delle libertà fondamentali del cittadino, che nella specie sono state calpestate e violate nella maniera più vile e degradante”.

Lo stesso giornale, nell’edizione del 3 gennaio 1959, pubblicò un articolo dal titolo “Episodio d’intolleranza religiosa contro i ‘Testimoni di Jeova’ a Lapio”. Cos’era accaduto questa volta? Due proclamatori, Antonio Puglielli e Francesco Vitelli, il 29 dicembre 1958 stavano predicando la “buona notizia” a Lapio, un paesino in provincia di Avellino. Verso le 11 del mattino furono affrontati da una turba di ragazzi e giovani, capeggiata dal sacerdote locale che urlava: “Andate via!’ e “Ignoranti, cafoni, spacciatori di menzogne! Voi non capite la Bibbia e rovinate il popolo”.

Visto che la turba si faceva minacciosa i due fratelli cercarono rifugio in municipio, inseguiti dal prete fino ai piani superiori, dove intervenne il sindaco. Che dire degli altri proclamatori che predicavano nel paese? I due fratelli dichiararono: “Insieme alla guardia comunale accorremmo verso la parte del paese dove si trovavano i nostri conservi. Li trovammo circondati dalla folla con al centro il minaccioso prete, e solo a stento potemmo liberarli e portarli all’autobus che doveva condurci via dal paese. Una volta saliti sull’autobus, il sacerdote si mise davanti per impedire che partisse e per aizzare la folla, che fortunatamente non gli ubbidì più”.

Questi sono soltanto alcuni degli atti di intolleranza del clero. Per ovvie ragioni i quotidiani che li denunciavano spesso erano quelli gestiti dai partiti all’opposizione, mentre i quotidiani del partito cattolico di maggioranza quasi sempre li ignoravano.

La persistente opposizione da parte della Chiesa Cattolica non è qualcosa di sorprendente. Fa parte della linea di principio che essa ha sempre seguito nei confronti delle altre religioni, come rivelano le parole di “padre” Cavalli che scriveva sul quindicinale gesuita La Civiltà Cattolica del 27 marzo 1948:

“Ora la Chiesa cattolica, convinta per le sue divine prerogative di essere l’unica vera chiesa, deve reclamare per sé sola il diritto alla libertà, perché unicamente alla verità, non mai all’errore, questo può competere; quanto alle altre religioni, essa non impugnerà la scimitarra, ma domanderà che, con i mezzi legittimi e degni della persona umana, non sia loro consentito di diffondere false dottrine. Per conseguenza in uno Stato in cui la maggioranza è cattolica, la Chiesa chiederà che all’errore non sia data una esistenza legale e che, se esistono minoranze di religione diversa, queste abbiano solo un’esistenza di fatto, senza la possibilità di divulgare le loro credenze. Nella misura, però, che le circostanze concrete o per l’ostilità di un Governo o per la consistenza numerica dei gruppi dissidenti, non siano tali da permettere l’applicazione integrale di questo principio, la Chiesa domanderà per sé le maggiori concessioni possibili, riducendosi ad accettare come un male minore la tolleranza di diritto degli altri culti: in alcuni Paesi, poi, i Cattolici saranno costretti a chiedere essi stessi la piena libertà religiosa per tutti, rassegnati di poter convivere, là dove essi soli avrebbero il diritto di vivere . . .” [Il corsivo è nostro].

In altri termini il clero cattolico a coloro che, come i testimoni di Geova, non condividono il suo insegnamento diceva: ‘Se solo dipendesse da noi, vi faremmo spazzar via tutti quanti’. Ma Geova non ha permesso che l’opposizione prevalesse sul popolo che ‘ha conosciuto il suo nome’. — Sal. 91:14.

SFORZI PER DISTURBARE LE ASSEMBLEE

Il clero faceva di tutto per disturbare la nostra pacifica attività e adottava vari stratagemmi per interrompere le assemblee. I preti, ad esempio, cercavano di far penetrare sobillatori fra l’uditorio, di solito dei giovani. Questi si sedevano fra i delegati, e dopo essersene stati per un po’ in silenzio, cominciavano a disturbare la riunione, gridando e creando confusione. A questo punto intervenivano le forze dell’ordine che, invece di fermare i disturbatori, spesso sospendevano l’assemblea col pretesto che la riunione era contraria all’“ordine pubblico”.

William Wengert ricorda: “Quando si iniziava un’assemblea, non si sapeva mai con certezza se l’avremmo potuta portare a termine. Quante interruzioni e quanti ostacoli in quel tempo!”

I sorveglianti di circoscrizione e di distretto, che organizzavano le assemblee, ricorrevano a un rimedio pratico e semplice: un efficiente servizio di robusti uscieri, posti soprattutto all’ingresso. Un sorvegliante viaggiante ricorda: “L’assemblea di circoscrizione era iniziata e si temevano difficoltà da parte del clero. Il sorvegliante di distretto aveva dato istruzioni agli uscieri in servizio alle porte di accesso di fermare chiunque non conoscessero e di chiedergli con indifferenza: ‘Da dove vieni?’ o: ‘Chi è il sorvegliante della tua circoscrizione?’ Se rispondeva in modo convincente poteva entrare.

“Ma se qualche disturbatore riusciva a mimetizzarsi fra l’uditorio? In tal caso entrava in azione la ‘squadra volante’, un gruppo di uscieri molto energici che invitavano gentilmente gli oppositori a fare silenzio. E se questi opponevano resistenza la ‘squadra’ con molto garbo doveva sollevarli dai sedili ed ‘aiutarli’ a uscire. Quando la polizia non tutelava i nostri diritti di riunione eravamo costretti a risolvere in questo modo le difficoltà”.

Menzioniamo ora alcuni dei tanti incidenti provocati dal clero. Il primo riguarda un’assemblea di circoscrizione che si tenne a Sulmona, una cittadina dell’Italia centrale situata in una fertile vallata dell’Abruzzo. La domenica, 26 settembre 1948, al discorso pubblico erano presenti circa duemila persone, una folla imponente se si considera che i proclamatori in tutta la nazione erano 472. Ma cosa accadde? La Torre di Guardia del 15 marzo 1950 riferiva:

“La domenica mattina alle 10,30 più di 2.000 persone [gremivano il] più grande teatro della città, e le porte dovettero esser chiuse poco prima del tempo stabilito per il discorso. Molti dovettero andar via, ma non prima di aver ricevuto un opuscolo; non c’era più posto insomma, perfino i corridoi erano occupati! Dentro, un uditorio attentissimo mostrò il suo apprezzamento e la sua approvazione per la verità con ripetuti applausi durante il discorso e alla sua conclusione.

‘Comunque, prima che l’adunanza fosse sciolta, un giovane religionista che era stato in piedi in fondo alla sala prendendo delle note da due preti si fece strada verso il palcoscenico, alzò le mani e cominciò a gridare, chiedendo di essere ascoltato. L’annunziatore aveva spiegato con calma che alle domande del pubblico sarebbe stato risposto personalmente e privatamente dopo la chiusura dell’adunanza. Che questo fanatico cercasse di provocare disturbo e di usare la nostra adunanza pubblica per diffondere la sua propaganda religiosa era evidente. Senza dubbio egli, come il clero, era conscio che i banchi delle chiese eran vuoti in questi giorni e cercava altri posti per concionare al popolo. Spinto dai suoi servili, preteschi suggeritori, si arrampicò fino al palcoscenico appena l’adunanza fu sciolta, gesticolò con le braccia come un forsennato e urlò a pieni polmoni per richiamar l’attenzione. I due preti in fondo, abbassando le loro teste per nascondere i loro collari abbottonati per di dietro, urlarono e fischiarono in approvazione, sperando così di suscitare un’ondata di entusiasmo per il loro mercenario. Non giovò a niente. L’uditorio si volse al suo non richiesto tentativo di far opera di proselitismo religioso. Invece di applaudirlo e permettergli di parlare, quelli dell’uditorio levarono le loro voci di protesta dicendo: ‘Fascistone!’ ‘Vergogna!’ ‘Quanto ti danno per far questo?’ Vedendo che le cose non andavano tanto bene, l’intruso saltò subito giù dal palcoscenico e lestamente scomparve con i suoi preteschi compagni. Quindi, ordinata e quieta, la folla uscì dal teatro, accettando lietamente l’opuscolo gratuito che veniva offerto loro”.

La relazione terminava dicendo: “La situazione era stata capovolta contro di loro e una volta ancora Geova diede la vittoria”.

LA PRIMA ASSEMBLEA DI DISTRETTO

Parliamo di un altro episodio di intolleranza religiosa. Dal 27 al 29 ottobre 1950 si doveva tenere al Teatro dell’Arte di Milano la prima assemblea di distretto della nazione. All’ultimo minuto il capo della polizia annullò l’autorizzazione a tenere il congresso. Ai due fratelli responsabili dell’organizzazione dell’assemblea disse che il provvedimento era necessario per prevenire eventuali reazioni da parte dei cattolici che avrebbero potuto sentirsi offesi da un raduno protestante! Ma ciò era assurdo! Non era che una scusa per privare onesti cittadini del loro diritto di riunirsi pacificamente!

Anche se questo e altri loro argomenti avevano in sé una logicità schiacciante, i fratelli non riuscirono a far recedere il capo della polizia dalle sue decisioni. E quando essi, come ultimo tentativo, gli dissero che avrebbero informato la stampa di questo sopruso, il funzionario, rimasto a corto di argomenti, li cacciò via dall’ufficio. Dal colloquio e da altri elementi emersi era evidente che il clero aveva influito sulla faccenda usando un altro metodo, quello di intervenire presso le autorità di Pubblica Sicurezza.

Il fratello Giorgio Fredianelli, che era assistente sorvegliante di quel congresso, ricorda:

“Questa era la situazione: mancavano appena 24 ore all’inizio dell’assemblea, i fratelli stavano già arrivando a Milano da tutte le parti d’Italia, e noi non riuscivamo a trovare un altro locale. Come fare? Eravamo molto preoccupati. Ma ancora una volta Geova intervenne in nostro aiuto.

“Quella mattina io e il fratello Antonio Sideris, sorvegliante del congresso, eravamo in giro in cerca di un altro posto. Passando davanti a un terreno recintato, improvvisamente ci venne un’idea: ‘Perché non chiediamo al proprietario se ce lo concede per tre giorni?’ Questi ce lo affittò chiedendo un ragionevole compenso. Cercammo allora di noleggiare delle grosse tende sotto cui tenere il congresso. E finalmente trovammo una nota fabbrica di tende che, lieta di farsi un po’ di pubblicità, fu disposta a noleggiarle e perfino ad aiutarci a montarle.

“Ma che dire del permesso da parte delle autorità? Decidemmo di metterle dinanzi al fatto compiuto. Non c’era altro da fare. Non potevamo rimandare a casa i fratelli. Di notte montammo le tende e allestimmo i reparti senza che nessuno se ne accorgesse. Alle 9 del mattino l’assemblea poté regolarmente iniziare.

“La polizia arrivò subito dopo. Da una jeep scesero dei poliziotti armati. Che stridente contrasto! Che situazione ridicola! Dei poliziotti armati per sorvegliare persone che stavano lì sedute pacificamente, cantando i loro inni religiosi! Il fratello Sideris disse loro che se avessero molestato l’assemblea, se ne sarebbero pentiti. Avremmo informato la stampa locale e internazionale denunciando l’inosservanza della nuova Costituzione e il ritorno alla dittatura fascista. I poliziotti intimoriti se ne andarono per chiedere istruzioni e più tardi ritornarono per dirci che potevamo tenere la nostra assemblea”.

Circa 800 persone ascoltarono il discorso pubblico e i battezzati furono 45. Poiché le tende si trovavano in una zona dov’erano alcune fabbriche, nell’intervallo del pranzo gli operai venivano a gruppi a chiedere cosa avveniva e i fratelli ebbero l’opportunità di dare testimonianza. Ma come si stava sotto le tende in quei freddi e umidi giorni di fine ottobre? Fern Fraese ricorda: “Tenemmo il cappotto addosso e molti di noi, mentre ascoltavano il programma, avevano la borsa dell’acqua calda per riscaldarsi. Ma eravamo molto felici e ci rallegravamo del buon cibo spirituale”.

L’INTOLLERANZA DEL CLERO È CONTROPRODUCENTE

Un altro episodio di intolleranza da parte del clero si verificò l’ultima settimana di giugno del 1951, a Cerignola, mentre era in corso un’assemblea di circoscrizione. La Torre di Guardia del 15 maggio 1952 riferiva:

“A mezzogiorno [del sabato] due poliziotti vennero alla sala per avvisarci che le nostre adunanze ‘private’ eran proibite. Immediatamente ci recammo al locale ufficio del commissario per appurare che cosa significava tutto questo. Mentre noi entrammo nel commissariato, un giovane sacerdote stava andando via con un largo sorriso sulla faccia. Senza dubbio era gioioso, e subito apprendemmo che la polizia gli aveva dato ragione di sentirsi contento. Il commissario stesso rese molto chiaro che il nostro permesso della polizia era annullato per ragioni sulle quali egli non aveva controllo. Le autorità diedero come ‘ragione’ la non sicura condizione della sala, ma nessuno [l’avrebbe creduto]. Dopo una discussione alquanto accesa sulla questione, fummo consigliati di andare al capoluogo della provincia e di parlare al ‘capo’ provinciale, il questore.

“Alcune ore dopo entravamo nella sede della questura, e con nostra sorpresa ci trovammo lo stesso sacerdote cattolico che avevamo incontrato nell’ufficio del commissario, questa volta accompagnato da un sacerdote più anziano e dall’aspetto importante. Più tardi sapemmo che quest’ultimo era il vicario della città dove noi tenevamo la nostra assemblea. I sacerdoti aspettavano per parlare al questore, ma quando il suo subalterno, il capo di gabinetto, venne dentro essi chiesero invece di andare nel suo ufficio. Qualche minuto dopo arrivò il questore . . . Egli mostrò chiaramente che nella sua mente aveva già preso la decisione poiché prima di udire ciò che noi avevamo da esporre . . . cominciò a minacciarci di arresto per aver affittato una sala che, secondo la sua opinione, non era adatta per adunanze. La sua tattica era quella di spaventarci e far sembrare come se noi fossimo stati quelli che avrebbero agito male meritando riprovazione. . . .

“Noi eravamo determinati a non arrenderci a questa arbitraria, fascista azione della polizia senza una lotta, e per più di un’ora stemmo nell’ufficio del questore e dibattemmo l’aspetto legale del nostro caso”.

Comunque il questore non cambiò la sua decisione. Allora che ne fu dell’assemblea? La relazione riferiva:

“Tornammo e prendemmo le disposizioni per tenere l’assemblea in due case private, e per mezzo di altoparlante avemmo il medesimo programma in entrambi i luoghi nello stesso tempo. L’intolleranza del clero suscitò l’indignazione di molte persone oneste, malgrado i sacerdoti cercassero di coprire la cosa annunziando in chiesa la mattina seguente che nessuno avrebbe dovuto partecipare all’adunanza pubblica dei testimoni di Geova quel giorno (mentre sapevano così bene che essa era stata proibita e perciò non sarebbe stata tenuta!). . . . Ma qui ancora i sacerdoti furono sconfitti, perché i testimoni di Geova non tengono chiusa la loro bocca ma continuano a smascherare l’ipocrisia e gli erronei insegnamenti dei falsi religionisti, col risultato che più persone di buona volontà aprono i loro occhi”.

UNA LUNGA BATTAGLIA LEGALE

Nel 1956 in Italia i non cattolici erano circa 190.000. A quel tempo i proclamatori del Regno di Dio erano soltanto alcune migliaia, ma erano attivi e zelanti. A differenza del popolo di Geova, che è cresciuto straordinariamente, le altre religioni in genere sono progressivamente diminuite. La verità si allargava “a macchia d’olio” e soprattutto lungo la costa adriatica, nelle due regioni di Abruzzo e Romagna; zelanti proclamatori si recavano in autobus a proclamare nei paesi vicini, dove si formarono numerose congregazioni.

Fiutando il pericolo, la gerarchia cattolica cercò di mobilitare una campagna contro la nostra opera di predicazione. L’Osservatore Romano, organo del Vaticano, nella sua edizione del 1°-2 febbraio 1954, incitava il clero e i fedeli a combattere l’opera dei testimoni di Geova. Sebbene l’articolo non faccia nomi, tuttavia è ovvio che si riferiva principalmente ai Testimoni. Esso dice:

“Dobbiamo poi denunciare l’intensificata propaganda protestante, ordinariamente di origine straniera, che viene a seminare anche nel nostro Paese perniciosi errori . . . Invitiamo tutti i Parroci, le Associazioni, i fedeli a sorvegliare con assidua diligenza, ad informare con sollecitudine chi di dovere . . . [Il corsivo è nostro].

“Chi di dovere” non potevano essere che le autorità di Pubblica Sicurezza. In effetti il Vaticano incitava i preti a far arrestare i proclamatori. Centinaia di essi furono infatti fermati. Molti venivano rilasciati subito, altri multati o trattenuti. Il popolo di Geova ha dovuto sostenere una lunga battaglia legale che si è protratta fino all’inizio degli anni settanta. Dal 1947 al 1970 sono stati celebrati nelle aule giudiziarie oltre un centinaio di processi aventi come protagonisti i testimoni di Geova.

Si imputavano a carico dei proclamatori le infrazioni degli articoli 113, 121 e 156 del Testo Unico delle leggi di Pubblica Sicurezza, emanate al tempo del fascismo. Queste norme prescrivevano la licenza o l’iscrizione in appositi registri per coloro che distribuivano scritti (art. 113), esercitavano il mestiere di venditore ambulante (art. 121), oppure effettuavano la raccolta di denaro o collette (art. 156).

Ma era evidente che i proclamatori del Regno non svolgevano un mestiere, né effettuavano delle collette. Predicando la “buona notizia” essi lasciano riviste o altre pubblicazioni, chiedendo a chi è in grado di contribuire una contribuzione che copre le spese di stampa. È quindi un’opera di diffusione delle proprie convinzioni religiose, o come sancisce l’art. 19 della Costituzione, un modo ‘di far propaganda’ della propria fede. Evidentemente si cercava di applicare forzatamente delle norme per reprimere la libertà di adorazione. Nel 1956 quella parte dell’art. 113 che vietava la diffusione di scritti senza licenza fu abrogata perché riconosciuta contraria alla Costituzione.

Quasi tutti i processi ebbero esito favorevole. Soltanto alcuni fratelli furono condannati, ma appellandosi, vennero successivamente assolti. Alcuni casi dovettero essere esaminati dalla Corte di Cassazione che in Italia è l’organo supremo in campo giurisdizionale, ma questa si pronunciò assolvendo i fratelli.

Prendiamo in considerazione soltanto uno di questi processi per illustrare come le accuse contro i fratelli fossero soltanto un pretesto per fermare la nostra opera. Il fratello Romolo Dell’Elice, che da oltre 34 anni svolge il suo servizio alla Betel, venne condannato dalla Pretura di Roma “alla pena di lire quattromila d’ammenda”, “per avere, senza la prescritta licenza, esercitato la questua mediante distribuzione di opuscoli e di volantini”. Il fratello Dell’Elice si appellò, e il Tribunale di Roma in data 2 dicembre 1959 lo assolse riconoscendo che “la distribuzione degli opuscoli e dei volantini menzionati non era fatta al fine di esercitare la questua, bensì al fine di fare della propaganda religiosa a favore . . . dei testimoni di Geova”.

UN CONGRESSO A ROMA!

Tenere un congresso a Roma era il vivo desiderio accarezzato dai fratelli per molti anni. Anche i fratelli processati davanti al Tribunale Speciale si erano chiesti: “Chissà se un giorno potremo tenere un’assemblea a Roma, e riunirci insieme in questa città che ci vide prigionieri?”

Queste speranze furono realizzate nel dicembre 1951 quando si tenne un congresso nazionale nei locali della Fiera Campionaria di Roma. Il tema “Pura Adorazione” contrastava in modo significativo con la religione che prosperava nella storica città. Poiché vi parteciparono fratelli di altre 14 nazioni europee, il congresso ebbe un carattere internazionale. Su questa assemblea La Torre di Guardia del 15 aprile 1953 faceva il seguente rapporto:

“Il congresso di Roma fu l’indimenticabile avvenimento dell’anno. Quando fu annunciato che il presidente della Società avrebbe presieduto all’assemblea i fratelli italiani determinarono di fare grandi sacrifici per intervenire. La povertà in Italia rende difficile uscire dalla nazione per andare a un congresso internazionale. Perciò, quando il fratello Knorr suggerì che le nazioni vicine fossero invitate ad assistere all’assemblea di Roma, il risultato fu eccellente. Ci furono circa 700 o 800 delegati dell’Inghilterra, della Danimarca, della Francia, del Belgio, della Svizzera e di molte altre nazioni europee. Questo rese l’assemblea di Roma un congresso internazionale che i fratelli italiani non dimenticheranno mai. Fu la loro prima prova dell’amore e dell’unità che esistono tra i fratelli che sono di diverse nazionalità e razze. Ora possiamo attendere simili benedette riunioni del popolo di Geova in Italia e anche in altri paesi, e sappiamo che più grandi sforzi saranno fatti dai nostri fratelli per partecipare alle future assemblee”.

SPECIALE CAMPAGNA CON L’OPUSCOLO

Ci furono due importanti avvenimenti nel 1955. Il primo di questi fu una speciale campagna mondiale con l’opuscolo La Cristianità o il Cristianesimo — Qual è “la luce del mondo”? Ogni proclamatore doveva distribuirne 30 copie di casa in casa; inoltre ciascun ecclesiastico del paese ne avrebbe ricevuto una copia. Venne svolto un grande lavoro per ricercare gli indirizzi e per spedire 100.000 copie con relativa lettera di accompagnamento.

Quasi nessuno degli ecclesiastici rispose alle lettere dei proclamatori. Ma alcuni reagirono violentemente scrivendo sui loro giornali. Ad esempio, il giornale cattolico Il Piccolo di Faenza in data 4 settembre 1955 pubblicava un articolo dal titolo a caratteri cubitali “Guardatevi dai falsi profeti — I testimoni di Geova hanno ricevuto risposta”. Vi si leggeva:

“In questi giorni i Testimoni di Geova (che il popolo chiama ‘i Bibbiani’) stanno inviando ai Sacerdoti e agli Istituti Religiosi un opuscolo propagandistico, pregando i destinatari di una risposta”. Dopo aver definito i Testimoni “poveri disgraziati”, e in possesso di “una ignoranza incredibile, una superbia e caparbietà spaventose”, l’articolo concludeva ammonendoli a “meditare” su un brano della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Questo tipico articolo e altri simili furono scritti per diffamare il popolo di Geova. Ma spesso causarono l’effetto opposto, suscitando la curiosità delle persone che facevano molte domande quando i proclamatori le visitavano nelle loro case.

ASSEMBLEA “REGNO TRIONFANTE”

L’altro avvenimento significativo del 1955 fu l’assemblea “Regno Trionfante”. Fra i 4.351 presenti a questo congresso internazionale c’erano delegati di 32 nazioni. I 378 battezzati furono un numero notevolissimo, quasi il 10 per cento dei presenti. Cinque treni speciali arrivarono da Parigi trasportando i fratelli, la maggioranza dei quali erano degli Stati Uniti. Il loro arrivo suscitò grande interesse perché fino ad allora non si erano mai visti tanti turisti americani a Roma in una sola volta.

Non fu facile ottenere il Palazzo dei Congressi, allora uno dei più belli d’Europa, tutto rivestito di marmo bianco e circondato da verdi parchi a disposizione dei congressisti. Il Palazzo era stato concesso e tutto sembrava procedere nel migliore dei modi quando, dieci giorni prima dell’inizio dell’assemblea, fu comunicato che la concessione veniva revocata. Ufficialmente ci fu detto che vi si doveva tenere un’altra manifestazione. Infine, due sere prima della data fissata, quando ormai sembrava non si potesse più tenere l’assemblea a Roma, la Direzione del Palazzo comunicò che potevamo invece tenerla.

Perché questi contrattempi? Una risposta a questo interrogativo può trovarsi nell’articolo intitolato “Torre di Babele — Una cornacchiola in Campidoglio”, pubblicato dal giornale Meridiano d’Italia del 30 ottobre 1955, che dichiarava:

“Il sig. Cornacchiola, consigliere democristiano al comune di Roma, è più papalino di Rebecchini [allora sindaco di Roma], che pure ha una carica, sia pure onorifica, nella Città del Vaticano.

“Infatti, il sig. Cornacchiola — proprio così: Cornacchiola — ha interrogato il sindaco di Roma ‘per conoscere i motivi che lo hanno indotto a rilasciare i locali dell’EUR [Esposizione Universale Roma], per il Congresso della setta protestante, i Testimoni di Jehova’. A nome del popolo di Roma, il consigliere Cornacchiola, ha elevato ‘una protesta ed un biasimo per chi si è reso responsabile di tale concessione, perché Roma, residenza del Vicario di Nostro Signor Gesù Cristo, non può tollerare simili congressi che offendono la residenza del Papa’”.

“Ora”, proseguiva il quotidiano, “a parte che il permesso è stato dato dalla Prefettura e per esso dal ministro Tambroni, grosso personaggio questo dell’Azione Cattolica, sta di fatto che Roma è la residenza del Capo dello Stato Italiano, perché il Vicario di Nostro Signore risiede nella Città del Vaticano.

“Il Capo dello Stato, Presidente Gronchi, tra le sue alte funzioni, ha quella di far rispettare la Costituzione, e la Carta Costituzionale della Repubblica Italiana dice all’art. 8 che ‘tutte le confessioni sono egualmente permesse e libere davanti alla legge ed hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti’.

“Se la Costituzione italiana non è gradita al Cornacchiola, cominci col dimettersi da consigliere al Comune di Roma”.

Il comportamento dei Testimoni fu commentato favorevolmente dalla stampa. Il Giornale d’Italia della domenica 7 agosto 1955 diceva in proposito:

“Tre sono gli elementi che colpiscono l’osservatore obbiettivo: l’educazione dei convenuti che seguono con rispettoso silenzio ed un evidente calore spirituale le parole degli oratori; la presenza in sala di tutte le razze della terra qui convenute in nome di una dottrina che sembra capace di ispirare azioni e pensieri tanto sereni quanto morali; terzo: il numero eccezionale di bambini da uno a tredici anni: negri, gialli, bianchi, biondi, ma tutti stranamente disciplinati quando addirittura non seguono consultando i versetti della Sacra Scrittura le parole dei loro predicatori”.

Le nuove pubblicazioni presentate furono accolte con grande entusiasmo, e un momento particolarmente emozionante fu quando si annunciò che la rivista Svegliatevi! sarebbe stata pubblicata in lingua italiana cominciando dal numero dell’8 agosto 1955. Furono inoltre presentati il libro Nuovi Cieli e Nuova Terra e gli opuscoli Fondamento per credere in un Nuovo Mondo, La conquista del mondo vicina: mediante il Regno di Dio e “Questa buona notizia del regno”.

DUE SIGNIFICATIVE VITTORIE NEL 1957

Nel 1957 il popolo di Dio riportò due significative vittorie in Italia. La prima di queste riguardava i 26 fratelli condannati dal Tribunale Speciale. Dopo la caduta del fascismo molti cittadini condannati da quella Corte ottennero la revisione del processo e furono assolti. I fedeli fratelli sapevano di aver subito un’ingiustizia per la loro presa di posizione e, anche se non si preoccupavano eccessivamente della loro reputazione agli occhi del mondo, decisero di chiedere la revisione del processo per rivendicare i diritti dei testimoni di Geova come popolo. Nella sentenza del Tribunale Speciale l’organizzazione teocratica era stata infatti accusata di essere ‘un’associazione segreta mirante a fare propaganda per deprimere il sentimento nazionale e a compiere fatti diretti a mutare la forma di governo’ e di perseguire delle “delittuose finalità”.

Sarebbe stato dunque vantaggioso far annullare quel giudizio per instaurare dei rapporti migliori con le autorità governative.

L’istanza per la revisione del processo fu discussa davanti alla Corte d’Appello dell’Aquila il 20 marzo 1957 ed erano presenti 11 dei 26 condannati. Uno degli avvocati difensori era l’avvocato Nicola Romualdi che, pur non essendo un testimone di Geova, ha difeso i nostri conservi fin dall’inizio degli anni cinquanta, quando era molto difficile trovare un legale disposto a sostenere la nostra causa. In oltre 30 anni egli ha difeso appassionatamente alcune centinaia di fratelli nella loro lotta per sostenere il loro diritto alla neutralità cristiana e la loro libertà di predicare la “buona notizia”.

In una relazione sulla revisione della sentenza, si legge che mentre l’avvocato Romualdi spiegava alla Corte che i testimoni di Geova consideravano la gerarchia cattolica come una meretrice per la sua ingerenza nelle questioni politiche, “i giudici si scambiavano sguardi e sorrisi d’intesa”. La Corte decideva di annullare le precedenti condanne e di conseguenza riconosceva che l’opera dei testimoni di Geova non era illegale o sovversiva.

L’altra vittoria venne riportata in relazione all’assemblea di distretto che si tenne a Milano a fine giugno. Era iniziata il giovedì pomeriggio nel salone del Giardino d’Inverno dell’Odeon. Ma quasi al termine della sessione serale accadde qualcosa, come narra il fratello Roberto Franceschetti:

“Mancavano dieci minuti circa al termine, quando il fratello Giuseppe Tubini, l’ultimo oratore, concluse in fretta e l’uditorio fu invitato a raccogliersi in preghiera. A nessuno era sfuggita quella rapida conclusione. E il cantico? Perché non c’era stato? Notammo subito che cosa stava accadendo. Mentre noi Testimoni eravamo tutti a capo chino, all’entrata eravamo circondati da persone con la testa eretta e col cappello. Non potevano che essere poliziotti!

“Più tardi conoscemmo i particolari. Ben 30 o 40 poliziotti in borghese erano entrati nel locale ordinando l’interruzione del congresso. Il motivo addotto era che i proprietari del locale non avevano richiesto la preventiva autorizzazione alle autorità di Pubblica Sicurezza. I responsabili del congresso cercarono, ma invano, di far comprendere che col provvedimento in ultima analisi si colpivano i Testimoni, non i proprietari del locale. La mattina del venerdì era previsto il servizio di casa in casa. I reparti territorio, riviste e letteratura funzionarono mediante fratelli che distribuirono il necessario in una strada adiacente e l’opera fu svolta ugualmente. Ma il tempo trascorreva velocemente nella febbrile ricerca di un altro locale. Mancavano due ore alla ripresa del programma e non si trovava una via d’uscita.

“Quindi i proprietari stessi del Giardino d’Inverno dissero di aver trovato un locale, il Cinema Arenella. Tutti i fratelli cooperarono e in breve i reparti si misero in movimento. Appena in tempo. Nonostante tutto la sessione iniziò senza ritardo.

“Ma la polizia non si era ancora arresa. Venne a trovarci anche nel nuovo locale per creare altri ostacoli. Ero stato incaricato di fare l’usciere e mi era stato detto di non far entrare nessuno nei locali, neppure la polizia. Ma ecco che mi si presentò davanti proprio un commissario di polizia con due agenti. Li fermai. Dissi loro che dovevano attendere. Per nulla intimiditi, i tre cercarono di entrare e allora mi vidi costretto a mettere una mano sulla pancia del commissario, che dovette fermarsi. Avevo una paura tremenda, ma per fortuna intervenne il sorvegliante dell’assemblea”.

L’assemblea si tenne e i fratelli si rafforzarono e si rallegrarono più del consueto per questa significativa vittoria. Ma non finì lì. Fu sollevata a nostro favore una campagna stampa senza precedenti. Molti giornali definirono l’azione della polizia un “sopruso inaudito”. E questo intervento illegale fu oggetto di un’interrogazione nel corso di una seduta del Senato della Repubblica. A questo proposito Il Paese dell’8 febbraio 1958 affermava:

“La parte più viva della seduta è stata quella dedicata alle interrogazioni. Alcune di esse toccavano, infatti, un tema scottante: quello delle ingerenze religiose. Il [senatore] repubblicano Spallicci ha chiesto di conoscere i motivi per i quali la Questura di Milano ordinò, a suo tempo, il brusco scioglimento di una riunione congressuale della Associazione culturale e religiosa dei ‘Testimoni di Geova’ (studiosi della Bibbia) che si teneva in un locale privato. Il Sottosegretario all’Interno, on. Bisori, nella sua risposta ha menato il can per l’aia. Egli, infatti, ha ripiegato su motivi di carattere organizzativo. La libertà di culto, ha detto il rappresentante del governo, tra l’ironia generale, non c’entra e si tratta solo di inosservanze del regolamento di P.S.”.

In tal modo il nome di Geova e del suo popolo si imponevano all’attenzione generale, persino delle più alte autorità dello Stato! Ma chi realmente aveva interesse a non fare svolgere l’assemblea? Il settimanale liberale di Roma Il Mondo del 30 luglio 1957 scriveva:

“L’articolo 17 della Costituzione garantisce ai cittadini il diritto di riunirsi pacificamente, ed avverte, nel primo capoverso, che ‘per le riunioni aperte al pubblico non è richiesto preavviso’. La riunione dell’Odeon era del resto riservata ai soli aderenti all’associazione religiosa, e per di più, essendo il locale stato affittato per quattro giorni, dal momento dell’affittanza era un locale che doveva venire considerato privato. Non solo, dunque, tutte le carte erano state messe in regola; non solo avrebbe dovuto valere la considerazione che in fondo i ‘Testimoni di Geova’ non sono tenebrosi cospiratori contro la sicurezza dello Stato o pericolosi perturbatori dell’ordine pubblico; ma pure qualche merito avrebbe dovuto riconoscersi alla prova di zelante lealismo fornita dagli organizzatori con la superflua notificazione data tempestivamente alla questura.

“Ma non c’è evidentemente lealismo, legalità o civismo che possono valere di fronte alla malizia di un funzionario dello Stato che voglia interpretare la vigente legge fascista di pubblica sicurezza in modo che ne abbia soddisfazione un arcivescovo [Giovanni Battista Montini, divenuto in seguito papa Paolo VI]”.

UNA SCHIETTA RISOLUZIONE

Nell’estate del 1958 ci fu uno storico avvenimento per i Testimoni di tutte le nazioni, l’assemblea internazionale “Volontà Divina”, che si tenne a New York allo Yankee Stadium e ai Polo Grounds. Fra i 253.922 presenti al discorso pubblico c’era anche un piccolo numero di delegati italiani che al ritorno manifestarono la loro gioia e meraviglia per ciò che avevano visto e udito.

Il programma del congresso di New York fu ripetuto alle tre assemblee di distretto che in quello stesso anno si tennero a Firenze, Napoli e Messina. Difficilmente i presenti possono dimenticare la risoluzione adottata nel corso del programma, dal tema “Come la cristianità ha deluso il genere umano?”

Questa sollevò il prevedibile entusiasmo dei fratelli, soprattutto quando seppero che la risoluzione doveva essere distribuita durante una campagna speciale. Infatti nel dicembre 1958 ogni proclamatore doveva diffonderne 100 copie. In tutto il paese ne furono distribuite mezzo milione.

LA VERA LIBERTÀ A SAN MARINO

“Benvenuti nell’antica terra della libertà”: questa scritta appare ben visibile al turista quando arriva per mezzo di una superstrada al confine di San Marino, la più antica repubblica del mondo. L’opera dei testimoni di Geova in questa repubblica indipendente totalmente circondata dal territorio italiano è sotto la sovrintendenza della filiale italiana.

Ma quando la vera libertà fu portata in questo piccolo stato di circa sessanta chilometri quadrati? I pionieri speciali cominciarono a lavorare il territorio nel 1958. Dieci anni dopo fu formato un piccolo gruppo di nove proclamatori, che divenne congregazione nel 1971. Nel 1972 fu tenuta in territorio sammarinese un’assemblea di circoscrizione con oltre 1.700 presenti: un avvenimento sorprendente per gli abitanti del luogo. Nell’aprile del 1981 fu raggiunto il massimo di 81 proclamatori nella congregazione di S. Marino: un Testimone ogni 252 abitanti!

IL PROBLEMA DELLA NEUTRALITÀ

I giovani cristiani hanno preso a cuore le parole ispirate che invitano a “fare delle loro spade vomeri e delle loro lance cesoie per potare” (Isa. 2:4) e hanno personalmente deciso di mantenere la neutralità rispetto alle controversie fra le nazioni. — Giov. 17:14, 16.

Abbiamo già parlato dell’“odissea” di Remigio Cuminetti e delle prove superate dai giovani Testimoni degli anni trenta. Tuttavia il problema della neutralità cristiana doveva accentuarsi dopo la seconda guerra mondiale con l’aumento dei giovani cristiani che desideravano coscienziosamente rimanere separati dal mondo.

I primi fratelli processati in questo periodo hanno subìto pesanti condanne e un trattamento particolarmente duro nelle prigioni. Alcuni sono stati processati cinque o sei volte e condannati complessivamente a quattro o più anni di reclusione. Una volta scontata la pena infatti il giovane Testimone veniva chiamato nuovamente a prestare il servizio militare e, rifiutandosi ancora, era di nuovo processato e così via. In teoria questa catena di processi poteva continuare fino ai 45 anni, età in cui non si è più soggetti agli obblighi di leva. Tuttavia dopo alcune condanne le autorità militari per evitare di farne dei martiri molte volte li riformavano come non fisicamente idonei al servizio militare. Li dichiaravano affetti da “paranoia religiosa” o “delirio religioso”. In altri termini li consideravano mentalmente infermi.

Alcuni brevi commenti da parte di alcuni fratelli che hanno superato la prova della neutralità saranno senza dubbio edificanti. Ennio Alfarano, che negli anni cinquanta ha subito cinque condanne, ricorda come poté superare una prova:

“Ero detenuto nel carcere di Gaeta. Il capitano volle obbligare me e altri due fratelli a fare il saluto militare. Rifiutammo tutti e tre. Egli ci punì facendoci stare 8 ore per terra con mani e gambe legate strettamente dietro la schiena. Soffrivamo veramente molto. Ma ci facemmo coraggio con la preghiera e cantavamo cantici per sostenerci a vicenda, e questo ci aiutò. Dopo ciò avremmo dovuto rimanere per tre giorni a pane e acqua. Ma gli altri fratelli detenuti lo seppero e riuscirono sempre a portarci il cibo necessario”.

Giuseppe Timoncini, che dal 1956 al 1961 ha pure subito cinque condanne, ricorda:

“Le autorità militari cercavano di scoraggiarmi dicendomi: ‘Nessun testimone di Geova è riuscito a resistere a lungo. Al massimo hanno affrontato un processo e poi hanno accettato di fare il servizio militare’. Io rispondevo che non poteva essere vero. Citavano addirittura nome e cognome di coloro che avevano acconsentito a compiere il servizio militare. Naturalmente erano nomi inventati.

“Per non rendere ancora più dura la mancanza di libertà, cercavo di non pensare che il minimo indispensabile al giorno della liberazione. E a volte dimenticavo completamente quanti mesi e giorni dovevo ancora scontare. Quello è stato per me un periodo di addestramento molto utile: mi ha insegnato ad adattarmi, e essere umile e a confidare maggiormente in Geova”.

Gino Tosetti, che ha trascorso oltre quattro anni in prigione, narra:

“I primi giorni di carcere in cella di isolamento erano molto duri. Ricordo anche un episodio avvenuto a Palermo. Una mattina la guardia mi svegliò e mi disse: ‘Giù dalla branda, Tosetti. C’è la legna da spaccare che ti aspetta!’ Feci presente che l’avevo spaccata ogni volta che mi era stato ordinato, ma quella mattina non ero in condizioni di farlo. Avevo le mani piagate e doloranti e non ce la facevo a tenere gli arnesi.

“Chiesi di essere visitato dal medico. ‘Solamente se hai la febbre puoi stare a letto, ma se non ce l’hai, passerai seri guai!’, replicò, e se ne andò. Pensando che mi sarebbe accaduto il peggio, pregai Geova di aiutarmi. Quando vennero e mi misurarono la temperatura rimanemmo stupiti loro ed io: il termometro segnava 39!

“Ho avuto molte occasioni di dare testimonianza. Una volta ho potuto parlare per due ore a una quarantina di militari che stavano tutti intorno a me ad ascoltare attentamente. La nostra buona condotta ha spinto molti, perfino fra i nostri guardiani, ad accettare la verità. Un soldato di guardia una mattina mi disse: ‘Tosetti, ti chiedo perdono per tutto il male che ti ho fatto. Hai ricambiato il mio male col bene. Questa notte mentre ero di guardia ho letto la tua rivista, “La Torre di Guardia”. Ho compreso tante cose e non credevo fossero così importanti. Desidero che tu mi aiuti a comprendere meglio’.

“Effettivamente questo giovane mi aveva sottoposto a diverse angherie, ma ero ben contento di perdonarlo. Poi lo persi di vista. Ero libero da qualche anno e mi trovavo a un’assemblea di distretto. Una persona mi si avvicinò e mi disse: ‘Non ti ricordi di me [mi disse il suo nome], quando ti aprivo e chiudevo il cancello della prigione, e che tante volte mi parlasti della verità?’ Era divenuto un fratello. Ci abbracciammo commossi”.

Man mano che i Testimoni aumentavano, il problema era continuamente portato all’attenzione delle autorità e del pubblico. Finalmente venne approvata una legge che prevedeva una sola condanna per chi non avrebbe accettato il servizio sostitutivo. Attualmente i nostri giovani fratelli vengono condannati a 12-15 mesi di reclusione.

Nel frattempo sono anche migliorate le condizioni di vita nelle prigioni militari. I giovani Testimoni possono tenervi regolarmente le adunanze e hanno una biblioteca teocratica che possono consultare per lo studio personale. Possono svolgere i programmi delle assemblee di circoscrizione e di distretto e persino i drammi biblici in costume. E hanno ottenuto il permesso di battezzare quelli che dedicano la loro vita a Geova mentre sono ancora in carcere. Ogni prigione militare è visitata regolarmente da anziani appositamente incaricati.

Dal 1978 al 1980 nelle prigioni militari vi sono stati in media ogni anno circa 500 giovani detenuti per la neutralità. Si calcola che fino ad ora alcune migliaia di Testimoni hanno mantenuto una coscienza pura davanti a Geova Dio sotto questo aspetto. Nel dicembre 1980, il Ministro della Difesa annunciò alla televisione nazionale che era stato presentato in Parlamento un progetto di legge che dovrebbe ulteriormente migliorare la situazione dei nostri giovani fratelli. Nel corso della trasmissione egli definì i giovani Testimoni “gente perbene” e dichiarò che con la nuova legge “lo Stato dimostrerà fra l’altro di rispettare tutte le religioni”.

Geova e il suo popolo si sono fatti un nome rispettato mediante la condotta neutrale di questi giovani Testimoni. A questo proposito Il Corriere di Trieste scriveva:

“I Testimoni di Jehova debbono essere ammirati per la loro fermezza e coerenza ideale, per la loro unità che si rifiuta, a differenza delle altre religioni, di pregare lo stesso Dio nel nome dello stesso Cristo, per benedire le due parti contendenti, di portare la politica nella religione e servire interessi terreni e Capi di Stato e Partiti, ed infine per la loro fedeltà sino al martirio, al requisito fondamentale che Dio esige dall’uomo per la sua salvezza: il comandamento NON UCCIDERE!”

ASSEMBLEA “ETERNA BUONA NOTIZIA”

Un notevole avvenimento di questa storia fu l’assemblea internazionale “Eterna Buona Notizia”. Non fu possibile comunque tenerla a Roma. Nel 1963 infatti la Chiesa Cattolica doveva tenere il Concilio Ecumenico Vaticano II e un funzionario del governo ci disse chiaramente che non si riteneva appropriato che una religione non cattolica tenesse allora un’assemblea a Roma. Egli disse pure che nel 1963 Roma doveva essere zona proibita per i non cattolici. Potevano visitarla come turisti, ma non svolgervi manifestazioni.

Quindi quest’assemblea di otto giorni si tenne a Milano al Velodromo Vigorelli, un noto impianto per le gare ciclistiche. Organizzare un’assemblea così grande, a cui si prevedeva avrebbero partecipato circa 20.000 persone, era un’esperienza nuova per i fratelli italiani. Quale fu il problema maggiore? Il fratello Giuseppe Cialini, un sorvegliante viaggiante che collaborò all’organizzazione del congresso, dice: “Oltre alle camere messe a disposizione dagli albergatori occorrevano molte altre migliaia di posti letto. Fu deciso di compiere la ricerca presso le case private e per quest’attività furono chiamati i pionieri speciali. Era la prima volta che quest’opera si compiva in Italia presso i privati cittadini, e in tal modo furono trovati circa 6.000 posti letto”.

L’opposizione del clero a questa attività non giunse inaspettata. Pochi giorni prima dell’inizio del congresso i parroci cominciarono ad avvertire i loro parrocchiani di non offrire ospitalità ai testimoni di Geova. Il parroco della chiesa di “Sant’Andrea” a Milano sul davanti della chiesa appose un cartellone con una scritta ben visibile: “I Testimoni di Geova non sono cristiani”. A causa di questa propaganda un certo numero di persone che avevano messo a disposizione le loro case ritirarono l’offerta.

Ma non tutti i parroci furono ostili all’organizzazione del congresso, come mostra la seguente esperienza narrata da un pioniere speciale:

“Stavo trattando il prezzo dell’alloggio con la padrona di casa. Lei si disse felice di ridurlo notevolmente rispetto a quello pattuito in precedenza, e me ne spiegò la ragione. Mi riferì che era andata a informarsi dal suo parroco e che questi le aveva detto: ‘Dia pure l’alloggio ai testimoni di Geova, che vengono qui per un grande congresso. Essi sono le uniche persone sincere che si radunano per parlare di Dio. In questi giorni c’è molto bisogno di persone come loro che si riuniscono con l’eccellente scopo di conoscere Dio. Dare ospitalità ai testimoni di Geova significa fare una buona opera verso l’umanità’”.

La ricerca degli alloggi ebbe successo anche per la capillare testimonianza data a tutta la città di Milano. Molti padroni di casa hanno imparato ad apprezzare la condotta dei testimoni di Geova, come narra una sorella pioniera speciale:

“Bussai a una porta e mi aprì una signora che, appreso lo scopo della mia visita, disse che aveva una decina di posti disponibili ma che voleva prima consigliarsi con una persona amica, un maresciallo dei carabinieri. Quando il giorno dopo ritornai, questa signora mi accolse con un radioso sorriso e mi disse: ‘Mia cara signorina, le cedo volentieri i dieci posti. Sa che cosa mi ha detto il maresciallo? Ebbene, le riferisco le sue testuali parole: “Lei signora non solo può offrire i posti a queste persone, ma può anche consegnare loro le chiavi di casa e andare dove vuole, anche in America”. Mi dispiace di non poter andarmene via durante il vostro congresso, altrimenti vi cederei tutto l’appartamento’”.

Uno dei più impegnativi lavori precongressuali fu la pulizia del Velodromo. Perché fu un lavoro così grande? Lo ricorda il fratello Antonio Capparelli: “Qualche tempo prima dell’assemblea nel Velodromo c’era stato un raduno cattolico presieduto dal cardinale Montini, poco prima della morte del papa Giovanni XXIII. Ogni cattolico presente teneva in mano una candela. Quindi le gradinate del Velodromo erano ricoperte di cera e gomma da masticare. Ci vollero centinaia di fratelli, che vennero perfino da Torino, per raschiare giorno e notte e pulire gradino per gradino, per una settimana di seguito”.

A questo congresso parteciparono i delegati di ben 52 nazioni. L’uditorio era suddiviso in quattro settori, francese, italiano, portoghese e spagnolo e il programma veniva ascoltato simultaneamente in ognuna di queste lingue. Si tennero anche delle sessioni di lingua inglese. Al termine della sessione del mercoledì pomeriggio l’uditorio apprese con grande entusiasmo dal fratello Knorr che si poteva ritirare una copia della Traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture Greche Cristiane, oltre che in tedesco e olandese, proprio nelle lingue parlate dai quattro gruppi nazionali presenti al congresso!

In questa storica occasione furono presenti alcuni dei 70 partecipanti alla prima assemblea tenuta nel 1925 a Pinerolo. Per loro trovarsi fra i 20.516 presenti al discorso pubblico fu qualcosa di indimenticabile. Una di queste sorelle scrisse: “Aver potuto partecipare al congresso di Pinerolo e dopo quasi quaranta anni a quello di Milano è stata una benedizione tale che basta da sola a far comprendere la mia profonda gioia”.

Al termine del congresso si diffuse una commozione indescrivibile quando i fratelli di varie nazionalità si salutarono. Molti hanno ancora davanti agli occhi la scena dei fratelli spagnoli e portoghesi che rimanevano seduti sulle gradinate per salutare i loro conservi in partenza agitando al vento centinaia di fazzoletti.

SORVEGLIANZA DELLA FILIALE

Il fratello Giuseppe Romano fu nominato sorvegliante della filiale al suo arrivo in Italia nel 1947, incarico che ebbe fino al maggio 1954. Dal 1954 al 1960 l’incarico fu dato ad Antonio Sideris e successivamente di nuovo al fratello Romano. Quindi nel gennaio 1964 fu nominato sorvegliante di filiale Valter Farneti. Ricordate quando anni prima il fratello Vannozzi dopo aver visitato la congregazione di Faenza scrisse: “Speriamo che un giorno alcuni di questi giovani decidano di intraprendere questo privilegiato servizio [di pioniere]”? Ebbene, uno di quei giovani era proprio il fratello Farneti. Dopo aver servito come sorvegliante di distretto frequentò il corso di 10 mesi della scuola di Galaad e poi fu nominato sorvegliante della filiale, di cui è tuttora il coordinatore.

DUE PUBBLICAZIONI PER IL PROGRESSO

Cosa poteva favorire il progresso più di una nostra versione della Sacra Bibbia e di un manuale che la spiegasse con un linguaggio chiaro? In effetti la Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture e il libro La Verità che conduce alla Vita Eterna sono risultati mezzi provveduti al momento giusto per edificare i veri adoratori.

La Traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture Greche Cristiane in lingua italiana era stata pubblicata nel 1963. Per quanto questo rappresentasse un notevole passo avanti, era evidente che il popolo di Dio aveva bisogno della traduzione dell’intera Bibbia. I Testimoni italiani avevano acquistato grandi quantità di versioni cattoliche e protestanti della Bibbia a prezzo abbastanza elevato. Alle adunanze, quando l’oratore leggeva i versetti da una versione, i proclamatori dovevano mentalmente adattare il brano letto alle espressioni delle loro traduzioni. Anche usando le Scritture Greche Cristiane, bisognava avere a disposizione un’altra versione per le citazioni delle Scritture Ebraiche.

Con grande gioia i fratelli appresero che era stata stampata in italiano l’intera Traduzione del Nuovo Mondo. Un primo quantitativo arrivato nella primavera del 1968 fu presto esaurito, anche perché nel mese di giugno ne fu fatta una campagna speciale. Da allora ne sono state distribuite oltre un milione e settecentomila copie. Il popolo di Dio l’ha usata per unificare il suo linguaggio e le sue espressioni di lode al Suo Autore e per insegnarla alle persone sincere.

La Verità che conduce alla Vita Eterna si può definire “il libro giusto al momento giusto”. Ne fu annunciata la pubblicazione alle assemblee estive del 1968 e le congregazioni poterono averne copie in autunno. Sicuramente ha contribuito ad accelerare il progresso nell’opera del Regno. Fino al 1982 ne sono state distribuite oltre quattro milioni e duecentomila copie.

ASSEMBLEA INTERNAZIONALE “PACE IN TERRA”

Nell’estate del 1969 fu tenuto a Roma un altro grande banchetto spirituale, l’Assemblea Internazionale “Pace in terra”. Vi parteciparono anche i fratelli della Spagna, che ancora non avevano nel loro paese la libertà di radunarsi in assemblea. Gli italiani si radunarono nel bel Palazzo dello Sport e gli spagnoli nel Palazzo dei Congressi, dove nel 1955 si era tenuta l’assemblea “Regno Trionfante”.

Ci furono delegati di 35 nazioni e al discorso pubblico i presenti furono complessivamente 25.648. Vennero immerse 2.212 persone. Nessuno si aspettava che i candidati al battesimo fossero così numerosi. Erano l’evidenza dell’inizio di un grande incremento.

La stampa fece un’insolita pubblicità al congresso. Il quotidiano Roma del 15 agosto 1969, parlando del battesimo, riferì: “Il tutto [si è svolto] in grande tranquillità e con calma tanto che non poco stonavano i carabinieri spediti sul posto nel timore di chissà che cosa. Proprio per questo il primo pensiero che veniva alla mente ieri mattina, nel vedere tanta paziente disciplina, era che se in Italia vi fossero più testimoni di Geova sarebbe infinitamente più facile prendere l’autobus, frequentare gli sportelli pubblici, entrare allo stadio e (tanto per rimanere in tema con i problemi di questi giorni) viaggiare a Ferragosto”.

L’OPERA IN LIBIA

La Libia occupa una vasta zona quasi completamente desertica che si affaccia sul Mare Mediterraneo. Ha una popolazione di quasi 2.750.000 abitanti, per la maggior parte arabi di religione musulmana. Prima della seconda guerra mondiale il paese era sotto la sovranità dell’Italia, e vi risiedeva una numerosa comunità di italiani. Alla fine degli anni sessanta, però, quasi tutti gli italiani furono costretti a lasciare la Libia.

L’opera dei testimoni di Geova iniziò in Libia nell’aprile 1950, quando Michel Antonovich dall’Egitto andò a Tripoli per occupare un posto di lavoro. La zelante attività di questo fratello cominciò a portare frutto specialmente fra gli italiani e così nel gennaio 1953 la sorveglianza dell’opera in quel paese fu trasferita dalla filiale dell’Egitto a quella italiana. Mentre l’opera del Signore progrediva, sorsero varie difficoltà. Ci furono arresti, confisca di letteratura, processi, ecc.

Nel 1957 fu fatta domanda affinché lo Stato libico riconoscesse legalmente l’opera. Ma la richiesta venne respinta a causa di false accuse contro i testimoni di Geova, compresa quella di essere un’organizzazione segreta affiliata al movimento sionista. Malgrado ciò l’opera cresceva e nel giugno 1959 raggiunse il suo massimo sviluppo con 89 proclamatori e un pioniere speciale. Ma subito dopo cominciò il declino perché molti fratelli furono espulsi dalle autorità e dovettero rientrare in Italia.

Nel 1964 l’opera fu messa al bando e dopo il cambiamento di governo del 1969 quasi tutti gli italiani, compresi i fratelli rimasti, dovettero lasciare il paese. Mentre l’attività compiuta in Libia nel passato ha portato dunque frutti di buona qualità, il futuro è nelle mani di Geova.

COSTRUITA LA NUOVA BETEL

Nel 1968 il fratello Knorr fece una visita alla filiale italiana e diede disposizioni di cercare un terreno dove costruire una nuova sede per l’opera. Ne fu trovato uno particolarmente adatto allo scopo. Era situato oltre l’estrema periferia a nord-est di Roma. Inoltre la zona, essendo vicina all’“Autostrada del Sole”, la più importante autostrada del paese, era facilmente accessibile ai mezzi di trasporto.

Fu presentato un progetto di costruzione al Comune di Roma per ottenere il permesso di costruire, ma sorsero difficoltà perché l’organizzazione teocratica non era ancora riconosciuta dallo Stato. Quando però nel 1969 i responsabili della Ripartizione Urbanistica del Comune appresero dalla stampa che oltre 25.000 persone avevano partecipato al congresso internazionale, si convinsero che come religione eravamo divenuti una realtà che ormai non si poteva ignorare. Finalmente nel marzo 1971 fu concesso il permesso per costruire e subito iniziarono i lavori, compiuti quasi interamente dai fratelli. L’edificio di due piani, oltre al pianterreno e al seminterrato, fu ultimato nella primavera del 1972.

L’inaugurazione della nuova Betel avvenne il 27 maggio 1972. Il giorno dopo il fratello Knorr pronunciò allo Stadio Flaminio il discorso dal tema “Una casa per istruzione spirituale” davanti a un uditorio di 15.700 persone, molte delle quali visitarono la nuova Betel e si rallegrarono nel constatare come Geova benediceva l’opera nel campo italiano.

ASSEMBLEA “VITTORIA DIVINA”

“Vittoria Divina” fu l’elettrizzante tema dell’assemblea nazionale tenuta a Roma nell’agosto 1973 allo Stadio Flaminio. Fu veramente entusiasmante per i 30.000 proclamatori italiani vedere oltre 57.000 presenti. Lo stadio era gremito e questa folla impressionante fece chiaramente comprendere quali erano le dimensioni della raccolta in corso. Il numero dei battezzati, 3.366 nuovi Testimoni, rappresenta la più grande immersione collettiva effettuata in Italia.

I giornali che pubblicarono circa 6.000 centimetri di colonne sul congresso parlavano di “eccezionale folla” e di “crescita spettacolare” dei testimoni di Geova.

Così li descriveva Il Messaggero dell’11 agosto 1973: “Tutti quei fedeli, così giovani, così zelanti, così pieni di fervore, così pieni di amore gli uni per gli altri”.

Il Tempo del 14 agosto 1973 diceva: “Il fatto che interessa è che in un mondo in sfacelo, in un mondo ove ognuno inventa una propria morale e, se gli fa comodo, una propria religione, genti di molte sorti, di diversissime origini culturali, si ritrovino non per disputare, ma per credere insieme, in comunione ideale, a una certezza di salvazione comune”.

LA BENEDIZIONE DI GEOVA È SUL SUO POPOLO

“La tua benedizione è sul tuo popolo”, scrisse il salmista. (Sal. 3:8) Ricordate il gruppetto di 120 proclamatori del 1946? Ebbene, dopo un inizio lento e difficile questi leali adoratori sono stati benedetti ed hanno potuto partecipare alla raccolta di una “messe” sempre più abbondante. I diagrammi che accompagnano questa storia indicano il meraviglioso aumento del popolo di Geova soprattutto dopo la metà degli anni sessanta. Nel 1981 in Italia c’è stato un massimo di 90.553 proclamatori che nell’agosto del 1982 sono ulteriormente aumentati a 98.172.

Le cifre delle tabelle pubblicate più avanti, oltre a mettere in risalto ulteriormente lo sviluppo dell’opera del Regno, ne indicano le eccellenti prospettive future.

Le 1.423 congregazioni sono suddivise in 89 circoscrizioni e 5 distretti. Secondo fondate statistiche, i testimoni di Geova sono numericamente la prima religione non cattolica del paese. Ma naturalmente ciò che conta agli occhi di Geova è avere la sua approvazione e benedizione. — Prov. 10:22.

STAMPATE LE RIVISTE ALLA BETEL

Con l’aumento dei proclamatori del Regno e degli abbonati occorrevano sempre più copie delle riviste Torre di Guardia e Svegliatevi! in lingua italiana. Un tempo le riviste arrivavano direttamente da Brooklyn. Dopo il 1969 furono stampate per qualche tempo dalla filiale londinese. Dall’aprile 1971 si incominciò a riceverle dalla filiale svizzera. Ma tutto questo creava dei problemi. Con i numeri del giugno 1972, La Torre di Guardia e Svegliatevi! vennero stampate da una tipografia commerciale di Roma. Ma questa soluzione risultò ben presto inadeguata alle esigenze. A causa degli scioperi e di altri inconvenienti, spesso si verificavano ritardi nelle consegne.

Pertanto la Società fece i piani per installare alla Betel di Roma una macchina rotativa. Questi piani furono infine realizzati, e alla fine del 1975 la nostra tipografia era in grado di stampare le riviste. Si iniziò con il numero di Svegliatevi! del 22 gennaio 1976 e con quello della Torre di Guardia del 1° febbraio 1976.

Nell’anno di servizio 1982 sono state stampate oltre 28.470.000 riviste in Italia. La tiratura media della Torre di Guardia è di circa 640.000 copie per edizione e quella di Svegliatevi! di circa 545.000 copie.

OPERA CON LE RIVISTE NELLE STRADE

Fino al 1974 le riviste Torre di Guardia e Svegliatevi! venivano distribuite dai proclamatori italiani soltanto di casa in casa, ma non nelle vie e nelle piazze. Perché? Ricorderete gli oltre cento processi subiti dai fratelli per far riconoscere il loro diritto di diffondere la “buona notizia”. Ebbene, nonostante non ci fosse alcuna disposizione di legge che vietasse la distribuzione delle riviste nei luoghi pubblici, i legali di fiducia avevano suggerito che era opportuno procedere per gradi. Prima era bene far riconoscere il diritto dei testimoni di Geova di dare testimonianza di casa in casa, e poi si poteva compiere il passo successivo.

Ma ormai l’opera si andava affermando in tutto il paese e si ritenne che poteva essere ulteriormente estesa. Prima di iniziare in tutto il paese l’opera stradale con le riviste, ne fu fatto un esperimento in alcune città come Milano, Firenze, Napoli. Visti i buoni risultati e che non c’erano state difficoltà, tramite il Ministero del Regno del novembre 1975 vennero date istruzioni su come diffondere le riviste in pubblico osservando le norme vigenti nel paese. Da quel tempo questa particolare opera si è estesa in tutta la nazione.

RICONOSCIUTA LEGALMENTE L’ORGANIZZAZIONE

Un tentativo di far riconoscere legalmente l’organizzazione teocratica dei testimoni di Geova fu fatto nel 1951. In quell’anno venne costituita a Milano un’associazione e presentata la domanda per il riconoscimento. Ma con lettera dell’11 febbraio 1953 la Prefettura di Milano respingeva la nostra richiesta dichiarando che non sussistevano “le condizioni necessarie per la concessione del chiesto provvedimento”. Quali erano queste “condizioni necessarie” per ottenere il riconoscimento? Le disposizioni di legge ne prevedevano basilarmente due: che l’organizzazione religiosa fosse “nota” al Governo e che le sue finalità non fossero in contrasto con l’ordine pubblico o il buon costume.

Alla fine degli anni cinquanta fu fatto un altro tentativo presso il Ministero dell’Interno, ma anche in quella occasione senza successo. Negli ambienti governativi la nostra organizzazione era ancora poco conosciuta e per di più vista sotto una cattiva luce. Il legale incaricato di curare la pratica scrisse che in Italia si sentiva ancora la “mancanza di uno spirito profondamente liberale”.

Trascorsero diversi anni. Con l’assistenza dello spirito santo di Dio l’opera dei testimoni di Geova progredì ed essi divennero noti in tutto il paese per le loro eccellenti qualità morali. Nel febbraio 1976 fu rinnovata la domanda e questa volta venne finalmente accolta. Il provvedimento fu reso noto alla filiale nel giugno dello stesso anno. La Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania veniva in tal modo riconosciuta legalmente.

Si aprivano nuove prospettive. Infatti alla fine del 1976 ottenemmo dallo Stato il permesso di nominare i ministri di culto autorizzati a celebrare i matrimoni. Inoltre, nel 1976 e nel 1979 furono emanati due Decreti Ministeriali con i quali ai proclamatori in servizio continuo sono concessi l’assistenza sanitaria e il trattamento pensionistico previsti per i ministri di culto. Recentemente è stata conclusa un’altra intesa governativa per autorizzare un certo numero di sorveglianti a visitare nelle carceri i detenuti che desiderano l’assistenza dei testimoni di Geova.

A seguito del riconoscimento concesso alla Watch Tower Society possono esserle intestate proprietà immobiliari. Pertanto ora diverse congregazioni acquistano o costruiscono le proprie Sale del Regno e ne intestano la proprietà alla Società. Precedentemente quasi tutte le Sale erano locali presi in affitto. Pochissime erano di proprietà dei testimoni di Geova perché le congregazioni erano costrette a intestarle a uno o più fratelli.

In Italia ci sono attualmente due Sale dei Congressi. La prima fu inaugurata a Milano nell’ottobre 1977 ed è un cinema opportunamente ristrutturato e adattato alle esigenze. L’altra, appositamente costruita nelle vicinanze di Torino, fu inaugurata nel maggio 1979.

Senza dubbio il riconoscimento dell’organizzazione ha consentito ai testimoni di Geova di operare nel paese con maggiore libertà e di impiegare mezzi sempre più efficaci per sostenere la pura adorazione.

PROGRAMMI RADIOTELEVISIVI

Si afferma che oltre alle reti nazionali ci siano nel paese 3.000 stazioni radio e 600 emittenti televisive private. Nel 1976 abbiamo cominciato ad utilizzare queste reti private per diffondere la “buona notizia” ancor più estesamente. Attualmente i nostri programmi sono regolarmente trasmessi da circa 250 stazioni radio e 30 televisive che ci concedono gratuitamente il loro spazio. Circa le trasmissioni televisive, la filiale fornisce ai fratelli che le curano schemi per conversazioni o interviste e anche programmi illustrati da diapositive, utilizzando quelle usate dai sorveglianti di circoscrizione nei loro discorsi. Fino ad ora abbiamo distribuito circa 200 programmi radiofonici e 50 televisivi.

Questi programmi, come risulta dalle relazioni ricevute, hanno molto successo. A volte ci sono stati dei risultati immediati, come ad Oristano in Sardegna, dove 15 persone hanno chiesto di essere visitate dai testimoni di Geova. E in tre paesi in provincia di Salerno circa 35 persone hanno iniziato a studiare la Bibbia con noi dopo aver ascoltato le nostre trasmissioni. Un anziano riferisce: In provincia di Ragusa un proclamatore, mentre era in servizio di casa in casa, ha incontrato un uomo che gli ha detto: ‘Vi aspettavo. Seguo tutti i giovedì la vostra trasmissione e prima o poi sapevo che sareste venuti anche a casa mia’. Egli ha accettato uno studio biblico”.

Naturalmente non sempre i risultati sono così immediati. Tuttavia in molti territori, grazie ai nostri programmi, molte persone hanno una migliore opinione del messaggio del Regno. E quando i proclamatori vanno di casa in casa, gli abitanti li ascoltano con più attenzione.

LA CAMPAGNA CON L’OPUSCOLO SUL SANGUE

In Italia il problema delle trasfusioni di sangue è sorto soprattutto negli anni sessanta. In quel periodo la trasfusione di sangue era considerata dai medici una terapia insostituibile e i suoi rischi non venivano messi ancora abbastanza in risalto. Era quindi molto difficile trovare chirurghi disposti a effettuare interventi senza sangue. I proclamatori dovevano spesso trasferirsi da una città all’altra alla ricerca di un medico disponibile. E i giornali, quando si verificavano certe situazioni di emergenza, pubblicavano articoli che costituivano vere e proprie campagne pubblicitarie contro di noi. In quelle circostanze com’è stato difficile per i fratelli affrontare la grande ostilità mostrata in certe zone!

Verso la metà degli anni settanta la situazione è andata lentamente migliorando. Pian piano si sono trovati più medici che hanno compreso il nostro punto di vista. Ma non c’è dubbio che un sensibile miglioramento si è verificato soprattutto dopo il dicembre 1977. Perché dopo quella data? In quel mese si è svolta in tutto il paese la campagna col nuovo opuscolo I Testimoni di Geova e il problema del sangue. In Italia l’opuscolo è stato distribuito a 87.000 medici, 48.000 avvocati e giudici e circa 200.000 infermieri. I risultati di quella campagna sono stati notevoli, sicuramente oltre le aspettative.

Innanzi tutto è stato rivendicato il nome di Geova che spesso era stato ingiustamente biasimato perché ‘ci asteniamo dal sangue’ con fermezza. (Atti 15:19, 20, 28, 29) I fratelli hanno compreso meglio i termini della questione e sono anche meglio preparati per prendere contatti con i sanitari. Inoltre si son trovati molti altri medici disposti a rispettare le nostre convinzioni.

CONVEGNI SULLE TRASFUSIONI DI SANGUE

A causa dell’interesse suscitato dalla diffusione dell’opuscolo, alcuni studiosi hanno indetto convegni per approfondire gli argomenti. Il 21 febbraio 1978 presso la nota “Fondazione Carlo Erba” di Milano si è tenuta una Tavola Rotonda dal tema: “Chirurgia, trasfusioni e testimoni di Geova”. Al convegno, cui è intervenuto come moderatore il prof. Carlo Sirtori, uno scienziato di fama mondiale, ci sono state numerose espressioni di comprensione intorno al problema.

Il 21 aprile 1979 si è tenuta a Siena un’altra Tavola Rotonda indetta dall’Istituto di Medicina Legale dell’Università degli Studi di quella città. Il tema del convegno, “Il rifiuto delle trasfusioni di sangue da parte dei testimoni di Geova maggiorenni e l’ordinamento costituzionale”, fu introdotto dal relatore, il prof. Mauro Barni, direttore del suddetto Istituto di Medicina Legale e già Rettore dell’Università, il quale dichiarava:

“La ipotesi che fondamentalmente occorre considerare riguarda la condotta del sanitario il quale, pur in presenza di esplicito dissenso del testimone di Geova, si determini comunque al trattamento emotrasfusionale. Orbene, non v’è dubbio che siffatto comportamento debba ritenersi inaccettabile sotto il profilo deontologico e tale da configurare la fattispecie di cui all’art. 610 c.p. [Codice Penale], costituendo certamente coazione violenta a tollerare qualcosa di espressamente rifiutato”.

Il 7 luglio 1979 nella cittadina di Ripatransone (Ascoli Piceno) veniva promosso dal locale ospedale un altro convegno dal tema: “Trasfusione di sangue e metodiche alternative”. Uno dei principali oratori, il dott. Cesare Buresta, faceva una relazione sui risultati conseguiti con oltre 240 interventi chirurgici effettuati con successo senza trasfusioni di sangue. Il periodico Panorama del 23 luglio 1979 riferiva in proposito:

“Per anni sono stati rifiutati dagli ospedali, sfuggiti dai medici, abbandonati a se stessi, ingannati, condannati. . . . Oggi però, grazie all’evoluzione e alla messa a punto di nuove tecniche [alternative], anche per i testimoni di Geova, una delle più attive o organizzate minoranze religiose operanti in Italia, . . . sembra avvicinarsi la fine di un lungo incubo. . . . L’insieme di queste tecniche, secondo Buresta, rende possibile operare senza trasfusione di sangue nel 99% dei casi. Un risultato che potrebbe consentire notevoli vantaggi”.

Dopo tutta la pubblicità sfavorevole sopportata per tanti anni, era impensabile attendersi tante espressioni di comprensione per il nostro problema del sangue. Il popolo di Dio è molto grato a Geova per aver benedetto la distribuzione dell’opuscolo I Testimoni di Geova e il problema del sangue.

CONGRESSO “FEDE VITTORIOSA”

L’immensa folla presente al congresso internazionale “Fede Vittoriosa” fu la prova inconfutabile che la fede nel vivente e vero Dio aveva vinto tutta l’opposizione degli anni passati. Nel 1978 fu necessario tenere due congressi, uno a Milano e uno a Roma. Complessivamente vi furono 111.320 presenti.

Il massimo numero dei presenti a un ciclo di assemblee è stato raggiunto nel 1982 con 147.014 partecipanti alla serie di assemblee di distretto “Verità del Regno”.

I PIONIERI SONO DI GRANDE AIUTO

La certezza che Geova non dimentica i nostri sforzi e l’amore per il suo nome hanno spinto molti a servirlo più pienamente. (Ebr. 6:10) Nel 1946 c’era un solo pioniere nel paese, ma negli anni successivi coloro che hanno iniziato questo prezioso servizio sono aumentati progressivamente. Nel 1981 ci sono stati circa 500 pionieri speciali. Nell’agosto 1982 c’è stato un nuovo massimo di 2.746 pionieri regolari. In maggio 1982, 16.187 proclamatori si sono impegnati nell’attività di predicazione del Regno come pionieri ausiliari.

La Sicilia e la Sardegna sono fra le regioni dove sono assegnati più pionieri speciali. Naturalmente c’è un eccellente progresso in entrambe le isole. In Sicilia ci sono 7 circoscrizioni con 135 congregazioni. In Sardegna, che è meno popolosa e dove l’opera è iniziata più di recente, ci sono 3 circoscrizioni con 53 congregazioni. Grazie anche all’attività dei pionieri il 99,6 per cento del territorio nazionale è stato assegnato ed è percorso regolarmente, mentre il restante 0,4 per cento viene percorso saltuariamente.

FRATELLI IN TEMPO DI ANGUSTIA

Poiché una buona parte dell’Italia è zona sismica, i maggiori disastri naturali che hanno colpito il paese sono stati provocati dai terremoti. Uno di questi nel maggio 1976 sconvolse gran parte del Friuli, regione al confine con l’Austria e la Iugoslavia, causando la morte di quasi mille persone e la distruzione di migliaia di abitazioni. Sebbene molti Testimoni fossero rimasti senza tetto, nessuno perse la vita o fu ferito gravemente. Immediatamente dopo il disastro i fratelli dei luoghi vicini si misero all’opera facendo affluire nella zona del sisma i primi aiuti necessari.

Il terremoto che alle ore 19,34 di domenica 23 novembre 1980 colpì una vasta zona dell’Italia meridionale, compresa fra la Campania e la Basilicata, fu ancor più disastroso. Le scosse telluriche furono avvertite in tutto il paese. Si parlava di migliaia di morti e di feriti e di interi paesi distrutti. In quella zona c’erano oltre 130 congregazioni dei testimoni di Geova. Dalle registrazioni della filiale risultava che ad esse erano associati circa 8.500 proclamatori e 4.500 persone interessate, un totale di ben 13.000 persone.

Tutti erano preoccupati per la loro sorte. Entro la mattinata del giorno successivo la filiale aveva già notizie precise. Nessun testimone di Geova o interessato era morto o ferito! Erano tutti salvi! Nonostante il dolore per le migliaia di morti e per le sofferenze dei sopravvissuti, la notizia recò un grande sollievo.

I proclamatori della zona devastata mostrarono di confidare fortemente in Geova, sia nel momento più terribile quando sentirono la terra e gli edifici sobbalzare, sia nell’affrontare i disagi resi più gravi dalla stagione invernale. Alcune congregazioni erano riunite in adunanza proprio al momento del terremoto. Un anziano della congregazione di Eboli (Salerno) narra:

“Avevamo appena iniziato lo studio ‘Torre di Guardia’ quando improvvisamente sentimmo sussultare il pavimento della Sala del Regno, mentre le pareti e il soffitto sopra di noi scricchiolavano paurosamente muovendosi a vista d’occhio. Passarono alcuni secondi e prima che ci rendessimo pienamente conto di quanto stava accadendo, seguì un’altra scossa di maggiore intensità. Pensammo ci crollassero sopra i quattro piani dell’edificio. Furono senz’altro gli attimi più lunghi della nostra vita!

“Come conduttore dello studio mi resi conto di dover prendere un’immediata decisione per l’incolumità dei presenti. Ma quale? Due erano le possibilità: uscire o rimanere tutti insieme nella sala. Chiesi con intensità a Geova che mi guidasse per prendere la decisione più saggia, mentre rammentai una situazione analoga vissuta dai fratelli della congregazione di Gemona del Friuli alcuni anni prima. Esortai i fratelli a rimanere in sala e a unirsi a me in preghiera a Geova. Nessuno degli oltre 130 presenti si mise a gridare o tentò di fuggire dalla sala. Ma con profonda fiducia in Geova riprendemmo lo studio ‘Torre di Guardia’ mentre fuori l’intero paese era nel panico.

“Terminammo l’adunanza con una sentita preghiera di ringraziamento mentre molti di noi versavano lacrime di gioia per l’evidente protezione ricevuta da Geova. Com’eravamo grati di aver ubbidito all’esortazione dell’apostolo Paolo in Ebrei 10:24, 25! L’ubbidienza ci aveva salvato la vita! Immediatamente dopo ci precipitammo in un paese vicino dove altri 50 fratelli della stessa congregazione tenevano un’adunanza separata. Anch’essi erano salvi, mentre tutto intorno c’erano case gravemente lesionate e le due principali chiese del paese erano semidistrutte”.

Il sorvegliante della congregazione di Bellizzi (Salerno) ricorda: “L’adunanza era terminata da cinque minuti quando all’improvviso avvertimmo qualcosa che non avevamo mai sentito prima. La Sala del Regno ci sembrava impazzita. Si è sentito un sol grido: ‘Geova aiutaci!’ Ho gridato ai fratelli: ‘State calmi, non scendete le scale!’ Eravamo tutti salvi”.

I fratelli della zona terremotata furono pronti a soccorrersi reciprocamente e i Testimoni di tutto il paese e di altre nazioni europee non ebbero alcuna esitazione a contribuire con denaro e beni di prima necessità. Fu organizzato un centro di soccorso che diresse gli aiuti ai fratelli bisognosi. Il primo camion inviato dalla Società con cibo, tende, coperte e vestiario arrivò nella zona già la prima sera dopo il terremoto.

“I fratelli si meravigliarono della rapidità con cui fu provveduto loro l’aiuto necessario”, ha narrato un sorvegliante viaggiante in servizio nella zona. Egli ha pure detto: “Avevamo allestito immediatamente una cucina e ogni giorno veniva distribuito ai fratelli il cibo cucinato da sorelle, mentre gli altri abitanti del paese non avevano ancora ricevuto alcun aiuto e dovevano arrangiarsi da soli. Naturalmente i fratelli non furono egoisti, e divisero il cibo con molti non testimoni di Geova. Venne portato del cibo nel paese di Montella e ai vicini di casa dei fratelli furono dati pasta, riso, olio, zucchero, pane, latte e biscotti per i piccoli”.

Nel mese in cui si abbatté la calamità fu raggiunto il nuovo massimo di 86.192 proclamatori. I fratelli della zona terremotata contribuirono certamente a questo aumento mantenendo un eccellente zelo per l’opera del Signore. Siamo grati dell’amore mostrato loro dai nostri conservi di varie nazioni che li assisterono con i loro beni e le loro preghiere. E siamo grati a Geova perché ancora una volta si dimostrò un grande Soccorritore per il suo popolo. — Sal. 54:4.

IL “CASO ONEDA”

Nel 1980 un altro genere di “terremoto” ha sconvolto l’opinione pubblica del paese: l’arresto, avvenuto il 5 luglio, e l’imprigionamento di due coniugi cristiani accusati, nientemeno, di aver ucciso la loro figlia primogenita di due anni e mezzo.

Giuseppe e Consiglia Oneda, residenti in un paesino a circa 20 km da Cagliari, erano stati duramente provati dal male. Infatti la loro bimba era affetta da una terribile malattia, il morbo di Cooley o talassemia Major, che, malgrado ogni moderna terapia, conduce inesorabilmente alla morte. Dopo aver accettato il messaggio biblico, gli Oneda facevano presente alla II Clinica Pediatrica dell’Università di Cagliari, a cui avevano affidato la loro piccola, che non avrebbero più acconsentito a farle somministrare le trasfusioni di sangue. (Atti 15:28, 29) Interveniva il Tribunale dei Minorenni che imponeva le emotrasfusioni affidandone l’incombenza alla Clinica. Se non che i sanitari dopo qualche tempo cessavano di somministrare le trasfusioni di sangue alla piccola che, nel frattempo, veniva curata dai genitori con ogni terapia alternativa disponibile.

Infine, a causa della gravità del male, la bimba decedeva, e immediatamente dopo i genitori venivano imprigionati. Quasi due anni dopo, esattamente il 10 marzo 1982, veniva pronunciata l’ingiusta e assurda sentenza: 14 anni di reclusione per omicidio volontario. Ingiusta perché i genitori avevano chiaramente manifestato la loro obiezione di coscienza alle trasfusioni e perché a seguito di ciò la responsabilità di tale terapia era stata affidata alla Clinica dalla Magistratura. Assurda perché quei genitori coscienziosi avevano fatto ogni tentativo per curare la piccola con cure alternative rivolgendosi persino a enti pubblici.

Dopo la condanna i proclamatori si sono zelantemente impegnati nella distribuzione di milioni di copie di un volantino intitolato “Un’ingiustizia che minaccia la vostra libertà”, allo scopo di portare all’attenzione delle autorità e del pubblico il grave atto di repressione della libertà religiosa. Tale volantino è stato pure inviato a tutti i magistrati e ai parlamentari. I proclamatori hanno inoltre scritto decine di migliaia di lettere alle principali autorità del paese.

Il risultato di tutta questa attività è stato una potente testimonianza sulla questione del sangue. Diverse persone dopo la lettura del volantino hanno richiesto uno studio biblico a domicilio. Molti avvocati, magistrati e uomini politici hanno scritto lettere alla filiale per manifestare la loro solidarietà e per criticare la sentenza. Il Presidente di una sezione della Corte Suprema di Cassazione ha scritto: “La severità [della condanna] appare chiara al confronto con troppi processi nei quali veri delinquenti . . . riescono ad ottenere, con un pentimento, vero o falso che sia, pene irrisorie”.

Anche molti giornali hanno criticato la severa condanna. Stampa Sera del 24 maggio 1982 ha affermato: “Quattordici anni di carcere a due genitori colpevoli di non aver dato l’assenso alle trasfusioni di sangue per la loro amatissima bimba talassemica, in obbedienza alla fede religiosa che avevano abbracciato, appaiono un’ingiustizia”.

L’Avanti! del 24 marzo 1982 ha dichiarato: “Il dubbio infatti che si sia colpita non una responsabilità ma una confessione si affaccia prepotentemente come una spettrale idea, come una inquietante ipotesi di intolleranza e di insofferenza . . .”.

Contro la sentenza è stato immediatamente proposto l’appello. Nel frattempo la fedele perseveranza e sopportazione di questi umili genitori ha incoraggiato i proclamatori a dare una testimonianza ancora maggiore.

AMPLIAMENTO DELLA BETEL

Quando nella primavera del 1972 venne inaugurata la nuova casa Betel, nel paese c’erano poco più di 25.000 lodatori di Geova. Chi poteva prevedere che in soli quattro anni l’edificio sarebbe diventato troppo piccolo? Eppure nel 1976 era già inadeguato a soddisfare le esigenze dei 60.000 proclamatori.

Fra il 1975 e il 1976 vennero acquistati due lotti di terreno adiacenti a quello precedente. (Complessivamente il terreno a nostra disposizione è ora di circa 14 ettari). Secondo il piano regolatore del Comune di Roma in questo terreno era possibile edificare solo un edificio ad uso agricolo. Venne presentata una domanda per ottenere una variante al piano regolatore e nel frattempo fu richiesto il permesso di costruire una piccola casa rurale con fienile, stalla e un magazzino, che dovevano servire per l’attività agricola della famiglia. Alla fine del 1978 cominciammo a edificare questo piccolo complesso agricolo che fu ultimato nella primavera del 1980.

Finalmente nell’ottobre 1979 è stato concesso anche il permesso per edificare una nuova casa Betel e un capannone per la stamperia. La costruzione è iniziata subito ed è stata realizzata esclusivamente col lavoro di volontari. Circa mille fratelli hanno offerto gratuitamente la loro attività. Nell’ottobre 1980 è stato terminato lo stabilimento dove ora sono installate tre rotative M.A.N. e una legatoria per i libri. La nuova casa è stata ultimata nella primavera del 1982.

Essa ha 70 comode camere, un’ampia sala da pranzo e un’adeguata cucina, una spaziosa Sala del Regno e altri ambienti necessari. Il 24 aprile 1982 i nuovi locali sono stati inaugurati e dedicati a Geova con una speciale adunanza. L’oratore principale in programma era il fratello Milton Henschel del Corpo Direttivo. Ricordate che nel 1947 il fratello Henschel era venuto a Milano insieme al fratello Knorr in occasione della prima assemblea del dopoguerra? Che grande progresso ha potuto vedere dopo 35 anni! Il programma è stato svolto nella nuova Sala del Regno, collegata telefonicamente per l’occasione con sei città: Roma, Novara, Ascoli Piceno, Napoli, Siracusa e Cagliari. Per la prima volta in Italia un programma dei testimoni di Geova è stato diffuso via cavo.

Attualmente alla Betel lavorano 134 membri, che formano una felice famiglia al servizio dei loro conservi cristiani. Alcuni di questi lavoratori sono occupati nel podere la cui produzione è quasi sufficiente al fabbisogno della casa. Altri lavorano al reparto spedizioni, che svolge una notevole attività per inviare la letteratura, le riviste e altre provviste necessarie alle congregazioni.

PER FAR PERVENIRE LA LETTERATURA ALLE CONGREGAZIONI

A causa dei ritardi del servizio postale e degli scioperi, nel passato le congregazioni più distanti spesso non ricevevano in tempo il materiale spedito. Un sorvegliante di circoscrizione ricorda: “Mentre visitavo una congregazione in Sicilia, andavo di casa in casa con una proclamatrice. Le feci notare che stava distribuendo riviste arretrate di due mesi. Al che lei disse che quelle erano le ultime arrivate alla congregazione”.

A causa di questi ritardi è necessario effettuare la maggior parte delle spedizioni con quattro camion che la Società ha acquistati. Quello con rimorchio, che ha una portata di oltre 25 tonnellate, viene impiegato anche per ritirare la letteratura dalla filiale tedesca a Wiesbaden. Le provviste ordinate dalle congregazioni vengono portate con i camion a oltre 125 depositi sparsi nella penisola, in Sicilia e Sardegna, che funzionano da centri di smistamento. Con questa disposizione le congregazioni ricevono tempestivamente il necessario cibo spirituale, e le spese sono notevolmente ridotte.

GRATITUDINE PER LA PROTEZIONE DIVINA

Questa è la storia dell’attività dei testimoni di Geova in Italia nei tempi moderni. Il merito per quanto è stato compiuto non va a singoli individui, per quanto alcuni siano stati menzionati per nome. Piuttosto, questa storia mostra come un popolo è venuto all’esistenza, ha sopportato l’ardente opposizione da parte del clero ed ha prosperato grazie alla guida e alla protezione divina.

Sono passati circa 1.923 anni da quando l’apostolo Paolo appagò il suo grande desiderio di vedere i cristiani di Roma per ‘impartire loro qualche dono spirituale’. (Rom. 1:11) Sono trascorsi i secoli della grande apostasia che ha tenuto il paese sotto dense tenebre spirituali. Sono pure passati i primi anni di questo secolo quando i tenui raggi di luce della verità hanno cominciato a illuminare il sentiero di pochi individui. Ed è passata la persistente opposizione religiosa, che il popolo di Geova ha sopportata lealmente.

Al presente esiste una rallegrante realtà. L’Italia, che alla fine della seconda guerra mondiale aveva una media di circa 90 proclamatori del Regno, ha ora superato i 98.000 proclamatori della “buona notizia”. Il futuro si presenta pieno di eccellenti prospettive. In marzo 1982 è stata raggiunta in Italia la cifra massima di 68.140 studi biblici a domicilio e i presenti alla Commemorazione nel 1982 sono stati 213.657.

Nella storica città di Roma operano ora 60 congregazioni, tra cui una inglese. Questo indica che con la protezione divina potrà esserci nel prossimo futuro un’ulteriore espansione alla lode di Geova nostro Dio. I suoi felici adoratori sono pronti ad attribuire a Lui solo il merito della loro prospera condizione attuale. E, riflettendo su questi capitoli di storia moderna del vero cristianesimo in Italia, gli esprimono gratitudine, come il salmista Davide che fu spinto a esclamare:

“Se non fosse stato perché Geova mostrò d’essere per noi quando gli uomini si levarono contro di noi, ci avrebbero inghiottiti perfino vivi, quando la loro ira ardeva contro di noi. Benedetto sia Geova, che non ci ha dati come preda ai loro denti. La nostra anima è come un uccello che è scampato alla trappola degli adescatori. La trappola è rotta, e noi stessi siamo scampati. Il nostro aiuto è nel nome di Geova, il Fattore del cielo e della terra”. — Sal. 124:2, 3, 6-8.

[Nota in calce]

^ par. 220 I brani citati dalle tre circolari sono tratti dall’opera Provvedimenti ostativi dell’autorità di polizia e garanzie costituzionali per il libero esercizio dei culti ammessi a cura di Giorgio Peyrot (Editore Giuffrè).

[Grafico a pagina 247]

(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

AUMENTO NEL NUMERO DEI PROCLAMATORI

100.000

98.172

75.000

60.156

50.000

25.000

22.196

10.278

120 1.742 3.491 6.304

0 1946 1951 1956 1961 1966 1971 1976 1982

[Grafico a pagina 248]

(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

AUMENTO NEL NUMERO DELLE CONGREGAZIONI

1.600

1.423

1.200

1.141

800

433

400

35 97 139 242 275

0 1946 1951 1956 1961 1966 1971 1976 1982

[Grafico a pagina 249]

(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

AUMENTO DEI PRESENTI ALLA COMMEMORAZIONE

250.000

213.657

200.000

 

150.000

130.348

100.000

53.590

50.000

200 2.897 5.790 12.113 19.682

0 1946 1951 1956 1961 1966 1971 1976 1982

[Cartina a pagina 114]

(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

ITALIA

Gemona

Sondrio

Aosta

Varese

Como

Gallarate

Brescia

Vicenza

Novara

Milano

Torino

Piacenza

Pinerolo

Alessandria

Bologna

Genova

Cuneo

Faenza

Firenze

Siena

Perugia

Teramo

Popoli

Avezzano

Sulmona

ROMA

Foggia

Cerignola

Bisceglie

Molfetta

Gaeta

Napoli

Avellino

Bari

Salerno

SICILIA

Palermo

Messina

Caltanissetta

SARDEGNA

CORSICA

FRANCIA

SVIZZERA

AUSTRIA

UNGHERIA

IUGOSLAVIA

MAR MEDITERRANEO

[Immagine a pagina 119]

La casa di Fanny Lugli vicino a Pinerolo, dove si tennero le prime adunanze, al piano terra sotto il balcone

[Immagine a pagina 127]

Remigio Cuminetti, il primo Testimone italiano che sostenne la neutralità cristiana e il primo fratello italiano incaricato dell’opera in Italia

[Immagine a pagina 135]

Ignazio Protti e le sue due sorelle, Albina e Adele, che si trasferirono dalla Svizzera in Italia dove prestarono zelantemente servizio come colportori

[Immagine a pagina 137]

L’Hotel Corona Grossa a Pinerolo dove, nel 1925, si tenne il primo congresso in Italia

[Immagine a pagina 153]

Maria Pizzato, che conobbe la verità grazie ad alcune copie della rivista “Torre di Guardia” acquistate da sua madre in questa edicola di giornali a Vicenza nel 1903 e nel 1904

[Immagine a pagina 173]

Aldo Fornerone, che durante la seconda guerra mondiale sperimentò di persona il valore della neutralità cristiana, serve ancora come anziano

[Immagine a pagina 189]

La prima assemblea di circoscrizione tenuta in Italia nel 1947 a Roseto degli Abruzzi; i fratelli si riunirono in una strada privata sotto un fico e un pergolato di viti

[Immagine a pagina 205]

La prima assemblea di distretto in Italia fu tenuta a Milano, dal 27 al 29 ottobre 1950, sotto queste grandi tende, nonostante l’opposizione clericale

[Immagine a pagina 213]

Il Palazzo dei Congressi a Roma dove, nel 1955, si tenne l’assemblea internazionale “Regno Trionfante”

[Immagini alle pagine 240 e 241]

Edifici della filiale. In alto a sinistra: L’edificio acquistato a Roma nel 1948. In alto a destra: L’edificio della filiale ultimato nel 1972. In basso a destra: Vista laterale del complesso della Betel con gli edifici più recenti

[Immagine a pagina 250]

Sala dei Congressi di Torino inaugurata nel 1979