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Gesù Cristo

Gesù Cristo

Nome e titolo del Figlio di Dio dal momento della sua unzione sulla terra.

Il nome Gesù (gr. Iesoùs) corrisponde al nome ebraico Yeshùaʽ o Yehohshùaʽ, che significa “Geova è salvezza”. Questo nome non era raro e molti in quell’epoca si chiamavano così. Perciò spesso era seguito da un appellativo come “Gesù il Nazareno”. (Mr 10:47; At 2:22) Cristo deriva dal greco Christòs, equivalente all’ebraico Mashìach (Messia), e significa “Unto”. Anche se l’espressione “l’unto” era stata giustamente applicata ad altri prima di Gesù, come Mosè, Aaronne e Davide (Eb 11:24-26; Le 4:3; 8:12; 2Sa 22:51), la posizione, l’incarico o il servizio per cui erano stati unti prefiguravano soltanto la posizione, l’incarico e il servizio di gran lunga superiori di Gesù Cristo. Gesù è quindi in modo unico e preminente “il Cristo, il Figlio dell’Iddio vivente”. — Mt 16:16; vedi CRISTO; MESSIA.

Esistenza preumana. La vita di colui che divenne Gesù Cristo non ebbe inizio qui sulla terra. Egli stesso parlò della sua vita celeste preumana. (Gv 3:13; 6:38, 62; 8:23, 42, 58) In Giovanni 1:1, 2 troviamo il nome che aveva in cielo colui che diventò Gesù: “In principio era la Parola [gr. Lògos], e la Parola era con Dio, e la Parola era un dio [“era divina”, AT; Mo; oppure “di essenza divina”, Böhmer; Stage (entrambe versioni tedesche)]. Questi era in principio con Dio”. Poiché Geova è eterno e non ha avuto principio (Sl 90:2; Ri 15:3), l’affermazione che la Parola era con Dio dal “principio” deve riferirsi al principio delle opere creative di Geova. Questo è confermato da altri versetti che riconoscono Gesù quale “primogenito di tutta la creazione”, “il principio della creazione di Dio”. (Col 1:15; Ri 1:1; 3:14) Le Scritture identificano dunque la Parola (Gesù nella sua esistenza preumana) con la prima creazione di Dio, il suo Figlio primogenito.

Dalle parole stesse di Gesù è evidente che Geova era veramente il Padre o Datore di vita di questo Figlio primogenito e che perciò questo Figlio era in realtà una creatura di Dio. Egli spiegò che Dio era la Fonte della sua vita, dicendo: “Io vivo a motivo del Padre”. Secondo il contesto ciò voleva dire che la sua vita derivava o proveniva dal Padre suo, proprio come la vita per gli uomini morituri sarebbe stata il risultato della loro fede nel sacrificio di riscatto di Gesù. — Gv 6:56, 57.

Se l’età dell’universo fisico secondo i calcoli degli scienziati moderni è almeno in parte esatta, l’esistenza di Gesù quale creatura spirituale ebbe inizio miliardi di anni prima della creazione del primo essere umano. (Cfr. Mic 5:2). Questo primogenito Figlio spirituale fu impiegato dal Padre nella creazione di tutte le altre cose. (Gv 1:3; Col 1:16, 17) Ciò includerebbe i milioni di altri figli spirituali della celeste famiglia di Geova Dio (Da 7:9, 10; Ri 5:11), come pure l’universo fisico e le creature che lo popolavano in origine. Logicamente fu a questo Figlio primogenito che Geova disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza”. (Ge 1:26) Tutte le altre cose create non furono semplicemente create “per mezzo di lui”, ma anche “per lui”, il Primogenito di Dio ed “erede di tutte le cose”. — Col 1:16; Eb 1:2.

Non è un altro Creatore. Il fatto che il Figlio abbia preso parte all’opera creativa non fece di lui un Creatore come il Padre. Il potere di creare veniva da Dio tramite il suo spirito santo o forza attiva. (Ge 1:2; Sl 33:6) E poiché Geova è la Fonte di ogni vita, tutta la creazione, visibile e invisibile, deve la vita a Lui. (Sl 36:9) Anziché un altro Creatore, il Figlio era dunque l’agente o lo strumento per mezzo del quale Geova, il Creatore, operava. Gesù stesso attribuì la creazione a Dio, come fanno tutte le Scritture. — Mt 19:4-6; vedi CREAZIONE.

Sapienza personificata. Ciò che viene detto della Parola nelle Scritture corrisponde senz’altro alla descrizione fatta in Proverbi 8:22-31. Qui la sapienza è personificata, rappresentata come se fosse in grado di parlare e agire. (Pr 8:1) Secondo molti scrittori dei primi secoli della nostra era che si professavano cristiani questo brano si riferisce simbolicamente al Figlio di Dio nella sua condizione preumana. Tenuto conto dei versetti già considerati, non si può negare che Geova “produsse” il Figlio “come il principio della sua via, la prima delle sue imprese di molto tempo fa”, e che durante la creazione della terra il Figlio era “accanto a [Geova] come un artefice”, come si legge in questi versetti di Proverbi. È vero che in ebraico la parola resa “sapienza” è sempre femminile. Questo vale anche se la sapienza è personificata e quindi ciò non esclude che possa essere usata figurativamente per rappresentare il Figlio primogenito di Dio. Anche il sostantivo greco per “amore” nella frase “Dio è amore” (1Gv 4:8) è femminile, ma ciò non rende femminile Dio. Salomone, il principale scrittore di Proverbi (Pr 1:1), applicò a sé il titolo di qohèleth (“congregatore”; Ec 1:1) e anche questo termine è di genere femminile.

La sapienza si manifesta solo se viene espressa in qualche modo. La sapienza stessa di Dio fu espressa nella creazione (Pr 3:19, 20) ma per mezzo del Figlio. (Cfr. 1Co 8:6). E anche il sapiente proposito di Dio riguardo all’umanità si riassume nel Figlio, Gesù Cristo, ed è reso manifesto per mezzo suo. Infatti l’apostolo poté dire che Cristo rappresenta la “potenza di Dio e sapienza di Dio” e che Cristo Gesù “è divenuto per noi sapienza di Dio, e giustizia e santificazione e liberazione mediante riscatto”. — 1Co 1:24, 30; cfr. 1Co 2:7, 8; Pr 8:1, 10, 18-21.

In che senso è l’“unigenito Figlio”. Il fatto che Gesù sia chiamato l’“unigenito Figlio” (Gv 1:14; 3:16, 18; 1Gv 4:9) non significa che le altre creature spirituali non siano figli di Dio, infatti sono tutti chiamati figli. (Ge 6:2, 4; Gb 1:6; 2:1; 38:4-7) Tuttavia, essendo la sola creazione diretta del Padre suo, il Figlio primogenito è unico, diverso da tutti gli altri figli di Dio, tutti creati o generati da Geova per mezzo del Figlio primogenito. Perciò “la Parola” è l’“unigenito Figlio” di Geova in un senso particolare, come Isacco era l’“unigenito” di Abraamo in un senso particolare (infatti suo padre aveva già un altro figlio ma non dalla moglie Sara). — Eb 11:17; Ge 16:15.

Perché viene chiamato “la Parola”. Il nome (o forse il titolo) “la Parola” (Gv 1:1) identifica a quanto pare la funzione che quel primogenito Figlio di Dio ha avuto dopo la creazione di altri esseri intelligenti. Un’espressione simile compare in Esodo 4:16, dove Geova dice a Mosè a proposito di suo fratello Aaronne: “Ed egli deve parlare per te al popolo; e deve avvenire che egli ti servirà come bocca, e tu gli servirai come Dio”. Essendo il portavoce del principale rappresentante di Dio sulla terra, Aaronne serviva “come bocca” per Mosè. Lo stesso si può dire per la Parola o Logos, che divenne Gesù Cristo. Geova evidentemente si serviva di suo Figlio per trasmettere informazioni e istruzioni ad altri componenti della sua famiglia di figli spirituali, come si servì di quel Figlio per comunicare il suo messaggio agli esseri umani sulla terra. Indicando di essere la Parola o il Portavoce di Dio, Gesù disse agli ebrei che lo ascoltavano: “Ciò che io insegno non è mio, ma appartiene a colui che mi ha mandato. Se qualcuno desidera fare la Sua volontà, saprà riguardo all’insegnamento se è da Dio o se parlo da me stesso”. — Gv 7:16, 17; cfr. Gv 12:50; 18:37.

Indubbiamente in molte occasioni durante la sua esistenza preumana come la Parola, Gesù fu il Portavoce di Geova per persone sulla terra. Anche se da certi versetti potrebbe sembrare che Geova parlasse direttamente con esseri umani, altri versetti spiegano chiaramente che lo fece per mezzo di un rappresentante angelico. (Cfr. Eso 3:2-4 con At 7:30, 35; anche Ge 16:7-11, 13; 22:1, 11, 12, 15-18). Ragionevolmente, nella maggioranza dei casi Dio parlò per mezzo della Parola. Lo fece probabilmente in Eden, poiché in due delle tre occasioni in cui viene detto che Dio parlava, la Bibbia precisa che c’era qualcuno con Lui, senza dubbio suo Figlio. (Ge 1:26-30; 2:16, 17; 3:8-19, 22) L’angelo che guidò Israele nel deserto e alla cui voce gli israeliti dovevano ubbidire rigorosamente perché ‘il nome di Geova era in lui’, poteva quindi essere il Figlio di Dio, la Parola. — Eso 23:20-23; cfr. Gsè 5:13-15.

Questo non significa che la Parola sia l’unico rappresentante angelico per mezzo del quale Geova abbia parlato. Le ispirate parole di Atti 7:53, Galati 3:19 ed Ebrei 2:2, 3 precisano che il patto della Legge fu trasmesso a Mosè da angelici figli di Dio, e non dal suo Primogenito.

Gesù continua ad avere il nome “La Parola di Dio” anche dopo il suo ritorno alla gloria celeste. — Ri 19:13, 16.

Perché alcune traduzioni della Bibbia lo definiscono “Dio”, mentre altre dicono che Gesù è “un dio”?

Alcune traduzioni rendono Giovanni 1:1 come segue: “Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio”. Il testo greco dice letteralmente: “In principio era la parola, e la parola era verso il dio, e dio era la parola”. Sta al traduttore aggiungere le maiuscole richieste dalla lingua in cui traduce il testo. Chiaramente è giusto scrivere “Dio” con la maiuscola nel tradurre “il dio”, dal momento che questa espressione deve identificare l’Iddio Onnipotente con cui era la Parola. Ma nel secondo caso non c’è ragione di scrivere “dio” con la maiuscola.

La Traduzione del Nuovo Mondo rende questo versetto: “In principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era un dio”. È vero che nell’originale greco non c’è l’articolo indeterminativo (un), ma questo non significa che non si possa usare nella traduzione, perché nella comune lingua greca, o koinè, l’articolo indeterminativo non esisteva. Per cui nelle Scritture Greche Cristiane i traduttori sono costretti a usare o meno l’articolo indeterminativo secondo il loro intendimento del significato del testo. Tutte le traduzioni italiane di queste Scritture contengono l’articolo indeterminativo centinaia di volte; eppure quasi nessuna lo usa in Giovanni 1:1. Comunque il suo uso in questo versetto è pienamente giustificato.

Prima di tutto, va notato che il versetto stesso indica che la Parola era “con Dio”, per cui non poteva essere Dio, vale a dire, essere l’Iddio Onnipotente. (Vedi anche il v. 2, che non sarebbe necessario se il v. 1 dicesse effettivamente che la Parola era Dio). Inoltre la seconda volta che ricorre nello stesso versetto la parola “dio” (gr. theòs) non è preceduta dall’articolo determinativo “il” (gr. ho). A questo proposito, Ernst Haenchen, in un commento al Vangelo di Giovanni (capitoli 1-6), scrive: “[theòs] e [ho theòs] non erano la stessa cosa in questo periodo. . . . Infatti . . . per l’Evangelista, solo il Padre era [ho theòs] (cfr. 17,3); ‘il Figlio’ era sottoposto a lui (cfr. 14,28). Ma in questo brano si fa solo cenno a questo perché qui viene accentuata la vicinanza dell’uno con l’altro . . . . Nel monoteismo ebraico e cristiano era possibilissimo parlare di esseri divini che esistevano accanto e sotto Dio ma non erano uguali a lui. Filip 2, 6-10 lo dimostra. Qui Paolo descrive un essere divino del genere, che poi diventò uomo in Gesù Cristo . . . Sia qui che in Giov 1,1 non si tratta di un rapporto dialettico due in uno, ma di un’unione personale di due entità”. — Das Johannesevangelium, Tubinga, 1980, p. 116.

Dopo aver indicato come possibile traduzione di Giovanni 1:1c “e di natura divina era il Logos”, Haenchen prosegue: “In questo caso [en (era)] esprime semplicemente un predicato. E perciò si deve osservare con maggiore attenzione il predicato nominale: [theòs] non è la stessa cosa di [ho theòs]”. (Op. cit., p. 118) Approfondendo l’argomento, Philip B. Harner spiega che la costruzione grammaticale di Giovanni 1:1 riguarda un predicato nominale, privo di articolo determinativo (il), che precede il verbo, costruzione che ha primariamente significato qualitativo e indica che “il logos ha la natura di theos”. Inoltre afferma: “In Giovanni 1:1 penso che la forza qualitativa del predicato sia così notevole che il nome [theòs] non può essere considerato determinato”. (Journal of Biblical Literature, vol. XCII, 1973, pp. 85, 87) Altri traduttori, riconoscendo che il termine greco ha valore qualitativo e descrive la natura della Parola, rendono la frase: “la Parola era divina”. — AT; Sd; cfr. Mo; vedi NM, appendice, p. 1581.

Le Scritture Ebraiche sono molto chiare nell’indicare che esiste un solo Dio Onnipotente, il Creatore di tutte le cose, l’Altissimo, il cui nome è Geova. (Ge 17:1; Isa 45:18; Sl 83:18) Per questa ragione Mosè poté dire alla nazione d’Israele: “Geova nostro Dio è un solo Geova. E devi amare Geova tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la tua forza vitale”. (De 6:4, 5) Le Scritture Greche Cristiane non contraddicono affatto questo insegnamento che per migliaia d’anni i servitori di Dio avevano accettato e in cui avevano creduto, anzi lo confermano. (Mr 12:29; Ro 3:29, 30; 1Co 8:6; Ef 4:4-6; 1Tm 2:5) Gesù Cristo stesso disse: “Il Padre è maggiore di me”. E si riferì al Padre quale suo Dio, “il solo vero Dio”. (Gv 14:28; 17:3; 20:17; Mr 15:34; Ri 1:1; 3:12) Più volte Gesù si dichiarò inferiore e sottomesso al Padre. (Mt 4:9, 10; 20:23; Lu 22:41, 42; Gv 5:19; 8:42; 13:16) Anche dopo che Gesù fu asceso al cielo gli apostoli continuarono a presentarlo come tale. — 1Co 11:3; 15:20, 24-28; 1Pt 1:3; 1Gv 2:1; 4:9, 10.

Questi fatti sono un valido sostegno per la traduzione “la Parola era un dio” in Giovanni 1:1. La preminenza della Parola fra le creature di Dio in quanto Primogenito, colui mediante il quale Dio creò tutte le cose, e in quanto Portavoce di Dio, è una valida ragione per chiamarlo “un dio” ossia un essere potente. La profezia messianica di Isaia 9:6 aveva predetto che egli sarebbe stato chiamato “Dio potente”, ma non Dio Onnipotente, e che sarebbe stato il “Padre eterno” di tutti coloro che avrebbero avuto il privilegio di vivere come suoi sudditi. Lo zelo del Padre suo, “Geova degli eserciti”, avrebbe reso possibile ciò. (Isa 9:7) Se l’Avversario di Dio, Satana il Diavolo, viene chiamato ‘dio’ (2Co 4:4) a motivo del dominio che esercita su uomini e demoni (1Gv 5:19; Lu 11:14-18), a maggior ragione il Figlio primogenito di Dio è chiamato “un dio”, “l’unigenito dio” secondo i più attendibili manoscritti di Giovanni 1:18.

Accusato dagli oppositori di ‘fare di se stesso un dio’, Gesù rispose: “Non è scritto nella vostra Legge: ‘Ho detto: “Voi siete dèi”’? Se egli chiamò ‘dèi’ quelli contro i quali venne la parola di Dio, e la Scrittura non può essere annullata, dite voi a me che il Padre ha santificato e inviato nel mondo: ‘Tu bestemmi’, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?” (Gv 10:31-37) Egli citava il Salmo 82, nel quale giudici umani, che Dio condannava perché non sostenevano la giustizia, erano chiamati “dèi”. (Sl 82:1, 2, 6, 7) Quindi Gesù mostrò che non era ragionevole accusarlo di bestemmia per aver affermato di essere, non Dio, ma Figlio di Dio.

Questa accusa di bestemmia prendeva a pretesto le parole di Gesù “Io e il Padre siamo uno”. (Gv 10:30) Con questo Gesù non voleva dire di essere il Padre o di essere Dio, com’è evidente dalla sua risposta già in parte considerata. L’unità di cui Gesù parlava va intesa nel contesto della sua dichiarazione. Stava parlando delle sue opere e della sua cura per le “pecore” che l’avrebbero seguito. Le sue opere, come le sue parole, dimostravano che c’era unità, non disunione o discordia, fra lui e il Padre, cosa che continuò a ribadire. (Gv 10:25, 26, 37, 38; cfr. Gv 4:34; 5:30; 6:38-40; 8:16-18). In quanto alle sue “pecore”, lui e il Padre erano similmente uniti nel proteggere queste persone mansuete e nel guidarle verso la vita eterna. (Gv 10:27-29; cfr. Ez 34:23, 24). La preghiera di Gesù per l’unità di tutti i suoi discepoli, inclusi quelli futuri, dimostra che l’accordo o l’unione fra Gesù e il Padre non significava identità di persona ma unità d’intenti e d’azione. In questo modo i discepoli di Cristo potevano essere “tutti uno”, come lui e il Padre sono uno. — Gv 17:20-23.

In armonia con tutto questo, rispondendo a una domanda di Tommaso, Gesù disse: “Se aveste conosciuto me, avreste conosciuto anche il Padre mio; da questo momento in poi lo conoscete e lo avete visto”. E rispondendo a una domanda di Filippo aggiunse: “Chi ha visto me ha visto anche il Padre”. (Gv 14:5-9) Anche una successiva spiegazione di Gesù dimostra che le cose stavano proprio così perché egli rappresentava fedelmente il Padre suo, pronunciava le parole del Padre e faceva le opere del Padre. (Gv 14:10, 11; cfr. Gv 12:28, 44-49). In quella stessa occasione, la sera prima della sua morte, Gesù disse a quegli stessi discepoli: “Il Padre è maggiore di me”. — Gv 14:28.

Il fatto che in Gesù i discepoli ‘vedessero’ il Padre si può comprendere anche alla luce di altri esempi scritturali. Giacobbe per esempio aveva detto a Esaù: “Ho visto la tua faccia come se vedessi la faccia di Dio in quanto mi hai ricevuto con piacere”. Disse questo perché la reazione di Esaù era stata in armonia con la preghiera rivolta a Dio da Giacobbe. (Ge 33:9-11; 32:9-12) E Giobbe, dopo che Dio l’aveva interrogato dal turbine e gli aveva dato un più chiaro intendimento, disse: “Per sentito dire ho udito di te, ma ora il mio proprio occhio veramente ti vede”. (Gb 38:1; 42:5; vedi anche Gdc 13:21, 22). Gli ‘occhi del suo cuore’ erano stati illuminati. (Cfr. Ef 1:18). Anche le parole di Gesù circa il vedere il Padre si devono intendere in senso figurato e non letterale, come è evidente dalle sue stesse parole riportate in Giovanni 6:45 e anche dal fatto che Giovanni, parecchio tempo dopo la morte di Gesù, scrisse: “Nessun uomo ha mai visto Dio; l’unigenito dio che è nella posizione del seno presso il Padre è colui che l’ha spiegato”. — Gv 1:18; 1Gv 4:12.

Cosa intendeva Tommaso quando disse a Gesù: “Mio Signore e mio Dio”?

Quando Gesù apparve a Tommaso e agli altri apostoli, dissipando così i dubbi di Tommaso circa la sua risurrezione, questi, ormai convinto, esclamò rivolgendosi a Gesù: “Mio Signore e mio Dio! [lett. “Il Signore di me e il Dio (ho Theòs) di me!”]”. (Gv 20:24-29) Alcuni studiosi hanno inteso questa espressione come un’esclamazione di stupore detta a Gesù ma in realtà rivolta a Dio, il Padre. Altri invece sostengono che secondo l’originale greco le parole si devono considerare rivolte a Gesù. Anche in questo caso però l’espressione “Mio Signore e mio Dio” dovrebbe essere in armonia con il resto delle Scritture ispirate. Non c’è nessuna ragione di credere che Tommaso pensasse che Gesù era l’Iddio Onnipotente, dal momento che il contesto rivela che precedentemente Gesù aveva mandato a dire ai discepoli: “Ascendo al Padre mio e Padre vostro e all’Iddio mio e Iddio vostro”. (Gv 20:17) Giovanni stesso, dopo aver riferito l’incontro di Tommaso col risuscitato Gesù, dice di quello e di altri episodi simili: “Ma questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché, credendo, abbiate la vita per mezzo del suo nome”. — Gv 20:30, 31.

Tommaso può dunque essersi rivolto a Gesù chiamandolo “mio Dio” nel senso che Gesù è “un dio” ma non l’Iddio Onnipotente, non “il solo vero Dio”, che Tommaso aveva spesso sentito Gesù invocare in preghiera. (Gv 17:1-3) Oppure può essersi rivolto a Gesù chiamandolo “mio Dio” a imitazione di espressioni simili usate dai suoi antenati, riportate nelle Scritture Ebraiche, che Tommaso conosceva bene. In diverse occasioni, quando un messaggero angelico di Geova apparve o parlò a singoli individui, questi, o anche lo scrittore biblico che descriveva l’accaduto, risposero al messaggero angelico o ne parlarono come se si trattasse di Geova Dio. (Cfr. Ge 16:7-11, 13; 18:1-5, 22-33; 32:24-30; Gdc 6:11-15; 13:20-22). Questo perché il messaggero angelico agiva per conto di Geova quale suo rappresentante, parlando in nome suo, forse in prima persona e perfino dicendo: “Io sono il vero Dio”. (Ge 31:11-13; Gdc 2:1-5) Tommaso può aver dunque parlato a Gesù chiamandolo “mio Dio” in questo senso, riconoscendo o accettando Gesù come il vero rappresentante e portavoce di Dio. Ad ogni modo è certo che le parole di Tommaso non contraddicono l’esplicita dichiarazione che lui stesso aveva sentito Gesù fare: “Il Padre è maggiore di me”. — Gv 14:28.

La sua nascita sulla terra. Molto prima della nascita di Gesù sulla terra, angeli erano apparsi in forma umana su questo pianeta, evidentemente materializzandosi con corpi adatti alle circostanze, e smaterializzandosi dopo avere portato a termine i rispettivi incarichi. (Ge 19:1-3; Gdc 6:20-22; 13:15-20) Quindi erano rimasti creature spirituali, assumendo solo temporaneamente un corpo fisico. Ma la venuta del Figlio di Dio sulla terra per diventare l’uomo Gesù fu una cosa diversa. Giovanni 1:14 dice che “la Parola è divenuta carne e ha risieduto fra noi”. Per questo poté definirsi “il Figlio dell’uomo”. (Gv 1:51; 3:14, 15) Alcuni pongono l’accento sull’espressione “ha risieduto [lett. “si è attendata”] fra noi” e sostengono indichi che Gesù non era un vero essere umano, ma un’incarnazione. Tuttavia l’apostolo Pietro usa un’espressione simile parlando di se stesso, e Pietro non era certo un’incarnazione. — 2Pt 1:13, 14.

Le Scritture ispirate dicono: “Ma la nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo. Nel tempo in cui sua madre Maria era promessa in matrimonio a Giuseppe, fu trovata incinta per opera dello spirito santo, prima che si unissero”. (Mt 1:18) Precedentemente il messaggero angelico di Geova aveva informato la vergine Maria che lo spirito santo di Dio sarebbe venuto su di lei e la Sua potenza l’avrebbe coperta con la sua ombra, col risultato che lei avrebbe ‘concepito’ un figlio. (Lu 1:30, 31, 34, 35) Il bambino che sarebbe nato avrebbe conservato la propria identità essendo la stessa persona che aveva risieduto in cielo come la Parola, ma sarebbe anche stato un vero figlio di Maria e quindi discendente effettivo degli antenati di lei Abraamo, Isacco, Giacobbe, Giuda e Davide, e legittimo erede delle promesse fatte loro da Dio. (Ge 22:15-18; 26:24; 28:10-14; 49:10; 2Sa 7:8, 11-16; Lu 3:23-34; vedi GENEALOGIA DI GESÙ CRISTO). Perciò è probabile che il bambino assomigliasse alla madre ebrea in certe caratteristiche fisiche.

Maria era discendente del peccatore Adamo, quindi era imperfetta e soggetta a peccare. Viene dunque da chiedersi come potesse essere perfetto e senza peccato l’organismo fisico di Gesù, il “primogenito” di Maria. (Lu 2:7) Anche se oggi i genetisti hanno imparato molto sulle leggi dell’ereditarietà e sulle caratteristiche dominanti e recessive, non hanno avuto nessuna esperienza che permetta loro di conoscere i risultati che si potrebbero avere unendo perfezione e imperfezione, come avvenne nel concepimento di Gesù. Comunque sia, l’azione dello spirito santo di Dio garantì il successo del Suo proposito. Come l’angelo Gabriele aveva spiegato a Maria, “la potenza dell’Altissimo” l’avrebbe coperta con la sua ombra e perciò il bambino che doveva nascere sarebbe stato santo, Figlio di Dio. Lo spirito santo di Dio costituì per così dire una parete protettiva affinché nessuna imperfezione o influenza nociva potesse danneggiare o contaminare l’embrione in via di sviluppo, dal concepimento in poi. — Lu 1:35.

Dal momento che lo spirito santo di Dio ne aveva reso possibile la nascita, Gesù doveva la sua vita umana al Padre celeste, non a un uomo, quale il padre adottivo Giuseppe. (Mt 2:13-15; Lu 3:23) Come spiega Ebrei 10:5, Geova Dio ‘gli preparò un corpo’, e Gesù, dal concepimento in poi, fu assolutamente “incontaminato, separato dai peccatori”. — Eb 7:26; cfr. Gv 8:46; 1Pt 2:21, 22.

La profezia messianica di Isaia 52:14, dove è detto che “tanto era sfigurato il suo aspetto”, deve perciò applicarsi a Gesù il Messia solo in modo figurativo. (Cfr. il v. 7 dello stesso capitolo). Benché Gesù Cristo fosse fisicamente perfetto, il messaggio di verità e di giustizia che proclamava vigorosamente lo rese ripugnante agli occhi degli ipocriti oppositori, che sostenevano di vedere in lui uno strumento di Beelzebub, un uomo posseduto da un demonio, un blasfemo impostore. (Mt 12:24; 27:39-43; Gv 8:48; 15:17-25) In modo simile il messaggio proclamato in seguito dai discepoli di Gesù li rese un “soave odore” di vita per le persone ben disposte, ma un odore di morte per quelli che rifiutavano il loro messaggio. — 2Co 2:14-16.

Epoca della nascita, durata del ministero. Gesù evidentemente nacque nel mese di etanim (settembre-ottobre) del 2 a.E.V., venne battezzato all’incirca nello stesso periodo dell’anno 29 E.V., e morì verso le 15 del venerdì 14 nisan (marzo-aprile) del 33 E.V. in primavera. Queste date si desumono come segue:

Gesù nacque circa sei mesi dopo la nascita di Giovanni (il Battezzatore), suo parente, mentre Cesare Augusto era imperatore di Roma (31 a.E.V.–14 E.V.), Quirinio governava la Siria (vedi alla voce REGISTRAZIONE le probabili date dell’amministrazione di Quirinio) e il regno di Erode il Grande sulla Giudea volgeva al termine. — Mt 2:1, 13, 20-22; Lu 1:24-31, 36; 2:1, 2, 7.

La sua nascita rispetto alla morte di Erode. Anche se la data della morte di Erode è molto discussa, ci sono prove concrete che avvenne nell’1 a.E.V. (Vedi ERODE n. 1 [Data della morte]; CRONOLOGIA [Eclissi lunari]). Fra la nascita di Gesù e la morte di Erode si verificarono diversi avvenimenti, fra cui la circoncisione di Gesù l’ottavo giorno (Lu 2:21); la sua presentazione al tempio a Gerusalemme 40 giorni dopo la nascita (Lu 2:22, 23; Le 12:1-4, 8); il viaggio degli astrologi “da luoghi orientali” a Betleem (dove Gesù non era più in una mangiatoia ma in una casa — Mt 2:1-11; cfr. Lu 2:7, 15, 16); la fuga in Egitto di Giuseppe e Maria col bambino (Mt 2:13-15), seguita dalla decisione di Erode, resosi conto che gli astrologi non avevano seguito le sue istruzioni, di far uccidere tutti i bambini sotto i due anni (a indicare che Gesù non era più un neonato) a Betleem e dintorni. (Mt 2:16-18) La nascita di Gesù nell’autunno del 2 a.E.V. consentirebbe il tempo necessario al succedersi di questi avvenimenti intercorsi fra la sua nascita e la morte di Erode, avvenuta probabilmente all’inizio dell’1 a.E.V. C’è comunque un’ulteriore ragione per porre la nascita di Gesù nel 2 a.E.V.

In rapporto al ministero di Giovanni. Un’altra conferma delle date finora indicate si trova in Luca 3:1-3, dov’è spiegato che Giovanni il Battezzatore cominciò a predicare e battezzare nel “quindicesimo anno del regno di Tiberio Cesare”. Quel 15º anno andava dalla seconda metà del 28 E.V. all’agosto o settembre del 29 E.V. (Vedi TIBERIO). A un certo punto del ministero di Giovanni, Gesù andò da lui per farsi battezzare. Quando poco dopo cominciò il suo ministero Gesù “aveva circa trent’anni”. (Lu 3:21-23) A 30 anni, età in cui Davide era diventato re, Gesù non era più soggetto ai suoi genitori carnali. — 2Sa 5:4, 5; cfr. Lu 2:51.

Secondo Numeri 4:1-3, 22, 23, 29, 30, sotto il patto della Legge coloro che prestavano servizio nel santuario avevano “dai trent’anni in su”. È quindi ragionevole supporre che Giovanni il Battezzatore, levita e figlio di un sacerdote, iniziasse il suo ministero alla stessa età, non presso il tempio naturalmente, ma con l’incarico speciale affidatogli da Geova. (Lu 1:1-17, 67, 76-79) La specifica menzione (ripetuta due volte) della differenza di età fra Giovanni e Gesù e la correlazione fra le apparizioni e i messaggi dell’angelo di Geova che annunciò la nascita di entrambi (Lu 1) costituiscono una valida ragione per ritenere che la stessa cosa sia avvenuta anche per il loro ministero, cioè che l’inizio del ministero di Giovanni (precursore di Gesù) abbia preceduto di sei mesi l’inizio del ministero di Gesù.

In base a quanto si è detto, Giovanni nacque 30 anni prima dell’inizio del suo ministero nel 15º anno di Tiberio, quindi fra la seconda metà del 3 a.E.V. e l’agosto o il settembre del 2 a.E.V., e sei mesi dopo nacque Gesù.

Un ministero di tre anni e mezzo. Grazie ad altre prove cronologiche si può giungere a una conclusione ancora più precisa. Queste prove riguardano la durata del ministero di Gesù e la data della sua morte. La profezia di Daniele 9:24-27 (trattata più a fondo alla voce SETTANTA SETTIMANE) indica che il Messia sarebbe apparso all’inizio della 70ª “settimana” di anni (Da 9:25) e la sua morte in sacrificio sarebbe avvenuta nel mezzo o “alla metà” dell’ultima settimana, ponendo così fine alla validità dei sacrifici e delle offerte di dono fatti sotto il patto della Legge. (Da 9:26, 27; cfr. Eb 9:9-14; 10:1-10). Quindi il ministero di Gesù Cristo durò tre anni e mezzo (metà di una “settimana” di sette anni).

Per durare tre anni e mezzo e terminare con la sua morte durante la Pasqua, il ministero di Gesù doveva includere in tutto quattro Pasque. La prova che ci furono effettivamente quattro Pasque si trova in Giovanni 2:13; 5:1; 6:4 e 13:1. Giovanni 5:1 menziona semplicemente “una [“la”, secondo alcuni antichi manoscritti] festa dei giudei”. C’è però buona ragione di ritenere che si trattasse della Pasqua e non di un’altra festa annuale.

Precedentemente, in Giovanni 4:35, Gesù aveva menzionato il fatto che c’erano ancora ‘quattro mesi prima della mietitura’. La mietitura, specie quella dell’orzo, iniziava all’epoca della Pasqua (14 nisan). Quindi le parole di Gesù erano state pronunciate quattro mesi prima, cioè verso il mese di chislev (novembre-dicembre). La festa postesilica della dedicazione si celebrava nel mese di chislev, ma non era una delle grandi feste per cui era richiesto di recarsi a Gerusalemme (Eso 23:14-17; Le 23:4-44); secondo la tradizione ebraica veniva celebrata in tutto il paese nelle numerose sinagoghe. (Vedi FESTA DELLA DEDICAZIONE). In seguito, in Giovanni 10:22, è precisato che Gesù assisté a una festa della dedicazione a Gerusalemme; ma sembra che si trovasse già nella zona dalla precedente festa delle capanne, quindi non vi era andato per quel preciso scopo. Invece Giovanni 5:1 fa capire chiaramente che fu proprio per assistere a quella particolare “festa dei giudei” che Gesù dalla Galilea (Gv 4:54) si recò a Gerusalemme.

L’unica altra festa fra il mese di chislev e la Pasqua era quella di Purim, tenuta nel mese di adar (febbraio-marzo), circa un mese prima della Pasqua. Ma anche la festa postesilica di Purim si celebrava nelle case e nelle sinagoghe in tutto il paese. (Vedi PURIM). Sembra dunque più probabile che la “festa dei giudei” menzionata in Giovanni 5:1 fosse la Pasqua, e la presenza di Gesù a Gerusalemme per quell’occasione era in conformità alla Legge data da Dio a Israele. È vero che Giovanni menziona in seguito solo alcuni avvenimenti prima della successiva Pasqua (Gv 6:4), ma un esame del prospetto “Principali avvenimenti della vita terrena di Gesù” indica che Giovanni tratta in modo molto conciso la prima parte del ministero di Gesù, sorvolando su molti avvenimenti già menzionati dagli altri tre evangelisti. In realtà la grande attività svolta da Gesù secondo gli altri evangelisti (Matteo, Marco e Luca) avvalora la conclusione che ci fu un’altra Pasqua annuale fra quelle menzionate in Giovanni 2:13 e 6:4.

Data della sua morte. La morte di Gesù Cristo avvenne in primavera, il giorno di Pasqua, 14 nisan (o abib) secondo il calendario ebraico. (Mt 26:2; Gv 13:1-3; Eso 12:1-6; 13:4) Quell’anno la Pasqua cadeva il sesto giorno della settimana (che per gli ebrei andava dal tramonto del giovedì al tramonto del venerdì). Infatti Giovanni 19:31 precisa che l’indomani era un “gran” sabato. Il giorno dopo la Pasqua era sempre un sabato, in qualunque giorno della settimana capitasse. (Le 23:5-7) Ma quando questo sabato speciale coincideva con il sabato regolare (il settimo giorno della settimana) diventava un “gran giorno”. Quindi la morte di Gesù avvenne il venerdì 14 nisan, verso le 15. — Lu 23:44-46.

Riepilogo delle prove. Per riassumere, dal momento che la morte di Gesù avvenne in primavera, nel mese di nisan, il suo ministero, cominciato secondo Daniele 9:24-27 tre anni e mezzo prima, dovette iniziare in autunno, verso il mese di etanim (settembre-ottobre). Perciò il ministero di Giovanni (iniziato nel 15º anno di Tiberio) dovette iniziare nella primavera del 29 E.V. La nascita di Giovanni era quindi avvenuta nella primavera del 2 a.E.V., e la nascita di Gesù sei mesi dopo, nell’autunno del 2 a.E.V., per cui il suo ministero iniziò 30 anni dopo nell’autunno del 29 E.V. e la sua morte avvenne nel 33 E.V. (il 14 nisan, in primavera, come si è già detto).

Non nacque in inverno. La data del 25 dicembre quale giorno della nascita di Gesù non ha dunque nessuna base scritturale. Come indicano molte opere di consultazione, deriva da una festa pagana. A proposito dell’origine della celebrazione del 25 dicembre, il gesuita Urbano Holzmeister ha scritto:

“Oggi si ammette comunemente che l’occasione per la celebrazione del 25 dicembre era la festa che i pagani celebravano in quella data. Già Petavius [Denys Petau, gesuita francese, 1583-1652] ha giustamente osservato che il 25 dicembre si celebrava ‘il natale del sole invitto’.

“Testimoni di questa festa sono: (a) Il Calendario di Furio Dionisio Filocalo compilato nel 354 [E.V.], in cui è annotato: ‘25 dicembre, n(atale) del (sole) invitto’. (b) Il calendario dell’astrologo Antioco (compilato verso il 200 [E.V.]): ‘Mese di dicembre . . . 25 . . . Genetliaco del sole; aumenta la luce diurna’. (c) Giuliano [l’Apostata, imperatore romano, 361-363 E.V.] raccomandava i giochi, che si celebravano alla fine dell’anno in onore del sole, che veniva chiamato ‘sole invitto’”. — Chronologia vitae Christi, Roma, 1933, p. 46.

Sempre a proposito dell’origine e della data del “natale” il Dizionario Enciclopedico Italiano (Treccani, vol. VIII, p. 242) dice: “Si riconosce ormai universalmente che una festa della natività di Gesù Cristo è ignota ai Padri dei primi tre secoli e che manca una tradizione autorevole circa la data della sua nascita . . . Si è oggi d’accordo nel ritenere che la festa del N. sia d’origine romana, e sembra certo che a Roma si celebrasse il 25 dic. verso la metà del sec. 4º . . . Nella scelta del 25 dic. . . . ebbe certo molta influenza il calendario civile romano che dalla fine del sec. 3º celebrava in quel giorno il solstizio invernale e il natale del ‘sole invitto’”.

Forse la prova più evidente dell’inesattezza della data del 25 dicembre è il fatto precisato dalle Scritture che la notte della nascita di Gesù i pastori badavano ai greggi nei campi. (Lu 2:8, 12) In autunno, già nel mese di bul (ottobre-novembre) iniziava la stagione delle piogge (De 11:14), e di notte i greggi venivano messi al riparo. Il mese successivo, chislev (il nono mese del calendario ebraico, novembre-dicembre) era un mese freddo e piovoso (Ger 36:22; Esd 10:9, 13), e durante il mese di tebet (dicembre-gennaio) si registravano le temperature più basse dell’anno, con occasionali nevicate sulle alture. La presenza di pastori nei campi la notte è dunque in armonia con le prove che indicano il mese di etanim, all’inizio dell’autunno, come epoca della nascita di Gesù. — Vedi BUL; CHISLEV.

Un’altra prova contraria a una data in dicembre è il fatto che sembra assai improbabile che l’imperatore romano scegliesse un mese invernale, piovoso, per far andare i suoi sudditi ebrei (spesso ribelli) a farsi registrare “ciascuno nella propria città”. — Lu 2:1-3; cfr. Mt 24:20; vedi TEBET.

Infanzia. La storia dei primi anni della vita di Gesù è molto sommaria. Nato in Giudea, a Betleem, città natale di Davide, dopo il ritorno dall’Egitto fu portato in Galilea, a Nazaret, tutto in adempimento di profezie ispirate. (Mt 2:4-6, 14, 15, 19-23; Mic 5:2; Os 11:1; Isa 11:1; Ger 23:5) Giuseppe, padre adottivo di Gesù, era falegname (Mt 13:55) e aveva evidentemente pochi mezzi. (Cfr. Lu 2:22-24 con Le 12:8). Quindi Gesù, che era nato in una stalla, trascorse l’infanzia in condizioni assai umili. Nazaret non aveva rilevanza storica, pur essendo vicina a diverse importanti carovaniere. Forse era una località disprezzata da molti giudei. — Cfr. Gv 1:46; vedi ILLUSTRAZIONI, vol. 2, pp. 537, 539; NAZARET.

Dei primi anni della vita di Gesù non si sa nulla tranne che “il bambino cresceva e si fortificava, essendo pieno di sapienza, e il favore di Dio era su di lui”. (Lu 2:40) Col tempo la famiglia aumentò poiché Giuseppe e Maria ebbero quattro figli e alcune figlie. (Mt 13:54-56) Perciò il figlio “primogenito” di Maria (Lu 2:7) non crebbe come figlio unico. Questo senza dubbio spiega come mai i genitori iniziassero il viaggio di ritorno da Gerusalemme senza rendersi subito conto che Gesù, il figlio maggiore, non era nel gruppo. Quello della visita di Gesù (dodicenne) al tempio, dove intavolò con i dotti ebrei una conversazione che li lasciò stupiti, è l’unico episodio della sua infanzia descritto in modo abbastanza particolareggiato. (ILLUSTRAZIONE, vol. 2, p. 538) La risposta data da Gesù ai genitori preoccupati quando lo ritrovarono dimostra che egli conosceva la natura miracolosa della propria nascita e si rendeva conto di avere un futuro messianico. (Lu 2:41-52) È ragionevole supporre che la madre e il padre adottivo avessero riferito a Gesù le informazioni ricevute mediante le visite angeliche e anche dalle profezie di Simeone e Anna, pronunciate all’epoca del loro primo viaggio a Gerusalemme 40 giorni dopo la sua nascita. — Mt 1:20-25; 2:13, 14, 19-21; Lu 1:26-38; 2:8-38.

Nulla indica che durante l’infanzia Gesù abbia avuto o abbia esercitato qualche potere miracoloso, come pretendono le storie fantastiche riportate da certi scritti apocrifi, come ad esempio il cosiddetto Vangelo dell’infanzia di Tommaso. La trasformazione dell’acqua in vino, avvenuta a Cana durante il suo ministero, fu il “principio dei suoi segni”. (Gv 2:1-11) E, finché rimase con la famiglia a Nazaret, Gesù non ostentò la sua sapienza e la sua superiorità di uomo perfetto, come forse è indicato dal fatto che i suoi fratelli non riposero fede in lui durante il suo ministero umano, e anche dall’incredulità che manifestò nei suoi confronti buona parte della popolazione di Nazaret. — Gv 7:1-5; Mr 6:1, 4-6.

Eppure gli abitanti di Nazaret conoscevano bene Gesù (Mt 13:54-56; Lu 4:22); la sua personalità e le sue ottime qualità dovevano senz’altro essere state notate, almeno da chi apprezzava la giustizia e la bontà. (Cfr. Mt 3:13, 14). Egli frequentava regolarmente la sinagoga ogni sabato. Aveva ricevuto una certa istruzione, come dimostra la sua capacità di trovare e leggere brani degli Scritti Sacri, anche se non aveva frequentato le scuole ‘superiori’ rabbiniche. — Lu 4:16; Gv 7:14-16.

La brevità delle notizie su quei primi anni dipende certo dal fatto che Gesù non era ancora stato unto da Geova divenendo “il Cristo” (Mt 16:16) e non aveva cominciato ad assolvere il divino incarico che lo attendeva. L’infanzia e la crescita, come la nascita, erano processi necessari, ma secondari, mediante cui raggiungere un fine. Infatti Gesù disse in seguito al procuratore romano Pilato: “Per questo sono nato e per questo son venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità”. — Gv 18:37.

Il battesimo. Quando, al momento del battesimo, ricevette lo spirito santo, Gesù diventò il Messia, o Cristo, l’Unto di Dio (l’uso di questo titolo da parte degli angeli nell’annunciare la sua nascita fu evidentemente profetico; Lu 2:9-11; vedi anche vv. 25, 26). Per sei mesi Giovanni aveva ‘preparato la via’ per colui che sarebbe stato “il mezzo di salvezza di Dio”. (Lu 3:1-6) Gesù, che ormai “aveva circa trent’anni”, fu battezzato nonostante le iniziali obiezioni di Giovanni, motivate dal fatto che fino a quel momento egli aveva battezzato solo peccatori pentiti. (Mt 3:1, 6, 13-17; Lu 3:21-23) Dato che era senza peccato, con il suo battesimo Gesù attestò invece che si presentava per fare la volontà del Padre suo. (Cfr. Eb 10:5-9). Dopo essere ‘uscito dall’acqua’ e mentre pregava, Gesù “vide separarsi i cieli”; lo spirito di Dio scese su di lui in forma corporea come una colomba, e si udì la voce di Geova dire dal cielo: “Tu sei mio Figlio, il diletto; io ti ho approvato”. — Mt 3:16, 17; Mr 1:9-11; Lu 3:21, 22.

Lo spirito di Dio versato su Gesù senza dubbio illuminò la sua mente su molti punti. Alcune frasi che pronunciò in seguito, specie l’intima preghiera rivolta al Padre la sera di Pasqua del 33 E.V., indicano che Gesù ricordava la sua esistenza preumana, le cose che aveva udito dal Padre e le cose che aveva visto fare dal Padre, come pure la gloria che egli stesso aveva avuto nei cieli. (Gv 6:46; 7:28, 29; 8:26, 28, 38; 14:2; 17:5) Può anche darsi che queste cose gli siano tornate alla mente al momento del battesimo e dell’unzione.

Con l’unzione Gesù ricevette in effetti la nomina e l’incarico di svolgere il ministero di predicare e insegnare (Lu 4:16-21) e di servire quale Profeta di Dio. (At 3:22-26) Ma, soprattutto, ricevette la nomina e l’incarico quale promesso Re di Geova, erede del trono di Davide (Lu 1:32, 33, 69; Eb 1:8, 9) e di un Regno eterno. Per questa ragione in seguito poté dire ai farisei: “Il regno di Dio è in mezzo a voi”. (Lu 17:20, 21) Gesù fu anche unto quale Sommo Sacerdote di Dio, non per discendenza aaronnica, ma a somiglianza del re-sacerdote Melchisedec. — Eb 5:1, 4-10; 7:11-17.

Gesù era stato Figlio di Dio dal momento della sua nascita, proprio come lo era stato il perfetto Adamo. (Lu 3:38; 1:35) Prima della sua nascita l’angelo Gabriele aveva identificato Gesù quale Figlio di Dio. Perciò, quando dopo il battesimo di Gesù si udì la voce del Padre dire: “Tu sei mio Figlio, il diletto; io ti ho approvato” (Mr 1:11), è ragionevole ritenere che questa dichiarazione che accompagnò la sua unzione con lo spirito di Dio fosse più che un semplice riconoscimento della sua identità. È evidente che allora Gesù fu generato da Dio quale Figlio, come se fosse ‘nato di nuovo’ con la prospettiva di ricevere di nuovo la vita come Figlio spirituale di Dio nei cieli. — Cfr. Gv 3:3-6; 6:51; 10:17, 18; vedi BATTESIMO; UNIGENITO.

Il suo ruolo vitale nel proposito di Dio. Geova Dio ritenne bene fare del suo Figlio primogenito il personaggio centrale o la figura chiave nell’attuazione di tutti i Suoi propositi (Gv 1:14-18; Col 1:18-20; 2:8, 9), il punto focale in cui far convergere la luce di tutte le profezie e da cui far irradiare quella luce (1Pt 1:10-12; Ri 19:10; Gv 1:3-9), la soluzione di tutti i problemi suscitati dalla ribellione di Satana (Eb 2:5-9, 14, 15; 1Gv 3:8), e il fondamento su cui si sarebbero basate tutte le Sue future disposizioni per il bene eterno della Sua famiglia universale in cielo e sulla terra. (Ef 1:8-10; 2:20; 1Pt 2:4-8) Per l’importantissimo ruolo che ha nel proposito di Dio, Gesù poté giustamente e senza esagerazione dire: “Io sono la via e la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. — Gv 14:6.

Il “sacro segreto”. Il proposito di Dio rivelato in Gesù Cristo rimase un “sacro segreto [o mistero] che per tempi di lunga durata è stato taciuto”. (Ro 16:25-27) Per oltre 4.000 anni, dalla ribellione in Eden, uomini di fede avevano atteso l’adempimento della promessa di Dio che un “seme” avrebbe schiacciato la testa dell’Avversario simile a un serpente e quindi avrebbe recato sollievo al genere umano. (Ge 3:15) Per quasi 2.000 anni avevano sperato nel patto stipulato da Geova con Abraamo, nel “seme” che avrebbe preso “possesso della porta dei suoi nemici” e per mezzo del quale tutte le nazioni della terra si sarebbero benedette. — Ge 22:15-18.

Poi, “quando arrivò il pieno limite del tempo, Dio mandò il suo Figlio” e per mezzo di lui rivelò il “sacro segreto”, diede la risposta definitiva alla questione sollevata dall’Avversario di Dio (vedi GEOVA [La suprema contesa è una contesa morale]) e, mediante il sacrificio di riscatto di suo Figlio, provvide il mezzo per redimere dal peccato e dalla morte l’umanità ubbidiente. (Gal 4:4; 1Tm 3:16; Gv 14:30; 16:33; Mt 20:28) Così Geova Dio eliminò dalla mente dei suoi servitori qualsiasi dubbio o incertezza circa i suoi propositi. Per questa ragione l’apostolo dice che “per quante siano le promesse di Dio, sono state Sì per mezzo di [Gesù Cristo]”. — 2Co 1:19-22.

Il “sacro segreto” non concerneva semplicemente l’identificazione del Figlio di Dio come tale. Riguardava piuttosto il ruolo che fu assegnato a Gesù Cristo nell’ambito del preordinato proposito di Dio, e la rivelazione ed esecuzione di quel proposito per mezzo suo. Tale proposito, per tanto tempo segreto, riguardava un’“amministrazione al pieno limite dei tempi fissati, cioè radunare di nuovo tutte le cose nel Cristo, le cose nei cieli e le cose sulla terra”. — Ef 1:9, 10.

Uno degli aspetti del “sacro segreto” legato a Cristo Gesù è il fatto che egli è a capo di un nuovo governo celeste, formato da persone (ebrei e non ebrei) prese dalla popolazione della terra, il cui dominio abbraccerà sia il cielo che la terra. Infatti nella visione di Daniele 7:13, 14, uno “simile a un figlio dell’uomo” (titolo spesso applicato poi a Cristo: Mt 12:40; 24:30; Lu 17:26; cfr. Ri 14:14) fa la sua comparsa nelle corti celesti di Geova e gli sono dati “dominio e dignità e regno, affinché tutti i popoli, i gruppi nazionali e le lingue servissero proprio lui”. La stessa visione indica però che anche i “santi del Supremo” avrebbero condiviso con questo “figlio dell’uomo” Regno, dominio e grandezza. (Da 7:27) Mentre era sulla terra, Gesù scelse fra i discepoli i primi futuri componenti del governo del suo Regno e, dopo che essi ebbero ‘perseverato con lui nelle prove’, fece con loro il patto per un Regno, e pregò il Padre suo per la loro santificazione (cioè perché fossero dichiarati “santi”) chiedendo: “Dove sono io, anche loro siano con me, affinché contemplino la mia gloria che tu mi hai dato”. (Lu 22:28, 29; Gv 17:5, 17, 24) Essendo così intimamente unita a Cristo, la congregazione cristiana ha pure una parte nel “sacro segreto”, come viene poi spiegato dall’apostolo ispirato. — Ef 3:1-11; 5:32; Col 1:26, 27; vedi SACRO SEGRETO.

“Il principale Agente della vita”. Per immeritata benignità del Padre, Cristo Gesù depose la sua perfetta vita umana in sacrificio. Questo rese possibile che i suoi eletti seguaci fossero uniti con lui nel suo Regno celeste e inoltre che ci fossero sudditi terreni del suo Regno. (Mt 6:10; Gv 3:16; Ef 1:7; Eb 2:5; vedi RISCATTO). Gesù divenne quindi per tutto il genere umano “il principale Agente [Principe, VR; Co] della vita”. (At 3:15) Il termine greco tradotto qui “principale Agente” significa fondamentalmente “principale condottiero”, e un termine affine è usato a proposito di Mosè (At 7:27, 35) quale “governante” di Israele.

Perciò Gesù Cristo, in qualità di “principale condottiero” o “pioniere della Vita” (Mo), introduce un elemento nuovo e indispensabile per ottenere la vita eterna, nel senso che fa da intermediario, anche in senso amministrativo. È il Sommo Sacerdote di Dio che può purificare pienamente dal peccato e liberare dai suoi mortiferi effetti (Eb 3:1, 2; 4:14; 7:23-25; 8:1-3); è il Giudice nominato nelle cui mani è affidato ogni giudizio, per cui egli somministra giudiziosamente i benefìci del suo riscatto a quelli del genere umano che meritano di vivere sotto il suo governo (Gv 5:22-27; At 10:42, 43); mediante lui avviene anche la risurrezione dei morti. (Gv 5:28, 29; 6:39, 40) Dal momento che Geova Dio ha stabilito di usare in questo modo il Figlio, “non c’è salvezza in nessun altro, poiché non c’è sotto il cielo nessun altro nome dato fra gli uomini mediante cui dobbiamo essere salvati”. — At 4:12; cfr. 1Gv 5:11-13.

Poiché anche questo aspetto dell’autorità di Gesù è racchiuso nel suo “nome”, i discepoli, quali rappresentanti del principale Agente della vita, in quel nome poterono sanare infermità dovute al peccato ereditario e anche risuscitare morti. — At 3:6, 15, 16; 4:7-11; 9:36-41; 20:7-12.

Pieno significato del suo “nome”. Anche se la morte di Gesù su un palo di tortura è di vitale importanza per la salvezza degli uomini, è chiaro che ‘riporre fede nel nome di Gesù’ non significa solo riconoscere questo fatto. (At 10:43) Dopo la risurrezione, Gesù informò i discepoli che ‘gli era stata data ogni autorità in cielo e sulla terra’, indicando così che era capo di un governo universale. (Mt 28:18) L’apostolo Paolo spiegò chiaramente che il Padre ‘non ha lasciato nulla che non sia sottoposto a Gesù’, con l’evidente eccezione “di colui che gli ha sottoposto tutte le cose”, cioè Geova, il Sovrano Iddio. (1Co 15:27; Eb 1:1-14; 2:8) Il “nome” di Gesù Cristo è dunque più eccellente di quello degli angeli di Dio, in quanto racchiude o rappresenta la grande autorità esecutiva che Geova ha conferito a Gesù. (Eb 1:3, 4) Solo coloro che volontariamente riconoscono questo “nome” e si inchinano a esso, assoggettandosi all’autorità che rappresenta, avranno vita eterna. (At 4:12; Ef 1:19-23; Flp 2:9-11) Sinceramente e senza ipocrisia devono adeguarsi alle norme che Gesù ha esemplarmente seguito e, con fede, ubbidire ai suoi comandi. — Mt 7:21-23; Ro 1:5; 1Gv 3:23.

Cos’è il “nome” di Gesù a causa del quale i cristiani sono odiati da tutte le nazioni?

Quest’altro aspetto del “nome” di Gesù è illustrato dall’avvertimento profetico che i suoi seguaci sarebbero stati “odiati da tutte le nazioni a causa del [suo] nome”. (Mt 24:9; vedi anche Mt 10:22; Gv 15:20, 21; At 9:15, 16). Questo non sarebbe certo avvenuto perché il suo era il nome di un Riscattatore o Redentore, ma perché era il nome del Sovrano nominato da Dio, il Re dei re, a cui tutte le nazioni avrebbero dovuto inchinarsi in sottomissione per non essere distrutte. — Ri 19:11-16; cfr. Sl 2:7-12.

È pure certo che quando i demoni ubbidirono al comando di Gesù di uscire da alcuni indemoniati, lo fecero non perché Gesù era l’Agnello di Dio destinato al sacrificio, ma per l’autorità simboleggiata dal suo nome quale unto rappresentante del Regno, in grado di convocare non una, ma più di dodici legioni di angeli, e di espellere qualsiasi demonio potesse ostinatamente resistere all’ordine di andarsene. (Mr 5:1-13; 9:25-29; Mt 12:28, 29; 26:53; cfr. Da 10:5, 6, 12, 13). Sia prima che dopo la sua morte, i fedeli apostoli di Gesù furono autorizzati a usare il suo nome per espellere demoni. (Lu 9:1; 10:17; At 16:16-18) Ma quando i figli del sacerdote ebreo Sceva cercarono di usare in tal modo il nome di Gesù, lo spirito malvagio mise in dubbio che avessero diritto di invocare l’autorità che quel nome rappresentava e li fece aggredire e malmenare dall’indemoniato. — At 19:13-17.

Quando menzionavano il suo “nome” i seguaci di Gesù spesso usavano l’espressione “Signore Gesù” o “nostro Signore Gesù Cristo”. (At 8:16; 15:26; 19:5, 13, 17; 1Co 1:2, 10; Ef 5:20; Col 3:17) Lo riconoscevano quale loro Signore non solo perché, in virtù del suo sacrificio di riscatto, era il loro Ricompratore o Proprietario designato da Dio (1Co 6:20; 7:22, 23; 1Pt 1:18, 19; Gda 4), ma anche per la sua autorità e posizione regale. Nel nome di Gesù, che rappresentava la sua piena autorità di Re e Sacerdote, i suoi seguaci predicarono (At 5:29-32, 40-42), battezzarono discepoli (Mt 28:18-20; At 2:38; cfr. 1Co 1:13-15), disassociarono persone immorali (1Co 5:4, 5), ed esortarono e istruirono le congregazioni cristiane di cui erano pastori (1Co 1:10; 2Ts 3:6). Ne consegue che quelli approvati da Gesù per la vita non avrebbero mai potuto essere devoti a qualche altro “nome” o riporre fede in esso come se avesse rappresentato l’autorità di Dio di governare, ma avrebbero dovuto mostrare incrollabile lealtà al “nome” del Re divinamente costituito, il Signore Gesù Cristo. — Mt 12:18, 21; Ri 2:13; 3:8; vedi ACCOSTARSI A DIO.

“Testimonianza alla verità”. Alla domanda di Pilato: “Dunque, sei tu re?”, Gesù rispose: “Tu stesso dici che io sono re. Per questo sono nato e per questo son venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla parte della verità ascolta la mia voce”. (Gv 18:37; vedi CAUSA [Il processo di Gesù]). Come spiegano le Scritture, la verità a cui egli rendeva testimonianza non era semplicemente la verità in generale. Era l’importantissima verità relativa a quelli che erano e sono i propositi di Dio, verità basata sul fatto fondamentale della sovrana volontà di Dio e della Sua capacità di adempiere tale volontà. Col suo ministero Gesù rivelò che la verità racchiusa nel “sacro segreto” era il Regno di Dio con Gesù Cristo, il “figlio di Davide”, Re-Sacerdote sul trono. Questa era l’essenza del messaggio annunciato dagli angeli prima e al tempo della sua nascita avvenuta in Giudea, a Betleem, la città di Davide. — Lu 1:32, 33; 2:10-14; 3:31.

Il ministero di rendere testimonianza alla verità richiedeva da parte di Gesù più che semplicemente parlare, predicare e insegnare. Oltre a deporre la sua gloria celeste per nascere come essere umano, dovette adempiere tutte le cose profetizzate riguardo a lui, fra cui le ombre o modelli contenuti nel patto della Legge. (Col 2:16, 17; Eb 10:1) Per sostenere la verità delle promesse e della parola profetica del Padre suo, Gesù dovette vivere in modo tale che quella verità diventasse realtà, adempiendola in ciò che diceva e faceva, nel modo in cui visse e morì. Perciò doveva essere la verità, la personificazione della verità, come lui stesso disse di essere. — Gv 14:6.

Per questa ragione l’apostolo Giovanni poté scrivere che Gesù era “pieno di immeritata benignità e verità”, e che, anche se “la Legge fu data per mezzo di Mosè, l’immeritata benignità e la verità son venute per mezzo di Gesù Cristo”. (Gv 1:14, 17) La verità di Dio ‘venne’ o giunse a compimento mediante tutti questi avvenimenti storici: la nascita umana di Gesù, la presentazione di se stesso a Dio con il battesimo in acqua, i tre anni e mezzo di servizio pubblico a favore del Regno di Dio, la morte in totale fedeltà a Dio, la risurrezione per andare in cielo. (Cfr. Gv 1:18; Col 2:17). L’intera vita di Gesù Cristo è stata dunque una “testimonianza alla verità”, alle cose che Dio aveva giurato. Gesù non era dunque un Messia o Cristo ombra. Era la realtà promessa. Non era un re-sacerdote ombra. Era in realtà e di fatto colui che era stato prefigurato. — Ro 15:8-12; cfr. Sl 18:49; 117:1; De 32:43; Isa 11:10.

Questa era la verità che avrebbe ‘reso gli uomini liberi’ se avessero dimostrato di essere “dalla parte della verità” riconoscendo il ruolo di Gesù nel proposito di Dio. (Gv 8:32-36; 18:37) Ignorare il proposito di Dio relativo al Figlio, basare le speranze su qualsiasi altro fondamento, giungere a conclusioni diverse circa la propria vita, significherebbe credere a una menzogna, lasciarsi ingannare, seguire la guida del padre della menzogna, l’Avversario di Dio. (Mt 7:24-27; Gv 8:42-47) Significherebbe ‘morire nei propri peccati’. (Gv 8:23, 24) Per questa ragione Gesù non si trattenne dal rivelare il proprio ruolo nel proposito di Dio.

È vero che ordinò ai discepoli, anche con severità, di non dire in giro che era il Messia (Mt 16:20; Mr 8:29, 30) e che di rado parlava direttamente di sé come del Cristo se non a loro in privato. (Mr 9:33, 38, 41; Lu 9:20, 21; Gv 17:3) Comunque richiamò sempre con franchezza l’attenzione sulle profezie e sulle sue opere comprovanti che era il Cristo. (Mt 22:41-46; Gv 5:31-39, 45-47; 7:25-31) Mentre parlava a una samaritana presso un pozzo, Gesù, “stanco del viaggio”, le disse chi era, forse per suscitare la curiosità dei compaesani della donna e indurli a venire a lui dal villaggio, come infatti fecero. (Gv 4:6, 25-30) La semplice dichiarazione di essere il Messia in se stessa non significava nulla se non era accompagnata da prove. In ultima analisi, ci voleva fede da parte di coloro che vedevano e udivano per giungere alla conclusione a cui tali prove portavano infallibilmente. — Lu 22:66-71; Gv 4:39-42; 10:24-27; 12:34-36.

Messo alla prova e reso perfetto. Geova Dio dimostrò di avere la massima fiducia in suo Figlio affidandogli la missione di venire sulla terra ed essere il Messia promesso. Il proposito di Dio che ci fosse un “seme” (Ge 3:15), il Messia, che servisse quale Agnello di Dio destinato al sacrificio, era stato da Lui preconosciuto “prima della fondazione del mondo” (1Pt 1:19, 20), espressione spiegata alla voce PRESCIENZA, PREORDINAZIONE (Preordinazione del Messia). La Bibbia tuttavia non precisa a che punto Geova designò o informò colui che scelse per questa missione, se al tempo della ribellione in Eden o in seguito. I requisiti, specie quello del sacrificio di riscatto, escludevano qualsiasi essere umano imperfetto, ma non un figlio spirituale perfetto. Fra tutti i milioni di figli spirituali, Geova ne scelse uno per affidargli tale incarico: il Primogenito, la Parola. — Cfr. Eb 1:5, 6.

Il Figlio di Dio accettò volentieri l’incarico. Ciò è evidente da Filippesi 2:5-8: egli “vuotò se stesso” della gloria celeste e della natura spirituale e “prese la forma di uno schiavo” assoggettandosi al trasferimento della sua vita su un piano umano, materiale, terreno. L’incarico affidatogli comportava un’enorme responsabilità; implicava molto. Rimanendo fedele poteva smentire l’asserzione di Satana che i servitori di Dio, se sottoposti a sofferenze, privazioni e prove, l’avrebbero rinnegato, asserzione messa per iscritto nel caso di Giobbe. (Gb 1:6-12; 2:2-6) Fra tutte le creature di Dio, Gesù, quale Figlio primogenito, poteva dare la risposta più determinante a quell’accusa e la migliore prova a favore del Padre nella grande contesa circa la legittimità della sovranità universale di Geova. Così avrebbe dimostrato di essere “l’Amen, il testimone fedele e verace”. (Ri 3:14) Se fosse venuto meno, avrebbe recato biasimo al nome del Padre suo come nessun altro.

Scegliendo il Figlio unigenito, Geova naturalmente non stava ‘ponendo affrettatamente le mani su di lui’, col rischio di ‘partecipare ai suoi possibili peccati’, perché Gesù Cristo non era un novellino facile a ‘gonfiarsi d’orgoglio e cadere nel giudizio emesso contro il Diavolo’. (Cfr. 1Tm 5:22; 3:6). Geova ‘conosceva pienamente’ il Figlio grazie all’intimità avuta con lui per innumerevoli epoche passate (Mt 11:27; cfr. Ge 22:12; Ne 9:7, 8), e poteva perciò incaricarlo di adempiere le infallibili profezie della Sua Parola. (Isa 46:10, 11) Dio quindi non garantiva automaticamente il “sicuro successo” di suo Figlio semplicemente affidandogli il ruolo del predetto Messia (Isa 55:11), come asserisce la teoria della predestinazione.

Anche se il Figlio non aveva mai dovuto affrontare una prova come quella, aveva dimostrato in altri modi la sua fedeltà e la sua devozione. Aveva già avuto grandi responsabilità quale Portavoce di Dio, la Parola. Eppure non aveva mai abusato della propria posizione e autorità, come fece una volta Mosè, portavoce terreno di Dio. (Nu 20:9-13; De 32:48-51; Gda 9) Essendo Colui per mezzo del quale furono fatte tutte le cose, il Figlio era un dio, “l’unigenito dio” (Gv 1:18); perciò aveva una posizione di preminenza e gloria fra tutti gli altri figli spirituali di Dio. Ma non si era insuperbito. (Cfr. Ez 28:14-17). Quindi non si poteva dire che il Figlio non avesse già dimostrato in molti modi la sua lealtà, umiltà e devozione.

Per esempio, pensate alla prova a cui fu sottoposto Adamo, primo figlio umano di Dio. Quella prova non richiedeva che egli subisse persecuzione o soffrisse, ma solo che mostrasse ubbidiente rispetto per la volontà di Dio circa l’albero della conoscenza del bene e del male. (Ge 2:16, 17; vedi ALBERI). La ribellione di Satana e la tentazione non facevano parte della prova a cui l’uomo era stato sottoposto in origine da Dio, ma furono un aspetto aggiunto da una fonte estranea a Dio. La prova non comportava nemmeno qualche tentazione umana, come quella alla quale fu sottoposto Adamo in seguito alla trasgressione di Eva. (Ge 3:6, 12) Quindi la prova di Adamo avrebbe potuto avvenire senza alcuna tentazione o influenza esterna a trasgredire, poiché sarebbe dipesa interamente dal suo cuore, dal suo amore per Dio e dall’assenza di qualsiasi egoismo. (Pr 4:23) Mostrandosi fedele, Adamo avrebbe avuto il privilegio di prendere ‘il frutto dell’albero della vita e mangiarne e vivere a tempo indefinito’ come figlio umano di Dio messo alla prova e approvato (Ge 3:22), tutto senza dover essere sottoposto a qualche abietta influenza e tentazione, persecuzione o sofferenza.

Va pure notato che il figlio spirituale che diventò Satana abbandonando il servizio di Dio non lo fece perché qualcuno l’avesse perseguitato o tentato a fare il male. Certo non era stato Dio, poiché ‘Egli non prova nessuno col male’. Eppure, quel figlio spirituale non rimase leale, si lasciò ‘attirare e adescare dal proprio desiderio’ e peccò diventando un ribelle. (Gc 1:13-15) Non diede prova di amore.

La contesa sollevata dall’Avversario di Dio richiedeva però che il Figlio, il promesso Messia e futuro Re del Regno di Dio, subisse ora una prova d’integrità in circostanze diverse. Questa prova, e le sofferenze che comportava, erano necessarie anche perché fosse “reso perfetto” quale Sommo Sacerdote di Dio a favore del genere umano. (Eb 5:9, 10) Onde soddisfare i requisiti per la piena investitura quale principale Agente della salvezza, il Figlio di Dio “dovette divenire simile ai suoi ‘fratelli’ [coloro che diventarono suoi unti seguaci] sotto ogni aspetto, affinché divenisse un sommo sacerdote misericordioso e fedele”. Dovette sopportare privazioni e sofferenze per poter “venire in aiuto di quelli che sono messi alla prova” e compatire le loro debolezze essendo “stato provato sotto ogni aspetto come noi, ma senza peccato”. Benché perfetto e senza peccato, poteva ugualmente “trattare moderatamente gli ignoranti e i traviati”. Solo per mezzo di tale Sommo Sacerdote esseri umani imperfetti potevano ‘accostarsi con libertà di parola al trono d’immeritata benignità, per ottenere misericordia e trovare immeritata benignità per aiuto al tempo opportuno’. — Eb 2:10-18; 4:15–5:2; cfr. Lu 9:22.

Dotato di libero arbitrio. Gesù stesso disse che tutte le profezie relative al Messia dovevano senz’altro avverarsi, “dovevano adempiersi”. (Lu 24:44-47; Mt 16:21; cfr. Mt 5:17). Eppure questa certezza non sollevava il Figlio di Dio dal peso della responsabilità, né lo privava della libertà di decidere se essere fedele o infedele. Non era una questione unilaterale, che dipendeva unicamente dall’Iddio Onnipotente, Geova. Il Figlio doveva fare la sua parte perché le profezie si avverassero. Dio assicurò l’avverarsi delle profezie con la saggia scelta di colui al quale affidare l’incarico, il “Figlio del suo amore”. (Col 1:13) È chiaro che il Figlio anche come uomo sulla terra conservava ed esercitava il libero arbitrio. Gesù parlava di sua spontanea volontà, dimostrava di sottomettersi di buon grado alla volontà del Padre (Mt 16:21-23; Gv 4:34; 5:30; 6:38), e operava consapevolmente per assolvere l’incarico esposto nella Parola del Padre suo. (Mt 3:15; 5:17, 18; 13:10-17, 34, 35; 26:52-54; Mr 1:14, 15; Lu 4:21) L’adempimento di altri aspetti profetici non dipendeva certo da Gesù, poiché alcuni avvenimenti si verificarono dopo la sua morte. (Mt 12:40; 26:55, 56; Gv 18:31, 32; 19:23, 24, 36, 37) La descrizione della notte che precedette la sua morte rivela con grande evidenza l’intenso impegno personale che ci volle da parte sua per sottomettere la sua volontà alla superiore volontà di Chi era più sapiente di lui, il Padre. (Mt 26:36-44; Lu 22:42-44) Rivela inoltre che, per quanto perfetto, egli riconosceva bene che come uomo aveva bisogno che il Padre suo, Geova Dio, gli infondesse forza nel momento del bisogno. — Gv 12:23, 27, 28; Eb 5:7.

Dopo il suo battesimo e la sua unzione Gesù ebbe dunque molto su cui meditare per fortificarsi durante i 40 giorni di digiuno trascorsi (come Mosè) nel deserto, dove ebbe un incontro diretto con l’Avversario del Padre suo. (Eso 34:28; Lu 4:1, 2) Usando una tattica simile a quella del serpente in Eden, Satana il Diavolo cercò di indurre Gesù a manifestare egoismo, a esaltarsi e a rinnegare la sovranità del Padre. A differenza di Adamo, Gesù (“l’ultimo Adamo”) rimase integro e, citando costantemente l’espressa volontà del Padre, costrinse Satana a ritirarsi “fino ad altro tempo conveniente”. — Lu 4:1-13; 1Co 15:45.

Le sue opere e le sue qualità personali. Poiché “l’immeritata benignità e la verità” dovevano manifestarsi per mezzo di Gesù Cristo, egli doveva stare in mezzo alla gente, farsi ascoltare, far vedere le sue opere e le sue qualità. Così avrebbero potuto riconoscere che era il Messia e riporre fede nel suo sacrificio quando sarebbe morto per loro quale “Agnello di Dio”. (Gv 1:17, 29) Gesù si recò personalmente in molte località della Palestina, percorrendo a piedi centinaia di chilometri. Parlava alla gente in riva ai laghi e sui pendii delle colline, nelle città e nei villaggi, nelle sinagoghe e nel tempio, al mercato, per la strada e nelle case (Mt 5:1, 2; 26:55; Mr 6:53-56; Lu 4:16; 5:1-3; 13:22, 26; 19:5, 6); parlava alle folle e ai singoli individui, uomini e donne, vecchi e giovani, ricchi e poveri. — Mr 3:7, 8; 4:1; Gv 3:1-3; Mt 14:21; 19:21, 22; 11:4, 5.

Il prospetto incluso in questa voce presenta una possibile coordinazione cronologica dei quattro resoconti della vita terrena di Gesù. Dà pure un’idea delle varie “campagne” che egli fece durante i tre anni e mezzo del suo ministero.

Gesù diede ai discepoli un esempio di assiduità nel lavoro, alzandosi presto e continuando la sua attività fino a notte inoltrata. (Lu 21:37, 38; Mr 11:20; 1:32-34; Gv 3:2; 5:17) Più di una volta trascorse la notte in preghiera, come fece la notte prima di pronunciare il Sermone del Monte. (Mt 14:23-25; Lu 6:12–7:10) Un’altra volta, sebbene avesse continuato la sua attività durante la notte, si alzò mentre era ancora buio per andare a pregare in un luogo solitario. (Mr 1:32, 35) La sua intimità fu spesso disturbata dalle folle, ma ciò nonostante, “avendole ricevute benignamente, parlava loro del regno di Dio”. (Lu 9:10, 11; Mr 6:31-34; 7:24-30) Provò stanchezza, sete e fame, e a volte rinunciò a mangiare a motivo del lavoro da svolgere. — Mt 21:18; Gv 4:6, 7, 31-34; cfr. Mt 4:2-4; 8:24, 25.

Veduta equilibrata delle cose materiali. Gesù non era tuttavia un asceta che si imponeva estreme rinunce senza tenere conto delle circostanze. (Lu 7:33, 34) Accettò molti inviti a mangiare e persino a banchetti, recandosi in casa di persone abbienti. (Lu 5:29; 7:36; 14:1; 19:1-6) Contribuì alla riuscita di una festa nuziale trasformando l’acqua in ottimo vino. (Gv 2:1-10) Inoltre apprezzò le cose buone fatte per lui. Quando Giuda si indignò perché Maria sorella di Lazzaro aveva usato prezioso olio (del valore di 300 denari, somma che corrispondeva più o meno al salario di un anno di un comune lavoratore) per ungere i piedi a Gesù, fingendo di preoccuparsi dei poveri che si potevano aiutare vendendo l’olio, Gesù disse: “Lasciatela stare, affinché compia questa osservanza in vista del giorno della mia sepoltura. Poiché i poveri li avete sempre con voi, ma non avrete sempre me con voi”. (Gv 12:2-8; Mr 14:6-9) La veste che indossava quando venne arrestato, “tutta tessuta da cima a fondo”, era evidentemente di buona qualità. (Gv 19:23, 24) Comunque Gesù mise sempre al primo posto le cose spirituali e, in armonia con i consigli che diede, non si preoccupò mai eccessivamente delle cose materiali. — Mt 6:24-34; 8:20; Lu 10:38-42; cfr. Flp 4:10-12.

Coraggioso Liberatore. In tutto il suo ministero Gesù diede prova di grande coraggio, virilità e forza. (Mt 3:11; Lu 4:28-30; 9:51; Gv 2:13-17; 10:31-39; 18:3-11) Come Giosuè, il re Davide e altri, Gesù lottò per la causa di Dio e a favore di coloro che amano la giustizia. Essendo il “seme” promesso dovette affrontare l’inimicizia del ‘seme del serpente’. (Ge 3:15; 22:17) Combatté contro i demoni e contro l’influenza che avevano sulla mente e sul cuore degli uomini. (Mr 5:1-13; Lu 4:32-36; 11:19-26; cfr. 2Co 4:3, 4; Ef 6:10-12). Gli ipocriti capi religiosi dimostrarono in realtà di essere contro la sovranità e la volontà di Dio. (Mt 23:13, 27, 28; Lu 11:53, 54; Gv 19:12-16) Gesù li mise a tacere in una serie di scontri verbali. Maneggiava la “spada dello spirito”, la Parola di Dio, con vigore, perfetta padronanza e strategia, demolendo i sottili argomenti e le domande tendenziose degli oppositori che metteva con le spalle al muro o di fronte a un dilemma. (Mt 21:23-27; 22:15-46) Intrepidamente li smascherò per quello che erano: insegnanti di tradizioni e formalismi umani, guide cieche, progenie di vipere e figli dell’Avversario di Dio, il principe dei demoni e un bugiardo omicida. — Mt 15:12-14; 21:33-41, 45, 46; 23:33-35; Mr 7:1-13; Gv 8:40-45.

Con tutto ciò Gesù non era mai avventato, non cercava guai ed evitava pericoli inutili. (Mt 12:14, 15; Mr 3:6, 7; Gv 7:1, 10; 11:53, 54; cfr. Mt 10:16, 17, 28-31). Alla base del suo coraggio c’era la fede. (Mr 4:37-40) Non perse il controllo di sé ma rimase calmo anche quando lo calunniavano e lo maltrattavano, e “continuò ad affidarsi a colui che giudica giustamente”. — 1Pt 2:23.

Lottando con coraggio per la verità e illuminando gli uomini circa il proposito di Dio, Gesù adempì il ruolo profetico di Liberatore più grande di Mosè. Proclamò la libertà ai prigionieri. (Isa 42:1, 6, 7; Ger 30:8-10; Isa 61:1) Anche se molti si tirarono indietro per motivi egoistici e per timore della classe dirigente (Gv 7:11-13; 9:22; 12:42, 43), altri ebbero il coraggio di liberarsi dalle catene dell’ignoranza e dell’asservimento a falsi insegnanti e a false speranze. (Gv 9:24-39; cfr. Gal 5:1). Come l’azione dei fedeli re di Giuda che combatterono per eliminare la falsa adorazione dal loro regno (2Cr 15:8; 17:1, 4-6; 2Re 18:1, 3-6), anche il ministero di Gesù, il messianico Re di Dio, ebbe un effetto sconvolgente sulla falsa religione dei suoi giorni. — Gv 11:47, 48.

Per altre informazioni sul ministero terreno di Gesù, vedi le CARTINE, vol. 2, pp. 540, 541.

Calore e profonda sensibilità. Gesù era anche un uomo di grande sensibilità, qualità necessaria per servire quale Sommo Sacerdote di Dio. La sua perfezione non lo rendeva ipercritico, altezzoso o arrogante (come i farisei) verso le persone imperfette, oppresse dal peccato, fra le quali viveva e operava. (Mt 9:10-13; 21:31, 32; Lu 7:36-48; 15:1-32; 18:9-14) Perfino i bambini si sentivano a loro agio con lui. Una volta, nel fare un esempio ricorse a un bambino e non si limitò a metterlo davanti agli apostoli ma lo prese fra le braccia. (Mr 9:36; 10:13-16) Per i suoi seguaci fu un vero amico e un compagno affezionato, e “li amò sino alla fine”. (Gv 13:1; 15:11-15) Non si valse della propria autorità mostrandosi esigente e opprimendo la gente, ma anzi disse: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati . . . e io vi ristorerò”. I suoi discepoli constatarono che era “d’indole mite e modesto di cuore”, e che il suo giogo era piacevole e il suo carico leggero. — Mt 11:28-30.

I doveri sacerdotali includevano la cura per l’altrui salute fisica e spirituale. (Le 13–15) Pietà e compassione spinsero Gesù ad aiutare chi era afflitto da malattie, cecità e altre sofferenze. (Mt 9:36; 14:14; 20:34; Lu 7:11-15; cfr. Isa 61:1). La morte del suo amico Lazzaro e il dolore delle sorelle di Lazzaro lo fecero gemere e scoppiare in lacrime. (Gv 11:32-36) Così, anticipatamente, il Messia Gesù ‘portò le infermità e le pene’ altrui, profondendo le proprie energie. (Isa 53:4; Lu 8:43-48) Lo fece non solo per adempiere la profezia, ma anche perché ‘lo voleva’. (Mt 8:2-4, 16, 17) E, cosa ancora più importante, recò salute spirituale e perdonò i peccati; quale Cristo, era autorizzato a farlo perché era stato preordinato che provvedesse il sacrificio di riscatto: era già in corso infatti il suo battesimo nella morte, che sarebbe terminato sul palo di tortura. — Isa 53:4-8, 11, 12; cfr. Mt 9:2-8; 20:28; Mr 10:38, 39; Lu 12:50.

“Consigliere meraviglioso”. Era compito del sacerdote insegnare al popolo la legge e la volontà di Dio. (Mal 2:7) Inoltre, essendo il regale Messia, il predetto ‘ramoscello del ceppo di Iesse [padre di Davide]’, Gesù doveva manifestare ‘lo spirito di Geova in sapienza, consiglio, potenza, conoscenza, insieme a timore di Geova’. Avrebbe dimostrato la “gioia” che deriva da tale timore di Geova. (Isa 11:1-3) L’impareggiabile saggezza degli insegnamenti di Gesù, che era “più di Salomone” (Mt 12:42), è una delle prove più evidenti che era davvero il Figlio di Dio, e che i Vangeli non avrebbero mai potuto essere frutto della mente o dell’immaginazione di uomini imperfetti.

Gesù mostrò di essere il promesso “Consigliere meraviglioso” (Isa 9:6) con la sua conoscenza della Parola e della volontà di Dio, con la sua comprensione della natura umana, con la sua capacità di andare al nocciolo di una questione e di indicare la soluzione dei problemi della vita d’ogni giorno. Il famoso Sermone del Monte ne è un chiaro esempio. (Mt 5–7) In quel discorso diede consigli su come trovare la felicità, definire contese, evitare l’immoralità, trattare coloro che si mostrano ostili, praticare vera giustizia senza ipocrisia, avere la giusta veduta delle cose materiali e fiducia nella generosità di Dio; spiegò la regola aurea per avere buoni rapporti con altri, il modo per individuare l’ipocrisia religiosa e per edificare in vista di un avvenire sicuro. Le folle erano “stupite del suo modo d’insegnare; poiché insegnava loro come una persona che ha autorità, e non come i loro scribi”. (Mt 7:28, 29) Dopo la risurrezione egli continuò a essere la figura chiave del canale di comunicazione di Geova con l’umanità. — Ri 1:1.

Grande Insegnante. Il suo modo di insegnare era davvero efficace. (Gv 7:45, 46) Gesù esponeva con semplicità, concisione e chiarezza argomenti molto importanti e profondi. Illustrava il punto con cose ben note agli ascoltatori (Mt 13:34, 35): pescatori (Mt 13:47, 48), pastori (Gv 10:1-17), agricoltori (Mt 13:3-9), costruttori (Mt 7:24-27; Lu 14:28-30), commercianti (Mt 13:45, 46), schiavi o padroni (Lu 16:1-9), massaie (Mt 13:33; Lu 15:8) e qualunque altro tipo di persone (Mt 6:26-30). Come nelle Scritture Ebraiche, cose semplici quali pane, acqua, sale, otri di vino, abiti vecchi, servirono per simboleggiare cose di grande importanza. (Gv 6:31-35, 51; 4:13, 14; Mt 5:13; Lu 5:36-39) La sua logica, spesso espressa per mezzo di analogie, eliminava obiezioni stolte e metteva le cose nella giusta prospettiva. (Mt 16:1-3; Lu 11:11-22; 14:1-6) Gesù rivolgeva il suo messaggio principalmente al cuore della gente, usando domande penetranti che inducevano le persone a riflettere, a trarre le proprie conclusioni, a fare un esame di coscienza e a prendere una decisione. (Mt 16:5-16; 17:24-27; 26:52-54; Mr 3:1-5; Lu 10:25-37; Gv 18:11) Non cercava di conquistare le masse ma di svegliare il cuore di coloro che avevano sinceramente sete di verità e giustizia. — Mt 5:3, 6; 13:10-15.

Pur tenendo conto del limitato intendimento degli ascoltatori e anche dei discepoli (Mr 4:33), e usando discernimento in quanto alle informazioni da dare loro (Gv 16:4, 12), egli non cercò mai di ‘annacquare’ il messaggio di Dio per acquistare popolarità o cercare d’ingraziarsi la gente. Le sue parole erano schiette, a volte perfino brusche. (Mt 5:37; Lu 11:37-52; Gv 7:19; 8:46, 47) Il tema del suo messaggio era: “Pentitevi, poiché il regno dei cieli si è avvicinato”. (Mt 4:17) Come avevano fatto i profeti di Geova nell’antichità, espose chiaramente al popolo “la loro rivolta, e alla casa di Giacobbe i loro peccati” (Isa 58:1; Mt 21:28-32; Gv 8:24), additando loro ‘la porta stretta e la via angusta’ che li avrebbe riportati nel favore di Dio e alla vita. — Mt 7:13, 14.

“Condottiero e comandante”. Gesù dimostrò di essere un “condottiero e comandante” qualificato e anche un “testimone ai gruppi nazionali”. (Isa 55:3, 4; Mt 23:10; Gv 14:10, 14; cfr. 1Tm 6:13, 14). Quando giunse il momento, diversi mesi dopo l’inizio del suo ministero, andò da certi che già conosceva e rivolse loro l’invito: “Sii mio seguace”. Alcuni uomini abbandonarono il mestiere di pescatore o l’impiego di esattore di tasse seguendolo senza esitare. (Mt 4:18-22; Lu 5:27, 28; cfr. Sl 110:3). Alcune donne dedicarono tempo, lavoro e possedimenti materiali per sopperire ai bisogni di Gesù e dei suoi seguaci. — Mr 15:40, 41; Lu 8:1-3.

Questo piccolo gruppo formò il nucleo di quella che sarebbe diventata una nuova “nazione”, l’Israele spirituale. (1Pt 2:7-10) Gesù trascorse un’intera notte in preghiera per avere la guida del Padre suo prima di scegliere i dodici apostoli, i quali, se fedeli, sarebbero diventati colonne in quella nuova nazione, come i dodici figli di Giacobbe nell’Israele carnale. (Lu 6:12-16; Ef 2:20; Ri 21:14) Come Mosè aveva avuto 70 uomini che insieme a lui rappresentavano la nazione, così Gesù in seguito iniziò al ministero altri 70 discepoli. (Nu 11:16, 17; Lu 10:1) D’allora in poi nell’insegnare e nel dare istruzioni Gesù si rivolse in special modo a questi discepoli, e anche il Sermone del Monte fu pronunciato principalmente per loro, come risulta dal contenuto. — Mt 5:1, 2, 13-16; 13:10, 11; Mr 4:34; 7:17.

Egli si assunse pienamente le responsabilità che gli competevano; prese la direttiva sotto ogni aspetto (Mt 23:10; Mr 10:32), affidò ai discepoli responsabilità e compiti oltre l’opera di predicazione (Lu 9:52; 19:29-35; Gv 4:1-8; 12:4-6; 13:29; Mr 3:9; 14:12-16), incoraggiò e rimproverò (Gv 16:27; Lu 10:17-24; Mt 16:22, 23). Era un comandante: il suo principale comando fu quello di ‘amarsi gli uni gli altri come li aveva amati lui’. (Gv 15:10-14) Era in grado di controllare folle di migliaia di persone. (Mr 6:39-46) Il costante, utile addestramento che impartì ai discepoli, quasi tutti uomini di umile condizione e istruzione, era estremamente efficace. (Mt 10:1–11:1; Mr 6:7-13; Lu 8:1) In seguito uomini dotti e altolocati dovettero meravigliarsi per il modo di parlare sicuro e vigoroso degli apostoli; e quali “pescatori di uomini” essi ebbero straordinari risultati: migliaia di persone accettarono la loro predicazione. (Mt 4:19; At 2:37, 41; 4:4, 13; 6:7) L’intendimento dei princìpi biblici, inculcati nel loro cuore da Gesù, anni dopo permise loro di essere veri pastori del gregge. (1Pt 5:1-4) Così Gesù, in soli tre anni e mezzo, pose un solido fondamento per una congregazione internazionale unita, formata da migliaia di persone di molte razze diverse.

Capace Provveditore e giusto Giudice. Che il suo governo avrebbe portato prosperità maggiore di quello di Salomone fu evidente dalla sua capacità di dirigere con enorme successo le operazioni di pesca dei discepoli. (Lu 5:4-9; cfr. Gv 21:4-11). Quest’uomo nato a Betleem (che significa “casa del pane”) fu in grado di sfamare migliaia di persone e trasformare l’acqua in ottimo vino, facendo pregustare il futuro banchetto che il messianico Regno di Dio imbandirà “per tutti i popoli”. (Isa 25:6; cfr. Lu 14:15). Il suo Regno non solo porrà fine a povertà e fame, ma eliminerà anche la morte. — Isa 25:7, 8.

C’era inoltre ogni ragione per avere fiducia nella giustizia e rettitudine dei giudizi emessi dal suo governo, in armonia con le profezie messianiche. (Isa 11:3-5; 32:1, 2; 42:1) Gesù mostrò il massimo rispetto per la legge, specie la Legge del suo Dio e Padre, ma anche quella delle “autorità superiori”, i governi secolari, a cui era consentito operare sulla terra. (Ro 13:1; Mt 5:17-19; 22:17-21; Gv 18:36) Respinse il tentativo di portarlo sulla scena politica ‘facendolo re’ per acclamazione popolare. (Gv 6:15; cfr. Lu 19:11, 12; At 1:6-9). Non oltrepassò i limiti della sua autorità. (Lu 12:13, 14) Nessuno poté ‘accusarlo di peccato’; questo non solo perché era nato perfetto, ma anche perché aveva costante cura di osservare la Parola di Dio. (Gv 8:46, 55) Giustizia e fedeltà lo cingevano come una cintura. (Isa 11:5) Il suo amore per la giustizia era accompagnato da odio per la malvagità, l’ipocrisia e l’inganno, e da indignazione nei confronti di coloro che erano avidi e insensibili verso la sofferenza altrui. (Mt 7:21-27; 23:1-8, 25-28; Mr 3:1-5; 12:38-40; cfr. vv. 41-44). Gli umili e i mansueti potevano farsi coraggio dato che il suo Regno avrebbe spazzato via ogni ingiustizia e oppressione. — Isa 11:4; Mt 5:5.

Gesù manifestò acuto discernimento per i princìpi, per il vero significato e per lo scopo delle leggi di Dio, e diede risalto alle “cose più importanti”, cioè “la giustizia e la misericordia e la fedeltà”. (Mt 12:1-8; 23:23, 24) Era imparziale, non mostrava favoritismo, pur provando particolare affetto per uno dei discepoli. (Mt 18:1-4; Mr 10:35-44; Gv 13:23; cfr. 1Pt 1:17). Anche se una delle ultime cose che fece mentre stava per morire sul palo di tortura fu quella di preoccuparsi per la sua madre umana, i vincoli familiari carnali non ebbero mai la priorità sui rapporti spirituali. (Mt 12:46-50; Lu 11:27, 28; Gv 19:26, 27) Come era stato predetto, il suo modo di risolvere i problemi non era mai superficiale, basato su ‘ciò che appariva ai suoi occhi, né la sua riprensione era semplicemente secondo la cosa udita dai suoi orecchi’. (Isa 11:3; cfr. Gv 7:24). Egli era in grado di leggere il cuore degli uomini, di discernerne i pensieri, i ragionamenti e i motivi. (Mt 9:4; Mr 2:6-8; Gv 2:23-25) Si ispirava sempre alla Parola di Dio e metteva al primo posto non la sua volontà, ma quella del Padre; perciò le decisioni di questo Giudice nominato da Dio sarebbero sempre state giuste e rette. — Isa 11:4; Gv 5:30.

Profeta eccezionale. Gesù fu un profeta simile a Mosè, ma più grande. (De 18:15, 18, 19; Mt 21:11; Lu 24:19; At 3:19-23; cfr. Gv 7:40). Predisse le sue stesse sofferenze e la morte che avrebbe subito, la dispersione dei discepoli, l’assedio di Gerusalemme e la completa distruzione della città e del tempio. (Mt 20:17-19; 24:1–25:46; 26:31-34; Lu 19:41-44; 21:20-24; Gv 13:18-27, 38) In relazione a questi ultimi avvenimenti, pronunciò profezie che si sarebbero adempiute durante la sua presenza, quando il suo Regno sarebbe già stato in piena attività. E, come i profeti precedenti, compì segni e miracoli per dimostrare che era stato mandato da Dio. Le sue credenziali superavano quelle di Mosè: calmò il Mar di Galilea in burrasca, camminò sulle sue acque (Mt 8:23-27; 14:23-34), sanò ciechi, sordi, zoppi e persone affette da gravi malattie come la lebbra, e persino risuscitò i morti. — Lu 7:18-23; 8:41-56; Gv 11:1-46.

Splendido esempio di amore. Fra tutti questi aspetti della personalità di Gesù la qualità predominante è l’amore: amore per il Padre soprattutto e anche per le altre creature. (Mt 22:37-39) L’amore doveva essere il segno che avrebbe identificato i suoi discepoli. (Gv 13:34, 35; cfr. 1Gv 3:14). Il suo amore non era sentimentalismo. Anche se manifestò forti sentimenti, Gesù era sempre guidato dai princìpi (Eb 1:9); il suo interesse supremo era la volontà del Padre. (Cfr. Mt 16:21-23). Dimostrò di amare Dio osservandone i comandamenti (Gv 14:30, 31; cfr. 1Gv 5:3) e cercando sempre di glorificarlo. (Gv 17:1-4) L’ultima sera trascorsa con i discepoli, più di trenta volte parlò di amore e di amare, ripetendo tre volte il comando di ‘amarsi gli uni gli altri’. (Gv 13:34; 15:12, 17) E disse loro: “Nessuno ha amore più grande di questo, che qualcuno ceda la sua anima a favore dei suoi amici. Voi siete miei amici se fate quello che vi comando”. — Gv 15:13, 14; cfr. Gv 10:11-15.

Egli diede prova del suo amore per Dio e per il genere umano imperfetto lasciandosi portare “proprio come una pecora al macello”, assoggettandosi al processo, a essere schiaffeggiato, preso a pugni, sputacchiato, flagellato e infine inchiodato a un palo fra due criminali. (Isa 53:7; Mt 26:67, 68; 27:26-38; Mr 14:65; 15:15-20; Gv 19:1) Con la sua morte in sacrificio esemplificò ed espresse l’amore di Dio per gli uomini (Ro 5:8-10; Ef 2:4, 5), e permise agli uomini di avere l’assoluta certezza del suo incrollabile amore per i discepoli fedeli. — Ro 8:35-39; 1Gv 3:16-18.

Poiché il ritratto del Figlio di Dio secondo la breve descrizione che ne fa la Bibbia (Gv 21:25) è splendido, ben più splendida doveva essere la realtà. Il suo rincorante esempio di umiltà e benignità, insieme alla forza necessaria per sostenere la giustizia e la rettitudine, assicura che il governo del suo Regno corrisponderà a tutto quello che gli uomini di fede hanno atteso per secoli, anzi supererà di gran lunga ogni aspettativa. (Ro 8:18-22) In ogni cosa egli diede un perfetto esempio ai discepoli, un esempio ben diverso da quello dei sovrani terreni. (Mt 20:25-28; 1Co 11:1; 1Pt 2:21) Gesù, il loro Signore, lavò loro i piedi. Così stabilì il modello di premura, sollecitudine e umiltà che doveva caratterizzare la congregazione dei suoi unti seguaci, non solo sulla terra, ma anche in cielo. (Gv 13:3-15) Benché elevati a troni celesti, partecipi con Gesù Cristo di ‘ogni autorità in cielo e sulla terra’ per i mille anni del suo Regno, essi dovranno servire con amore e avere umile cura dei bisogni dei suoi sudditi sulla terra. — Mt 28:18; Ro 8:17; 1Pt 2:9; Ri 1:5, 6; 20:6; 21:2-4.

Dichiarato giusto e degno. Con la sua condotta di integrità durante tutta la vita sulla terra, Gesù Cristo compì il “solo atto di giustificazione” che lo rese idoneo a prestare servizio in cielo quale unto Re-Sacerdote di Dio. (Ro 5:17, 18) Con la risurrezione dai morti alla vita quale Figlio celeste di Dio venne “dichiarato giusto nello spirito”. (1Tm 3:16) Creature celesti lo dichiararono “degno di ricevere potenza e ricchezza e sapienza e forza e onore e gloria e benedizione”, sia perché come un leone era stato a favore della giustizia e del giudizio, sia perché come un agnello fu sacrificato per la salvezza di altri. (Ri 5:5-13) Gesù raggiunse lo scopo principale che era quello di santificare il nome del Padre suo. (Mt 6:9; 22:36-38) Lo fece non solo usando quel nome, ma facendo anche conoscere la Persona che lo porta, manifestando le mirabili qualità del Padre — amore, sapienza, giustizia e potenza — facendo conoscere o provare ciò che quel nome rappresenta. (Mt 11:27; Gv 1:14, 18; 17:6-12) E soprattutto, fece questo sostenendo la sovranità universale di Geova, dimostrando che il governo del suo Regno sarà basato solidamente su tale suprema Fonte d’autorità. Perciò si poté dire di lui: “Dio è il tuo trono per i secoli dei secoli”. — Eb 1:8.

Il Signore Gesù Cristo è dunque il “principale Agente e Perfezionatore della nostra fede”. Adempiendo le profezie, rivelando i futuri propositi di Dio, e mediante quello che disse, fece e fu, provvide il solido fondamento su cui deve poggiare la vera fede. — Eb 12:2; 11:1.

[Prospetto alle pagine 1071-1074]

PRINCIPALI AVVENIMENTI DELLA VITA TERRENA DI GESÙ

I quattro Vangeli in ordine cronologico

Fino al ministero di Gesù

Tempo

Luogo

Avvenimento

Matteo

Marco

Luca

Giovanni

3 a.E.V.

Gerusalemme, tempio

Nascita di Giovanni il Battezzatore predetta a Zaccaria

1:5-25

ca. 2 a.E.V.

Nazaret; Giudea

Nascita di Gesù predetta a Maria, che visita Elisabetta

1:26-56

2 a.E.V.

Colline della Giudea

Nascita di Giovanni il Battezzatore; poi, sua vita nel deserto

1:57-80

2 a.E.V., ca. 1º ott.

Betleem

Nascita di Gesù (la Parola, tramite cui ogni altra cosa era venuta all’esistenza), discendente di Abraamo e di Davide

1:1-25

2:1-7

1:1-5, 9-14

Vicino a Betleem

L’angelo annuncia la buona notizia; i pastori visitano il neonato

2:8-20

Betleem; Gerusalemme

Gesù circonciso (l’8º giorno), presentato nel tempio (dopo il 40º giorno)

2:21-38

1 a.E.V o 1 E.V.

Gerusalemm; Betleem; Nazaret

Astrologi; fuga in Egitto; bambini uccisi; ritorno di Gesù

2:1-23

2:39, 40

12 E.V.

Gerusalemme

Gesù dodicenne assiste alla Pasqua; torna a casa

2:41-52

29, primavera

Deserto, Giordano

Ministero di Giovanni il Battezzatore

3:1-12

1:1-8

3:1-18

1:6-8, 15-28

Inizio del ministero di Gesù

Tempo

Luogo

Avvenimento

Matteo

Marco

Luca

Giovanni

29, autunno

Giordano

Battesimo e unzione di Gesù, nato come uomo nella discendenza di Davide, ma dichiarato Figlio di Dio

3:13-17

1:9-11

3:21-38

1:32-34

Deserto della Giudea

Digiuno e tentazione di Gesù

4:1-11

1:12, 13

4:1-13

Betania al di là del Giordano il Battezzatore relativa a Gesù

Testimonianza di Giovanni

1:15, 29-34

Alta valle del Giordano

Primi discepoli di Gesù

1:35-51

Cana of Galilea; Capernaum

Primo miracolo di Gesù; va a Capernaum

2:1-12

30, Pasqua

Gerusalemme

Celebrazione della Pasqua; scaccia i mercanti dal tempio

2:13-25

Gerusalemme

Conversazione con Nicodemo

3:1-21

Giudea; Enon

Discepoli di Gesù battezzano; declino di Giovanni

3:22-36

Tiberiade

Giovanni imprigionato; Gesù va in Galilea

4:12; 14:3-5

1:14; 6:17-20

3:19, 20; 4:14

4:1-3

Sichar, in Samaria

In cammino verso la Galilea, Gesù insegna ai samaritani

4:4-43

Grande ministero di Gesù in Galilea

Tempo

Luogo

Avvenimento

Matteo

Marco

Luca

Giovanni

Galilea

Annuncia per la prima volta: “Il regno dei cieli si è avvicinato”

4:17

1:14, 15

4:14, 15

4:44, 45

Cana; Nazaret; Capernaum

Sana un ragazzo; legge il suo incarico; respinto; si trasferisce a Capernaum

4:13-16

4:16-31

4:46-54

Mar di Galilea, presso Capernaum

Chiamati Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni

4:18-22

1:16-20

5:1-11

Capernaum

Sana un indemoniato, la suocera di Pietro e altri

8:14-17

1:21-34

4:31-41

Galilea

Primo giro in Galilea, con i quattro ora chiamati

4:23-25

1:35-39

4:42, 43

Galilea

Lebbroso sanato; folle accorrono da Gesù

8:1-4

1:40-45

5:12-16

Capernaum

Sana un paralitico

9:1-8

2:1-12

5:17-26

Capernaum

Gesù chiama Matteo; pranza con esattori

9:9-17

2:13-22

5:27-39

Giudea

Predica nelle sinagoghe della Giudea

4:44

31, Pasqua

Gerusalemme

Gesù alla festa; sana unuomo; rimprovera i farisei

5:1-47

Ritorno da Gerusalemme(?)

I discepoli colgono spighe di grano di sabato

12:1-8

2:23-28

6:1-5

Galilea; Mar di Galilea

Sana una mano di sabato; si ritira in riva al mare; guarigioni

12:9-21

3:1-12

6:6-11

Monte presso Capernaum

Scelti i dodici apostoli

3:13-19

6:12-16

Presso Capernaum

Sermone del Monte

5:1–7:29

6:17-49

Capernaum

Sana il servo dell’ufficiale dell’esercito

8:5-13

7:1-10

Nain

Risuscita il figlio della vedova

7:11-17

Galilea

Giovanni in prigione manda discepoli da Gesù

11:2-19

7:18-35

Galilea

Città rimproverate; rivelazione ai bambini; giogo piacevole

11:20-30

Galilea

Una peccatrice gli unge i piedi; illustrazione dei debitori

7:36-50

Galilea

Secondo giro di predicazione in Galilea, con i dodici

8:1-3

Galilea

Indemoniato sanato; Gesù accusato di far lega con Beelzebub

12:22-37

3:19-30

Galilea

Scribi e farisei cercano un segno

12:38-45

Galilea

I discepoli di Gesù sono suoi stretti parenti

12:46-50

3:31-35

8:19-21

Mar di Galilea

Illustrazioni del seminatore, delle zizzanie, ecc.; spiegazioni

13:1-53

4:1-34

8:4-18

Mar di Galilea

Mentre attraversa il lago calma il turbine

8:18, 23-27

4:35-41

8:22-25

Gadara, a SE del Mar di Galilea

Due indemoniati sanati; porci posseduti da demoni

8:28-34

5:1-20

8:26-39

Probabilmente Capernaum

Sana una donna; risuscita la figlia di Iairo

9:18-26

5:21-43

8:40-56

Capernaum(?)

Sana due ciechi e un indemoniato muto

9:27-34

Nazaret

Torna nella città dov’è cresciuto ed è nuovamente respinto

13:54-58

6:1-6

Galilea

Terzo giro in Galilea, esteso con l’invio degli apostoli

9:35–11:1

6:6-13

9:1-6

Tiberiade

Giovanni il Battezzatore decapitato; rimorsi di Erode

14:1-12

6:14-29

9:7-9

32, poco prima della Pasqua (Gv 6:4)

Capernaum(?); riva NE del Mar di Galilea

Gli apostoli tornano dal giro di predicazione; cibati 5.000

14:13-21

6:30-44

9:10-17

6:1-13

Riva NE del Mar di Galilea; Gennezaret

Tentativo di incoronare Gesù; cammina sul mare; sana malati

14:22-36

6:45-56

6:14-21

Capernaum

Identifica il “pane della vita”; molti discepoli si allontanano

6:22-71

32, dopo la Pasqua

Probabilmente Capernaum

Tradizioni che annullano la Parola di Dio

15:1-20

7:1-23

7:1

Fenicia; Decapoli

Presso Tiro, Sidone; quindi nella Decapoli; cibati 4.000

15:21-38

7:24–8:9

Magadan

Sadducei e farisei cercano di nuovo un segno

15:39–16:4

8:10-12

Riva NE del Mar di Galilea; Betsaida

Avverte di guardarsi dal lievito dei farisei; sana un cieco

16:5-12

8:13-26

Cesarea di Filippo

Gesù il Messia; predice la propria morte e risurrezione

16:13-28

8:27–9:1

9:18-27

Probabilmente monte Ermon

Trasfigurazione in presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni

17:1-13

9:2-13

9:28-36

Cesarea di Filippo

Sana un indemoniato che i discepoli non avevano potuto sanare

17:14-20

9:14-29

9:37-43

Galilea

Predice di nuovo la propria morte e risurrezione

17:22, 23

9:30-32

9:43-45

Capernaum

Denaro per la tassa provveduto miracolosamente

17:24-27

Capernaum

Il più grande nel Regno; come risolvere le questioni; misericordia

18:1-35

9:33-50

9:46-50

Galilea; Samaria

Dalla Galilea si reca alla festa delle capanne; messa da parte ogni cosa per il ministero

8:19-22

9:51-62

7:2-10

Successivo ministero di Gesù in Giudea

Tempo

Luogo

Avvenimento

Matteo

Marco

Luca

Giovanni

32, festa delle capanne

Gerusalemme

Insegnamento pubblico di Gesù alla festa delle capanne

7:11-52

Gerusalemme

Insegna dopo la festa; sana un cieco

8:12–9:41

Probabilmente Giudea

I 70 mandati a predicare; loro ritorno, rapporto

10:1-24

Giudea; Betania

Illustrazione del buon samaritano; in casa di Marta e Maria

10:25-42

Probabilmente Giudea

Di nuovo insegna la preghiera modello; perseveranza nel chiedere

11:1-13

Probabilmente Giudea

Confuta una falsa accusa; generazione condannata

11:14-36

Probabilmente Giudea

A tavola da un fariseo, Gesù denuncia gli ipocriti

11:37-54

Probabilmente Giudea

Discorso sulla cura che Dio mostra; economo fedele

12:1-59

Probabilmente Giudea

Di sabato sana una donna storpia; tre illustrazioni

13:1-21

32, festa della dedicazione

Gerusalemme

Gesù alla festa della dedicazione; Pastore eccellente

10:1-39

Successivo ministero di Gesù a est del Giordano

Tempo

Luogo

Avvenimento

Matteo

Marco

Luca

Giovanni

Al di là del Giordano

Molti ripongono fede in Gesù

10:40-42

Perea (al di là del Giordano)

Insegna in città e villaggi mentre è in cammino verso Gerusalemme

13:22

Perea

Ingresso nel Regno; minaccia di Erode; casa desolata

13:23-35

Probabilmente Perea

Umiltà; illustrazione del grande pasto serale

14:1-24

Probabilmente Perea

Calcolare la spesa di essere discepolo

14:25-35

Probabilmente Perea

Illustrazioni: pecora smarrita, moneta smarrita, figlio prodigo

15:1-32

Probabilmente Perea

Illustrazioni: economo ingiusto, ricco e Lazzaro

16:1-31

Probabilmente Perea

Perdono e fede; schiavi buoni a nulla

17:1-10

Betania

Lazzaro risuscitato da Gesù

11:1-46

Gerusalemme; Efraim

Consiglio di Caiafa contro Gesù; Gesù si apparta

11:47-54

Samaria; Galilea

Sana e insegna mentre è in cammino attraverso la Samaria e la Galilea

17:11-37

Samaria o Galilea

Illustrazioni: vedova insistente, fariseo ed esattore di tasse

18:1-14

Perea

Rapido giro in Perea; insegna sul divorzio

19:1-12

10:1-12

Perea

Accoglie e benedice i bambini

19:13-15

10:13-16

18:15-17

Perea

Giovane ricco; illustrazione dei lavoratori nella vigna

19:16–20:16

10:17-31

18:18-30

Probabilmente Perea

Per la terza volta Gesù predice la propria morte e risurrezione

20:17-19

10:32-34

18:31-34

Probabilmente Perea

Giacomo e Giovanni chiedono di sedere nel Regno

20:20-28

10:35-45

Gerico

Passando da Gerico, sana due Passando da Gerico, sana due ciechi; visita Zaccheo; parabola delle dieci mine

20:29-34

10:46-52

18:35–19:28

Ministero finale di Gesù a Gerusalemme

Tempo

Luogo

Avvenimento

Matteo

Marco

Luca

Giovanni

8 nisan 33

Betania

Arriva a Betania sei giorni prima della Pasqua

11:55–12:1

9 nisan

Betania

Banchetto in casa di Simone il lebbroso; Maria unge Gesù; giudei vanno a vedere Gesù e Lazzaro

26:6-13

14:3-9

12:2-11

Betania-Gerusalemme

Ingresso trionfale di Cristo a Gerusalemme

21:1-11, 14-17

11:1-11

19:29-44

12:12-19

10 nisan

Betania-Gerusalemme

Fico infruttuoso maledetto; seconda purificazione del tempio

21:18, 19, 12, 13

11:12-17

19:45, 46

Gerusalemme

Capi sacerdoti e scribi tramano di eliminare Gesù

11:18, 19

19:47, 48

Gerusalemme

Conversazione con greci; scetticismo dei giudei

12:20-50

11 nisan

Betania-Gerusalemme

Fico infruttuoso seccato

21:19-22

11:20-25

Gerusalemme, tempio

Messa in dubbio l’autorità di Cristo; illustrazione dei due figli

21:23-32

11:27-33

20:1-8

Gerusalemme, tempio

Illustrazioni dei coltivatori malvagi, della festa nuziale

21:33–22:14

12:1-12

20:9-19

Gerusalemme, tempio

Domande tranello su tasse, risurrezione, comandamento

22:15-40

12:13-34

20:20-40

Gerusalemme, tempio

Domanda di Gesù sulla discendenza del Messia mette a tacere gli oppositori

22:41-46

12:35-37

20:41-44

Gerusalemme, tempio

Severa denuncia contro scribi e farisei

23:1-39

12:38-40

20:45-47

Gerusalemme, tempio

Piccola offerta della vedova

12:41-44

21:1-4

Monte degli Ulivi

Predetta la caduta di Gerusalemme, la presenza di Gesù, la fine del sistema

24:1-51

13:1-37

21:5-38

Monte degli Ulivi

Illustrazioni delle dieci vergini, dei talenti, delle pecore e dei capri

25:1-46

12 nisan

Gerusalemme

Capi religiosi complottano di mettere a morte Gesù

26:1-5

14:1, 2

22:1, 2

Gerusalemme

Giuda contratta con i sacerdoti per tradire Gesù

26:14-16

14:10, 11

22:3-6

13 nisan (giovedì pomeriggio)

Gerusalemme e dintorni

Preparativi per la Pasqua

26:17-19

14:12-16

22:7-13

14 nisan

Gerusalemme

Cena pasquale con i dodici

26:20, 21

14:17, 18

22:14-18

Gerusalemme

Gesù lava i piedi agli apostoli

13:1-20

Gerusalemme

Giuda viene smascherato e va via

26:21-25

14:18-21

22:21-23

13:21-30

Gerusalemme

Cena della Commemorazione istituita con gli undici

26:26-29

14:22-25

22:19, 20, 24-30

[1Co 11:23-25]

Gerusalemme

Predetti il diniego di Pietro e la dispersione degli apostoli

26:31-35

14:27-31

22:31-38

13:31-38

Gerusalemme

Soccorritore; amore reciproco; tribolazione; preghiera di Gesù

14:1–17:26

Getsemani

Agonia nell’orto; tradimento e arresto di Gesù

26:30, 36-56

14:26, 32-52

22:39-53

18:1-12

Gerusalemme

Processato da Anna, da Caiafa e dal Sinedrio; rinnegato da Pietro

26:57–27:1

14:53–15:1

22:54-71

18:13-27

Gerusalemme

Il traditore Giuda s’impicca

27:3-10

[Ac 1:18, 19]

Gerusalemme

Davanti a Pilato, poi a Erode, e poi ancora a Pilato

27:2, 11-14

15:1-5

23:1-12

18:28-38

Gerusalemme

Condannato a morte, dopo che Pilato ha cercato di liberarlo

27:15-30

15:6-19

23:13-25

18:39–19:16

(verso le 15, venerdì)

Golgota, Gerusalemme

Morte di Gesù sul palo, e avvenimenti concomitanti

27:31-56

15:20-41

23:26-49

19:16-30

Gerusalemme

Corpo di Gesù deposto dal palo e sepolto

27:57-61

15:42-47

23:50-56

19:31-42

15 nisan

Gerusalemme

Sacerdoti e farisei fanno sorvegliare il sepolcro

27:62-66

16 nisan e dopo

Gerusalemme e dintorni

Risurrezione di Gesù e avvenimenti di quel giorno

28:1-15

16:1-8

24:1-49

20:1-25

Gerusalemme; Galilea

Successive apparizioni di Gesù Crist

28:16-20

[1Co 15:5-7]

[At 1:3-8]

20:26–21:25

25 iyyar

Monte degli Ulivi, presso Betania

Ascensione di Gesù, il 40º giorno dalla risurrezione

[At 1:9-12]

24:50-53