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Egitto, Egiziani

Egitto, Egiziani

Nella Bibbia l’Egitto e i suoi abitanti sono menzionati più di 700 volte. Nelle Scritture Ebraiche l’Egitto viene di solito chiamato Mizraim (Mitsràyim) (cfr. Ge 50:11), evidentemente a sottolineare la preminenza o prevalenza dei discendenti di Mizraim, figlio di Cam, nella regione. (Ge 10:6) Misr è tuttora il nome arabo dell’Egitto. In certi Salmi è chiamato ‘il paese di Cam’. — Sl 105:23, 27; 106:21, 22.

Geografia e confini. (CARTINA, vol. 1, p. 531) Sin dall’antichità l’Egitto deve la sua esistenza al Nilo, la cui fertile valle si stende come un lungo nastro verdeggiante attraverso le riarse regioni desertiche dell’Africa nordorientale. Il “Basso Egitto” comprendeva la vasta zona del Delta dove le acque del Nilo, prima di gettarsi nel Mediterraneo, si diramavano un tempo in almeno cinque bracci separati (attualmente solo in due). Il punto in cui le acque del Nilo si dividono (presso l’odierna città del Cairo) dista circa 160 km dalla costa. Il luogo dove sorgeva l’antica Eliopoli (la biblica On) si trova poco più a N del Cairo, mentre alcuni km a S del Cairo sorge Menfi (chiamata di solito Nof nella Bibbia). (Ge 46:20; Ger 46:19; Os 9:6) A S di Menfi iniziava l’“Alto Egitto”, regione che includeva tutta la valle del Nilo fino alla prima cateratta presso Assuan (l’antica Siene), distante circa 960 km. Molti studiosi, comunque, ritengono più logico chiamare “Medio Egitto” la parte settentrionale di questa zona. Nell’intera regione (del Medio e dell’Alto Egitto) la pianeggiante valle del Nilo raramente supera i 20 km di larghezza, stretta com’è da ambo le parti da rocce di arenaria e calcare che delimitano il deserto vero e proprio.

Al di là della prima cateratta c’era l’antica Etiopia, così che si poteva ben dire che l’Egitto si estendeva ‘da Migdol [evidentemente una località della parte nordorientale dell’Egitto] a Siene e al confine dell’Etiopia’. (Ez 29:10) Anche se il termine ebraico Mitsràyim di solito si riferiva all’intero paese d’Egitto, molti studiosi ritengono che in certi casi corrispondesse al Basso Egitto, e forse anche al Medio Egitto, mentre l’Alto Egitto era chiamato “Patros”. La menzione di ‘Egitto [Mizraim], Patros e Cus’ in Isaia 11:11 corrisponde a un’analoga descrizione geografica contenuta in un’iscrizione di Esar-Addon re d’Assiria, che include nel suo impero le regioni di ‘Musur, Paturisi e Kusu’. — Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, p. 290.

Delimitato a N dal Mediterraneo e a S dalla prima cateratta del Nilo e dall’Etiopia (Nubia), l’Egitto era stretto fra il Deserto Libico (parte del Sahara) a O e il Deserto Arabico a E verso il Mar Rosso. Perciò era in gran parte isolato da ogni influenza esterna e protetto dalle invasioni. Tuttavia a NE l’istmo di Suez, che congiunge l’Egitto con la penisola del Sinai, formava un ponte con il continente asiatico (1Sa 15:7; 27:8), e questa lingua di terra era percorsa da carovane di mercanti (Ge 37:25), da popoli migranti e, a volte, da eserciti invasori. La “valle del torrente d’Egitto”, di solito identificata col Wadi el-ʽArish nella penisola del Sinai, segnava evidentemente l’estremità nordorientale del territorio egiziano. (2Re 24:7) Al di là c’era il paese di Canaan. (Gsè 15:4) Nel deserto a O del Nilo c’erano almeno cinque oasi che facevano parte del regno d’Egitto. La grande oasi di El Faiyûm, circa 72 km a SO dell’antica Menfi, riceveva acqua dal Nilo per mezzo di un canale.

Economia fondata sul Nilo. Mentre oggigiorno le regioni desertiche che fiancheggiano la valle del Nilo sono quasi totalmente prive di vegetazione atta a sostenere la vita animale, è dimostrato che nell’antichità gli uadi, o valli con corsi d’acqua a carattere torrentizio, erano popolati da molti animali selvatici che venivano cacciati dagli egiziani. Tuttavia la pioggia era evidentemente scarsa (oggi è quasi assente, al Cairo solo 50 mm l’anno) e quindi la vita in Egitto dipendeva dalle acque del Nilo.

Le sorgenti del Nilo si trovano sui monti dell’Etiopia e dei paesi vicini. Le piogge stagionali erano sufficienti a ingrossare le acque del fiume, che ogni anno straripava e inondava l’Egitto nei mesi da luglio a settembre. (Cfr. Am 8:8; 9:5). Questo non solo provvedeva l’acqua necessaria per i bacini e i canali d’irrigazione, ma depositava anche prezioso limo che concimava il terreno. La valle e anche il delta del Nilo erano così fertili che l’irrigua regione di Sodoma e Gomorra che si stendeva davanti agli occhi di Lot fu paragonata al “giardino di Geova, come il paese d’Egitto”. (Ge 13:10) Comunque il livello dell’inondazione variava; quando era basso, la produzione era scarsa e c’era carestia. (Ge 41:29-31) La completa assenza delle inondazioni del Nilo avrebbe provocato un disastro di enormi proporzioni e trasformato il paese in un deserto desolato. — Isa 19:5-7; Ez 29:10-12.

Prodotti. L’Egitto era un ricco paese agricolo i cui principali prodotti erano orzo, frumento, spelta (un tipo di frumento) e lino (che serviva per tessere una fine tela esportata in molti paesi). (Eso 9:31, 32; Pr 7:16) C’erano viti, datteri, fichi e melograni, e gli orti producevano una gran varietà di ortaggi, fra cui cetrioli, cocomeri, porri, cipolle e aglio. (Ge 40:9-11; Nu 11:5; 20:5) L’allusione al fatto di ‘irrigare il paese col piede, come un orto di verdure’ (De 11:10), secondo alcuni studiosi si riferirebbe all’uso da parte degli egiziani di ruote idrauliche a pedale. Ma potrebbe anche riferirsi all’uso del piede per aprire e chiudere i canali d’irrigazione.

Quando la carestia colpiva i paesi vicini, la popolazione spesso scendeva nel fertile Egitto, come fece Abraamo all’inizio del II millennio a.E.V. (Ge 12:10) Col tempo l’Egitto divenne il granaio di gran parte delle regioni mediterranee. La nave proveniente da Alessandria d’Egitto, su cui nel I secolo E.V. l’apostolo Paolo si imbarcò a Mira, era una nave adibita al trasporto di cereali diretta in Italia. — At 27:5, 6, 38.

Un altro importante prodotto egiziano d’esportazione era il papiro, pianta acquatica che cresceva in abbondanza nelle paludi del Delta (Eso 2:3; cfr. Gb 8:11) e che serviva per la produzione di materiale scrittorio. Mancando però di boschi, l’Egitto era costretto a importare legname dalla Fenicia, specialmente il cedro da città portuali come Tiro, dove la multicolore tela di lino egiziana era molto apprezzata. (Ez 27:7) I templi e i monumenti egiziani erano di granito e di pietre meno dure, come il calcare, di cui esistevano ricchi giacimenti nelle colline che fiancheggiavano la valle del Nilo. Case e persino palazzi erano costruiti con mattoni di fango (il comune materiale da costruzione). Le miniere egiziane nelle colline lungo il Mar Rosso (e anche nella penisola del Sinai) producevano oro e rame; da questo rame si ottenevano anche manufatti in bronzo destinati all’esportazione. — Ge 13:1, 2; Sl 68:31.

L’allevamento del bestiame aveva una parte importante nell’economia egiziana; mentre si trovava in Egitto Abraamo acquistò pecore e bovini, e anche bestie da soma come asini e cammelli. (Ge 12:16; Eso 9:3) Cavalli sono menzionati all’epoca dell’amministrazione di Giuseppe in Egitto (1737-1657 a.E.V.), e in genere si ritiene vi siano stati introdotti dall’Asia. (Ge 47:17; 50:9) È possibile che in un primo tempo siano stati oggetto di scambi commerciali o siano stati catturati durante incursioni compiute dagli egiziani in paesi più a NE. All’epoca di Salomone i cavalli egiziani erano abbastanza numerosi e tenuti in così gran conto da costituire una merce importante sul mercato mondiale (insieme ai carri da guerra di produzione egiziana). — 1Re 10:28, 29.

Numerosi erano gli uccelli predatori e necrofagi, come avvoltoi, nibbi, aquile e falchi, e gli uccelli acquatici, fra cui ibis e gru. Nel Nilo abbondava il pesce (Isa 19:8), e ippopotami e coccodrilli erano comuni. (Cfr. il linguaggio simbolico di Ez 29:2-5). Le regioni desertiche erano popolate da sciacalli, lupi, iene e leoni, come pure da vari tipi di serpenti e altri rettili.

Popolazione. Gli egiziani erano camiti, discendenti per lo più da Mizraim, figlio di Cam. (Ge 10:6) Dopo la dispersione avvenuta a Babele (Ge 11:8, 9), molti discendenti di Mizraim, come i Ludim, gli Anamim, i Leabim, i Naftuim e i Patrusim, forse emigrarono verso l’Africa settentrionale. (Ge 10:6, 13, 14) Come già detto, Patros (singolare di Patrusim) è messo in relazione con l’Alto Egitto, e c’è motivo di ritenere che i Naftuim abitassero la zona del Delta.

A conferma dell’opinione che la popolazione fosse composta di varie famiglie tribali c’è il fatto che fin dal remoto passato il paese era diviso in numerose province (in seguito chiamate nomi), che continuarono a esistere e costituirono parte della struttura statale dopo l’unificazione del paese sotto un unico sovrano principale, in effetti sino alla fine dell’impero. I nomi riconosciuti erano generalmente 42: 20 nel Basso Egitto e 22 nell’Alto Egitto. La continua distinzione fra Alto e Basso Egitto per tutta la storia egiziana, benché giustificata da ragioni geografiche, potrebbe anche essere dovuta a un’originaria divisione tribale. Con l’indebolirsi del governo centrale, il paese ebbe la tendenza a dividersi in queste due parti principali o addirittura a disgregarsi in numerosi piccoli regni secondo i vari nomi.

Sulla base di antichi dipinti e mummie, si pensa che i primi egiziani fossero di bassa statura, magri e di carnagione scura, anche se non negroidi. Negli antichi dipinti e sculture si nota comunque una notevole varietà.

Lingua. Studiosi moderni tendono a classificare l’egiziano come una lingua “semito-camitica”. Benché la lingua fosse basilarmente camitica, si afferma che esistano molte analogie grammaticali con le lingue semitiche, come pure certe somiglianze nel vocabolario. Nonostante questi apparenti legami, si ammette che “l’egiziano differisce da tutte le lingue semitiche molto più di quanto queste differiscano fra loro, e, almeno fino a quando i suoi rapporti con le lingue africane non saranno più chiaramente definiti, l’egiziano va senz’altro classificato al di fuori del gruppo semitico”. (A. Gardiner, Egyptian Grammar, Londra, 1957, p. 3) Quando non si era ancora rivelato ai suoi fratelli, Giuseppe parlò loro mediante un interprete egiziano. — Ge 42:23.

Ci sono nondimeno alcuni fattori che rendono estremamente difficile arrivare a conclusioni certe sulle forme linguistiche più antiche in uso in Egitto. Uno è il sistema di scrittura adottato dagli egiziani. Le iscrizioni antiche usano segni pittografici (che rappresentano animali, uccelli, piante o oggetti vari) abbinati a certe forme geometriche, un sistema di scrittura che i greci definirono geroglifica. Anche se certi segni finirono per rappresentare delle sillabe, questi erano usati solo a complemento dei geroglifici, e non ne presero mai il posto. Inoltre, i suoni precisi espressi da quelle sillabe sono oggi sconosciuti. Ci si può in parte basare sui riferimenti all’Egitto contenuti in certi testi cuneiformi che risalgono alla metà del II millennio a.E.V. Anche trascrizioni greche di nomi egiziani e di altre parole datate a partire dal VI secolo E.V. e trascrizioni aramaiche che iniziano circa un secolo più tardi possono dare un’idea della grafia delle parole egiziane traslitterate. Ma la ricostruzione fonetica dell’egiziano antico si basa ancora essenzialmente sul copto, l’egiziano parlato dal III secolo E.V. in poi. Perciò la conoscenza della struttura originale dell’antico vocabolario nella sua forma primitiva, in particolare per quanto riguarda il periodo anteriore al soggiorno degli israeliti in Egitto, è solo approssimativa. — Vedi NO, NO-AMON.

C’è da aggiungere che oggi la conoscenza delle altre antiche lingue camitiche africane è molto limitata, per cui è difficile determinarne i rapporti con l’egiziano. Non si conoscono iscrizioni in lingue africane diverse dall’egiziano anteriori all’inizio dell’era volgare. I fatti sostengono il racconto biblico della confusione della lingua, e sembra evidente che gli antichi egiziani, discendenti di Cam attraverso Mizraim, parlavano una lingua diversa e distinta dalle lingue semitiche.

La scrittura geroglifica era usata specialmente nelle iscrizioni monumentali e nei dipinti murali, dove gli ideogrammi erano eseguiti in maniera molto minuziosa. Sebbene questo sistema di scrittura rimanesse in uso fino all’inizio dell’era volgare, specie negli scritti religiosi, una scrittura meno ingombrante che impiegava forme corsive semplificate era già stata adottata anticamente dagli scribi per scrivere a inchiostro su pergamena e papiro. Tale scrittura, detta ieratica, fu seguita da una forma ancora più semplice di corsivo, il demotico, in particolare dal periodo della cosiddetta “XXVI dinastia” (VII e VI secolo a.E.V.) in poi. Solo dopo la scoperta della Stele di Rosetta nel 1799 fu possibile decifrare i testi egiziani. Questa iscrizione, ora al British Museum, contiene un decreto in onore di Tolomeo V (Epifane) e risale al 196 a.E.V. La stele è scritta in egiziano geroglifico, demotico e greco: il testo greco fornì la chiave per decifrare l’egiziano.

Religione. L’Egitto era un paese estremamente religioso, caratterizzato da un diffuso politeismo. Ogni città e villaggio aveva la propria divinità locale, a cui era riservato il titolo di “Signore della Città”. Un elenco rinvenuto nella tomba di Tutmosi III contiene i nomi di circa 740 divinità. (Eso 12:12) Spesso il dio veniva raffigurato sposato con una dea che gli dava un figlio, “così da formare una triade divina o trinità in cui il padre, fra l’altro, non sempre era il capo, ma si accontentava a volte del ruolo di principe consorte, mentre la divinità principale del luogo rimaneva la dea”. (New Larousse Encyclopedia of Mythology, 1968, p. 10) Ciascuno degli dèi principali dimorava nel proprio tempio, non aperto al pubblico, dove era adorato dai sacerdoti che lo svegliavano ogni mattina con un inno, gli facevano il bagno, lo vestivano e lo “nutrivano”, oltre a rendergli altri servizi. (Si noti il contrasto con Sl 121:3, 4 e Isa 40:28). In questa funzione i sacerdoti pare fossero considerati rappresentanti del faraone, ritenuto egli stesso un dio vivente, il figlio del dio Ra. Tale situazione dà certo risalto al coraggio manifestato da Mosè e Aaronne nel presentarsi al faraone per comunicargli il decreto del vero Dio, e aiuta a capire la sdegnosa risposta del faraone: “Chi è Geova, perché io debba ubbidire alla sua voce?” — Eso 5:2.

Nonostante la grande quantità di reperti archeologici rinvenuti in Egitto — templi, statue, dipinti religiosi, iscrizioni — si sa relativamente poco circa le effettive credenze degli egiziani. I testi religiosi presentano un quadro molto confuso e frammentario, e in genere è più quello che omettono che quello che dicono. La comprensione della natura dei loro dèi e delle loro usanze si basa in gran parte su deduzioni o su dati forniti da scrittori greci come Erodoto e Plutarco.

Statua di Amon, rappresentato come un ariete, con il faraone Taharqa (Tiraca); simboleggia la protezione del sovrano da parte di Amon

La mancanza di una fede unica è evidente dai contrasti regionali presenti in tutta la storia dell’Egitto, contrasti che hanno dato origine a un dedalo di leggende e miti, spesso contraddittori. Il dio Ra, per esempio, era noto sotto 75 forme e nomi diversi. Solo poche, relativamente parlando, delle centinaia di divinità pare fossero adorate su scala nazionale. Fra queste la più popolare era la triade o trinità formata da Osiride, Iside (sua moglie) e Horus (suo figlio). C’erano poi le divinità “cosmiche” con a capo Ra, il dio-sole, che comprendevano dèi della luna, del cielo, dell’aria, della terra, del Nilo, ecc. A Tebe (la biblica No) il dio Amon era la divinità principale e in seguito gli fu accordato il titolo di “re degli dèi” col nome di Amon-Ra. (Ger 46:25) Durante le festività (Ger 46:17) gli dèi erano portati in processione per le vie della città. Quando ad esempio i sacerdoti portavano in processione l’immagine idolatrica di Ra, la gente faceva di tutto per essere presente, pensando così di acquistare merito. Convinti di assolvere col solo atto di presenza ogni dovere religioso, gli egiziani pensavano che Ra avesse a sua volta l’obbligo di concedere loro prosperità. Si rivolgevano a lui solo per ottenere prosperità e benedizioni materiali, non chiedendo mai nulla di spirituale. Ci sono molte analogie fra i principali dèi d’Egitto e quelli di Babilonia, e tutto sembra indicare che l’Egitto abbia imitato e perpetuato divinità di origine babilonese. — Vedi DEI E DEE.

Tale adorazione politeistica non aveva nessun effetto benefico o edificante sugli egiziani. L’Encyclopædia Britannica (1959, vol. 8, p. 53) osserva: “Misteri fantastici, occulto che nasconde profonde verità, sono attribuiti [agli egiziani] dall’immaginazione classica e moderna. Naturalmente avevano dei misteri, come gli ashanti o gli ibo [tribù africane]. È un errore però pensare che tali misteri racchiudessero qualche verità, e che dietro ci fosse una ‘fede’ occulta”. In realtà le testimonianze disponibili dimostrano che magia e superstizione primitiva erano gli elementi fondamentali dell’adorazione egiziana. (Ge 41:8) Si ricorreva alla magia religiosa per prevenire malattie; lo spiritismo predominava, con molti “incantatori” e “medium spiritici” che ‘predicevano gli avvenimenti per mestiere’. (Isa 19:3) Si usavano amuleti e portafortuna, e formule magiche venivano scritte su ritagli di papiro e legate intorno al collo. (Cfr. De 18:10, 11). Quando Mosè e Aaronne compirono atti miracolosi mediante la potenza di Dio, i sacerdoti della corte del faraone che praticavano la magia e la stregoneria diedero spettacolo cercando di fare la stessa cosa con le arti magiche, finché non furono costretti ad ammettere l’insuccesso. — Eso 7:11, 22; 8:7, 18, 19.

Adorazione di animali. Tale adorazione superstiziosa spinse gli egiziani a praticare una delle più degradanti forme di idolatria, che includeva l’adorazione di animali. (Cfr. Ro 1:22, 23). Molte delle principali divinità erano raffigurate abitualmente con corpo umano e testa di animale o di uccello. Ad esempio, il dio Horus era rappresentato con la testa di falco; Thot con la testa di ibis o anche di scimmia. In certi casi si riteneva che il dio fosse effettivamente incarnato nel corpo dell’animale, come nel caso del toro Api. Il toro Api vivo, considerato un’incarnazione del dio Osiride, era tenuto in un tempio, e alla morte gli erano tributati un funerale e una sepoltura fastosi. La credenza che animali come gatti, babbuini, coccodrilli, sciacalli e vari uccelli fossero sacri in virtù del fatto che venivano associati a certi dèi, indusse gli egiziani a mummificarne letteralmente centinaia di migliaia, seppellendoli in cimiteri speciali.

Con la piaga della pestilenza che colpì il bestiame degli egiziani, Geova umiliò il loro dio Api, rappresentato da un toro

Perché Mosè affermò che i sacrifici di Israele sarebbero statidetestabili agli egiziani?

Il fatto che tanti animali diversi fossero venerati in una parte o nell’altra del paese rese senza dubbio più valida e persuasiva la richiesta di Mosè al faraone che fosse permesso a Israele di andare nel deserto per fare sacrifici: “Se sacrificassimo una cosa detestabile agli egiziani davanti ai loro occhi, non ci lapiderebbero essi?” (Eso 8:26, 27) Sembra che la maggior parte dei sacrifici che poi Israele in effetti fece sarebbero stati altamente offensivi per gli egiziani. (In Egitto il dio-sole Ra era rappresentato a volte da un vitello nato dalla vacca celeste). Da parte sua Geova, come indicato alla voce DEI E DEE, mediante le dieci piaghe eseguì giudizi “su tutti gli dèi d’Egitto”, umiliandoli profondamente e facendo conoscere il suo nome in tutto il paese. — Eso 12:12.

Nei due secoli di permanenza in Egitto la nazione d’Israele non riuscì a evitare del tutto la contaminazione da parte della falsa adorazione (Gsè 24:14), e in gran parte ciò fu senza dubbio alla radice degli atteggiamenti sbagliati manifestati all’inizio dell’Esodo. Benché Geova avesse ordinato agli israeliti di eliminare “gli idoli di letame d’Egitto”, essi non lo fecero. (Ez 20:7, 8; 23:3, 4, 8) Il vitello d’oro adorato nel deserto rispecchia probabilmente l’adorazione egiziana degli animali, che aveva contagiato alcuni israeliti. (Eso 32:1-8; At 7:39-41) Poco prima che Israele entrasse nella Terra Promessa, Geova diede di nuovo il chiaro avvertimento che la Sua adorazione non doveva essere associata a nessuna forma animale o “cosmica”. (De 4:15-20) Eppure, secoli dopo, l’adorazione degli animali riaffiorò quando Geroboamo, tornato di recente dall’Egitto e diventato re del regno settentrionale d’Israele, fece due vitelli d’oro da destinare al culto. (1Re 12:2, 28, 29) È degno di nota il fatto che gli ispirati scritti di Mosè sono del tutto esenti da qualsiasi contaminazione da parte di tale idolatria e superstizione egiziana.

Assenza di qualità morali e spirituali. Alcuni studiosi avanzano l’ipotesi che qualsiasi concetto di peccato si riscontri in certi testi religiosi egiziani sia il risultato posteriore dell’influenza semitica. Tuttavia la confessione dei peccati avveniva sempre in modo negativo, come osserva l’Encyclopædia Britannica (1959, vol. 8, p. 56): “Quando [l’egiziano] si confessava, non diceva ‘sono colpevole’; diceva ‘non sono colpevole’. La sua confessione era negativa, e l’onus probandi (l’onere della prova) ricadeva sui giudici, i quali, secondo i papiri funerari, davano sempre verdetto favorevole, o almeno si sperava e ci si aspettava che lo dessero”. (Si noti il contrasto con Sl 51:1-5). Sembra che la religione dell’antico Egitto consistesse principalmente di cerimonie e formule magiche, intese ad ottenere certi risultati grazie all’intervento di uno o più dei loro numerosi dèi.

Anche se si afferma che durante il regno dei faraoni Amenofi III e Amenofi IV (Ekhnaton) esisteva una forma di monoteismo, in quanto l’adorazione del dio-sole Aton era divenuta quasi esclusiva, non si trattava di monoteismo vero e proprio. Il faraone stesso continuava a essere adorato come un dio. Nei testi religiosi egiziani dell’epoca era inoltre assente qualsiasi principio etico; gli inni al dio-sole Aton erano una semplice lode a lui per il suo calore vivificante, ma erano privi di qualsiasi espressione di lode e gratitudine per qualche qualità morale o spirituale. L’ipotesi che il monoteismo degli scritti di Mosè si possa far risalire all’influenza egiziana è dunque del tutto priva di fondamento.

Credenze relative ai morti. Enorme importanza veniva attribuita nella religione egiziana ai morti e all’assicurarsi benessere e felicità dopo il “trapasso”. La credenza nella reincarnazione o nella trasmigrazione dell’anima era onnipresente. L’anima era ritenuta immortale; comunque, si credeva che anche il corpo umano dovesse essere conservato affinché l’anima potesse tornarvi e servirsene all’occorrenza. Per questo gli egiziani imbalsamavano i loro morti. La tomba in cui era deposto il corpo mummificato era considerata la “casa” del defunto. Le piramidi erano colossali residenze per i defunti di sangue reale. Oggetti di prima necessità e di lusso, come gioielli, abiti e mobili, e anche riserve alimentari, erano accumulati nelle tombe per essere poi usati dai defunti, insieme a scritti contenenti formule magiche (come il “Libro dei Morti”) che dovevano offrire al defunto protezione dagli spiriti malvagi. (ILLUSTRAZIONE, vol. 1, p. 533) Ma quelle formule magiche non li hanno protetti neanche dai ladri che hanno saccheggiato tutte le principali tombe.

Giacobbe e Giuseppe furono imbalsamati, ma nel caso di Giacobbe fu più che altro un mezzo per preservarne il corpo finché potesse essere trasferito in un luogo di sepoltura nella Terra Promessa come espressione di fede da parte degli israeliti. In quanto a Giuseppe, forse fu imbalsamato dagli egiziani in segno di rispetto e onore. — Ge 47:29-31; 50:2-14, 24-26.

Vita e cultura egiziana. Per molto tempo gli studiosi hanno presentato l’Egitto come ‘la più antica civiltà’ e come la fonte di molte delle prime invenzioni e del progresso dell’umanità. Più recentemente, però, si sono accumulate prove che situano in Mesopotamia la cosiddetta culla della civiltà. Un’origine mesopotamica viene ora attribuita a certi stili architettonici egiziani, all’uso della ruota, forse ai princìpi basilari della scrittura pittografica e in particolare alle caratteristiche fondamentali della religione egiziana. Questo è certo conforme al racconto biblico della dispersione dei popoli dopo il Diluvio.

Architettura. In questo campo le più famose imprese degli egiziani sono le piramidi costruite a Giza dai faraoni Cheope, Chefren e Micerino della cosiddetta “IV dinastia”. La più grande, quella di Cheope, ha una base di circa 53.000 m2 e un’altezza di circa 137 m (pari all’altezza di un moderno edificio di 40 piani). Si calcola che siano stati utilizzati 2.300.000 blocchi di pietra, del peso medio di 2,3 t ciascuno. La lavorazione dei blocchi è talmente accurata che gli interstizi sono solo di qualche millimetro. Gli egiziani costruirono anche imponenti templi; quello di Karnak, a Tebe (la biblica No; Ger 46:25; Ez 30:14-16), aveva il più grande colonnato che sia mai stato costruito dall’uomo.

La gigantesca Sfinge sembra montare la guardia davanti alle piramidi di Giza

Circoncisione. Gli egiziani la praticavano fin dall’antichità, e le Scritture li menzionano insieme ad altri popoli circoncisi. — Ger 9:25, 26.

Istruzione. Pare che questa venisse impartita per lo più in scuole per gli scribi gestite dai sacerdoti. Oltre a essere esperti nella scrittura egiziana, gli scribi reali conoscevano perfettamente anche la scrittura cuneiforme aramaica; già verso la metà del II millennio a.E.V. re vassalli della Siria e della Palestina intrattenevano una regolare corrispondenza in aramaico con la capitale egiziana. In Egitto la matematica era abbastanza sviluppata da permettere le straordinarie imprese di costruzione menzionate prima, ed è evidente che erano noti certi princìpi geometrici e algebrici. È il caso di ricordare che “Mosè fu istruito in tutta la sapienza degli egiziani”. (At 7:22) Anche se molta della sapienza degli egiziani era falsa, essi possedevano anche cognizioni di valore pratico.

Governo e legge. Sia l’uno che l’altra erano nelle mani del sovrano, il faraone, considerato un dio in forma umana. Egli governava il paese mediante i suoi subalterni, i ministri, e mediante capi feudali, il cui potere, in periodi di debolezza del potere centrale, rivaleggiava con quello del re. Forse questi ultimi capi erano considerati dai loro sudditi come veri e propri re, il che spiegherebbe l’espressione biblica “i re d’Egitto”, usata in riferimento a determinati periodi. (2Re 7:6; Ger 46:25) Dopo la conquista egiziana dell’Etiopia (Nubia) a S, quella regione fu governata da un viceré chiamato “figlio di re in Cus”, e vi sono testimonianze della presenza di un viceré egiziano anche in Fenicia.

Non si conosce un effettivo codice di leggi egiziano; le leggi c’erano, ma probabilmente si trattava di semplici editti reali, come quelli emanati dal faraone circa la fabbricazione dei mattoni da parte degli israeliti e l’ordine di affogare tutti i loro neonati maschi. (Eso 1:8-22; 5:6-18; cfr. Ge 41:44). Tutti i raccolti dei proprietari terrieri erano soggetti a tasse, cosa che sembra aver avuto origine ai giorni di Giuseppe, quando tutte le terre, ad eccezione di quelle dei sacerdoti, divennero proprietà del faraone. (Ge 47:20-26) Le tasse non consistevano solo in una parte del raccolto o del bestiame, ma anche in lavori da svolgere in opere civili o come servizio militare. La punizione per i reati prevedeva il taglio del naso, il confino e i lavori forzati nelle miniere, la fustigazione, la reclusione e la morte, spesso per decapitazione. — Ge 39:20; 40:1-3, 16-22.

Matrimonio. Erano permessi la poligamia e il matrimonio tra fratello e sorella, quest’ultimo praticato in certe località dell’Egitto fino al II secolo E.V. Si sa di faraoni che sposarono le loro sorelle, probabilmente perché non c’erano altre donne ritenute degne di sposare un “dio vivente”. La Legge data a Israele dopo la partenza dall’Egitto vietava i matrimoni incestuosi, dicendo: “Voi non dovete fare come fa il paese d’Egitto . . . e non dovete fare come fa il paese di Canaan”. — Le 18:3, 6-16.

Medicina. Le cognizioni sanitarie degli antichi egizi sono state spesso presentate come abbastanza scientifiche e progredite. Anche se è evidente che avevano delle nozioni di anatomia e avevano elaborato e catalogato semplici metodi chirurgici, si nota pure una grande ignoranza. Ad esempio, è vero che un papiro egiziano dice che il cuore è collegato da vasi con ogni parte del corpo, ma lo stesso testo dà a intendere che i vasi non trasportano sangue, bensì aria, acqua, liquido seminale e muco. Non solo c’era un’ignoranza di fondo delle funzioni dell’organismo, ma i testi di medicina sono pieni di magia e superstizione; gran parte delle informazioni consistono in formule magiche e incantesimi. Fra i rimedi non c’erano soltanto erbe e piante medicinali, ma anche ingredienti come sangue di talpa, urina o escrementi di mosche, che, associati agli incantesimi, si riteneva avrebbero “costretto il demonio che si era impossessato del corpo dell’uomo a scappare per il disgusto”. (J. Hawkes e L. Woolley, History of Mankind, 1963, vol. I, p. 695) Tale ignoranza può aver contribuito a diffondere alcuni dei “calamitosi morbi d’Egitto”, fra i quali c’erano probabilmente elefantiasi, dissenteria, vaiolo, peste bubbonica, oftalmia e altri; ubbidendo fedelmente, Israele poteva essere protetto da questi mali. (De 7:15; cfr. De 28:27, 58-60; Am 4:10). Le misure igieniche imposte agli israeliti dopo l’Esodo sono in netto contrasto con molte delle pratiche descritte nei testi egiziani. — Le 11:32-40; vedi MALATTIE E RIMEDI.

Mestieri. Gli egiziani svolgevano i comuni mestieri: ceramica, tessitura, lavorazione dei metalli, gioielleria, produzione di amuleti religiosi, e molti altri. (Isa 19:1, 9, 10) Già verso la metà del II millennio a.E.V. l’Egitto era un centro della produzione del vetro. — Cfr. Gb 28:17.

Trasporti. All’interno del paese i trasporti avvenivano sul Nilo. I venti dominanti che soffiavano da N aiutavano le imbarcazioni a vela a risalire la corrente, mentre quelle provenienti da S scendevano sospinte dalla corrente. Oltre a questa grande via d’acqua, c’erano canali e alcune strade, come quella ad esempio che portava nel paese di Canaan.

Gli scambi commerciali con altri paesi africani avvenivano tramite carovane e via mare sul Mar Rosso, mentre grandi galee egiziane trasportavano merci e passeggeri in molti porti del Mediterraneo orientale.

Abbigliamento. Gli egiziani vestivano con semplicità. Per gran parte del periodo antico gli uomini indossarono un semplice perizoma raccolto in pieghe sul davanti; in seguito solo le classi più umili lasciavano scoperta la parte superiore del corpo. Le donne portavano una lunga camicia aderente, munita di spalline, spesso di lino fine. C’era l’abitudine di andare scalzi, cosa che forse contribuiva a diffondere certe malattie.

I dipinti egiziani mostrano gli uomini con i capelli corti o rasati, e ben sbarbati. (Ge 41:14) Le donne facevano molto uso di cosmetici.

Abitazioni. Quelle egiziane andavano dalle semplici capanne dei poveri alle grandi ville dei ricchi, con tanto di giardini, orti e stagni. Dato che Potifar era un funzionario del faraone, è probabile che abitasse in una bella villa. (Ge 39:1, 4-6) I mobili andavano da semplici sgabelli a sedie e divani elaborati. Le case di una certa grandezza erano generalmente costruite intorno a cortili aperti. (Cfr. Eso 8:3, 13). Attività come intridere la pasta e cucinare si svolgevano di solito nel cortile. Il vitto della maggioranza degli egiziani consisteva probabilmente in pane d’orzo, verdura, pesce (abbondante e a buon mercato; Nu 11:5) e birra, bevanda comune. Chi poteva permetterselo integrava la dieta con vari tipi di carne. — Eso 16:3.

Esercito. I soldati egiziani usavano le armi comuni dell’epoca: arco e frecce, lancia, mazza, ascia e pugnale. I carri da guerra trainati da cavalli avevano un ruolo determinante nella loro strategia militare. Sembra che nei tempi più remoti l’armatura venisse poco usata, ma in seguito entrò nell’uso insieme all’elmo, spesso piumato. La profezia di Geremia (46:2-4) fa una descrizione accurata dei soldati egiziani del VII secolo a.E.V. Sembra che l’esercito fosse in gran parte costituito da soldati di leva locali; in epoche successive vennero regolarmente impiegate truppe mercenarie straniere. — Ger 46:7-9.

Storia. La storia egiziana di fonte secolare è molto incerta, specie quella più antica. — Vedi CRONOLOGIA (Cronologia egiziana).

La visita di Abraamo. Qualche tempo dopo il Diluvio (2370-2369 a.E.V.) e la successiva divisione dei popoli a Babele, i camiti occuparono l’Egitto. Quando (fra il 1943 e il 1932 a.E.V.) la carestia costrinse Abraamo (Abramo) a partire da Canaan e a scendere in Egitto, esisteva già un regno retto da un faraone (di cui la Bibbia non fa il nome). — Ge 12:4, 14, 15; 16:16.

L’Egitto era evidentemente ben disposto verso gli stranieri e pare che non ci fosse alcuna animosità verso il nomade Abraamo, che abitava in tende. Tuttavia il timore di Abraamo di essere assassinato a motivo della sua bella moglie era certo ben fondato e indicativo dell’infimo livello di moralità dell’Egitto. (Ge 12:11-13) Le piaghe che si abbatterono sul faraone per aver portato Sara in casa sua ottennero l’effetto sperato, in quanto ad Abraamo fu ordinato di andarsene dal paese con la moglie e gli accresciuti possedimenti. (Ge 12:15-20; 13:1, 2) Forse Agar, schiava di Sara, fu acquistata durante la permanenza di Abraamo in Egitto. (Ge 16:1) Agar partorì ad Abraamo Ismaele (1932 a.E.V.) e questi, una volta cresciuto, prese in moglie una donna del paese di sua madre, l’Egitto. (Ge 16:3, 4, 15, 16; 21:21) Quindi in origine gli ismaeliti come popolo erano prevalentemente egiziani, e a volte i loro accampamenti si spingevano fino al confine dell’Egitto. — Ge 25:13-18.

Una seconda carestia fece di nuovo dell’Egitto un luogo di rifugio, ma questa volta (qualche tempo dopo il 1843 a.E.V., anno della morte di Abraamo) Geova ordinò a Isacco di rinunciare all’idea di trasferirvisi. — Ge 26:1, 2.

Giuseppe in Egitto. Poi, quasi due secoli dopo il soggiorno di Abraamo in Egitto, Giuseppe, giovane figlio di Giacobbe, venne venduto a una carovana di madianiti-ismaeliti e rivenduto in Egitto a un funzionario di corte del faraone (1750 a.E.V.). (Ge 37:25-28, 36) Come Giuseppe spiegò poi ai suoi fratelli, questo fu permesso da Dio per conservare in vita l’intera famiglia di Giacobbe durante una terribile carestia. (Ge 45:5-8) La narrazione degli avvenimenti principali della vita di Giuseppe presenta un quadro dell’Egitto innegabilmente accurato. (Vedi GIUSEPPE n. 1). I titoli dei funzionari, le usanze, gli abiti, l’uso della magia e molti altri particolari menzionati possono essere avvalorati da informazioni ricavate da monumenti, dipinti e scritti egiziani. L’investitura di Giuseppe quale viceré d’Egitto (Ge 41:42), ad esempio, è conforme alla procedura descritta in iscrizioni e dipinti murali egiziani. — Ge capp. 45-47.

La riluttanza degli egiziani a mangiare insieme agli ebrei, per esempio al pranzo offerto da Giuseppe ai suoi fratelli, poteva essere dovuta a orgoglio e pregiudizio razziale o religioso, oppure poteva ricollegarsi alla loro avversione per i pastori. (Ge 43:31, 32; 46:31-34) Quest’ultimo atteggiamento poteva a sua volta dipendere semplicemente dal sistema egiziano di caste, in cui i pastori pare occupassero l’ultimo posto; oppure, data la scarsità di terreno coltivabile, c’era una forte avversione per coloro che cercavano pascoli per i greggi.

Il “periodo degli hyksos”. Molti commentatori pongono l’arrivo in Egitto di Giuseppe e di suo padre con la famiglia in quello che è comunemente noto come il periodo degli hyksos. Tuttavia Merrill F. Unger (Archaeology and the Old Testament, 1964, p. 134) osserva: “Purtroppo [questo periodo] è uno dei più oscuri dell’Egitto, e sulla conquista degli hyksos si hanno nozioni molto incomplete”.

Alcuni studiosi assegnano i 200 anni del dominio degli hyksos alla “XIII-XVII dinastia”; altri li restringono a un secolo e mezzo o anche solo a un secolo durante la “XV e XVI dinastia”. Il nome hyksos è stato interpretato da alcuni nel senso di “re pastori”, mentre secondo altri significherebbe “sovrani di paesi stranieri”. Più numerose sono le congetture sulla loro razza o nazionalità: indoeuropei del Caucaso o addirittura dell’Asia centrale, ittiti, sovrani siro-palestinesi (cananei o amorrei), tribù arabe, ecc.

Alcuni archeologi descrivono la “conquista degli hyksos” come un’invasione di orde settentrionali che si riversarono nella Palestina e in Egitto su veloci carri da guerra, mentre altri parlano di una conquista lenta, avvenuta per graduale infiltrazione di popolazioni nomadi o seminomadi che assunsero il controllo del paese un po’ alla volta o che sostituirono il governo esistente con un improvviso colpo di stato. L’archeologo Jacquetta Hawkes (The World of the Past, Parte V, 1963, p. 444) afferma: “Non si sostiene più che i sovrani hyksos . . . rappresentino l’invasione di una travolgente orda di asiatici. Sembra che il significato del nome sia ‘sovrani delle terre alte’, ed erano gruppi di nomadi semiti che da tempo erano giunti in Egitto per motivi commerciali o per altri scopi pacifici”. Anche se questa può rappresentare l’opinione attualmente in voga, lascia insoluto il difficile problema di come abbiano fatto questi “gruppi di nomadi” a impossessarsi dell’Egitto, specialmente se si considera che la “XII dinastia”, che precedette questo periodo, pare avesse portato il paese ai vertici della sua potenza.

L’Encyclopedia Americana (1956, vol. XIV, p. 595) dice: “L’unica descrizione particolareggiata [degli hyksos] da parte di qualche scrittore antico è un brano poco attendibile di un’opera di Manetone andata perduta, citata da Giuseppe Flavio nella sua replica ad Apione”. Il nome “hyksos” fu introdotto da Giuseppe Flavio nel riportare le dichiarazioni attribuite a Manetone. Fatto interessante, Giuseppe Flavio, pretendendo di citare testualmente Manetone, gli attribuisce l’identificazione degli hyksos con gli israeliti. Pur accettando tale identificazione, Giuseppe Flavio dissente nettamente su molti particolari della storia, e sembra preferire per il termine “hyksos” la traduzione “pastori prigionieri” anziché “re pastori”. Secondo lui Manetone afferma che gli hyksos conquistarono l’Egitto senza combattere, distrussero città e “i templi degli dèi”, e provocarono devastazioni e massacri, per poi stabilirsi nella regione del Delta. Infine gli egiziani insorsero, combatterono una guerra lunga e cruenta che impegnò 480.000 uomini, assediarono gli hyksos nella loro città principale, Avaris, e poi, stranamente, giunsero a un accordo che permise agli hyksos di lasciare il paese indisturbati insieme alle loro famiglie e ai loro possedimenti, dopo di che questi andarono in Giudea e costruirono Gerusalemme. — Contro Apione, I, 73-105 (14-16); 223-232 (25, 26).

Negli scritti contemporanei i nomi di questi sovrani erano preceduti da titoli come “Buon Dio”, “Figlio di Reʽ” o Hik-khoswet, “sovrano di paesi stranieri”. Il termine “hyksos” deriva evidentemente da quest’ultimo titolo. Documenti egiziani immediatamente successivi al loro dominio li definiscono asiatici. Riguardo a questo periodo della storia egiziana, C. E. DeVries osserva: “Nel tentativo di collegare la storia secolare con le informazioni bibliche, alcuni studiosi hanno cercato di identificare l’espulsione degli hyksos dall’Egitto con l’esodo degli israeliti, ma la cronologia esclude tale identificazione, e anche altri fattori la rendono un’ipotesi insostenibile. . . . L’origine degli hyksos è incerta; venivano da qualche località dell’Asia e avevano per lo più nomi semitici”. — The International Standard Bible Encyclopedia, a cura di G. W. Bromiley, 1982, vol. 2, p. 787.

Dal momento che il potere conferito a Giuseppe e i benefìci che ne derivarono a Israele erano dovuti alla divina provvidenza, non c’è alcun bisogno di cercare altre spiegazioni tirando in ballo amichevoli “re pastori”. (Ge 45:7-9) Può darsi comunque che la storia di Manetone, su cui si basa in effetti l’ipotesi degli “hyksos”, rappresenti semplicemente una tradizione ingarbugliata, derivata da precedenti tentativi egiziani di spiegare ciò che era avvenuto nel loro paese durante il soggiorno degli israeliti. L’enorme effetto prodotto sulla nazione dall’ascesa di Giuseppe alla posizione di viceré (Ge 41:39-46; 45:26); il profondo cambiamento dovuto alla sua amministrazione, sotto la quale gli egiziani vendettero le loro terre e perfino se stessi al faraone (Ge 47:13-20); la tassa pari al 20 per cento del prodotto che da allora in poi pagarono (Ge 47:21-26); i 215 anni trascorsi in Gosen dagli israeliti, i quali, secondo le parole del faraone, finirono col superare la popolazione locale per numero e forza (Eso 1:7-10, 12, 20); le dieci piaghe e l’effetto devastante che ebbero non solo sull’economia degli egiziani, ma ancor più sulle loro convinzioni religiose e sul prestigio dei loro sacerdoti (Eso 10:7; 11:1-3; 12:12, 13); l’esodo di Israele dopo la morte di tutti i primogeniti d’Egitto e quindi la distruzione del fior fiore delle forze militari egiziane nel Mar Rosso (Eso 12:2-38; 14:1-28): tutte queste cose richiedevano certo una spiegazione da parte degli ambienti ufficiali egiziani.

Non si dovrebbe dimenticare che in Egitto, come in molti paesi del Medio Oriente, la documentazione storica era inseparabilmente legata al sacerdozio, sotto la cui tutela erano istruiti gli scribi. Sarebbe molto strano che non fosse stata inventata qualche spiegazione propagandistica per giustificare il completo fallimento degli dèi d’Egitto, che non erano riusciti a impedire la sciagura che per volere di Geova Dio si era abbattuta sull’Egitto e sulla sua popolazione. Ci sono state nella storia, anche in quella recente, molte occasioni in cui una simile propaganda ha alterato i fatti a tal punto che gli oppressi erano presentati come oppressori e le vittime innocenti come pericolosi e crudeli aggressori. La storia di Manetone (di oltre mille anni posteriore all’Esodo), se citata con una certa correttezza da Giuseppe Flavio, può forse rappresentare le distorte tradizioni tramandate da successive generazioni di egiziani per giustificare gli elementi fondamentali della storia vera, quella della Bibbia, relativa alla permanenza di Israele in Egitto. — Vedi ESODO (Autenticità del racconto dell’Esodo).

Schiavitù di Israele. Dal momento che la Bibbia non rivela il nome del faraone che diede inizio all’oppressione degli israeliti (Eso 1:8-22) né di quello a cui si presentarono Mosè e Aaronne, e durante il cui regno ebbe luogo l’Esodo (Eso 2:23; 5:1), e dal momento che questi avvenimenti sono stati deliberatamente omessi dai documenti egiziani o che tali documenti sono stati distrutti, non è possibile attribuire questi avvenimenti a una particolare dinastia né al regno di un particolare faraone della storia secolare. Ramses II (della “XIX dinastia”) è spesso indicato come il faraone dell’oppressione per via del riferimento alla costruzione delle città di Pitom e Raamses da parte di manodopera israelita. (Eso 1:11) Si sostiene che queste città siano state costruite durante il regno di Ramses II. Merrill F. Unger osserva: “Ma alla luce della nota abitudine di Raamses II di attribuirsi il merito di imprese compiute dai suoi predecessori, sicuramente quelle località furono da lui solo ricostruite o ampliate”. (Archaeology and the Old Testament, cit., p. 149) In effetti sembra che il nome “Rameses” indicasse un’intera regione già all’epoca di Giuseppe. — Ge 47:11.

Abu Simbel: statue colossali in onore di Ramses II

Grazie all’intervento di Dio per mezzo di Mosè, la nazione d’Israele fu liberata dalla “casa degli schiavi” e dalla “fornace di ferro”, come l’Egitto continuò a essere chiamato dagli scrittori biblici. (Eso 13:3; De 4:20; Ger 11:4; Mic 6:4) Quarant’anni dopo, Israele iniziò la conquista di Canaan. Si è tentato di collegare questo avvenimento biblico con la situazione descritta nelle cosiddette tavolette di Tell el-Amarna, scoperte lungo il Nilo nella località che porta questo nome, circa 270 km a S del Cairo. Le 379 tavolette consistono in lettere di vari sovrani siri e cananei (fra cui quelli di Ebron, Gerusalemme e Lachis), e molte contengono proteste inviate al faraone regnante (in genere Ekhnaton) a proposito delle incursioni e scorrerie degli “habiru” (ʽapiru). Anche se alcuni studiosi hanno cercato di identificare gli “habiru” con gli ebrei o israeliti, il contenuto delle lettere stesse non lo consente. Infatti gli “habiru” sono descritti come semplici predoni, a volte alleati di certi sovrani cananei di città e regioni rivali. Fra le città minacciate dagli “habiru” c’era Biblos, nel Libano settentrionale, ben lontana dagli attacchi israeliti. Non presentano inoltre un quadro che si possa paragonare alla conquista di Canaan da parte degli israeliti, con le sue importanti battaglie e vittorie. — Vedi EBREO (Gli “habiru”).

Il soggiorno di Israele in Egitto rimase impresso in modo indelebile nella memoria della nazione, e la loro liberazione miracolosa da quel paese era ricordata di continuo come una prova evidente della divinità di Geova. (Eso 19:4; Le 22:32, 33; De 4:32-36; 2Re 17:36; Eb 11:23-29) Di qui l’espressione: “Io sono Geova tuo Dio fin dal paese d’Egitto”. (Os 13:4; cfr. Le 11:45). Nessun singolo avvenimento o circostanza ebbe una simile risonanza finché la liberazione da Babilonia non diede agli israeliti un’ulteriore prova del potere liberatore di Geova. (Ger 16:14, 15) Ciò che accadde loro in Egitto venne scritto nella Legge (Eso 20:2, 3; De 5:12-15); era la ragione per cui celebravano la Pasqua (Eso 12:1-27; De 16:1-3), e servì loro di norma nei rapporti coi residenti forestieri (Eso 22:21; Le 19:33, 34) e coi poveri che si erano venduti schiavi (Le 25:39-43, 55; De 15:12-15); fornì il motivo legale per la scelta e la santificazione della tribù di Levi per il servizio sacerdotale nel santuario (Nu 3:11-13). Poiché gli israeliti erano stati residenti forestieri in Egitto, gli egiziani potevano essere accolti nella congregazione d’Israele purché soddisfacessero certi requisiti. (De 23:7, 8) I regni di Canaan e i popoli dei paesi vicini provavano un timore reverenziale a motivo delle notizie circa la potenza manifestata da Dio contro l’Egitto, che aveva spianato a Israele la via della conquista (Eso 18:1, 10, 11; De 7:17-20; Gsè 2:10, 11; 9:9) e che fu ricordata per secoli. (1Sa 4:7, 8) In tutto il corso della sua storia, la nazione d’Israele inneggiò a questi avvenimenti nei suoi cantici. — Sl 78:43-51; Sl 105 e 106; 136:10-15.

Dopo la conquista israelita di Canaan. Solo durante il regno del faraone Merneptah, figlio di Ramses II (alla fine della “XIX dinastia”), in Egitto si fa menzione di Israele; anzi questo è l’unico riferimento diretto agli israeliti come popolo finora trovato in antichi documenti egiziani. In una stele posta a ricordo di una vittoria, Merneptah vanta le sconfitte inflitte a varie città di Canaan e poi afferma: “Israele giace desolato, il suo seme non è più”. Anche se questa è chiaramente solo una dichiarazione infondata, sembrerebbe indicare che gli israeliti si erano già stabiliti in Canaan.

Non si ha notizia che Israele abbia avuto alcun contatto con l’Egitto durante il periodo dei Giudici o durante i regni di Saul e Davide, a parte la menzione di un combattimento fra un guerriero di Davide e un egiziano “di statura straordinaria”. (2Sa 23:21) All’epoca del regno di Salomone (1037-998 a.E.V.), i rapporti fra le due nazioni erano tali che Salomone poté stipulare un’alleanza matrimoniale col faraone, prendendone in moglie la figlia. (1Re 3:1) Non è specificato quando questo faraone non identificato avesse conquistato Ghezer, che diede poi a sua figlia in dote o come dono di nozze. (1Re 9:16) Salomone intratteneva con l’Egitto anche rapporti commerciali, come l’acquisto di cavalli e carri da guerra di fabbricazione egiziana. — 2Cr 1:16, 17.

In Egitto trovarono tuttavia asilo certi nemici dei re di Gerusalemme. L’edomita Adad fuggì in Egitto dopo che Davide aveva devastato Edom. Pur essendo semita, Adad ebbe l’onore di ricevere dal faraone una casa, viveri e della terra; sposò una donna di sangue reale, e suo figlio, Ghenubat, fu trattato come un figlio del faraone. (1Re 11:14-22) In seguito anche Geroboamo, che dopo la morte di Salomone divenne re del regno settentrionale d’Israele, trovò per qualche tempo rifugio in Egitto durante il regno di Sisac. — 1Re 11:40.

Sisac (lo Sheshonk I dei documenti egiziani) aveva fondato una dinastia di faraoni libici (la “XXII dinastia”), con capitale a Bubasti nella parte orientale del Delta. Nel quinto anno del regno di Roboamo figlio di Salomone (993 a.E.V.), Sisac invase Giuda con un potente esercito, carri da guerra, cavalieri e fanti, fra cui libi ed etiopi; conquistò molte città e minacciò addirittura Gerusalemme. Grazie alla misericordia di Geova, Gerusalemme fu risparmiata, ma le sue grandi ricchezze finirono nelle mani di Sisac. (1Re 14:25, 26; 2Cr 12:2-9) Un bassorilievo sulla parete di un tempio a Karnak raffigura la campagna di Sisac e menziona numerose città di Israele e di Giuda conquistate.

L’etiope Zera, che a capo di un milione di soldati etiopi e libici mosse contro Asa re di Giuda (967 a.E.V.), probabilmente iniziò l’avanzata dall’Egitto. Il suo esercito, radunato nella valle di Zefata a SO di Gerusalemme, subì una sconfitta totale. — 2Cr 14:9-13; 16:8.

Per altri due secoli Giuda e Israele non furono soggetti ad attacchi egiziani. Sembra che in quel periodo l’Egitto fosse travagliato da difficoltà interne, con più “dinastie” che regnavano contemporaneamente. Nel frattempo l’Assiria si affermò come potenza mondiale dominante. Oshea, l’ultimo re del regno israelita delle dieci tribù (ca. 758-740 a.E.V.), diventò vassallo dell’Assiria, ma poi cercò di spezzare il giogo assiro cospirando con So re d’Egitto. Il tentativo fallì e il regno settentrionale d’Israele si arrese all’Assiria. — 2Re 17:4.

Sembra che in quel periodo l’Egitto venisse a trovarsi in notevole misura sotto la dominazione di elementi provenienti dall’Etiopia (Nubia): la “XXV dinastia” è infatti definita etiope. Rabsache, ufficiale di Sennacherib re d’Assiria, disse a gran voce alla popolazione di Gerusalemme che confidare nell’aiuto dell’Egitto era come appoggiarsi a una “canna rotta”. (2Re 18:19-21, 24) Il re d’Etiopia Tiraca, che entrò allora in Canaan col suo esercito (732 a.E.V.) distogliendo temporaneamente l’attenzione dell’esercito assiro, è in genere identificato col sovrano etiope dell’Egitto, il faraone Taharqa. (2Re 19:8-10) Questo sembra confermato dalla precedente profezia di Isaia (7:18, 19) secondo cui ‘Geova avrebbe fischiato alle mosche che sono alle estremità dei canali del Nilo in Egitto e alle api che sono nel paese d’Assiria’, provocando in tal modo uno scontro fra le due potenze nel paese di Giuda, sottoposto così a una duplice pressione. Lo studioso Franz Delitzsch osservò in merito: “Anche i simboli corrispondono alla natura dei due paesi: la mosca al [melmoso] Egitto coi suoi sciami di insetti . . . e l’ape all’Assiria, più montuosa e boscosa”. — Commentary on the Old Testament, 1973, vol. VII, Isaia, p. 223.

Nella sua dichiarazione contro l’Egitto, Isaia pare stesse predicendo l’instabile situazione che si sarebbe creata in Egitto alla fine dell’VIII e all’inizio del VII secolo a.E.V. (Isa cap. 19) Descrisse la guerra civile che sarebbe degenerata in Egitto in lotte di “città contro città, regno contro regno”. (Isa 19:2, 13, 14) Storici moderni hanno dimostrato che in quell’epoca più dinastie regnavano contemporaneamente in diverse parti del paese. La vantata “sapienza” dell’Egitto con i suoi “dèi senza valore” e i suoi “incantatori” non impedì che cadesse “in mano a un duro padrone”. — Isa 19:3, 4.

Invasione assira. Il re d’Assiria Esar-Addon (contemporaneo di Manasse re di Giuda [716-662 a.E.V.]) invase l’Egitto, conquistò Menfi nel Basso Egitto e portò molti in esilio. Il faraone che regnava in quel tempo probabilmente era ancora Taharqa (Tiraca).

Assurbanipal tornò all’attacco e saccheggiò la città di Tebe (la biblica No-Amon) nell’Alto Egitto, dove si trovavano i principali tesori dei templi egiziani. Ancora una volta la Bibbia rivela che erano implicati etiopi, libi e altri africani. — Na 3:8-10.

Le guarnigioni assire furono poi ritirate dall’Egitto e il paese poté riacquistare parte della sua precedente prosperità e potenza. Quando l’Assiria fu sopraffatta dai medi e dai babilonesi, l’Egitto aveva riacquistato sufficiente forza (con l’aiuto di truppe mercenarie) da muovere in soccorso del re d’Assiria. Il faraone Neco (Necao II) assunse il comando delle forze egiziane ma, lungo la via, fu affrontato a Meghiddo dall’esercito di Giosia re di Giuda e costretto a ingaggiare battaglia contro la propria volontà, con conseguente sconfitta di Giuda e morte di Giosia. (2Re 23:29; 2Cr 35:20-24) Tre mesi dopo (nel 628 a.E.V.) Neco depose Ioacaz, figlio e successore di Giosia, dal trono di Giuda, sostituendolo con suo fratello Eliachim (cui mise nome Ioiachim), e portò Ioacaz prigioniero in Egitto. (2Re 23:31-35; 2Cr 36:1-4; cfr. Ez 19:1-4). Giuda doveva ora pagare un oneroso tributo all’Egitto, consistente in una somma iniziale di valore ingente. Fu in quel periodo che il profeta Urija fuggì invano in Egitto. — Ger 26:21-23.

Sconfitto da Nabucodonosor. Il tentativo di riaffermare la dominazione egiziana in Siria e Palestina fu di breve durata; l’Egitto era destinato a bere l’amaro calice della sconfitta, secondo la profezia di Geova già pronunciata da Geremia (25:17-19). Il declino dell’Egitto iniziò con la decisiva sconfitta inflittagli nel 625 a.E.V. a Carchemis, sull’Eufrate, dai babilonesi al comando del principe ereditario Nabucodonosor, avvenimento descritto in Geremia 46:2-10 e anche in una cronaca babilonese.

Nabucodonosor, ormai re di Babilonia, si impadronì poi della Siria e della Palestina, e Giuda divenne uno stato vassallo di Babilonia. (2Re 24:1) L’Egitto fece un ultimo tentativo per conservare il suo potere in Asia. Un esercito del faraone (la Bibbia non ne menziona il nome) mosse dall’Egitto in risposta alla richiesta di aiuti militari del re Sedechia ribellatosi contro Babilonia nel 609-607 a.E.V. Il risultato fu che i babilonesi tolsero momentaneamente l’assedio, ma poi le truppe egiziane furono costrette a ritirarsi e Gerusalemme fu abbandonata alla distruzione. — Ger 37:5-7; Ez 17:15-18.

Nonostante l’energico avvertimento di Geremia (Ger 42:7-22), il rimanente della popolazione di Giuda fuggì in Egitto in cerca di asilo, evidentemente unendosi agli ebrei che già vi si trovavano. (Ger 24:1, 8-10) Fra i luoghi in cui si stabilirono sono menzionati Tafnes, forse una città fortificata nella regione del Delta (Ger 43:7-9), Migdol e Nof, ritenuta la stessa Menfi, antica capitale del Basso Egitto (Ger 44:1; Ez 30:13). Così la “lingua di Canaan” (evidentemente l’ebraico) era ora parlata in Egitto da quei rifugiati. (Isa 19:18) In Egitto essi ricominciarono stoltamente a praticare l’idolatria che aveva provocato il giudizio di Geova contro Giuda. (Ger 44:2-25) Ma l’adempimento delle profezie di Geova raggiunse i rifugiati israeliti quando Nabucodonosor marciò contro l’Egitto e conquistò il paese. — Ger 43:8-13; 46:13-26.

È stato scoperto un solo documento babilonese, del 37º anno di Nabucodonosor (588 a.E.V.), che menziona una campagna contro l’Egitto. Non si può dire se si riferisca alla conquista iniziale o a una successiva azione militare. Ad ogni modo Nabucodonosor ricevette le ricchezze d’Egitto come salario per il suo intervento militare in esecuzione del giudizio di Geova contro Tiro, città nemica del popolo di Dio. — Ez 29:18-20; 30:10-12.

In Ezechiele 29:1-16 è predetta una desolazione dell’Egitto della durata di 40 anni. Questo periodo può aver fatto seguito alla conquista dell’Egitto da parte di Nabucodonosor. Anche se alcuni commentatori osservano che quello di Amasi (Ahmose) II, successore di Hofra, fu un regno assai prospero per oltre 40 anni, le loro conclusioni si basano principalmente sulla testimonianza di Erodoto, che si recò in Egitto più di cent’anni dopo. Ma, come osserva l’Encyclopædia Britannica (1959, vol. 8, p. 62) a proposito della storia di Erodoto riguardante questo periodo (il “periodo saitico”), “le sue dichiarazioni non si dimostrano interamente degne di fiducia quando possono essere messe a confronto con i rari documenti locali”. F. C. Cook, dopo aver osservato nel suo commentario biblico che Erodoto non menziona neanche l’attacco di Nabucodonosor contro l’Egitto, dice: “È noto che Erodoto, pur riferendo fedelmente tutto quello che aveva udito e visto in Egitto, era debitore per le informazioni relative alla storia del passato ai sacerdoti egiziani, le cui favole egli adottò con cieca credulità. . . . Tutta la storia [scritta da Erodoto] di Apries [Hofra] e Amasi è mescolata con tanti particolari incoerenti e leggendari che potremmo benissimo esitare ad accettarla come storia autentica. Non è affatto strano che i sacerdoti cercassero di nascondere l’onta nazionale di essere stati assoggettati a un giogo straniero”. (Commentary, Nota B., p. 132) Quindi anche se la storia secolare non offre alcuna chiara prova dell’adempimento di questa profezia, possiamo avere fiducia nell’accuratezza della Bibbia.

Sotto la dominazione persiana. L’Egitto si alleò poi con Babilonia contro la nascente potenza medo-persiana. Ma nel 525 a.E.V. il paese fu conquistato da Cambise II, figlio di Ciro il Grande, e assoggettato all’impero persiano. (Isa 43:3) Molti ebrei senza dubbio abbandonarono l’Egitto per far ritorno in patria (Isa 11:11-16; Os 11:11; Zac 10:10, 11), ma altri rimasero in Egitto. Infatti c’era una colonia ebraica a Elefantina (Yeb, in egiziano), isola sul Nilo presso Assuan, circa 690 km a S del Cairo. La scoperta di preziosi papiri rivela le condizioni che vi esistevano nel V secolo a.E.V., più o meno all’epoca dell’attività di Esdra e Neemia a Gerusalemme. Questi documenti in aramaico contengono il nome di Sanballat di Samaria (Ne 4:1, 2) e del sommo sacerdote Ioanan. (Ne 12:22) Molto interessante è un ordine ufficiale emanato durante il regno di Dario II (423-405 a.E.V.) che nella colonia si celebrasse la “festa dei pani non fermentati”. (Eso 12:17; 13:3, 6, 7) Notevole è pure il frequente uso del nome Yahu, forma del nome Geova (o Yahweh; cfr. Isa 19:18), anche se ci sono evidenti tracce dell’infiltrazione di culti pagani.

Sotto la dominazione greca e romana. L’Egitto rimase sotto la dominazione persiana fino alla conquista da parte di Alessandro Magno nel 332 a.E.V., che apparentemente liberò l’Egitto dal giogo persiano, ma pose fine per sempre all’autorità dei faraoni locali. Il potente regno d’Egitto era sceso davvero in “basso”. — Ez 29:14, 15.

Durante il regno di Alessandro Magno fu fondata la città di Alessandria e dopo la sua morte il paese fu governato dai Tolomei. Nel 312 a.E.V. Tolomeo I conquistò Gerusalemme, e il paese di Giuda rimase sotto la dominazione dei Tolomei d’Egitto fino al 198 a.E.V. Quindi nel lungo conflitto col regno dei Seleucidi di Siria, l’Egitto alla fine perse il controllo della Palestina quando Antioco III re di Siria sconfisse l’esercito di Tolomeo V. Da allora in poi l’Egitto venne a trovarsi sempre più sotto l’influenza di Roma. Nel 31 a.E.V., nella decisiva battaglia di Azio, Cleopatra abbandonò la flotta del suo amante romano Marco Antonio, che fu sconfitto da Ottaviano, pronipote di Giulio Cesare. Ottaviano completò la conquista dell’Egitto nel 30 a.E.V., e l’Egitto divenne una provincia romana, la stessa in cui Giuseppe e Maria fuggirono col piccolo Gesù per sottrarsi alla strage decretata da Erode. Dopo la morte di Erode essi tornarono in patria, in adempimento delle parole di Osea: “Fuori d’Egitto chiamai mio figlio”. — Mt 2:13-15; Os 11:1; cfr. Eso 4:22, 23.

Il sedizioso “egiziano” col quale il comandante militare del presidio di Gerusalemme confuse Paolo è forse lo stesso menzionato da Giuseppe Flavio. (Guerra giudaica, II, 254-263 [xiii, 3-5]) È dichiarato che la sua insurrezione avvenne all’epoca di Nerone mentre Felice era procuratore della Giudea, circostanze che concordano con quanto si legge in Atti 21:37-39; 23:23, 24.

Nel 70 E.V. la seconda distruzione di Gerusalemme, questa volta ad opera dei romani, diede luogo a un ulteriore adempimento di Deuteronomio 28:68, in quanto molti ebrei superstiti furono mandati in Egitto come schiavi. — Giuseppe Flavio, Guerra giudaica, VI, 418 (ix, 2).

Altri riferimenti profetici e simbolici. Gran parte dei riferimenti all’Egitto riguardano dichiarazioni di giudizio espresse in un linguaggio simbolico. (Ez 29:1-7; 32:1-32) Per gli israeliti l’Egitto era sinonimo di forza e potenza militare ottenibili mediante alleanze politiche, tanto che il confidare nell’Egitto divenne simbolo del confidare nel potere dell’uomo anziché in Geova. (Isa 31:1-3) Ma in Isaia 30:1-7 Geova mostrò che la potenza dell’Egitto era più apparente che reale, chiamando il paese “Raab: sono per starsene quieti [“Gran rumore per nulla”, VR; “Raab l’ozioso”, CEI]”. (Cfr. Sl 87:4; Isa 51:9, 10). Insieme alle numerose condanne, però, c’erano anche promesse che molti dell’“Egitto” avrebbero conosciuto Geova, al punto che sarebbe stato detto: “Benedetto sia il mio popolo, l’Egitto”. — Isa 19:19-25; 45:14.

L’Egitto è menzionato come parte del reame del simbolico “re del sud”. (Da 11:5, 8, 42, 43) In Rivelazione 11:8 l’infedele Gerusalemme, dove fu messo al palo il Signore Gesù Cristo, è “in senso spirituale” chiamata Egitto. Questo è appropriato se si considera che l’infedele Gerusalemme oppresse e rese religiosamente schiavi gli ebrei. Inoltre le prime vittime pasquali furono scannate in Egitto, mentre l’antitipico Agnello pasquale, Gesù Cristo, fu ucciso a Gerusalemme. — Gv 1:29, 36; 1Co 5:7; 1Pt 1:19.

Scoperti preziosi papiri. Il clima eccezionalmente secco dell’Egitto ha permesso la conservazione di manoscritti papiracei che in un clima più umido sarebbero andati distrutti. A partire dall’ultima parte del XIX secolo sono stati scoperti numerosi papiri, come quelli della collezione Chester Beatty, che rappresentano un anello importante fra gli scritti originali delle Sacre Scritture e i successivi manoscritti in pergamena.