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Ruanda

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IL RUANDA è uno dei paesi più piccoli dell’Africa, ma è anche uno dei più belli. Noto come il “paese delle mille colline”, al suo interno ospita montagne, foreste, laghi, cascate e un’infinita varietà di piante e animali. Nella regione montuosa che confina a ovest con la Repubblica Democratica del Congo * e a nord con l’Uganda si erge incontrastata la catena dei Virunga. La vetta più alta, il Karisimbi, è un vulcano inattivo alto circa 4.500 metri, la cui cima appare spesso imbiancata a motivo di nevischio e grandine. Più in basso, sui pendii di questi monti, le fitte selve di bambù e la foresta pluviale sono l’habitat dei cercopitechi dorati, scimmie a rischio di estinzione, che si dondolano comodamente tra rami e rampicanti. Ed è sempre qui, in mezzo a questa vegetazione rigogliosa, che si trova uno dei patrimoni più preziosi del paese: il gorilla di montagna.

Le piante esotiche e la vegetazione lussureggiante si estendono fino a raggiungere le rive del lago Kivu e la foresta di Nyungwe. Questa foresta è abitata da scimmie, quali gli scimpanzé e i colobi dal pelo bianco e nero, e da più di 70 altri mammiferi. Vi si trovano circa 270 specie di alberi e 300 di uccelli. Farfalle e orchidee, presenti in gran quantità, esaltano la bellezza di quest’area protetta.

Nel cuore della foresta di Nyungwe affiora un piccolo corso d’acqua che procede lentamente verso est raccogliendo le acque di altri torrenti e fiumi che incontra sul suo cammino, per poi immettersi nel lago Vittoria. Da qui le acque discendono rapidamente acquistando impeto e proseguono il loro lungo corso verso nord, oltre l’Etiopia, attraverso il Sudan, fino ad arrivare in Egitto, dove sfociano nel Mar Mediterraneo. A dispetto delle sue modeste origini sulle colline boscose dell’Africa centrale, questo fiume, il Nilo, percorre circa 6.800 chilometri, il che ne fa uno dei fiumi più lunghi della terra.

MOMENTI TERRIBILI

Triste a dirsi, però, questa piccola nazione è stata teatro di violenze efferate. Centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini sono stati massacrati brutalmente nel corso di uno dei più terribili genocidi della storia moderna. Immagini raccapriccianti di violenza inaudita hanno fatto il giro del mondo, riempiendo molti di sgomento a motivo della crudeltà di cui è capace l’uomo a danno dei propri simili. — Eccl. 8:9.

Come hanno fatto i fedeli servitori di Geova a superare le difficoltà di quei momenti terribili e degli anni successivi? Così come quel corso d’acqua apparentemente insignificante che viene fuori dalla foresta di Nyungwe supera qualunque ostacolo e sopravvive al calore opprimente del sole africano per poi diventare un fiume imponente, anche i servitori di Geova del Ruanda hanno continuato imperterriti a servire Dio. Hanno superato violenta persecuzione ed enormi difficoltà e la loro perseveranza infonde forza e coraggio nei loro fratelli di tutto il mondo. Le vicende dei fratelli del Ruanda, esempi di amore, fede e lealtà, toccheranno i vostri sentimenti. Ci auguriamo che vi incoraggino ad attribuire maggior valore alla vostra relazione con Geova e ad amare i fratelli ancora più intensamente.

LA LUCE COMINCIA A RISPLENDERE

Il primo rapporto sulla predicazione della buona notizia in Ruanda risale al 1971. Quell’anno l’Annuario dei Testimoni di Geova inglese affermava: “Nel marzo di quest’anno [il 1970] due pionieri speciali sono riusciti ad entrare in Ruanda e ad avviare l’opera di predicazione a Kigali, la capitale. Hanno riscontrato che le persone sono cordiali e disposte ad ascoltare il messaggio del Regno, e un interessato ha cominciato a predicare. I pionieri hanno già iniziato dieci studi predicando alle non molte persone che parlano swahili. Ora si stanno impegnando per imparare il kinyarwanda e poter estendere il raggio d’azione della loro testimonianza”.

I due pionieri speciali menzionati nel rapporto erano Oden Mwaisoba e la moglie Enea, provenienti dalla Tanzania. Dato che ancora non sapevano parlare la lingua del posto, il kinyarwanda, all’inizio predicavano alle persone di lingua swahili, molte delle quali venivano dal Congo o dalla Tanzania. Nel febbraio del 1971 c’erano già quattro proclamatori che facevano rapporto della loro attività, ma non erano ancora disponibili pubblicazioni in kinyarwanda e il fattore lingua rallentava la crescita.

Nel 1974 Stanley Makumba, intrepido sorvegliante di circoscrizione che prestava servizio in Kenya, si recò per la prima volta in Ruanda. Ricorda: “Erano pochi gli autobus che andavano dal posto di frontiera tra Uganda e Ruanda fino a Ruhengeri, in Ruanda. Dovetti stare in piedi su un camion in cui non c’era neanche lo spazio per muovere le gambe. Mia moglie era seduta davanti, accanto al conducente. Quando arrivammo a destinazione, mi riconobbe a malapena perché avevo la faccia e i capelli ricoperti di polvere. Il viaggio mi lasciò con un mal di schiena talmente forte che per tutta la settimana successiva, che precedeva un’assemblea di circoscrizione di dimensioni ridotte, e durante l’assemblea stessa fui costretto a pronunciare i discorsi rimanendo seduto. Per quanto riguarda le visite ai fratelli, non ero in grado di dire loro quando sarei arrivato perché non sapevamo quale mezzo di trasporto sarebbe stato disponibile”.

RITORNO NEL PAESE D’ORIGINE

Nello stesso periodo Gaspard Rwakabubu, originario del Ruanda, lavorava in Congo come meccanico nelle miniere di rame. Ecco il suo racconto: “Nel 1974 frequentai la Scuola di Ministero del Regno a Kolwezi. Uno degli istruttori, Michael Pottage, disse che alla filiale di Kinshasa stavano cercando un anziano ruandese disposto a tornare nel proprio paese per dare una mano nell’opera di predicazione e mi chiese se me la sentivo. Risposi che ne avrei parlato con mia moglie, Melanie.

“Il principale mi aveva invitato da poco ad andare in Germania per un corso di formazione. Ero bravo nel mio lavoro e avevo ricevuto diversi aumenti di stipendio. Comunque ci mettemmo pochi giorni a decidere. Dissi al fratello Pottage che accettavamo l’invito a tornare in Ruanda. Il capo non riusciva a capacitarsi della mia scelta. ‘Perché non puoi fare il testimone di Geova qui?’, chiese. ‘Perché devi tornare in Ruanda?’ Persino dei fratelli benintenzionati cercarono di farmi cambiare idea. Mi dissero: ‘Avete quattro figli. Leggete Luca 14:28-30, mettetevi a sedere e pensateci bene’. Ma non ci lasciammo dissuadere.

“Il capo si accollò tutte le spese per il volo di rientro in Ruanda. Nel maggio del 1975, arrivati a Kigali, affittammo una casa con i mattoni e il pavimento di fango, che ovviamente era ben diversa dalla bella casa in cui abitavamo quando lavoravo nella miniera. Ciò nonostante, essendoci preparati mentalmente a quella situazione, eravamo decisi a raggiungere il nostro obiettivo”.

Dal momento che i pionieri speciali provenienti da altri paesi comunicavano in swahili, molti pensavano che i pionieri avessero l’obiettivo di insegnare quella lingua. Con il loro arrivo Gaspard e la sua famiglia contribuirono a sfatare quell’impressione perché erano in grado di insegnare la verità riguardo al Regno usando la Bibbia in kinyarwanda.

Inoltre il fratello Rwakabubu tradusse in kinyarwanda l’opuscolo di 32 pagine intitolato “Questa buona notizia del regno”. Fu pubblicato nel 1976 e richiamò l’attenzione di molti. La gente lo leggeva sull’autobus e per strada, e il fatto che utilizzasse il nome Geova permise di intavolare molte conversazioni.

ALCUNI RUANDESI ABBRACCIANO LA VERITÀ

A quel tempo nel paese c’erano solo 11 proclamatori, la maggioranza dei quali non erano cittadini ruandesi. Uno dei primi ruandesi che conobbero la verità fu Justin Rwagatore. Dato che i suoi insegnanti, pionieri speciali della Tanzania, non parlavano né francese né kinyarwanda, Justin cominciò a studiare la Bibbia in swahili. Era un tipo estroverso e amichevole, che si battezzò nel 1976; viveva a Save, dove, nel 1900, il re del Ruanda aveva concesso per la prima volta ai missionari cattolici il permesso di stabilire una missione. Justin ricorda che la gente era curiosa di conoscere cosa insegnasse realmente la Bibbia. Ma il clero era ostile e proibiva ai fedeli di ascoltare i testimoni di Geova e di accettare le loro pubblicazioni.

Ferdinand Mugarura, un fratello tenace, è un altro dei ruandesi che per primi abbracciarono la verità. Nel 1969, mentre viveva nella parte orientale del Congo, si procurò una copia del libro La Verità che conduce alla Vita Eterna in swahili. In seguito scoprì qual era il posto più vicino in cui trovare i testimoni di Geova; da quel momento in poi ogni venerdì lui e due suoi amici partivano da casa e percorrevano a piedi 80 chilometri per assistere alle adunanze e studiare la Bibbia; poi il lunedì tornavano a casa. Ferdinand si battezzò nel 1975, lo stesso giorno del battesimo di uno dei suoi studenti. Nel 1977 fu incaricato di prestare servizio in Ruanda come pioniere speciale; ricorda che l’anno prima nel salotto dei Rwakabubu si era tenuta un’assemblea di circoscrizione, alla quale c’erano stati 34 presenti e tre battezzati.

NEGATO L’INGRESSO AI MISSIONARI

In precedenza il Corpo Direttivo, sempre attento ai bisogni del campo mondiale, aveva deciso di mandare dei missionari in Ruanda. Nel 1969 quattro diplomati della 47classe della Scuola biblica di Galaad furono invitati a prestarvi servizio.

Nicholas Fone ricorda: “Verso la fine di gennaio il fratello Knorr consegnò alla classe le lettere di assegnazione. Sentimmo mentre diceva a Paul e Marilyn Evans che sarebbero andati in Ruanda. Dopo di che disse a me e a mia moglie: ‘E voi andrete con loro!’ Eravamo entusiasti e subito dopo ci precipitammo nella biblioteca di Galaad dove consultammo un grosso atlante per capire dove si trovasse il Ruanda. In seguito, però, ricevemmo una lettera con cui venivamo informati che non era stato possibile ottenere il permesso di ingresso per il Ruanda. Eravamo delusi, ma assieme a Paul e Marilyn accettammo la nostra nuova destinazione, il Congo”.

Nel 1976 altri quattro missionari, diplomati della 60classe di Galaad, furono incaricati di prestare servizio in Ruanda. Ottenuto il permesso di entrare nel paese, le due coppie presero una casa in affitto, si misero a predicare coraggiosamente e cominciarono a imparare il kinyarwanda. Dopo tre mesi, però, le autorità competenti si rifiutarono di rinnovare i loro visti, per cui i missionari furono mandati a Bukavu, nel Congo orientale.

“ERANO MOLTO ATTIVI”

A metà degli anni ’70 i pionieri speciali provenienti dalla Tanzania e dal Congo iniziarono ad andare via dal Ruanda per varie ragioni. Nel frattempo i fratelli ruandesi cominciarono a fare i pionieri e a estendere l’attività di predicazione a tutto il paese. Poi nel 1978 furono tradotti in kinyarwanda il libro Verità e due volantini. Inoltre si cominciò a pubblicare mensilmente la Torre di Guardia. Quelle pubblicazioni contribuirono a incrementare l’opera di predicazione. Parlando di quei tempi, il missionario Manfred Tonak descrive così i pionieri ruandesi: “Erano molto attivi e dedicavano molto tempo al ministero. I nuovi seguivano il loro esempio”.

Gaspard Niyongira racconta in che modo la buona notizia si diffondeva in quei giorni: “Quando mi battezzai, nel 1978, tra i membri del clero cresceva la preoccupazione alla vista di così tante persone che accettavano la verità. Erano centinaia quelli che assistevano alle assemblee. Quando andavamo a predicare, eravamo come sciami di locuste! Spesso una ventina di proclamatori partiva dal centro di Kigali per predicare da lì fino a Kanombe, percorrendo a piedi quasi 10 chilometri. Dopo aver fatto una sosta per il pranzo, percorrevano ancora circa 7 chilometri fino a Masaka e la sera facevano ritorno a Kigali in autobus. Anche in altre parti del paese c’erano gruppi di proclamatori che facevano qualcosa di simile. Non sorprende che quell’intensa predicazione desse alla gente l’impressione che ci fossero migliaia di testimoni di Geova. Le persone mossero contro di noi delle accuse, il che condizionò le autorità spingendole a negarci il riconoscimento legale”.

Accesi d’entusiasmo per la verità, i fratelli ruandesi volevano provare la gioia di stare con i compagni di fede di altri paesi. Pertanto nel dicembre del 1978, per assistere all’assemblea internazionale “Fede vittoriosa”, circa 37 fratelli, bambini inclusi, partirono dal Ruanda, attraversarono l’Uganda e arrivarono a Nairobi, in Kenya: un viaggio di oltre 1.200 chilometri. Il viaggio comportò delle difficoltà. I trasporti si rivelarono inaffidabili e spesso si verificarono dei guasti. Inoltre la situazione politica in Uganda era instabile. Quando infine i delegati raggiunsero la frontiera con il Kenya, gli ufficiali ugandesi li accusarono di essere spie, li arrestarono e li portarono al quartier generale dell’esercito a Kampala, in Uganda. Idi Amin, presidente dell’Uganda, volle interrogarli di persona. Ritenendo soddisfacenti le loro risposte, ordinò che fossero rilasciati. Anche se non poterono essere presenti il primo giorno dell’assemblea, quei fratelli furono infine felici di vedere migliaia di Testimoni, provenienti da diverse nazioni, riuniti insieme pacificamente a Nairobi.

TENTATIVI DI OTTENERE IL RICONOSCIMENTO LEGALE

Non tutti vedevano di buon occhio le verità della Bibbia e i nobili valori promossi dai Testimoni. Gli ecclesiastici in particolare erano sbigottiti vedendo che molti ci ascoltavano. Il fratello Rwakabubu ricorda: “Molti che erano stati cattolici, protestanti e avventisti praticanti inviarono una lettera per troncare ufficialmente i rapporti con la loro chiesa. Un fratello riferì che l’impatto dell’opera di predicazione era paragonabile a quello di un incendio che divampava tra le confessioni religiose ufficiali. Nel giro di poco tempo la congregazione di Kigali superò la soglia dei 200 presenti alle adunanze. Inizialmente il clero non diede molto peso alla nostra presenza, dal momento che eravamo pochi. Tuttavia, man mano che le cifre aumentavano, alcuni ci accusarono di essere un pericolo per il paese. Fatto degno di nota, più o meno in quel periodo l’arcivescovo della Chiesa Cattolica del Ruanda, Vincent Nsengiyumva, entrò a far parte del comitato centrale del partito politico che era al potere.

“Dal momento che aumentavamo rapidamente, avevamo bisogno di ottenere il riconoscimento legale per fare arrivare missionari, costruire Sale del Regno e tenere grandi assemblee. La filiale del Kenya dispose che Ernest Heuse, del Belgio, si mettesse in contatto con i ministri competenti per richiedere il riconoscimento; i suoi tentativi, purtroppo, fallirono. In seguito, nel 1982, la filiale del Kenya ci consigliò di redigere una lettera da indirizzare al Ministero della Giustizia e al Ministero degli Interni per fare richiesta del riconoscimento legale. Io e altri due pionieri speciali firmammo la petizione. Ma non ricevemmo alcuna risposta”.

Nel frattempo l’opposizione si acuiva. Antoine Rugwiza, un fratello pacato e distinto, ricorda che durante una trasmissione radiofonica nazionale il presidente dichiarò che non avrebbe tollerato quelli che offendevano la “fede ruandese”. Tutti capirono che l’avvertimento era rivolto ai testimoni di Geova. Dopo quell’annuncio non passò molto che ai fratelli fu proibito di riunirsi. Circolavano voci secondo cui presto ci sarebbero stati degli arresti. Il fratello Rwakabubu fu convocato due volte dalla polizia segreta per essere interrogato.

Poi, nel novembre del 1982, Kiala Mwango venne da Nairobi con la moglie Elaine per organizzare le assemblee di circoscrizione di Butare, Gisenyi e Kigali. Il fratello Rwakabubu fece da presidente. Si era appena conclusa l’assemblea di Kigali quando fu convocato per la terza volta nel palazzo presidenziale. Ma questa volta non fece ritorno. Nel giro di quattro giorni gli altri due pionieri speciali che avevano firmato la petizione per ottenere il riconoscimento legale furono arrestati. Tutti e tre furono imprigionati senza ricevere un regolare processo o potersi difendere legalmente. Anche altri furono arrestati. La Sala del Regno fu chiusa e le porte furono sprangate. Con una lettera indirizzata alle prefetture, il Ministero della Giustizia proibì l’opera dei testimoni di Geova.

Alla fine, nell’ottobre del 1983, i tre fratelli che avevano firmato la petizione menzionata in precedenza furono processati. Il tribunale li incriminò per frode e raggiro, accuse del tutto infondate. Nel corso del processo non fu chiamato a deporre neanche un testimone né fu presentata la benché minima prova. Ciò nonostante, i tre fratelli furono condannati a due anni di prigione. Quando, nell’ambito di un programma di amnistia, dei detenuti condannati per omicidio furono rilasciati, a quei fedeli fratelli non fu mostrato alcun favore. A Gisenyi altri cinque Testimoni dovettero scontare quasi due anni di reclusione senza una sentenza ufficiale o un ordine regolare emesso da un tribunale.

LA VITA IN PRIGIONE

La vita in prigione era dura. Si mangiava una volta al giorno, e il pasto consisteva di cassava e fagioli. Generalmente il menu prevedeva carne solo una volta al mese. Le brande erano infestate dalle cimici, e la struttura era talmente sovraffollata che molti dormivano sul pavimento. L’acqua per lavarsi scarseggiava. I fratelli dividevano la cella con criminali violenti. Spesso gli agenti di custodia erano severi, anche se uno di loro, Jean Fataki, era gentile con i fratelli. Questi accettò di studiare la Bibbia e alla fine si battezzò; ancora oggi presta fedelmente servizio come pioniere.

Il fratello Rwakabubu ricorda: “Mentre eravamo in prigione l’arcivescovo tenne una messa all’interno della struttura. Avvertì i presenti di stare attenti ai testimoni di Geova. Al termine della funzione alcuni dei cattolici presenti ci chiesero perché l’arcivescovo avesse detto quelle cose, dato che potevano vedere di persona che i testimoni di Geova erano inoffensivi”.

Nel frattempo Roger Poels, che disponeva di un contratto di lavoro, arrivò a Kigali dal Belgio insieme alla moglie, Noella. I tre fratelli menzionati in precedenza erano ancora in prigione, pertanto Roger domandò di essere ricevuto dal ministro della Giustizia; il suo obiettivo era spiegare le nostre convinzioni e chiedere con garbo cosa avesse il governo contro i testimoni di Geova. Senza fare lunghi giri di parole, il ministro interruppe la conversazione dicendo: “Basta così, signor Poels! La metteremo sul prossimo volo per Bruxelles. Lei è espulso dal paese!”

Dal momento che furono irremovibili e non si lasciarono intimidire, i tre fratelli dovettero scontare per intero la pena detentiva di due anni; il secondo anno, comunque, furono trasferiti in una prigione in cui le condizioni erano decisamente migliori. Furono scarcerati nel novembre del 1984.

LA PERSECUZIONE SI INASPRISCE

L’opposizione non si arrestò. Una trasmissione radiofonica proclamò che i testimoni di Geova non erano persone perbene, ma estremisti. Nel marzo del 1986 gli arresti erano ormai all’ordine del giorno in tutto il paese. Tra gli arrestati ci fu Augustin Murayi, un fratello che a motivo della sua posizione neutrale era stato sollevato dall’incarico di direttore generale del Ministero dell’Istruzione Primaria e Secondaria. Fu vittima di attacchi mediatici da parte dei quotidiani e ancora di più da parte della radio.

Altri fratelli e sorelle, persino alcune sorelle incinte e con bambini piccoli, furono arrestati in tutto il paese. Sul finire del 1986 furono trasferiti nella prigione centrale di Kigali in attesa di processo. Dato che i fratelli non intonavano inni patriottici, non indossavano il distintivo del presidente e non acquistavano la tessera del partito, la gente pensava erroneamente che i testimoni di Geova osteggiassero il governo e cercassero di sovvertirlo.

Phocas Hakizumwami ricorda con il sorriso sulle labbra: “I fratelli della congregazione di Nyabisindu furono tra i primi a essere arrestati. Anche noi che eravamo ancora in libertà ci aspettavamo di essere arrestati da un momento all’altro, e capimmo che presto il nostro territorio non sarebbe stato più fuori dalla prigione, ma al suo interno. Decidemmo, quindi, di svolgere prima un’estesa campagna di predicazione nel territorio ‘esterno’. Andammo nei mercati e distribuimmo una grande quantità di riviste e libri. Pregammo Geova di aiutarci a coprire tutto il territorio prima di finire in prigione. Geova ci aiutò, perché riuscimmo a completare l’opera per il 1° ottobre del 1985. Sette giorni dopo fummo imprigionati”.

L’anno seguente gli agenti della polizia segreta arrestarono Palatin Nsanzurwimo e la moglie Fatuma. Dopo averli interrogati per otto ore e aver perquisito a fondo la loro casa, li presero per portarli in prigione insieme ai loro tre figli. Lungo il tragitto il fratello minore di Palatin, che li seguiva da vicino, prese con sé il figlio di cinque anni e la bambina di quattro. Palatin e Fatuma furono incarcerati insieme alla bimba di 14 mesi. In seguito Fatuma fu trasferita in un’altra prigione e fu rilasciata solo nove mesi dopo.

In quel periodo i quattro figli di Jean Tshiteya furono espulsi dalla scuola. Qualche tempo dopo, al suo rientro a casa, il fratello Tshiteya trovò tutto sottosopra; la moglie era stata arrestata e i figli erano rimasti da soli. Non passò molto che anche lui fu arrestato e portato nella prigione di Butare, dove si unì alla moglie e ad altri fratelli. Da qui poi tutti i Testimoni furono trasferiti nella prigione centrale di Kigali. Nel frattempo dei suoi figli si presero cura alcuni fratelli della congregazione di Kigali.

Il fratello Tshiteya ricorda: “Quando i fratelli e le sorelle arrivavano alla prigione centrale di Kigali dalle carceri delle altre regioni, si salutavano con gioia dicendo ‘Komera!’, cioè ‘Coraggio!’ Sentendo quel saluto, una delle guardie disse: ‘Voi siete tutti matti! Come si fa a farsi coraggio in prigione?’”

Nonostante quegli arresti, le persone dall’animo sincero non si scoraggiarono, e spesso la persecuzione portò buoni risultati. Odette Mukandekezi, una sorella dinamica ed espansiva, fu tra i tanti che vennero arrestati in quel periodo. Odette racconta: “All’epoca della persecuzione, i fratelli venivano arrestati e picchiati. Un giorno passammo accanto a una ragazzina di nome Josephine che pascolava il bestiame. Aveva una Bibbia in cui aveva letto che i primi cristiani erano stati diffamati, perseguitati, frustati e imprigionati. Sapeva che in quel periodo i Testimoni erano oggetto di persecuzione, così si convinse che la loro era la religione giusta e chiese di studiare la Bibbia. Ora è una sorella battezzata”.

Quando l’opera era proibita, Gaspard Niyongira faceva il camionista e spesso, per lavoro, si recava a Nairobi, in Kenya. Al suo ritorno in Ruanda portava delle pubblicazioni all’interno di una cassa nascosta nel camion. La cassa poteva contenere fino a sei scatole di pubblicazioni. In quello stesso periodo Henry Ssenyonga, della parte occidentale dell’Uganda, era solito passare il confine in moto portando con sé delle riviste.

Per tenere le adunanze di congregazione occorreva riunirsi in piccoli gruppi. Quando le autorità sospettavano che i testimoni di Geova si stessero riunendo, facevano delle ispezioni. Il fratello Niyongira ricorda: “Feci costruire un locale adiacente alla mia casa in cui potevamo tenere le adunanze in segreto. Nascondevamo le pubblicazioni sottoterra all’interno di sacchi di plastica ricoperti di carbonella”.

Quando cominciò l’ondata di arresti, Jean-Marie Mutezintare, che si era battezzato da poco, riuscì ad assistere alla speciale assemblea internazionale “Manteniamo l’integrità!” che si tenne a Nairobi nel dicembre del 1985. Mentre tornava in Ruanda, accompagnato da Isaie Sibomana, raccolse delle riviste dai fratelli della parte occidentale dell’Uganda. Alla frontiera le riviste furono scoperte e i due fratelli furono arrestati; gli ufficiali li portarono via in manette per sottoporli a un interrogatorio, dopo il quale li misero in cella per una notte. Presto finirono nella prigione centrale di Kigali. Qui si unirono a circa 140 fratelli e sorelle detenuti, i quali furono felici di ricevere informazioni di prima mano sull’assemblea di Nairobi. Il racconto fu senz’altro incoraggiante e contribuì notevolmente a rafforzarli.

In prigione i fratelli tennero le adunanze e si organizzarono per predicare. Inoltre ad alcuni detenuti insegnarono a leggere e a scrivere. Studiarono la Bibbia con gli interessati e aiutarono diversi nuovi proclamatori a diventare idonei per il battesimo. Alcuni di questi studiavano già prima di essere arrestati, mentre altri conobbero la verità in prigione.

UN SORVEGLIANTE DI CIRCOSCRIZIONE “VISITA” LA PRIGIONE

Un fratello descrive ciò che avvenne nel carcere di Kigali nel 1986: “C’erano molti fratelli. Tenemmo un’adunanza per capire come potevamo aiutare quelli che si trovavano fuori. Decidemmo di scrivere una lettera per incoraggiarli. Dicemmo loro che non appena avremmo finito di predicare nel nostro territorio della prigione, saremmo tornati a casa. Predicavamo di branda in branda e tenevamo studi biblici. A un certo punto, saputo che fuori c’era un sorvegliante di circoscrizione che visitava le congregazioni, anche noi volevamo ricevere una visita, quindi pregammo Geova in proposito. Poco dopo, il fratello Rwakabubu, che era il sorvegliante di circoscrizione, fu messo in prigione per la seconda volta. Per quanto ci riguarda, la cosa avvenne perché potessimo ricevere la sua visita”.

Durante la persecuzione, solo un fratello venne a compromessi con la propria coscienza. Quando indossò il distintivo politico, i detenuti non Testimoni lo presero a calci e pugni e lo insultarono dandogli del codardo. La moglie, che studiava la Bibbia, gli chiese perché mai non fosse rimasto fedele. In seguito il fratello scrisse una lettera ai giudici per far sapere loro di aver commesso un errore e di essere ancora un testimone di Geova. Scrisse pure alla filiale del Kenya per presentare le proprie scuse. Oggi serve di nuovo Geova fedelmente.

LA PREDICAZIONE PROSEGUE ALL’ESTERNO

Quelli che non erano stati arrestati mantennero immutato il loro zelo e continuarono a predicare dedicando al servizio una media di 20 ore al mese. Alfred Semali, uno di quelli ancora in libertà, ricorda: “Mi aspettavo di finire in prigione da un momento all’altro ed ero mentalmente pronto all’evenienza, ma non accadde mai. La Sala del Regno era stata chiusa, quindi ci riunivamo in piccoli gruppi e continuavamo a predicare. Mettevo le riviste in una busta color cachi, andavo in città fingendo di cercare lavoro e poi coglievo le occasioni che mi si presentavano per offrire le riviste e parlare della Bibbia.

“Nel 1986 molti fratelli e interessati furono messi in prigione, anche quelli che avevano cominciato da poco a studiare la Bibbia. I fratelli e persino i nuovi tennero duro in maniera eccezionale. Nel frattempo i Testimoni di molti paesi scrissero al presidente del Ruanda per protestare contro l’ingiusto trattamento subìto, e la radio riferì che questi aveva ricevuto centinaia di lettere ogni giorno. La cosa ebbe dei risultati positivi, al punto che l’anno seguente i fratelli e gli interessati furono rilasciati per decreto presidenziale. Eravamo estremamente felici”. Subito dopo la scarcerazione, gli anziani organizzarono un battesimo a Kigali: ci furono 36 battezzati, 34 dei quali presentarono subito domanda per fare i pionieri ausiliari.

Nel 1986, quando la persecuzione era nella sua fase più intensa, i proclamatori che facevano rapporto del loro servizio furono in media 435; di questi circa 140 erano stati imprigionati. Quei Testimoni costituirono la struttura portante dell’organizzazione di Geova in Ruanda. La loro era una fede di “provata qualità”. — Giac. 1:3.

Infine, al termine dei burrascosi anni ’80, i fratelli del Ruanda cominciarono a vivere un periodo abbastanza pacifico e produttivo. Cosa li aspettava? Altri abbracciarono la verità. Ma che dire dei nuovi discepoli? Avrebbero dimostrato di avere una fibra spirituale fatta di materiali resistenti al fuoco? (1 Cor. 3:10-15) La loro fede avrebbe sopportato le prove che li attendevano? Solo il tempo avrebbe fornito le risposte.

GUERRA E INSTABILITÀ POLITICA

Nel 1990 in Ruanda c’erano già quasi 1.000 proclamatori attivi. Comunque lo scenario politico si faceva instabile e in ottobre, entrando dal vicino Uganda, le forze del Fronte Patriottico Ruandese (FPR) invasero la parte settentrionale del paese.

Quando ebbe inizio l’invasione Ferdinand Mugarura, un fratello coraggioso che era già stato in prigione due volte a motivo della sua fede, viveva a Ruhengeri. Ricorda: “L’odio e il tribalismo si diffondevano a macchia d’olio. Ma i testimoni di Geova mantennero la loro posizione neutrale: non si schierarono dalla parte di nessuna fazione politica né si lasciarono prendere dal pregiudizio etnico. Rifiutandosi di rinunciare alla loro neutralità, alcuni fratelli dovettero scappare abbandonando la loro casa mentre altri persero il lavoro”.

Una sorella vedova, che faceva l’insegnante ed era madre di tre figli, si rifiutò di fare delle donazioni in favore dell’esercito. Per questa ragione il preside la denunciò alle autorità militari, che la misero in prigione, esperienza che aveva già fatto negli anni ’80. Quando l’esercito invasore arrivò nella città in cui era detenuta, le porte della prigione furono aperte con la forza e tutti i carcerati scapparono. Ma, invece di fuggire con gli altri, la sorella rimase nella prigione. Quando gli invasori si ritirarono, fu trattenuta nuovamente e trasferita nella prigione centrale di Kigali. Lì pregò per conoscere la data della Commemorazione, dal momento che non voleva perdersela. In seguito, con sua grande sorpresa, fu rilasciata proprio il giorno della Commemorazione! A motivo della sua posizione neutrale, perse la casa e il lavoro di insegnante, ma in cambio diventò una pioniera zelante.

Con l’intervento delle forze internazionali, l’invasione dall’Uganda subì un temporaneo arresto. Nel 1991 furono varate delle iniziative per dar vita a un sistema politico pluripartitico. Nacquero alcuni partiti di un certo peso e diversi altri partiti più piccoli, il che generò un clima di regionalismo e tribalismo. Alcuni schieramenti politici si proponevano obiettivi moderati, altri invece erano estremisti e pronti all’uso della forza. Per la prima volta la posizione neutrale assunta dai testimoni di Geova era vista di buon occhio. Dato che non si schieravano dalla parte di nessuna fazione politica o tribale, né il governo né la gente in generale li considerava più nemici.

Nel settembre del 1991 due Testimoni del Ruanda, Gaspard Rwakabubu e Tharcisse Seminega, accompagnarono una delegazione di fratelli di altri paesi a incontrare dei ministri di un certo calibro a Kigali. I fratelli ebbero un colloquio con il nuovo ministro della Giustizia, che si dimostrò comprensivo. I fratelli lo ringraziarono per quanto di buono aveva già fatto e lo incoraggiarono a proseguire su quella strada concedendoci piena libertà religiosa.

Nel gennaio del 1992, prima che venisse concesso il riconoscimento legale, i fratelli tennero un’assemblea di distretto a Kigali. Godfrey e Jennie Bint ricordano: “A quel tempo servivamo in Uganda e con nostra sorpresa ricevemmo una lettera dalla filiale del Kenya in cui ci veniva chiesto di recarci in Ruanda per un periodo di tre settimane per partecipare ai preparativi dell’assemblea e alla registrazione del dramma. I fratelli erano estremamente ospitali, e ogni giorno eravamo invitati a mangiare da una famiglia diversa. Era stato affittato uno stadio da calcio privato e al nostro arrivo i preparativi erano a buon punto. I fratelli avevano già pianificato la registrazione del dramma, che andò liscia nonostante le scarse attrezzature disponibili. Anche se molti fratelli del nord del paese non ottennero i permessi necessari per mettersi in viaggio e le frontiere con il Burundi e l’Uganda erano chiuse, la domenica i presenti furono 2.079 e i battezzati 75”.

FINALMENTE ARRIVA IL RICONOSCIMENTO LEGALE!

Passò qualche mese e il 13 aprile del 1992 l’opera dei testimoni di Geova in Ruanda ottenne finalmente, e per la prima volta, il riconoscimento legale. Si concluse così una lunga battaglia nel corso della quale la buona notizia era stata proclamata nonostante le proibizioni, gli attacchi e gli imprigionamenti. Ora si preannunciava una nuova era di progressi in ambito teocratico.

Il Corpo Direttivo inviò subito dei missionari nel paese. Henk van Bussel, che prima aveva servito nella Repubblica Centrafricana e nel Ciad, e Godfrey e Jennie Bint, che in precedenza erano stati nello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo) e in Uganda, furono i primi missionari che ottennero il visto per risiedere nel paese. Fu costituito un comitato per curare l’opera di predicazione in Ruanda.

Il fratello Bint racconta quello che accadde quando lui e la moglie arrivarono sul posto insieme a Henk van Bussel: “Trovammo subito un’abitazione che si prestava a essere adibita a casa missionaria, vicinissima alla Sala del Regno. Senza perdere tempo ci buttammo a capofitto nello studio del kinyarwanda, il che si rivelò alquanto impegnativo, come lo era stato per i primi pionieri speciali nel 1970. Uno dei manuali didattici suggeriva: ‘Le lettere cw, insieme, si pronunciano tchkw!’ Ricordiamo anche quello che ci disse la sorella che ci faceva da insegnante: ‘Non riuscirete mai a pronunciare bene il suono “shy” in “isi nshya” [la nuova terra] se non lo dite sorridendo!’”

Nel corso dell’anno, il numero dei proclamatori raggiunse un nuovo picco, 1.665, e nel gennaio del 1993 si tenne a Kigali un’altra assemblea di distretto. Questa volta i presenti furono 4.498 e i battezzati 182. Kiala Mwango partecipò in rappresentanza della filiale del Kenya. A quel tempo nessuno poteva immaginare che nel 2006 sarebbe stata costruita la filiale in un appezzamento di terra proprio di fronte allo stadio usato per l’assemblea.

Nonostante un’altra invasione dal nord, l’opera di predicazione non subì rallentamenti. Nel 1993 l’esercito invasore era ormai a pochi chilometri da Kigali. La frontiera con l’Uganda era chiusa e dalla capitale si sentiva il fuoco dell’artiglieria pesante al di là delle colline. Circa un milione di persone erano fuggite dal nord del paese. Tra questi c’erano 381 fratelli e sorelle, di cui si presero cura i fratelli di Kigali e dintorni. Comunque ad Arusha, in Tanzania, fu negoziato un cessate il fuoco, fu decisa la creazione di una zona cuscinetto, e le istituzioni acconsentirono a includere nel governo del paese gli invasori nonché diversi partiti grandi e piccoli.

UNA SPECIALE ASSEMBLEA DI UN GIORNO

Quell’anno era in programma un’assemblea speciale di un giorno allo Stadio Regionale di Kigali. Tuttavia nella stessa data dell’assemblea l’amministrazione dello stadio aveva concesso l’uso della struttura anche per un altro evento: alle 15,00 si doveva disputare un incontro di calcio. Al mattino i fratelli assisterono alla prima sessione dell’assemblea ma, prima che cominciasse quella pomeridiana, cominciarono ad arrivare i tifosi, e la polizia non poté fare nulla per impedire loro di entrare. Il responsabile dello stadio disse che l’evento non si sarebbe concluso prima delle 18,00. Quindi i fratelli se ne andarono e tornarono alle 18,00 per assistere al resto dell’assemblea.

La situazione generò una certa apprensione, dal momento che era in vigore il coprifuoco. I veicoli non potevano più circolare dopo le 18,00 ed era vietato stare fuori dopo le 21,00. Comunque, verso le 19,00, la radio annunciò che l’inizio del coprifuoco era stato posticipato alle 23,00. Inoltre non era garantita la fornitura di energia elettrica per l’illuminazione. Dal momento che i termini del contratto di locazione dello stadio non erano stati rispettati, il sindaco di Kigali fece in modo che fosse disponibile l’illuminazione. Inoltre, al termine dell’assemblea, mise a disposizione dei fratelli alcuni mezzi di trasporto gratuiti. Così i fratelli poterono tenere l’intera assemblea. Provate a immaginare la loro sorpresa quando, all’uscita dello stadio, trovarono una schiera di autobus ad aspettarli.

Günter Reschke ricorda di aver visitato il Ruanda alla fine di settembre del 1993. Racconta: “La filiale del Kenya mi mandò a Kigali per fare da istruttore alla Scuola di Ministero del Regno insieme al fratello Rwakabubu. All’epoca in Ruanda c’erano solo 63 anziani, anche se il numero dei proclamatori era salito a 1.881. La tensione nel paese era già molto elevata, e ci giunsero notizie di combattimenti al nord. Ovviamente nessuno si aspettava la tragedia che avremmo vissuto in seguito; comunque il cibo spirituale dispensato durante quella scuola si rivelò opportuno. Rafforzò la fede degli anziani preparandoli dovutamente come pastori, cosa di cui c’era tanto bisogno dato che la guerra si profilava all’orizzonte”.

SI CERCA DI COSTRUIRE UN UFFICIO

Alla fine del marzo 1994 Leonard Ellis e la moglie Nancy arrivarono da Nairobi per assistere alle assemblee speciali di un giorno e aiutare i traduttori. La filiale di Nairobi aveva raccomandato che la casa missionaria e l’ufficio traduzioni del Ruanda fossero accorpati. Lunedì 4 aprile allo studio Torre di Guardia era presente un team di traduzione esteso nonché il comitato che curava l’opera nel paese, i missionari e il fratello e la sorella Ellis. Fu un momento entusiasmante, al quale avrebbero fatto seguito ulteriori progressi.

Una volta completato il loro lavoro, il fratello e la sorella Ellis partirono a bordo di quello che per diversi mesi sarebbe stato l’ultimo volo passeggeri a lasciare Kigali. Il pomeriggio seguente il fratello Rwakabubu chiamò la casa missionaria per informare i fratelli che l’ambasciata russa aveva rinunciato a un appezzamento di terreno dove si sperava di costruire un ufficio. A quel punto il terreno poteva essere concesso ai testimoni di Geova, e il mattino seguente, giovedì 7 aprile, ci sarebbe stato un incontro in proposito. Ma quell’appuntamento saltò.

INIZIA IL GENOCIDIO

La sera di mercoledì 6 aprile fu abbattuto un aereo, che precipitò nei pressi di Kigali e andò in fiamme. A bordo c’erano i presidenti di Ruanda e Burundi. Non ci furono superstiti. Quella sera poche persone sapevano dell’accaduto; la radio ufficiale non fece alcun annuncio.

I tre missionari, ovvero i Bint e Henk, non dimenticheranno mai i giorni successivi. Il fratello Bint spiega: “Il 7 aprile fummo svegliati di primo mattino dal rumore degli spari e delle esplosioni delle bombe a mano. La cosa non ci sorprese, dal momento che negli ultimi mesi la situazione politica nel paese era diventata estremamente instabile. Comunque, mentre preparavamo la colazione, ricevemmo una telefonata. Emmanuel Ngirente, che si trovava presso l’ufficio traduzioni, ci disse che la stazione radio locale aveva annunciato la morte dei due presidenti nella tragedia aerea. Il ministro della Difesa raccomandò a tutti i cittadini di Kigali di non uscire di casa.

“Verso le nove del mattino sentimmo degli sciacalli irrompere nella casa dei vicini. Rubarono l’auto di famiglia e uccisero la madre.

“Presto arrivò a casa nostra un gruppo di soldati e sciacalli, che batterono sul cancello di metallo e suonarono il campanello. Rimanemmo in silenzio e non uscimmo per rispondere. Per qualche ragione non tentarono di forzare il cancello, ma passarono alle altre case. Tutt’intorno continuavano a risuonare i colpi delle armi automatiche e il fragore delle esplosioni; non c’era alcuna via di fuga. Gli spari erano forti e vicini, così ci spostammo al centro della casa, nel corridoio che separava le stanze, per cercare di ripararci da eventuali proiettili vaganti. Ci rendemmo conto che quella situazione si sarebbe prolungata, pertanto decidemmo di razionare il cibo preparando un solo pasto al giorno da consumare insieme. Il giorno seguente avevamo appena terminato di pranzare e stavamo ascoltando il notiziario internazionale alla radio quando Henk gridò: ‘Stanno scavalcando il recinto!’

“C’era poco tempo per pensare. Ci rifugiammo in bagno e chiudemmo la porta a chiave. Insieme pregammo Geova di aiutarci ad affrontare qualunque cosa accadesse. Prima che finissimo di pregare, sentimmo i miliziani e i saccheggiatori sfasciare le porte e le finestre. Nel giro di pochi minuti furono in casa; urlavano e mettevano tutto sottosopra. Insieme ai miliziani ci sarà stata una quarantina di sciacalli: uomini, donne e bambini. Sentimmo anche sparare mentre alcuni litigavano per degli oggetti che avevano trovato.

“Dopo una quarantina di minuti, che per noi furono un’eternità, cercarono di aprire la porta del bagno. Dal momento che era serrata, cominciarono a forzarla. Capimmo che era arrivato il momento di uscire e farci vedere. Quegli uomini erano completamente fuori di sé e sotto l’effetto di droghe. Ci minacciarono armati di machete e coltelli. Jennie implorava Geova ad alta voce. Un uomo che brandiva un machete colpì Henk alla base del collo con la parte piatta della lama facendolo cadere nella vasca da bagno. In qualche modo riuscii a trovare dei soldi e li diedi agli aggressori, che si azzuffarono per impossessarsene.

“Ad un tratto ci accorgemmo di un ragazzo che ci fissava. Anche se non lo conoscevamo, lui ci riconobbe, forse perché ci aveva visti predicare. Ci prese, ci spinse nel bagno e disse di chiudere la porta. Ci assicurò che ci avrebbe salvati.

“Il trambusto seguitò ancora per circa mezz’ora, poi scese il silenzio. A quel punto il ragazzo tornò dicendoci che potevamo venir fuori. Ci fece uscire dalla casa e insisté perché andassimo via subito. Non ci fermammo a prendere nulla. Fu agghiacciante vedere i corpi di alcuni vicini che erano stati uccisi. Due membri della Guardia Presidenziale ci scortarono fino alla casa di un ufficiale dell’esercito che si trovava nelle vicinanze. A sua volta l’ufficiale ci scortò fino all’hotel Mille Collines, dove molti si erano rifugiati. Infine, l’11 aprile, dopo diverse ore vissute con apprensione e al termine di una logorante operazione militare giungemmo alle spalle dell’aeroporto compiendo un giro tortuoso; da lì fummo fatti evacuare e portati in Kenya. Quando arrivammo alla reception della Betel di Nairobi, eravamo tutti in disordine. Henk, dal quale ci eravamo separati nel corso dell’evacuazione, arrivò qualche ora dopo. La famiglia Betel ci coprì di attenzioni e ci diede tutto il suo sostegno”.

SALVI GRAZIE ALLA PREGHIERA DI UNA BAMBINA

Il giorno successivo alla tragedia in cui persero la vita i presidenti di Ruanda e Burundi, sei soldati governativi si presentarono a casa del fratello Rwakabubu. Avevano gli occhi iniettati di sangue e l’alito che puzzava di alcol ed erano visibilmente sotto l’effetto di droghe. Erano in cerca di armi, ma il fratello Rwakabubu disse loro che lui e i suoi familiari erano testimoni di Geova e pertanto non possedevano armi.

I soldati sapevano che i testimoni di Geova, essendo neutrali, si erano rifiutati di sostenere il governo e non avevano fatto donazioni in favore dell’esercito, e quindi si infuriarono. Gaspard e Melanie Rwakabubu non sono tutsi; comunque la milizia hutu Interahamwe non uccideva solo i tutsi ma anche gli hutu moderati, soprattutto quelli sospettati di simpatizzare per i tutsi o l’esercito invasore.

I soldati picchiarono Gaspard e Melanie con dei bastoni e li portarono nella camera da letto insieme ai loro cinque figli. Tolte le lenzuola dal letto, cominciarono a servirsene per coprire i Rwakabubu. Alcuni impugnavano delle bombe a mano, il che palesava le loro intenzioni. Gaspard chiese: “Per favore, possiamo pregare?”

In tono sprezzante uno dei soldati respinse la richiesta. Poi, dopo aver discusso un po’, i militari diedero il permesso di pregare, anche se con una certa riluttanza. “Ok”, dissero, “avete due minuti per pregare”.

I Rwakabubu pregarono in silenzio, ad eccezione di Deborah, di sei anni, la quale pregò ad alta voce: “Geova, ci vogliono uccidere; come faremo a fare le visite ulteriori alle persone a cui ho predicato con papà e a cui ho lasciato cinque riviste? Loro ci aspettano e hanno bisogno di conoscere la verità. Ti prometto che se ci salviamo divento proclamatrice, mi battezzo e faccio la pioniera! Geova, salvaci!”

Sentendo queste parole, i soldati rimasero meravigliati. Uno di loro disse: “Se non vi uccidiamo è solo grazie alla preghiera di questa bimba. Se viene qualcun altro, ditegli che qui ci siamo già stati noi”. *

LA SITUAZIONE SI AGGRAVA

Con l’avanzata verso la capitale dell’esercito invasore (il Fronte Patriottico Ruandese) il conflitto si fece sempre più violento. Questo spinse i disperati miliziani Interahamwe a compiere ulteriori stragi.

In ogni angolo della città e a tutti gli incroci c’erano posti di blocco sorvegliati da soldati e miliziani Interahamwe armati, oltre che da persone del posto. Tutti gli uomini che godevano di buona salute venivano costretti a pattugliare giorno e notte i posti di blocco, che servivano a identificare i tutsi e ucciderli.

Mentre in tutto il paese continuavano le uccisioni, centinaia di migliaia di ruandesi lasciarono le loro case. Molti, inclusi dei testimoni di Geova, trovarono rifugio nei vicini Congo e Tanzania.

DAVANTI ALLA GUERRA E ALLA MORTE

Nelle testimonianze che seguono fratelli e sorelle raccontano di come il mondo in cui vivevano andò in frantumi. Tenete presente che negli anni ’80 i testimoni di Geova del Ruanda avevano già sopportato dure prove che avevano rafforzato e affinato la loro fede e il loro coraggio. La fede permise loro di ‘non fare parte del mondo’ rifiutandosi di partecipare alle elezioni, alle questioni politiche e alla difesa del paese. (Giov. 15:19) Il coraggio li aiutò ad affrontare le conseguenze di quel rifiuto, ovvero il disprezzo, l’imprigionamento, la persecuzione e la morte. Quelle provate qualità, unite al loro amore per Dio e per il prossimo, spinsero i testimoni di Geova non solo a non prendere parte al genocidio ma anche a rischiare la loro vita per proteggersi a vicenda.

Molte esperienze non sono state incluse, in quanto la maggior parte dei fratelli, i quali non cercano vendetta, preferirebbe dimenticare i dettagli più terrificanti. Ci auguriamo che la loro fede sia per tutti noi un modello a cui ispirarsi e che ci spinga a manifestare pienamente l’amore che contraddistingue i veri discepoli di Gesù Cristo. — Giov. 13:34, 35.

LE TRAVERSIE DI JEAN E CHANTAL

Jean de Dieu Mugabo è un fratello allegro e pieno di attenzioni che cominciò a studiare con i testimoni di Geova nel 1982. Prima del suo battesimo, avvenuto nel 1984, era già stato imprigionato tre volte perché si identificava con i testimoni di Geova. Nel 1984 si battezzò anche Chantal, colei che nel 1987 divenne sua moglie. Quando cominciò il genocidio, i due avevano tre figlie. Le due più grandi si trovavano con i nonni fuori città e solo la piccola di sei mesi era con Jean e Chantal.

Il primo giorno del genocidio, il 7 aprile del 1994, i soldati e gli Interahamwe iniziarono ad assaltare tutte le case dei tutsi. Jean fu arrestato e bastonato; ma riuscì a scappare e, assieme a un altro fratello, corse in una vicina Sala del Regno. Intanto, ignorando cosa fosse successo al marito, Chantal cercò affannosamente di uscire dalla città con la bimba per ricongiungersi con le altre due figlie.

Jean racconta cosa successe a lui: “In passato la Sala del Regno era stata un panificio e c’era ancora un grosso camino. Per una settimana io e l’altro fratello ci nascondemmo proprio nella Sala del Regno e, quando non era pericoloso, una sorella tutsi ci portava del cibo. Successivamente dovemmo nasconderci sotto il tetto, tra la copertura in lamiera e il soffitto, posto che di giorno, con il sole cocente, diventava una fornace. Alla ricerca disperata di un rifugio migliore, riuscimmo a rimuovere alcuni mattoni dalla struttura muraria del camino e ci infilammo al suo interno, dove rimanemmo rannicchiati per oltre un mese.

“Nelle vicinanze c’era un posto di blocco. I miliziani Interahamwe spesso entravano nella Sala del Regno per chiacchierare o per ripararsi dalla pioggia e noi da sopra li sentivamo parlare. Quando era possibile la sorella continuava a portarci da mangiare. A volte mi sembrava di non farcela più, ma continuavamo a pregare per resistere. Alla fine, il 16 maggio, la sorella venne a informarci che il Fronte Patriottico Ruandese aveva assunto il controllo della parte della città in cui ci trovavamo e che potevamo uscire allo scoperto”.

Cos’era successo nel frattempo alla moglie di Jean, Chantal? Ecco il suo racconto: “L’8 aprile riuscii a scappare da casa con la bimba. Trovai due sorelle: Immaculée, sulla cui carta d’identità era indicato che era hutu, e Suzanne, che era tutsi. Volevamo raggiungere Bugesera, una cittadina distante circa 50 chilometri, dove si trovavano le altre due mie figlie e i miei genitori. Comunque venimmo a sapere che su tutte le strade in uscita dalla città c’erano dei posti di blocco, così decidemmo di dirigerci in un villaggio vicino, nella periferia di Kigali, dove Immaculée aveva un parente di nome Gahizi, anche lui testimone di Geova. Gahizi, che era hutu, ci accolse e, nonostante le minacce dei vicini, fece tutto il possibile per aiutarci. Purtroppo, però, quando i soldati governativi e gli Interahamwe seppero che Gahizi aveva protetto dei tutsi, gli spararono.

“Dopo aver freddato Gahizi, i soldati ci portarono al fiume per ucciderci. In preda al terrore, aspettavamo solo che ci facessero fuori. All’improvviso si accese un diverbio tra i soldati, uno dei quali disse: ‘Non uccidete le donne. Ci porterà sfortuna. Ora è il momento di uccidere solo gli uomini’. Poi uno dei fratelli che ci avevano seguito, André Twahirwa, il quale si era battezzato solo la settimana precedente, riuscì a portarci a casa sua nonostante le rimostranze dei vicini. Il giorno seguente ci riportò a Kigali, dove sperava di trovarci un posto sicuro. Ci aiutò a superare diversi posti di blocco estremamente pericolosi. Immaculée teneva in braccio la bimba; speravamo che in questo modo, qualora ci avessero fermati, la piccola sarebbe stata risparmiata. Io e Suzanne strappammo i nostri documenti di riconoscimento per cercare di nascondere le nostre identità.

“A uno dei posti di blocco gli Interahamwe picchiarono Immaculée e le chiesero: ‘Perché viaggi con questi tutsi?’ A me e a Suzanne non davano il permesso di passare. Quindi Immaculée e André proseguirono e andarono a casa del fratello Rwakabubu. Correndo un grosso rischio, poi, André e altri due fratelli, Simon e Mathias, ci aiutarono a superare l’ultimo posto di blocco; Suzanne andò a casa di un parente e io fui portata a casa del fratello Rwakabubu.

“Comunque, rimanere a casa del fratello Rwakabubu era diventato troppo pericoloso; così, anche se con grande difficoltà, i fratelli riuscirono a portarmi alla Sala del Regno, dove erano nascosti altri Testimoni. Fino a quel momento vi si trovavano dieci fratelli e sorelle tutsi e altri che erano in fuga. L’attaccamento che Immaculée provava nei miei confronti era talmente grande che si rifiutò di lasciarmi. A un certo punto disse: ‘Se ti uccidono e io sopravvivo, porterò in salvo la tua bambina’”. *

Intanto un fratello che viveva nelle vicinanze, Védaste Bimenyimana, la cui moglie era tutsi, era riuscito a portare la sua famiglia in un posto sicuro. Subito dopo tornò indietro per aiutare quelli che erano rimasti nella Sala del Regno a trovare un altro rifugio. Fortunatamente si salvarono tutti.

Dopo il genocidio Jean e Chantal vennero a sapere che i loro genitori e le loro figlie di due e cinque anni, che stavano con i nonni materni, erano stati uccisi assieme a un centinaio di altri parenti. Che effetto ebbe su di loro quella tragedia? “All’inizio il dolore era insopportabile”, ammette Chantal. “Eravamo storditi. La perdita di vite umane aveva superato di gran lunga ogni possibile previsione. Non potevamo far altro che rimetterci completamente a Geova nella speranza di rivedere le nostre figlie una volta risuscitate”.

NASCOSTI PER 75 GIORNI

Tharcisse Seminega si era battezzato in Congo nel 1983. All’epoca del genocidio viveva in Ruanda, a Butare, che si trova a circa 120 chilometri da Kigali. “Dopo la caduta dell’aereo presidenziale nei pressi di Kigali venimmo a sapere che era stato emanato l’ordine di uccidere tutti i tutsi”, racconta Tharcisse. “Due fratelli cercarono di pianificare la nostra fuga attraverso il Burundi, ma tutte le strade e tutti i sentieri erano pattugliati dai miliziani Interahamwe.

“Eravamo prigionieri in casa nostra e non sapevamo dove andare. C’erano quattro soldati a guardia della nostra casa e uno di loro aveva posizionato una mitragliatrice a circa 200 metri di distanza. Raccolto in una fervida preghiera, gridai: ‘Geova, noi non possiamo fare niente per salvarci. Solo tu puoi fare qualcosa!’ Sul far della sera un fratello si precipitò a casa nostra temendo che fossimo già morti. I soldati gli permisero di entrare in casa e di rimanere qualche minuto. Quando vide che eravamo ancora vivi tirò un sospiro di sollievo. In qualche modo riuscì a portare due dei nostri figli a casa sua. Poi informò altri due fratelli, Justin Rwagatore e Joseph Nduwayezu, che la mia famiglia era nascosta e che avevamo bisogno del loro aiuto. Nottetempo quei fratelli vennero subito da noi e, nonostante le difficoltà e il pericolo, ci condussero a casa di Justin.

“La nostra permanenza in casa di Justin fu piuttosto breve perché l’indomani tutti sapevano già che eravamo nascosti lì. Lo stesso giorno un certo Vincent ci avvertì che gli Interahamwe si preparavano per venire a ucciderci. Quell’uomo aveva studiato la Bibbia con Justin, ma non aveva abbracciato la verità. Vincent suggerì che in un primo momento ci nascondessimo tra i cespugli nei pressi della casa di Justin. Poi, calata la sera, ci portò a casa sua. Ci nascose in una capanna di forma circolare usata per le capre. Le pareti e il pavimento erano di fango, il tetto di paglia, e non c’erano finestre.

“I giorni sembravano non passare mai in quella capanna, che si trovava in prossimità di un incrocio a pochi metri dal mercato più frequentato della zona. Sentivamo i passanti parlare di quello che avevano fatto durante il giorno, inclusi i terrificanti racconti degli omicidi che avevano commesso e di ciò che avevano intenzione di fare. In quell’atmosfera, che alimentava le nostre paure, pregavamo costantemente perché potessimo salvarci.

“Vincent fece tutto il possibile per soddisfare le nostre necessità. Rimanemmo lì per un mese; poi, verso la fine di maggio, con l’arrivo dei miliziani Interahamwe in fuga da Kigali il posto diventò troppo pericoloso. I fratelli decisero di trasferirci a casa di un Testimone per nasconderci in una sorta di scantinato dove già si trovavano tre fratelli. Per arrivare a casa sua facemmo un pericoloso viaggio a piedi di quattro ore e mezza al buio. Quella notte pioveva a dirotto, cosa che si rivelò una benedizione dal momento che la pioggia ci nascose alla vista degli aguzzini.

“Il nuovo rifugio era una buca profonda circa un metro e mezzo con una tavola che ne copriva l’ingresso. Per accedervi occorreva scendere con una scala a pioli, rannicchiarsi e strisciare lungo un tunnel fino ad arrivare a una stanza di circa due metri quadrati. C’era puzza di muffa e da una crepa riusciva a filtrare solo un minuscolo raggio di luce. Io, mia moglie Chantal e i nostri cinque figli dividevamo quello spazio insieme ad altri tre. Tutti e dieci rimanemmo stipati in quello spazio angusto per sei settimane. Anche solo accendere una candela non era prudente, perché avrebbe potuto rivelare la nostra presenza. Comunque, in quel periodo travagliato Geova ci sostenne. I fratelli rischiarono la loro vita per portarci cibo e medicinali e per incoraggiarci. A volte accendevamo una candela nelle ore diurne per leggere la Bibbia, La Torre di Guardia o la scrittura del giorno.

“Ogni storia ha il suo epilogo”, prosegue Tharcisse. “Questa finì il 5 luglio del 1994. Vincent ci disse che Butare era stata occupata dall’esercito invasore. Quando uscimmo dal sottosuolo, alcuni stentarono a credere che fossimo ruandesi perché al buio il colore della nostra pelle si era sbiadito. Inoltre per qualche tempo non riuscimmo a parlare a voce alta; riuscivamo solo a sussurrare. Ci vollero delle settimane per riprenderci.

“Tutti quegli eventi influirono profondamente su mia moglie, la quale nei precedenti dieci anni aveva rifiutato di studiare la Bibbia con i testimoni di Geova. A quel punto, però, si mise a studiare la Bibbia. Quando le chiedevano cosa l’avesse spinta a farlo, rispondeva: ‘Sono stata toccata dall’amore che i fratelli hanno manifestato nei nostri confronti e dai sacrifici che hanno fatto per salvarci. Inoltre ho sentito la potente mano di Geova, il quale ci ha salvato dai machete degli assassini’. Dedicò la sua vita a Geova e si battezzò alla prima assemblea tenuta dopo la guerra.

“Ci sentiamo in debito con tutti i fratelli e le sorelle che con il loro intervento diretto e con le loro fervide preghiere hanno contribuito a salvarci. Abbiamo avvertito la spontaneità e la profondità del loro amore, amore che supera le barriere etniche”.

AIUTO PER CHI AVEVA OFFERTO AIUTO

Justin Rwagatore, uno dei fratelli che aveva contribuito a salvare la famiglia di Tharcisse Seminega, successivamente ebbe bisogno di aiuto. Nel 1986 era già stato in prigione per essersi rifiutato di immischiarsi nelle attività politiche del governo. Ma qualche anno dopo aver protetto la famiglia di Tharcisse, Justin e alcuni fratelli furono arrestati nuovamente a motivo della loro posizione neutrale. Il fratello Seminega fece parte del gruppo che conferì con le autorità locali per chiarire la posizione dei testimoni di Geova in merito alla partecipazione alla vita politica. Spiegò alle autorità che se la sua famiglia si era salvata lo doveva a Justin. Di conseguenza tutti i fratelli furono rilasciati.

L’esempio dei fratelli durante il genocidio spinse altri ad accettare la verità. Suzanne Lizinde, una cattolica sui 65 anni, era rimasta turbata di fronte al sostegno che la sua chiesa aveva dato al genocidio. Il comportamento dei testimoni di Geova della sua zona nel corso del genocidio e l’amore che regna tra loro la spinsero a fare rapidi progressi. Suzanne si battezzò nel gennaio del 1998 e, nonostante dovesse percorrere cinque chilometri a piedi per attraversare le colline, non perdeva mai un’adunanza. Aiutò anche la sua famiglia a conoscere la verità. Oggi uno dei suoi figli è un anziano e uno dei nipoti è un servitore di ministero.

CENTINAIA DI MIGLIAIA DI PROFUGHI

Henk van Bussel, missionario che era stato mandato in Ruanda nel 1992, dovette lasciare il paese nell’aprile del 1994. Dopo essersi rifugiato in Kenya compì dei viaggi a Goma, nel Congo orientale, per partecipare ai soccorsi in favore dei profughi ruandesi. Dalla parte congolese della frontiera i fratelli tenevano d’occhio il confine e, per farsi riconoscere dai Testimoni provenienti dal Ruanda, esibivano pubblicazioni bibliche e cantavano o fischiettavano cantici del Regno.

Ovunque regnava il panico. Mentre proseguiva lo scontro tra le forze governative e il Fronte Patriottico Ruandese, centinaia di migliaia di persone si rifugiavano in Congo e in Tanzania. Il punto di raccolta per i fratelli che fuggivano a Goma era la Sala del Regno. In seguito, appena fuori città, fu allestito un campo profughi per oltre 2.000 persone che avrebbe ospitato esclusivamente i testimoni di Geova, i loro figli e gli interessati. I fratelli allestirono campi come quello anche in altre parti del Congo orientale.

Generalmente i profughi erano hutu che temevano rappresaglie. Ma nel caso dei fratelli insieme agli hutu scappavano anche i tutsi. Fare in modo che i tutsi attraversassero il confine per arrivare a Goma era estremamente rischioso, dal momento che il massacro dei tutsi continuava. Ad un certo punto portare di nascosto i fratelli tutsi fuori dal paese costava l’equivalente di circa 70 euro a persona.

Una volta in Congo, i fratelli volevano rimanere insieme. Non volevano avere niente a che fare con gli Interahamwe, che erano attivi nei campi allestiti dalle Nazioni Unite. Inoltre molti dei profughi non Testimoni erano sostenitori del governo uscente. A questi, e in particolare agli Interahamwe, non piacevano i testimoni di Geova, perché non si erano schierati con loro. I fratelli volevano tenersi separati anche per proteggere i Testimoni tutsi.

Essendosi lasciati dietro tutto ciò che possedevano, quelli che erano fuggiti dal Ruanda avevano bisogno di aiuti. E gli aiuti non si fecero attendere: i testimoni di Geova di Belgio, Congo, Francia, Kenya e Svizzera inviarono denaro, medicinali, cibo e indumenti, oltre a medici e infermieri. Con uno dei primi voli umanitari arrivarono dalla filiale della Francia molte piccole tende. Successivamente la filiale del Belgio inviò tende bungalow, che potevano ospitare intere famiglie. Furono inviati anche lettini da campeggio e materassi gonfiabili. La filiale del Kenya mandò oltre due tonnellate di indumenti e più di 2.000 coperte.

UN’EPIDEMIA DI COLERA

Dopo essere fuggite dal Ruanda, oltre 1.000 persone tra Testimoni e interessati furono sistemate nella Sala del Regno di Goma e in un appezzamento di terreno adiacente. Purtroppo, a motivo dell’enorme numero di profughi, a Goma scoppiò un’epidemia di colera. La filiale del Congo (Kinshasa) inviò tempestivamente medicinali per combattere l’epidemia, e il fratello Van Bussel prese un volo da Nairobi per portare a Goma 60 scatoloni di medicinali. La Sala del Regno fu adibita temporaneamente a ospedale e si cercò di isolare le vittime del contagio. Loic Domalain e un altro fratello, entrambi medici, insieme ad Aimable Habimana, un paramedico ruandese, lavorarono instancabilmente. Anche il fratello Hamel, della Francia, fu di grande aiuto in quella fase problematica come lo furono molti altri fratelli e sorelle, volontari con esperienza in campo medico, che arrivarono sul posto per prendersi cura dei malati.

Nonostante tutto l’impegno profuso per scongiurare il peggio, oltre 150 tra fratelli e interessati furono infettati, e circa 40 morirono prima che l’epidemia potesse essere arrestata. In seguito fu preso in affitto un grande appezzamento di terreno da utilizzare come campo profughi per i testimoni di Geova. Furono montate centinaia di piccole tende nonché un tendone arrivato dal Kenya che funse da ospedale. Alcuni operatori sanitari americani che visitarono il campo rimasero colpiti dalla pulizia e dall’ordine.

Agli inizi dell’agosto 1994 i profughi assistiti dal comitato di soccorso di Goma erano 2.274, numero che includeva i Testimoni, i loro figli nonché gli interessati. Molti altri fratelli erano a Bukavu e Uvira, nel Congo orientale, e nel Burundi. Altri 230 si trovavano in un campo profughi della Tanzania.

Quando i fratelli dell’ufficio traduzioni furono costretti a scappare da Kigali, andarono a Goma, dove presero in affitto una casa per continuare il loro lavoro; ciò fu possibile grazie al fatto che durante la guerra erano riusciti a salvare un computer e un generatore, che portarono con sé.

A Goma i servizi telefonici e postali erano pressoché inesistenti. Comunque, con l’aiuto di Testimoni che lavoravano all’aeroporto, i fratelli inviavano il materiale per la traduzione e altra posta tramite un volo settimanale Goma-Nairobi. I fratelli della filiale del Kenya facevano altrettanto per far arrivare le loro spedizioni a Goma.

Emmanuel Ngirente e altri due traduttori continuarono a tradurre al meglio delle loro possibilità nonostante le circostanze avverse. A motivo della guerra dovettero tralasciare alcuni articoli della Torre di Guardia, articoli che però furono tradotti e pubblicati successivamente in speciali opuscoli che i fratelli considerarono allo studio di libro di congregazione.

VIVERE IN UN CAMPO PROFUGHI

Mentre la popolazione continuava a scappare da Kigali, Francine, che si era rifugiata a Goma dopo l’uccisione del marito Ananie, fu trasferita in uno dei campi allestiti dai Testimoni. Ecco la sua descrizione della vita nel campo: “Ogni giorno c’erano dei fratelli e delle sorelle incaricati di cucinare. Preparavamo una colazione semplice che consisteva di una farinata di miglio o granturco. Preparavamo anche il pranzo. Dopo aver svolto le nostre faccende, eravamo liberi di andare in servizio. Predicavamo principalmente a familiari non Testimoni che si trovavano nel nostro campo e a chi abitava all’esterno. Dopo un po’, però, i miliziani Interahamwe, che erano in altri campi, si infuriarono vedendo che i Testimoni non erano insieme agli altri profughi, e la situazione si fece pericolosa”.

Nel novembre del 1994 fu chiaro che i fratelli potevano tornare in Ruanda senza correre grossi pericoli. Farlo era addirittura consigliabile se si teneva conto dell’insicurezza che regnava all’interno dei campi profughi congolesi che ospitavano i non Testimoni. Il ritorno, comunque, sarebbe stato difficoltoso. Gli Interahamwe speravano di riorganizzarsi e attaccare il Ruanda, e ai loro occhi chiunque lasciasse il Congo per tornare in Ruanda era un disertore.

I fratelli informarono il governo ruandese che i testimoni di Geova, i quali non avevano partecipato né alla guerra né al genocidio dei tutsi, desideravano tornare in patria. Il governo consigliò ai fratelli di prendere accordi con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), che disponeva di mezzi di trasporto che potevano essere utilizzati per il rimpatrio. Comunque, dato che i miliziani avrebbero impedito ai fratelli di tornare in Ruanda, bisognava ricorrere a qualche stratagemma.

Venne annunciato che a Goma si sarebbe tenuta un’assemblea speciale di un giorno e furono preparati degli striscioni. Poi di nascosto i Testimoni furono informati del rimpatrio. Per non destare sospetti, fu detto loro di lasciare nei campi profughi tutto quello che possedevano e di portare con sé solo la Bibbia e il libro dei cantici, come se stessero andando all’assemblea.

Francine ricorda che, dopo aver camminato per qualche ora, trovarono ad aspettarli dei camion che li avrebbero portati fino alla frontiera. Una volta che i fratelli ebbero oltrepassato il confine, l’ACNUR fece in modo che fossero prima trasportati fino a Kigali e poi nelle loro zone di provenienza. Fu così che la maggior parte dei fratelli con le proprie famiglie e gli interessati tornò in Ruanda nel dicembre del 1994. Il 3 dicembre di quell’anno il quotidiano belga Le Soir riferiva: “1.500 profughi ruandesi hanno deciso di lasciare lo Zaire [Congo] perché ritenevano che le condizioni non fossero tali da garantire un adeguato livello di sicurezza. Si tratta dei testimoni di Geova che avevano allestito il loro campo sopra quello di Katale. I testimoni di Geova sono stati particolarmente bersagliati dal precedente governo per il loro rifiuto di imbracciare le armi e di prendere parte a raduni politici”.

Tornata in Ruanda, Francine poté assistere all’assemblea di distretto che si tenne a Nairobi, dove trasse conforto dopo la morte del marito e fu incoraggiata dalla compagnia dei fratelli. Francine riprese poi a lavorare presso l’ufficio traduzioni, che nel frattempo era stato riaperto a Kigali. In seguito sposò Emmanuel Ngirente, con il quale continua a prestare servizio alla filiale.

Come fece Francine a mantenere la stabilità emotiva durante la guerra? Dice: “In quei giorni pensavamo a una cosa sola: perseverare sino alla fine. Eravamo decisi a non soffermarci sulle cose terribili che stavano accadendo. Ricordo che mi confortavano le parole di Abacuc 3:17-19, dove si parla di provare gioia anche in situazioni difficili. Anche i compagni di fede mi erano di grande conforto. Alcuni mi scrivevano lettere. Questo mi aiutava a vedere le cose da un punto di vista spirituale e positivo. Tenevo presente che Satana ha a sua disposizione tutta una serie di stratagemmi. Se ci facciamo distrarre troppo da un problema, potremmo non vederne un altro. Se non stiamo attenti, potremmo indebolirci in un modo o nell’altro”.

RITORNO IN RUANDA

Il fratello Van Bussel diede un grande aiuto ai Testimoni che rientravano. Spiega: “Dopo la guerra fu avviato un programma di ‘ripresa’ per aiutare i fratelli a rimettersi in sesto, inclusi quelli che erano rimasti in Ruanda e avevano perso quasi tutto. Fratelli appositamente scelti visitarono tutte le congregazioni per valutare le necessità. Sia alle famiglie che ai singoli fu data una scorta di provviste a seconda delle esigenze. I fratelli comprendevano che, trascorsi tre mesi, avrebbero dovuto essere autosufficienti”.

Naturalmente si cercò di sopperire ai bisogni spirituali dei fratelli. Il team di traduzione tornò alla sua sede originale, a Kigali. Il fratello Van Bussel ricorda che la casa che era stata utilizzata come ufficio era crivellata di colpi, ma la maggior parte dei libri in deposito era ancora lì. Per mesi continuarono a trovare proiettili nelle scatole delle pubblicazioni. Un traduttore trovò persino una bomba a mano nel giardino. L’anno seguente, più o meno nell’ottobre del 1995, il team di traduzione si trasferì in un edificio molto più grande e più comodo situato dall’altro lato della città. Quell’edificio, preso in affitto, funse sia da ufficio che da residenza finché non fu costruita una nuova filiale nel 2006.

“SEMBRAVA DI ASSISTERE ALLA RISURREZIONE!”

Nel dicembre del 1994 la maggior parte dei fratelli era rientrata da poco dal Congo, giusto in tempo per l’assemblea di distretto opportunamente intitolata “Santo timore”. Si sarebbe tenuta sul terreno di una Sala del Regno di Kigali. Vennero ad assistervi Testimoni di Francia, Kenya e Uganda. Il venerdì mattina il posto era gremito di fratelli. Una sorella ricorda: “Era commovente vedere fratelli e sorelle che si abbracciavano con le lacrime agli occhi. Era la prima volta che si incontravano dall’inizio della guerra. Rividero amici che avevano dato per morti!” Un’altra sorella ha detto: “Sembrava di assistere alla risurrezione!”

Günter Reschke, che era tra i fratelli che vennero in visita dal Kenya, riferisce: “Fu una gioia enorme incontrarsi di nuovo dopo tante traversie e vedere i sopravvissuti. Ma c’era un problema. Le autorità nutrivano delle preoccupazioni perché si sarebbe riunita una folla numerosa. Nel primo pomeriggio arrivarono dei soldati armati, i quali dissero che per ragioni di sicurezza l’assemblea veniva cancellata. Fummo costretti ad andar via subito. Ci prendemmo del tempo per incoraggiare i fratelli, ma alla fine dovemmo tornare a Nairobi, delusi perché i fratelli non avevano potuto beneficiare dell’assemblea. Comunque, per quanto la cosa fosse demoralizzante, sentivamo di aver fatto tutto il possibile per incoraggiare i fratelli a rimanere fedeli, e andammo via convinti che fossero decisi a farlo”.

Ora che nel paese si respirava di nuovo un’atmosfera relativamente pacifica, molte persone di origine ruandese che vivevano all’estero decisero di rientrare. Vennero anche alcuni nati all’estero, figli di ruandesi fuggiti durante i conflitti etnici e gli sconvolgimenti politici della fine degli anni ’50 e degli anni ’60. Tra quelli che arrivavano c’era chi aveva conosciuto la verità in altri paesi. Ad esempio, James Munyaburanga e la sua famiglia erano diventati Testimoni nella Repubblica Centrafricana. Dal momento che il nuovo governo ruandese offriva prontamente impieghi statali a chi rimpatriava, il fratello Munyaburanga ricevette una proposta di lavoro. Tuttavia, dopo il suo ritorno in Ruanda, dovette affrontare l’ostilità e gli scherni dei parenti e dei colleghi di lavoro poiché aveva scelto di vivere nel rispetto dei princìpi cristiani. Alla fine chiese il pensionamento anticipato e diventò pioniere regolare. Oggi funge da rappresentante legale dell’organizzazione a livello locale.

Ngirabakunzi Mashariki conobbe la verità nel Congo orientale. Ha detto: “Essendo tutsi, avevo subìto discriminazioni per diversi anni. Quando conobbi i testimoni di Geova, mi sembrò di trovarmi su un altro pianeta. Stare con persone coscienziose che erano coerenti con quello che insegnavano aveva un non so che di miracoloso. Il loro amore fu ancora più evidente durante il genocidio dei tutsi nel 1994. I fratelli nascosero e protessero la mia famiglia. Nel 1998 fui invitato alla Betel, dove oggi presto servizio insieme a mia moglie, Emerance. Non vedo l’ora che arrivi il nuovo mondo: finalmente ogni tipo di pregiudizio e discriminazione apparterrà al passato; la terra sarà piena di persone che invocano il nome di Geova e vivono insieme in armonia”.

IL RISVEGLIO DELL’OPERA

Nel marzo del 1994, poco prima dell’inizio della guerra, in Ruanda c’erano 2.500 proclamatori. Nel maggio del 1995 si raggiunse un nuovo picco nel numero dei proclamatori, ben 2.807, nonostante molti fossero rimasti uccisi nel genocidio. Un gran numero di persone dall’animo sincero entrò a far parte del popolo di Geova. Una pioniera speciale, ad esempio, studiava la Bibbia con oltre 20 persone, e ne aveva altre in lista d’attesa. Un sorvegliante di circoscrizione ha detto: “La guerra ha fatto capire alla gente quanto sia futile affannarsi per avere sempre più cose materiali”.

Nel gennaio del 1996 i fratelli tennero l’assemblea di distretto “Lodatori gioiosi”. Che magnifica assemblea fu quella! Fu la prima dopo la guerra, dato che quella dell’anno precedente era stata annullata. Un osservatore ha detto: “C’era chi si abbracciava e chi piangeva ed era particolarmente toccante vedere fratelli hutu e tutsi stringersi l’un l’altro”. I presenti arrivarono a 4.424 e i battezzati furono 285. Il fratello Reschke ricorda: “Fu emozionante sentire i candidati rispondere affermativamente ad alta voce ‘Yego!’ alle domande per il battesimo. In attesa di essere immersi si misero in fila sul campo di gioco e vennero colti da un forte temporale che li bagnò dalla testa ai piedi. Ma la presero con filosofia: tanto si sarebbero bagnati lo stesso”.

Henk van Bussel tornò in Ruanda; e Günter Reschke, che era venuto per contribuire a riavviare l’opera, fu invitato a rimanere lì su base permanente. Non molto tempo dopo anche Godfrey e Jennie Bint rientrarono in Ruanda.

RITROVATO IL FIGLIO DATO PER PERSO

Negli anni che seguirono la guerra, famiglie che erano state separate si riunirono. Per esempio nel 1994, quando a Kigali lo scontro tra i due eserciti si inasprì, ci fu una fuga in massa della popolazione e nel panico generale Oreste Murinda si ritrovò separato dalla moglie. A quel punto scappò a Gitarama insieme al figlio di due anni e mezzo. Lì Oreste si allontanò momentaneamente dal piccolo per andare in cerca di cibo, ma durante la sua assenza ripresero i combattimenti e nella confusione perse ogni traccia anche del figlio.

Dopo la guerra Oreste e la moglie si riunirono, ma del figlio non c’era ancora traccia. Pensarono che fosse stato ucciso. Tuttavia, più di due anni dopo, un uomo che veniva da una zona rurale andò a Kigali per lavoro. Lì incontrò dei Testimoni e menzionò di sfuggita che a Gisenyi i parenti di un suo vicino di casa avevano perso i figli durante la guerra, ma avevano accolto un orfano. Il bambino ricordava come si chiamava il papà e diceva che i suoi genitori erano testimoni di Geova. Riconosciuto il nome del padre, i fratelli contattarono i genitori, i quali mostrarono all’uomo delle fotografie del figlio. Ed era proprio lui! Oreste andò subito a prenderlo, e fu così che dopo due anni e mezzo i genitori e il loro bambino si ricongiunsero. Il ragazzo è ora un proclamatore battezzato.

È degno di nota che i fratelli si presero cura di tutti gli orfani dei Testimoni, nessuno dei quali finì in orfanotrofio. Talvolta si occuparono anche degli orfani dei loro vicini o di altri familiari. Una coppia che aveva dieci figli prese con sé dieci orfani.

NEL NORD TORNA L’INSICUREZZA

Alla fine del 1996 in Congo la guerra civile rendeva sempre più problematico mantenere le condizioni di sicurezza nei campi profughi, in cui si trovavano ancora oltre un milione di ruandesi. A novembre i profughi furono costretti a scegliere fra tornare in Ruanda o addentrarsi ulteriormente nel territorio congolese per rifugiarsi nelle foreste pluviali. La maggioranza scelse di rientrare, inclusi quei fratelli che non lo avevano fatto nel dicembre del 1994. Furono scene indimenticabili: fiumi di persone, giovani e vecchi, che camminavano per le vie di Kigali con gli abiti impolverati e i fagotti sulla testa. Tutti quei profughi dovettero tornare alle loro comunità d’origine, le cosiddette colline, per essere registrati nuovamente. Per qualche tempo ci fu un inasprimento delle misure di sicurezza.

Purtroppo assieme ai profughi tornarono molti elementi indesiderati, inclusi dei miliziani Interahamwe, che tentarono di proseguire le loro attività nella parte nord-occidentale del paese. In risposta, per ripristinare la sicurezza, fu mandato l’esercito. Molti nostri fratelli vivevano in quella zona e fu estremamente difficile per loro rimanere neutrali. Tra il 1997 e il 1998 oltre 100 proclamatori persero la vita, nella maggioranza dei casi perché tennero fede alla loro scelta di rimanere neutrali. A volte la zona era talmente pericolosa che i sorveglianti di circoscrizione non potevano recarvisi regolarmente a visitare i fratelli.

UNA COPPIA CORAGGIOSA

Théobald Munyampundu fu uno dei pochi sorveglianti di circoscrizione che riuscirono a visitare le congregazioni situate nelle zone pericolose. Non era la prima volta che, assieme alla moglie, Berancille, affrontava dei rischi. Due anni dopo il suo battesimo, avvenuto nel 1984, Théobald, così come molti altri fratelli, era stato messo in prigione e picchiato selvaggiamente. Lui e la moglie, inoltre, avevano rischiato la vita nascondendo delle persone durante il genocidio dei tutsi. Salvarono un ragazzo che aveva perso la madre nel genocidio, dopo di che riuscirono a oltrepassare il confine per recarsi in Tanzania. Lì Théobald visitò e incoraggiò i fratelli che si trovavano nei campi profughi di Benaco e Karagwe, anche se recarsi da un campo all’altro era estremamente rischioso per la presenza di banditi.

Tornati in Ruanda Théobald e la moglie rischiarono nuovamente la vita per far visita ai Testimoni che si trovavano nelle turbolente regioni del nord-ovest. “A volte le congregazioni che visitavamo erano distanti”, racconta Théobald. “A motivo della situazione non era sicuro trascorrere la notte sul posto. Ricordo una visita che facemmo durante la stagione delle piogge. Ogni giorno dovemmo camminare quattro ore all’andata e quattro al ritorno per rientrare al nostro alloggio la sera; e tutto questo nonostante gli scrosci d’acqua”.

Théobald descrive un fratello che conobbe mentre visitava un gruppo isolato della zona: “Jean-Pierre è cieco e rimasi di stucco quando alla Scuola di Ministero Teocratico si alzò per fare la lettura della Bibbia e recitò a memoria i versetti assegnati, senza fare errori e rispettando persino la punteggiatura. Aveva chiesto a un bravo lettore di leggergli i versetti in anticipo per memorizzarli. La sua determinazione mi incoraggiò molto”.

Pensando alla vita intensa e talvolta pericolosa che ha vissuto, Théobald dice: “In tutti quei momenti difficili abbiamo confidato in Geova e spesso ci sono venute in mente le parole di Ebrei 13:6: ‘Geova è il mio soccorritore; non avrò timore. Che mi può fare l’uomo?’” Insieme alla moglie ha assolto fedelmente gli incarichi di sorvegliante di circoscrizione e di distretto; oggi i due prestano servizio come pionieri speciali nonostante abbiano problemi di salute.

COSTRUITA UNA SALA DELLE ASSEMBLEE

Man mano che i Testimoni aumentavano, trovare a Kigali una struttura adatta per le assemblee di distretto si faceva sempre più difficile. Ad esempio, nel corso dell’assemblea di distretto “Messaggeri della pace divina”, tenuta in uno stadio nel dicembre 1996, il canale di scolo di una vicina prigione traboccò provocando notevoli disagi. I fratelli si lamentarono per l’odore sgradevole e i genitori temettero per la salute dei loro figli. Tenendo conto della precarietà delle condizioni, il comitato che curava l’opera nel paese decise all’unanimità che quella sarebbe stata l’ultima assemblea di distretto che si sarebbe tenuta in quello stadio. Ma in quale altro posto si potevano tenere le assemblee?

Il ministero competente aveva concesso un appezzamento di terreno a una delle congregazioni di Kigali. Lo spazio disponibile era maggiore del necessario e se i fratelli avessero presentato un progetto per realizzare solo una Sala del Regno, molto probabilmente il ministero avrebbe tolto loro una parte del terreno per darla a qualcun altro. Quindi, confidando in Geova, presentarono i progetti per la costruzione di una Sala del Regno e di una Sala delle Assemblee dalla struttura semplice, con l’opzione di costruire in seguito una seconda Sala del Regno. Le autorità locali approvarono i progetti.

I fratelli spianarono il terreno e lo recintarono. Centinaia di volontari lo ripulirono dalle erbacce e scavarono delle profonde latrine. Ora disponevano di un bell’appezzamento di terra con una lieve pendenza: il posto ideale per tenere le assemblee.

Nei mesi che seguirono i fratelli vi tennero due assemblee e un’adunanza speciale, ma a motivo dei forti venti e della pioggia battente furono costretti a stringersi sotto teloni impermeabili e ombrelli. Di conseguenza si raccomandò al Corpo Direttivo la costruzione di una Sala delle Assemblee aperta ai lati e dalla struttura essenziale.

Nel marzo del 1998 il Corpo Direttivo diede l’autorizzazione per costruire la Sala delle Assemblee. I lavori preliminari cominciarono subito. Per tutto il periodo dei lavori intere famiglie collaborarono alla realizzazione degli scavi necessari per gettare le fondamenta delle strutture portanti. Tutti lavorarono armoniosamente fianco a fianco. Il 6 marzo del 1999 Jean-Jules Guilloud, che veniva dalla filiale della Svizzera, pronunciò il discorso di dedicazione di questa nuova struttura funzionale.

Nel 1999 le condizioni in tutto il paese erano tornate a essere sicure. A febbraio un’altra coppia di missionari, Ralph e Jennifer Jones, fu mandata a prestare servizio presso l’ufficio che curava l’opera nel Ruanda, e così i membri della famiglia Betel diventarono 21.

Due fratelli ruandesi si erano diplomati alla Scuola di Addestramento per il Ministero (oggi Scuola biblica per fratelli non sposati) tenuta a Kinshasa, in Congo, a circa 1.600 chilometri di distanza. Comunque, dal momento che ora in Congo imperversava la guerra, per i ruandesi si faceva sempre più difficile recarsi a Kinshasa. Tenendo conto di ciò, il Corpo Direttivo diede l’autorizzazione perché la Scuola di Addestramento per il Ministero fosse tenuta a Kigali. La prima classe, composta da 28 studenti provenienti da Burundi, Congo e Ruanda, si diplomò nel dicembre del 2000.

Nel maggio del 2000 l’ufficio del Ruanda diventò a tutti gli effetti una filiale, e poco dopo si trovò un terreno adatto per costruirvi i nuovi edifici; da lì i fratelli avrebbero coordinato l’opera, che stava vivendo una fase di rapido sviluppo. La proprietà, che aveva un’estensione di due ettari, fu acquistata nell’aprile 2001. Molti fratelli di Kigali ricorderanno a lungo quanto sia stato faticoso estirpare le erbacce, dato che il terreno era rimasto abbandonato per anni.

ERUZIONE VULCANICA NEL CONGO ORIENTALE

Il 17 gennaio del 2002 il vulcano Nyiragongo, situato a circa 16 chilometri da Goma, nel Congo orientale, cominciò a eruttare, e la maggior parte della popolazione residente nella zona dovette scappare dalla propria abitazione. Molti dei 1.600 proclamatori locali, in fuga con i loro figli e gli interessati, attraversarono il confine con il Ruanda e si rifugiarono nella vicina Gisenyi, dove furono indirizzati nelle Sale del Regno della zona.

Il giorno seguente i fratelli della filiale ruandese caricarono un camion da tre tonnellate di generi di prima necessità come cibo, coperte e farmaci. Gli aiuti furono consegnati tempestivamente in sei Sale del Regno situate nei pressi del confine con il Congo.

Per motivi di sicurezza il governo ruandese era preoccupato per la massiccia presenza di cittadini congolesi nelle Sale del Regno e insisteva perché fossero trasferiti nei campi profughi. Una delegazione di fratelli del Comitato di Filiale del Ruanda ebbe un incontro a Goma con due membri del Comitato di Filiale del Congo e alcuni anziani delle congregazioni della città per decidere il da farsi. I Testimoni congolesi non volevano assolutamente che i loro fratelli finissero nei campi profughi del Ruanda. “Nel 1994 ci siamo presi cura di oltre 2.000 fratelli ruandesi con i loro familiari e gli interessati”, dissero, “quindi invece di fare andare i nostri fratelli nei campi, facciamoli tornare a Goma; ci prenderemo cura di loro come abbiamo fatto con i fratelli ruandesi”.

Anziché lasciare che finissero in campi gestiti da altre organizzazioni, i fratelli congolesi mostrarono amore e ospitalità ai loro compagni di fede aiutandoli a tornare nel paese nativo e trovando loro una sistemazione in casa di Testimoni. Così i fratelli e loro famiglie tornarono a Goma, dove furono ospitati. In seguito arrivarono da Belgio, Francia e Svizzera altri aiuti, inclusi dei teloni in plastica. I fratelli rimasero a Goma finché non fu possibile costruire per loro delle nuove abitazioni.

ALCUNE TAPPE FONDAMENTALI

Il progetto della nuova filiale fu preparato dall’Ufficio Progetti di Zona del Sudafrica e la realizzazione dei lavori fu affidata a un imprenditore locale. Ai lavori presero parte dei volontari internazionali e molti Testimoni locali si offrirono di realizzare le aree verdi e altri lavori di rifinitura. Nonostante qualche imprevisto e alcune difficoltà, la famiglia Betel si trasferì nella nuova e accogliente filiale nel marzo del 2006. Il 2 dicembre dello stesso anno, Guy Pierce, membro del Corpo Direttivo venne assieme alla moglie in occasione dello speciale programma di dedicazione. I presenti a quell’evento furono ben 553, inclusi 112 delegati di 15 paesi.

Ai lavori di costruzione parteciparono anche Jim e Rachel Holmes, del Canada. Conoscevano la lingua dei segni americana e si offrirono di insegnarla il lunedì dopo lo studio Torre di Guardia della famiglia Betel ai beteliti interessati. Ad aderire all’iniziativa furono in sei, e diventarono talmente bravi che nel giro di pochissimo tempo fu formato un gruppo di lingua dei segni.

Poi, nel giugno del 2007, Kevin Rupp, che si era diplomato in Svizzera alla Scuola di Addestramento per il Ministero, venne in Ruanda come missionario per dare una mano nel campo della lingua dei segni. Poco tempo dopo arrivò anche una coppia di missionari canadesi che avevano esperienza nella lingua dei segni. Nel luglio del 2008 fu costituita una congregazione di lingua dei segni e in poco tempo si formarono altri gruppi.

All’assemblea di distretto del 2007 i fratelli accolsero con grande entusiasmo l’annuncio che la Traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture Greche Cristiane in kinyarwanda era stata completata. Nel 1956 l’Alleanza Biblica Universale aveva realizzato una traduzione in kinyarwanda dell’intera Bibbia. Quella pubblicazione era il frutto dello sforzo sincero di produrre una versione della Bibbia nella lingua locale; utilizzava addirittura il nome divino, YEHOVA, sette volte nelle Scritture Ebraiche. La Traduzione del Nuovo Mondo, tuttavia, è alla portata di un maggior numero di persone, soprattutto di chi dispone di pochi mezzi. Questa nuova traduzione, accurata e di facile comprensione, è stata prodotta grazie all’impegno certosino dei traduttori locali coadiuvati dal Reparto Servizi per la Traduzione di New York. È emozionante vedere che la maggior parte dei bambini nelle Sale del Regno ha la propria copia delle Scritture Greche e non vede l’ora di alzare la mano per leggere un versetto durante le adunanze!

NUOVI PROBLEMI DOVUTI ALLA NEUTRALITÀ

Nonostante la libertà religiosa conseguita nel 1992 con il riconoscimento legale, i fratelli continuano ad affrontare problemi per via della loro posizione neutrale. Negli scorsi 15 anni centinaia di fratelli sono stati arrestati per non aver preso parte ai pattugliamenti notturni organizzati dall’esercito. Comunque, grazie a una serie di incontri tra fratelli incaricati e ministri, ai testimoni di Geova è stata data la possibilità di svolgere attività alternative.

In anni recenti 215 insegnanti hanno perso il lavoro per essersi rifiutati di assistere a corsi di aggiornamento politicamente orientati. Successivamente 118 alunni sono stati espulsi dalle scuole per essersi rifiutati di cantare l’inno nazionale. Alcuni rappresentanti della filiale si sono recati presso le autorità per fornire chiarimenti sulla nostra posizione neutrale e dopo diversi mesi la maggior parte dei ragazzi ha ottenuto il permesso di tornare a scuola. Facendo riferimento alla storia dell’opera in Ruanda, i fratelli hanno messo in evidenza che, sebbene nel 1986 i testimoni di Geova fossero stati imprigionati per la loro neutralità, nel 1994 la loro neutralità fu uno dei motivi fondamentali per cui non parteciparono al genocidio. — Giov. 17:16.

I testimoni di Geova ubbidiscono alle leggi dello Stato ma, qualunque governo ci sia al potere, si mantengono politicamente neutrali. Ad esempio nel 1986 François-Xavier Hakizimana fu imprigionato per 18 mesi a motivo della sua posizione neutrale. Ma all’indomani del genocidio, dopo il cambio di governo, fu imprigionato nuovamente per la stessa ragione nel 1997 e nel 1998. Questi esempi dimostrano che la posizione dei testimoni di Geova rimane immutata nel tempo e non si contrappone ad alcun governo in particolare. La loro neutralità si basa puramente sui princìpi esposti nelle Scritture.

Nonostante le persistenti difficoltà, i fratelli tengono le adunanze settimanali e le assemblee in libertà ed è stato concesso loro anche il permesso di predicare e tenere adunanze in molte prigioni, nelle quali diversi detenuti hanno abbracciato la verità. Inoltre nell’anno di servizio 2009 sei processi si sono conclusi con una sentenza in favore dei servitori di Geova del Ruanda.

UN FUTURO PROMETTENTE

Il racconto delle vicende relative al Ruanda sarebbe incompleto senza un accenno ai sorprendenti risultati ottenuti grazie al programma di costruzione di Sale del Regno. A partire dal 1999, quando fu avviato il programma per la costruzione di Sale del Regno nei paesi con risorse limitate, volontari fortemente motivati hanno costruito ben 290 Sale del Regno, modeste ma esteticamente piacevoli.

Con l’aiuto degli entusiasti proclamatori locali, la maggior parte di queste sale viene realizzata in tre mesi. Vedendo spuntare Sale del Regno in tutto il paese, gli osservatori sono incuriositi e i servitori di Geova hanno l’opportunità di parlare della propria fede. Oltre alla Sala delle Assemblee di Kigali, sono state costruite dieci Sale delle Assemblee aperte ai lati, più piccole e più semplici, grazie alle quali i proclamatori possono assistere alle assemblee senza dover percorrere a piedi enormi distanze per attraversare zone montuose. Inoltre sono state completate quattro Sale del Regno in cui si possono tenere assemblee, dato che la struttura si può ampliare per l’occasione.

Ogni anno, durante i primi mesi, tutte le congregazioni predicano con zelo nei territori non assegnati o in cui ci si reca raramente. Per farlo i proclamatori talvolta percorrono lunghe distanze a proprie spese. Nel caso delle zone ancora più distanti, vengono mandati pionieri speciali temporanei per un periodo di tre mesi. I gruppi che in questo modo vengono formati costituiscono il fondamento delle future congregazioni. Ad esempio nel corso della campagna svoltasi tra gennaio e marzo 2010 sono stati iniziati centinaia di studi biblici e sono stati costituiti nove gruppi. Inoltre nello stesso periodo 30 pionieri speciali temporanei hanno avviato 15 gruppi.

UN’ALTRA PIETRA MILIARE

All’assemblea di distretto del 2009 “Siate vigilanti” i fratelli ruandesi furono presi dall’emozione quando venne annunciata la preparazione del nuovo libro dei cantici ed ebbero la possibilità di ascoltare un medley dei nuovi cantici in kinyarwanda. Non solo il nuovo libro fu tradotto tempestivamente in kinyarwanda ma le congregazioni ricevettero le loro copie in tempo utile per cominciare a cantare i cantici nel gennaio del 2010 come il resto dei fratelli di tutto il mondo.

Ovviamente, dopo la presentazione della Traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture Greche Cristiane in kinyarwanda nel 2007, tutti si chiedevano quando sarebbe stata disponibile la traduzione dell’intera Bibbia. Con l’avvicinarsi delle assemblee di distretto del 2010 fu annunciato che ad agosto, in concomitanza dell’assemblea di Kigali, Guy Pierce, uno dei membri del Corpo Direttivo, si sarebbe recato in Ruanda. L’assemblea avrebbe avuto luogo nello stadio che si trova di fronte alla filiale. C’era grande attesa nell’aria, e quando il fratello Pierce annunciò la pubblicazione in kinyarwanda dell’intera Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture fu un momento straordinario! Tutti i 7.149 presenti del venerdì mattina ne ricevettero una copia. La domenica, con la presenza di fratelli di altri distretti del Ruanda, il numero dei presenti salì a 11.355. Durante l’assemblea i soldati che stavano marciando fuori dallo stadio chiesero delle copie della nuova Bibbia: ne furono distribuite 180. Anche il sindaco di Kigali, il capo della polizia e alcune autorità del Ministero dello Sport furono lieti di accettarne delle copie.

L’opera di predicazione della buona notizia in Ruanda ebbe inizio nel 1970 con tre proclamatori. Oggi ci sono ben 20.000 proclamatori, che ogni mese conducono circa 50.000 studi biblici. I presenti alla Commemorazione nell’aprile 2011 sono stati ben 87.010. I fratelli ruandesi sono noti per il loro zelo, caratteristica che ha contraddistinto la loro storia. Circa il 25 per cento dei proclamatori è impegnato in qualche forma di servizio a tempo pieno, gli altri dedicano in media 20 ore al mese alla predicazione; insieme si adoperano in questo fertile campo al fianco del “Signore della messe” senza alcuna intenzione di rallentare. Mentre Geova continua a benedire l’opera, aspettiamo vivamente di vedere quante altre persone ancora abbracceranno la pura adorazione e affluiranno al suo simbolico monte nel paese delle mille colline. — Matt. 9:38; Mic. 4:1, 2.

[Note in calce]

^ par. 2 Nota solitamente con il nome di Congo, che useremo nel corso della narrazione, o con quello di Congo (Kinshasa) per distinguerla dal vicino Congo (Brazzaville).

^ par. 95 Deborah diventò proclamatrice, si battezzò a dieci anni e ora fa la pioniera regolare insieme alla mamma.

^ par. 111 La bambina è ora una sorella battezzata.

[Testo in evidenza a pagina 178]

Avvertì i presenti di stare attenti ai testimoni di Geova

[Testo in evidenza a pagina 181]

Si salutavano dicendo “Komera!”, cioè “Coraggio!”

[Testo in evidenza a pagina 218]

“Geova, noi non possiamo fare niente per salvarci. Solo tu puoi fare qualcosa!”

[Riquadro/Immagine a pagina 166]

Informazioni generali

Paese

Il Ruanda si estende per 177 chilometri da nord a sud e per 233 chilometri da est a ovest. Si calcola che gli abitanti siano oltre 11.000.000; è il paese africano più densamente popolato. La capitale è Kigali.

Popolazione

La popolazione si compone di hutu, tutsi e twa oltre che di alcuni asiatici ed europei. Oltre la metà degli abitanti è di religione cattolica e più di un quarto è di fede protestante (dato che include un cospicuo numero di avventisti); il resto della popolazione è musulmana oppure appartiene a varie confessioni locali.

Lingua

Le lingue ufficiali sono il kinyarwanda, l’inglese e il francese. Lo swahili è la lingua usata negli scambi commerciali con i paesi vicini.

Risorse economiche

La maggior parte dei ruandesi vive di agricoltura. Il terreno è in gran parte povero, per cui molti riescono a produrre solo quanto basta per la loro famiglia. Tra le colture ci sono tè, piretro (usato nella produzione di insetticidi) e caffè, che è il principale prodotto di esportazione.

Alimentazione

Tra gli alimenti base ci sono patate, banane e fagioli.

Clima

Nonostante la vicinanza dell’equatore, il clima è generalmente mite. Negli altipiani dell’entroterra le temperature medie si aggirano sui 21°C e la piovosità è di 1.140 millimetri annui.

[Riquadro/Immagine a pagina 185]

“Geova ci inseguirà!”

EMMANUEL NGIRENTE

NATO 1955

BATTEZZATO 1982

PROFILO Membro del Comitato di Filiale del Ruanda e sorvegliante del Reparto Traduzione.

▪ NEL 1989 ero pioniere nella parte orientale del Ruanda, ma alla fine dell’anno fui incaricato di lavorare presso l’ufficio traduzioni. Non avevo esperienza in quel settore, perciò ero basito e non mi sentivo all’altezza. In ogni caso cominciai a lavorare a tre pubblicazioni. Prendemmo una casa in affitto e ci procurammo dei dizionari. A volte lavoravo tutta la notte e bevevo caffè per tenermi sveglio.

All’epoca dell’invasione, nell’ottobre del 1990, alcuni sospettarono che i testimoni di Geova avessero dei legami con l’esercito che aveva sferrato l’attacco. Gli agenti della polizia segreta si misero a fare dei controlli. Dal momento che lavoravo a casa, pensavano che fossi disoccupato e, pertanto, volevano sapere cosa stessi facendo. Un giorno fecero una perquisizione a sorpresa. Avevo scritto a macchina tutta la notte e alle cinque del mattino stavo cercando di prendere sonno. All’improvviso mi chiamarono per partecipare a un lavoro per la comunità.

Mentre ero fuori, le autorità locali rovistarono la casa. Al mio ritorno, i vicini mi dissero che un poliziotto e un funzionario del posto erano stati lì un’ora a leggere i manoscritti delle mie traduzioni, che ripetutamente facevano riferimento a Geova. Alla fine avevano esclamato: “Andiamo via da questa casa o Geova ci inseguirà!”

[Riquadro/Immagine a pagina 194]

Un milione di morti in cento giorni

“Quello avvenuto in Ruanda nel 1994 rappresenta uno dei casi più evidenti di genocidio della storia moderna. Dall’inizio di aprile fino alla metà di luglio del 1994 gli hutu, gruppo etnico di maggioranza del piccolo stato centrafricano, massacrarono sistematicamente i membri della minoranza tutsi. Il regime estremista hutu, temendo che l’azione di un movimento democratico e una guerra civile avrebbero comportato la perdita del potere, pianificò l’eliminazione di tutti quelli, hutu moderati o tutsi, che considerava una minaccia alla propria autorità. Il genocidio si concluse solo quando un esercito di ribelli, perlopiù tutsi, occupò il paese e mandò in esilio i membri del regime responsabile del genocidio. In soli cento giorni un milione di persone persero la vita a causa del genocidio e della guerra, il che fa del massacro ruandese una delle più intense ondate di morte che la storia ricordi”. — Encyclopedia of Genocide and Crimes Against Humanity.

Circa 400 testimoni di Geova furono vittima del genocidio, inclusi degli hutu che furono uccisi per aver protetto i loro fratelli e le loro sorelle tutsi. Nemmeno un Testimone perse la vita per mano dei suoi compagni di fede.

[Immagine]

Profughi in fuga dal Ruanda

[Riquadro/Immagine a pagina 197]

“Camere della morte”

“Le menti ideatrici del genocidio sfruttavano il concetto storico di rifugio inviolabile per attirare decine di migliaia di tutsi all’interno degli edifici religiosi con false promesse di protezione; a quel punto i miliziani e i soldati hutu trucidavano sistematicamente i malcapitati che avevano cercato asilo, sparando e lanciando bombe a mano contro le folle rifugiate nelle chiese e nelle scuole, dopo di che finivano i sopravvissuti a colpi di machete, roncola e coltello. . . . Il coinvolgimento delle chiese non si limitò, però, al permettere passivamente che i loro edifici fossero usati come camere della morte. In alcune comunità ecclesiastici, catechisti e altre persone alle dipendenze della chiesa sfruttarono la loro conoscenza della popolazione locale identificando i tutsi perché fossero eliminati. In altri casi il personale della chiesa prese parte attiva alle uccisioni”. — Christianity and Genocide in Rwanda.

“L’accusa principale mossa alla Chiesa [Cattolica] è di aver tradito l’alleanza con l’élite tutsi per dar vita a una rivoluzione capeggiata dagli hutu, contribuendo in questo modo all’ascesa al potere di Habyarimana in uno stato a maggioranza hutu. Riguardo al genocidio vero e proprio, ancora una volta i critici ritengono la Chiesa direttamente responsabile di aver fomentato l’odio, di aver nascosto i colpevoli e di non aver protetto quelli che cercavano rifugio tra le sue mura. C’è anche chi ritiene che, in veste di guida spirituale della maggioranza della popolazione del Ruanda, la Chiesa sia moralmente responsabile di non aver preso tutte le misure possibili per porre fine alla carneficina”. — Encyclopedia of Genocide and Crimes Against Humanity.

[Riquadro/Immagini alle pagine 201-203]

“Non si può ammazzare una persona che tutti vogliono salvare!”

JEAN-MARIE MUTEZINTARE

NATO 1959

BATTEZZATO 1985

PROFILO Fratello fedele e sempre sorridente che nel 1986, non molto tempo dopo il suo battesimo, fu messo in prigione per otto mesi. Jean-Marie, che fa il muratore, nel 1993 ha sposato Jeanne e adesso è il presidente del comitato della Sala delle Assemblee di Kigali.

▪ IL 7 APRILE io, mia moglie Jeanne e Jemima, la nostra bambina di un mese, fummo svegliati di soprassalto dal frastuono di una serie di spari. Inizialmente pensammo che si trattasse solo di disordini legati a questioni politiche, ma presto apprendemmo che i miliziani Interahamwe avevano iniziato a uccidere sistematicamente tutti i tutsi. Dato che siamo tutsi, non ci azzardammo a uscire di casa. Pregammo fervidamente Geova perché ci aiutasse a capire cosa dovevamo fare. Nel frattempo Athanase, Charles ed Emmanuel, tre coraggiosi fratelli hutu, misero a repentaglio la loro vita per portarci qualcosa da mangiare.

Per circa un mese fummo costretti a nasconderci a casa di diversi fratelli. Quando la caccia ai tutsi stava raggiungendo il culmine, i miliziani vennero nel posto dove ero nascosto armati di coltelli, lance e machete. Vedendoli arrivare, scappai a gambe levate e cercai di nascondermi tra i cespugli. Purtroppo, però, venni scoperto e mi ritrovai circondato da un gruppo di uomini armati. Dissi loro in tono supplichevole che ero testimone di Geova, ma per tutta risposta mi dissero “tu sei un ribelle!”, e mi presero a pedate. Caddi a terra e a quel punto mi colpirono con dei bastoni e con il calcio dei fucili. Nel frattempo era arrivata diversa gente; fra loro c’era un uomo a cui avevo predicato, che con coraggio gridò: “Abbiate pietà di lui!” In quel momento si fece avanti Charles, uno dei fratelli hutu. Quando mi videro a terra coperto di sangue, la moglie e i figli di Charles cominciarono a piangere. I miei aguzzini, sconcertati, mi lasciarono andare dicendo: “Non si può ammazzare una persona che tutti vogliono salvare!” Charles mi riportò a casa sua per curarmi le ferite. I miliziani ci diedero un avvertimento: se io fossi scappato avrebbero ucciso Charles al posto mio.

Quando si verificò questo episodio, Jeanne si trovava in un altro posto con la bambina. Nel corso di una feroce aggressione anche lei era stata picchiata e per poco non aveva perso la vita. In seguito le venne detto che ero stato ammazzato. Le fu chiesto persino di procurarsi delle lenzuola e di venire ad avvolgere il mio cadavere.

Ritrovarci a casa di Athanase fu un enorme sollievo, e né io né Jeanne riuscimmo a trattenere le lacrime. Comunque il giorno seguente pensammo che saremmo morti. Fu un altro giorno di terrore, un incubo, durante il quale ci nascondemmo in un posto dopo l’altro. Ricordo di aver supplicato Geova dicendogli: “Ieri ci hai aiutato. Per favore aiutaci ancora. Vogliamo crescere la nostra bambina e continuare a servirti!” Verso sera, correndo un rischio immane, tre fratelli hutu ci portarono al sicuro facendoci oltrepassare dei pericolosi posti di blocco insieme a una trentina di altri tutsi. Sei di quelle persone poi accettarono la verità.

In seguito venimmo a sapere che Charles e i suoi amici avevano continuato ad aiutare altri, anche se la milizia Interahamwe si era infuriata scoprendo che, con l’appoggio dei fratelli, decine di tutsi erano riusciti a scappare. Alla fine Charles fu catturato assieme a un proclamatore hutu, di nome Leonard. La moglie di Charles sentì i miliziani dire: “Dovete morire perché avete aiutato i tutsi a scappare”. Poi li uccisero. Questo ricorda le parole pronunciate da Gesù: “Nessuno ha amore più grande di questo, che qualcuno ceda la sua anima a favore dei suoi amici”. — Giov. 15:13.

Prima della guerra, quando io e Jeanne pensavamo al matrimonio, avevamo deciso che uno di noi avrebbe fatto il pioniere. Dopo la guerra, però, dato che molti nostri parenti erano stati uccisi, prendemmo in casa sei orfani, anche se avevamo già due figlie nostre. Ciò nonostante, dopo la guerra Jeanne divenne pioniera e ancora oggi, a distanza di 12 anni, continua a svolgere questo servizio. Inoltre tutti e sei gli orfani, i cui genitori non erano testimoni di Geova, sono battezzati. I tre ragazzi sono diventati servitori di ministero, e una delle ragazze presta servizio con il marito alla Betel. Oggi i figli nostri sono quattro, e di questi le due figlie più grandi sono battezzate.

[Immagine]

Il fratello e la sorella Mutezintare con due dei loro figli e cinque degli orfani che presero con sé

[Riquadro/Immagine alle pagine 204 e 205]

“Siamo riuscite a mantenere l’equilibrio grazie alla verità”

Valerie Musabyimana e la sorella minore, Angeline Musabwe, erano cresciute in una famiglia profondamente cattolica. Il padre era presidente di un comitato di parrocchia e Valerie aveva deciso di farsi suora. Comunque, dopo quattro anni di studio, nel 1974 abbandonò quella meta delusa dalla condotta di un prete. In seguito studiò la Bibbia con i testimoni di Geova, si battezzò e nel 1979 cominciò a fare la pioniera. Anche Angeline studiò la Bibbia e si battezzò. Prestando servizio insieme come pioniere speciali, hanno aiutato molti a conoscere la verità.

All’epoca del genocidio Angeline e Valerie vivevano a Kigali, e in casa loro nascosero nove persone; tra queste c’erano due donne incinte, a una delle quali era stato da poco ucciso il marito. Dopo qualche tempo quella donna partorì ma, dal momento che era troppo rischioso uscire di casa, furono le sorelle ad assisterla durante il parto. Saputolo, i vicini portarono cibo e acqua.

Quando scoprirono che Angeline e Valerie nascondevano dei tutsi, gli Interahamwe andarono a casa delle sorelle e dissero loro: “Siamo venuti a uccidere i tutsi testimoni di Geova”. Comunque, dato che la casa che le sorelle avevano preso in affitto apparteneva a un ufficiale dell’esercito, gli aguzzini ebbero paura di entrare. * Nessuno di quelli che erano in casa morì.

Alla fine, quando la guerra si inasprì fino a trasformarsi in una pioggia continua di proiettili, Angeline e Valerie dovettero essere evacuate. Insieme ad altri Testimoni scapparono a Goma, dove i fratelli congolesi le accolsero affettuosamente. Lì continuarono a predicare e studiarono la Bibbia con molte persone.

Come sono riuscite a non farsi sopraffare dai sentimenti negativi generati dal genocidio? Valerie dice con una certa amarezza: “Ho perso molti dei miei figli spirituali, inclusi Eugène Ntabana e la sua famiglia. Siamo riuscite a mantenere l’equilibrio grazie alla verità. Sappiamo che Geova giudicherà i malfattori”.

[Nota in calce]

^ par. 265 Dopo la guerra il proprietario cominciò a studiare la Bibbia, ma poi morì. In seguito la moglie e i due figli diventarono Testimoni.

[Riquadro/Immagine alle pagine 206 e 207]

Erano pronti a morire per noi

ALFRED SEMALI

NATO 1964

BATTEZZATO 1981

PROFILO Viveva insieme alla moglie Georgette in un sobborgo di Kigali. Padre e marito affettuoso, adesso Alfred è membro del Comitato di assistenza sanitaria di Kigali.

▪ DOPO l’inizio del genocidio, Athanase, un fratello hutu che abitava nelle nostre vicinanze, ci avvertì: “Stanno uccidendo tutti i tutsi e uccideranno anche voi”. Insisté perché andassimo a casa sua. Prima della guerra aveva effettuato uno scavo e aveva ricavato una stanza sotterranea profonda circa tre metri e mezzo, dove si offrì di tenerci nascosti. Fui il primo a scendere utilizzando la scala a pioli che aveva appositamente fatto. Athanase fece in modo che ci fossero portati giù cibo e materassi. Nel frattempo tutt’intorno continuava il massacro.

Anche se i vicini sospettavano che fossimo nascosti lì e minacciavano di incendiare la sua casa, Athanase e la sua famiglia continuarono a tenerci nascosti. Era chiaro che erano pronti a morire per noi.

Dopo altri tre giorni, nella zona ci furono aspri combattimenti; pertanto la famiglia di Athanase ci raggiunse nel sottosuolo: adesso là sotto eravamo in 16. Stavamo completamente al buio dal momento che non ci azzardavamo a utilizzare alcun tipo di illuminazione. Razionammo il cibo. Ogni giorno ciascuno di noi riceveva un cucchiaio di riso crudo bagnato in acqua zuccherata. Dopo dieci giorni si esaurì anche quella provvista. Il tredicesimo giorno morivamo di fame. Cosa potevamo fare? Salendo in cima alla scala si riusciva a intravedere cosa succedeva fuori, e ci accorgemmo che la situazione era cambiata. I soldati portavano delle uniformi diverse. Dal momento che la famiglia di Athanase mi aveva protetto, sentii che adesso toccava a me fare un sacrificio. Decisi di uscire allo scoperto con uno dei figli di Athanase, un adolescente, in cerca di cibo. Per prima cosa tutti facemmo una preghiera.

Dopo una mezz’oretta tornammo con la notizia che il Fronte Patriottico Ruandese aveva assunto il controllo della zona. Eravamo accompagnati da alcuni soldati. Indicai dove ci eravamo nascosti, ma loro stentarono a crederci finché tutti cominciarono a uscire, uno ad uno. Georgette dice che non dimenticherà mai quel momento: “Venimmo fuori tutti sporchi; eravamo stati sottoterra quasi tre settimane senza poter fare un bagno né lavare i vestiti”.

I soldati non riuscivano a credere che persone di entrambe le etnie fossero state insieme lì sotto. “Siamo testimoni di Geova”, spiegai, “e tra noi non ci sono discriminazioni razziali”. Sorpresi dissero: “Date cibo e zucchero a questa gente!” A quel punto ci portarono in una casa in cui erano state accolte temporaneamente un centinaio di persone. Dopo di che una sorella insisté perché tutti e sedici andassimo a casa sua.

Siamo grati di essere sopravvissuti. Purtroppo mio fratello e mia sorella, e le rispettive famiglie, tutti testimoni di Geova, sono stati uccisi, come è successo a molti altri. Ci mancano, ma sappiamo che “il tempo e l’avvenimento imprevisto capitano a tutti”. Georgette descrive così i nostri sentimenti: “Abbiamo perso molti fratelli e sorelle, e altri hanno vissuto esperienze strazianti costretti a scappare e a nascondersi. Tuttavia abbiamo consolidato la nostra relazione con Geova tramite la preghiera, e abbiamo visto quanto la mano di Geova sia potente. Egli ci ha confortato aiutandoci al momento opportuno tramite la sua organizzazione, e noi ne siamo estremamente riconoscenti. Geova ci ha benedetto enormemente”. — Eccl. 9:11.

[Riquadro/Immagini alle pagine 208 e 209]

Geova ci ha aiutato in quei momenti terribili

ALBERT BAHATI

NATO 1958

BATTEZZATO 1980

PROFILO Anziano e padre di tre figli. La moglie e la figlia maggiore sono pioniere regolari. Il figlio è servitore di ministero. Nel 1977, quando Albert, fratello hutu dal temperamento mite, cominciò ad assistere alle adunanze, c’erano solamente una settantina di proclamatori nel paese. Nel 1988 fu messo in prigione e picchiato. Quando si rifiutò di indossare il distintivo del partito, un vicino che era stato soldato gli appuntò il distintivo sulla pelle e sghignazzando disse: “Ora sì che porti il distintivo!”

▪ DOPO la morte dei presidenti, alcuni fratelli, parenti e vicini si rifugiarono in casa mia. Io, però, ero in apprensione per due sorelle tutsi, Goretti e Suzanne, che mancavano all’appello. Nonostante fosse estremamente pericoloso, mi misi sulle loro tracce. In mezzo a della gente che scappava, riconobbi Goretti e i suoi figli e li portai a casa mia, sapendo che nella direzione in cui stavano andando c’era un posto di blocco e sicuramente sarebbero stati uccisi.

Passò qualche giorno e anche Suzanne, assieme ad altre cinque, riuscì a raggiungerci. A quel punto in casa eravamo più di 20, ed eravamo tutti in grave pericolo.

Almeno in tre occasioni gli Interahamwe vennero a casa. Una volta scorsero dalla finestra mia moglie, Vestine, e le gridarono di uscire fuori. Mia moglie è tutsi. Le feci scudo col corpo e dissi a quegli assassini: “Se volete ucciderla, dovete prima uccidere me!” Dopo qualche discussione, le diedero il permesso di tornare in casa. Uno di loro disse: “Non voglio uccidere una donna, voglio uccidere un uomo”. Dopo di che presero di mira il fratello di mia moglie. Mentre lo portavano fuori, mi misi fra loro e il ragazzo e li implorai: “Per l’amor di Dio, lasciatelo!”

“Io non lavoro per Dio”, ribatté uno di loro, dandomi una gomitata. Poi, però, cedette e mi disse: “Va bene, portalo via!” Fu così che mio cognato ebbe salva la vita.

Circa un mese dopo due fratelli vennero in cerca di cibo. Dato che avevo una scorta di fagioli, ne diedi loro un po’, ma mentre li accompagnavo per mostrar loro una via sicura, sentii uno sparo e persi i sensi. Un frammento di un proiettile vagante mi aveva colpito a un occhio. Un vicino mi aiutò a raggiungere l’ospedale; ad ogni modo rimasi cieco da un occhio. Ma la cosa peggiore era che non potevo tornare a casa. Intanto i combattimenti erano diventati più aspri ed era troppo pericoloso per tutti quelli che erano in casa mia rimanere lì; pertanto si rifugiarono a casa di altri fratelli, i quali misero a repentaglio la loro vita per proteggerli fino al giugno del 1994. Non fui in grado di ricongiungermi con la mia famiglia fino a ottobre. Ringrazio Geova di averci aiutato in quei momenti terribili.

[Immagine]

Albert Bahati con la sua famiglia e altri che nascose

[Riquadro/Immagini alle pagine 210-212]

“Questa è la via”

GASPARD NIYONGIRA

NATO 1954

BATTEZZATO 1978

PROFILO Un fratello sempre sorridente e ottimista che si è battuto coraggiosamente per la verità. È sposato, ha tre figlie ed è membro del Comitato di Filiale del Ruanda.

▪ IL 7 APRILE, di prima mattina, dopo l’inizio degli spari, vidi che una quindicina di case appartenenti a dei tutsi erano in fiamme, incluse due case di fratelli. La nostra casa sarebbe stata la prossima? Mi sembrò di impazzire al pensiero di ciò che sarebbe potuto accadere a mia moglie, che è tutsi, e alle mie due figlie.

Avevo le idee confuse sul da farsi. Tra il panico e la confusione, circolavano voci e notizie false. Pensai che fosse più sicuro mandare mia moglie e le bambine a casa di un fratello lì vicino; io le avrei raggiunte più tardi. Quando riuscii ad arrivare, scoprii che mia moglie era stata costretta a rifugiarsi nel complesso di una scuola. Quel pomeriggio un vicino venne a dirmi: “Tutti i tutsi rifugiati nella scuola verranno massacrati!” Mi precipitai subito a scuola, rintracciai mia moglie e le bambine e riuscii a radunare una ventina di persone, tra le quali c’erano dei fratelli, e dissi loro di tornare a casa. Mentre andavamo via, vedemmo i miliziani che portavano della gente in un posto fuori città; vi furono assassinati oltre 2.000 tutsi.

Intanto la moglie di un altro vicino aveva partorito all’interno della scuola. Quando gli Interahamwe lanciarono una granata nell’edificio, il marito scappò con il neonato. La moglie andò nel panico e fuggì in un’altra direzione. Dato che teneva il neonato tra le braccia, l’uomo riuscì a passare i posti di blocco nonostante fosse tutsi, e raggiunse di corsa casa nostra. Mi chiese di cercare di procurargli del latte per il piccolo. Quando mi avventurai fuori, mi ritrovai accidentalmente davanti a un posto di blocco pattugliato dai miliziani. Siccome ero in cerca di latte per un bimbo tutsi, mi presero per un sostenitore dei tutsi e dissero: “Facciamolo fuori!” Un soldato mi colpì con il calcio del fucile, al che, sanguinante dal naso e dal volto, persi i sensi. Credendomi morto, mi trascinarono dietro una casa vicina.

Un vicino mi riconobbe e disse: “Devi andartene, altrimenti torneranno e ti daranno il colpo di grazia”. Il vicino mi aiutò a tornare a casa.

Anche se dolorosa, quella situazione si rivelò per me una protezione. Dato che tutti sapevano che facevo l’autista, il giorno dopo cinque uomini vennero per costringermi a fare da autista a un comandante dell’esercito. Ma vedendo le mie ferite, non insisterono né cercarono di forzarmi a fare dei turni di pattuglia con gli Interahamwe.

Nei giorni che seguirono dovemmo fare i conti con la paura, l’incertezza e la fame. Una donna tutsi piombò in casa nostra con i suoi due bimbi. La nascondemmo in una dispensa in cucina e mettemmo i suoi bambini assieme ai nostri in un’altra stanza. Con l’ulteriore avanzata del Fronte Patriottico Ruandese (FPR) si sparse la voce che gli Interahamwe avevano avviato un’operazione di rastrellamento per uccidere tutti gli hutu che avevano mogli tutsi, al che la nostra famiglia si preparò per scappare nuovamente. Ma l’esercito invasore aveva già assunto il controllo della zona, quindi i tutsi non correvano alcun pericolo. Adesso, però, ero io a rischiare di essere ucciso.

Così andai assieme ad altri vicini al posto di blocco che ora era presidiato dai soldati dell’FPR. Quando mi videro con la testa bendata, pensarono che fossi un miliziano hutu. Rivolgendosi a me e ai miei vicini gridarono: “Tra voi ci sono assassini e sciacalli, e ora avete il coraggio di chiedere aiuto! Chi di voi ha nascosto o protetto dei tutsi?” Mostrai loro la donna e i bambini che avevo nascosto. Presero i bambini in disparte e chiesero loro: “Chi è quest’uomo con la testa bendata?” I bambini risposero: “Non è un Interahamwe; è un testimone di Geova ed è bravo”. Prima ero stato io a salvare la donna tutsi e i suoi figli, ora erano loro a salvare me!

Soddisfatti delle risposte, i soldati ci portarono in un campo a una ventina di chilometri da Kigali, dove erano confluiti circa 16.000 sopravvissuti. Lì trovammo una sessantina di fratelli di 14 congregazioni. Organizzammo le adunanze, alla prima delle quali i presenti furono ben 96. Comunque, furono giorni estremamente duri; ci arrivò la notizia di Testimoni che erano stati trucidati e di sorelle che erano state stuprate. Ero l’unico anziano, e c’erano molti fratelli e sorelle che avevano bisogno di ricevere conforto e aiuto tramite le Scritture. Ascoltai i loro strazianti racconti e li rassicurai ricordando loro che Geova li amava e comprendeva le loro sofferenze.

Infine, dopo parecchie settimane di terrore, il 10 luglio potemmo fare ritorno alle nostre case. Ricordo che spesso, mentre vivevamo tra la paura e il pericolo, mi veniva in mente il cantico intitolato: “Questa è la via”; le sue parole avevano il potere di risollevarmi il morale: “A destra o sinistra mai ci volgerem, ma sempre con Geova avanti andrem”.

[Riquadro/Immagini alle pagine 223 e 224]

Qualcuno mi chiamò

HENK VAN BUSSEL

NATO 1957

BATTEZZATO 1976

PROFILO Dopo aver prestato servizio alla Betel dei Paesi Bassi, nel 1984 frequentò la Scuola di Galaad. Fu mandato dapprima nella Repubblica Centrafricana, poi nel Ciad e infine, nel settembre del 1992, in Ruanda, dove ora presta servizio alla Betel insieme alla moglie, Berthe.

▪ KIGALI Sud fu la prima congregazione a cui fui assegnato. Era piena di bambini e i fratelli erano cordiali e ospitali. Nel 1992 in Ruanda non c’erano molte congregazioni e i proclamatori erano poco più di 1.500. Le autorità continuavano a nutrire dei sospetti nei nostri confronti; di tanto in tanto, mentre predicavamo, la polizia ci fermava per controllare i documenti.

Quando iniziò il genocidio dovetti lasciare il paese. Ma poco dopo mi fu chiesto di aiutare i profughi nel Congo orientale. Da Nairobi mi misi in viaggio per Goma, città situata al confine con il Ruanda. Non c’ero mai stato e l’unica informazione di cui disponevo era il nominativo di un anziano, pertanto mi chiedevo come avrei fatto a trovarlo. Comunque, quando arrivai sul posto chiesi informazioni al mio tassista, il quale si consultò con dei colleghi; così, nel giro di mezz’ora, mi trovai a casa dell’anziano. Due fratelli del comitato che curava l’opera in Ruanda erano riusciti ad attraversare il confine e a raggiungere Goma; diedi loro i soldi che mi erano stati consegnati alla filiale del Kenya per aiutare i fratelli ruandesi.

La seconda volta che partii da Nairobi per recarmi a Goma, giunto a destinazione, dovetti arrivare al confine con il Ruanda a piedi. La distanza era breve, ma mi ci volle un bel po’ perché procedevo nella direzione opposta a un’immensa folla di profughi ruandesi che avevano passato il confine.

All’improvviso qualcuno mi chiamò: “Ndugu (fratello) Henk! Ndugu Henk!” Quando mi guardai intorno per capire da dove venisse quella voce, incrociai lo sguardo di Alphonsine, una ragazza di 14 anni della mia ex congregazione di Kigali, la quale era stata separata dalla madre. Rimanemmo insieme in mezzo alla folla, e la portai alla Sala del Regno che fungeva da punto di raccolta per molti altri fratelli profughi. Una famiglia congolese si prese cura di lei, dopo di che ci pensò una sorella della sua congregazione d’origine. In seguito Alphonsine si ricongiunse alla madre a Kigali.

[Immagine]

Henk con la moglie, Berthe

[Riquadro/Immagine alle pagine 235 e 236]

Geova ha fatto davvero cose meravigliose, grandi!

GÜNTER RESCHKE

NATO 1937

BATTEZZATO 1953

PROFILO È diventato pioniere nel 1958 ed è stato tra gli studenti della 43classe di Galaad. A partire dal 1967 ha servito in Gabon, Repubblica Centrafricana e Kenya e ha visitato altri paesi come sorvegliante viaggiante. Oggi fa parte del Comitato di Filiale del Ruanda.

▪ LA PRIMA volta che visitai il Ruanda fu nel 1980. Fui mandato dal Kenya come sorvegliante di distretto. A quel tempo nel paese c’erano solamente sette congregazioni e 127 proclamatori. Fui anche uno dei due istruttori del primo corso della Scuola del Servizio di Pioniere tenuto nel paese. Molti dei 22 pionieri di cui si componeva la classe sono ancora impegnati nel servizio a tempo pieno. Tornai in Kenya con un bel ricordo dello zelo dei fratelli per il ministero e del loro apprezzamento per la verità.

Nel 1996 ricevetti una lettera dalla filiale del Kenya con cui venivo invitato a trasferirmi in Ruanda. Ero stato in Kenya per 18 anni e mi ci ero trovato benissimo. Quando arrivammo in Ruanda, la situazione era ancora instabile. Spesso durante la notte sentivamo degli spari. Presto, però, il mio nuovo incarico cominciò a piacermi, in particolare quando vidi come Geova benediceva l’opera.

I luoghi in cui si tenevano le assemblee erano molto spartani. Ciò nonostante i fratelli non si lamentavano e spesso si sedevano per terra o su delle pietre. Le vasche per il battesimo erano delle buche scavate nel terreno, rivestite con il tessuto delle tende da campeggio. Assemblee del genere si tengono ancora in molte zone dell’interno; comunque col passare del tempo sono state costruite delle sale aperte ai lati e dalla struttura semplice, oltre a Sale del Regno che si possono ampliare.

I fratelli proclamavano con zelo la buona notizia. Nel fine settimana le congregazioni di Kigali tenevano le adunanze molto presto. Dopo di che i proclamatori andavano a predicare e continuavano finché non si faceva buio.

Dedicavo sempre del tempo ai ragazzi delle congregazioni, i futuri proclamatori che un giorno avrebbero potuto farsi carico di molte responsabilità. Era bello vedere che molti coraggiosamente assumevano una posizione ferma, dimostrando di avere già il proprio rapporto con Geova nonostante la giovane età!

Nel sud del paese, ad esempio, all’undicenne Luc fu chiesto di cantare l’inno nazionale in classe. Ma il ragazzo chiese rispettosamente di cantare uno dei nostri cantici del Regno. L’insegnante acconsentì e quando Luc finì di cantare tutti applaudirono. Il fatto che conoscesse non solo la melodia ma anche le parole del cantico dimostra quanto amasse lodare il suo Creatore. Diverse esperienze come questa furono fonte di incoraggiamento. Conobbi anche una sorella che alcuni anni prima era stata imprigionata per aver predicato la buona notizia. Suo figlio era nato in carcere e lei lo aveva chiamato “Shikama Hodari”, (che in swahili significa “rimani integro”). Shikama si è mostrato degno del nome che porta. Di recente ha frequentato la Scuola biblica per fratelli non sposati e presta servizio come servitore di ministero e pioniere speciale.

Durante i molti anni in cui i fratelli del Ruanda hanno affrontato difficoltà estreme, tra cui la proscrizione dell’opera, la guerra civile e il genocidio, sono sempre rimasto colpito dal loro zelo per il ministero e dalla loro fedeltà; servire insieme a loro è un privilegio enorme. Inoltre ho sempre sentito su di me la benedizione di Geova, la sua protezione e il suo sostegno, e questo mi ha avvicinato maggiormente a lui. Geova ha fatto davvero cose meravigliose, grandi! — Sal. 136:4.

[Prospetto/Immagini alle pagine 254 e 255]

Ruanda — CRONOLOGIA

1970

1970 I primi proclamatori fanno rapporto.

1975 La prima famiglia ruandese rientra dal Congo.

1976 L’opuscolo “Questa buona notizia del regno” viene pubblicato in kinyarwanda.

1978 L’edizione mensile della Torre di Guardia viene stampata in kinyarwanda

1980

1982 L’opera viene proscritta; i fratelli responsabili vengono messi in prigione.

1986 Un terzo dei proclamatori viene imprigionato.

1990

1990 Scoppia la guerra nel nord del paese.

1992 Si tiene la prima assemblea di distretto per i fratelli di tutto il paese.

L’opera viene riconosciuta legalmente.

Arrivano i missionari.

1994 Genocidio dei tutsi.

1996 Ritornano i missionari.

Viene formato il Reparto Servizio.

1998 L’edizione della Torre di Guardia in kinyarwanda viene pubblicata in contemporanea a quella inglese.

1999 Viene dedicata a Kigali una Sala delle Assemblee aperta ai lati.

2000

2000 Viene costituita la filiale.

Il Reparto Costruzione Sale del Regno diventa operativo.

2001 Viene concesso un appezzamento per la nuova filiale.

2006 Dedicate le nuove strutture della filiale.

2007 La Traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture Greche Cristiane viene pubblicata in kinyarwanda.

2010

2010 La Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture viene pubblicata in kinyarwanda.

[Grafico/Immagine a pagina 234]

(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

Totale proclamatori

Totale pionieri

20.000

15.000

10.000

5.000

1985 1990 1995 2000 2005 2010

[Cartine a pagina 167]

(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

UGANDA

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

Vulcano Nyiragongo

Goma

Bukavu

BURUNDI

TANZANIA

RUANDA

KIGALI

MTI VIRUNGA

Vulcano Karisimbi

Ruhengeri (oggi Musanze)

Gisenyi (oggi Rubavu)

Lago Kivu

Kanombe

Masaka

Gitarama (oggi Muhanga)

Bugesera

Nyabisindu (oggi Nyanza)

Save

Butare (oggi Huye)

Equatore

[Immagine alle pagine 164 e 165]

Pesca sul lago Kivu

[Immagini a pagina 169]

Oden ed Enea Mwaisoba

[Immagine a pagina 170]

Gaspard Rwakabubu con la figlia Deborah e la moglie Melanie

[Immagine a pagina 171]

Questa buona notizia del regno” in kinyarwanda

[Immagine a pagina 172]

Justin Rwagatore

[Immagine a pagina 172]

Ferdinand Mugarura

[Immagine a pagina 173]

I tre che si battezzarono nel 1976: Leopold Harerimana, Pierre Twagirayezu ed Emmanuel Bazatsinda

[Immagine a pagina 174]

Pubblicazioni in kinyarwanda

[Immagine a pagina 179]

Phocas Hakizumwami

[Immagine a pagina 180]

Palatin Nsanzurwimo con la moglie (a destra) e i figli

[Immagine a pagina 181]

Odette Mukandekezi

[Immagine a pagina 182]

Henry Ssenyonga sulla sua moto

[Immagine a pagina 188]

Riconoscimento legale, 13 aprile 1992

[Immagine a pagina 190]

I fratelli rimuovono il palco per permettere l’incontro di calcio

[Immagine a pagina 192]

Leonard e Nancy Ellis (al centro) insieme ai Rwakabubu e ai Sombe

[Immagine a pagina 193]

Relitto dell’aereo abbattuto, che precipitò nei pressi di Kigali

[Immagini a pagina 199]

“Non c’è stata fratellanza”, si legge sul muro di una chiesa cattolica di Kibuye (oggi Karongi)

[Immagine a pagina 214]

Da sinistra a destra: (dietro) André Twahirwa, Jean de Dieu, Immaculée, Chantal (con bambino), Suzanne; (davanti) Jean-Luc e Agapé, figli dei Mugabo

[Immagine a pagina 216]

Védaste Bimenyimana conduce uno studio biblico

[Immagine a pagina 217]

Tharcisse Seminega e la moglie, Chantal

[Immagine a pagina 218]

Tharcisse e Justin accanto alla capanna in cui Tharcisse e la sua famiglia rimasero nascosti per un mese

[Immagini a pagina 226]

Sopra: campo profughi per Testimoni ruandesi; sotto: campo profughi per Testimoni e altri

Goma, Congo

Benaco, Tanzania

[Immagini a pagina 229]

La Sala del Regno fu adibita a ospedale

[Immagine a pagina 238]

Oreste con la sua famiglia nel 1996

[Immagine a pagina 240]

Théobald e Berancille Munyampundu

[Immagini a pagina 241]

Fratelli e sorelle tutsi e hutu ripuliscono il terreno per la nuova Sala delle Assemblee

[Immagine a pagina 242]

Sala delle Assemblee aperta ai lati, Kigali, 2006

[Immagine a pagina 243]

Scuola di Addestramento per il Ministero tenuta a Kigali nel 2008

[Immagine a pagina 246]

Settore per la lingua dei segni a un’assemblea speciale di un giorno tenuta a Gisenyi nel 2011

[Immagine a pagina 248]

François-Xavier Hakizimana

[Immagini alle pagine 252 e 253]

Fratelli e sorelle si adoperano in questo fertile campo al fianco del “Signore della messe” senza alcuna intenzione di rallentare