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Giuseppe

Giuseppe

[ebr. Yohsèf, forma abbreviata di Yohsifyàh, “Iah aggiunga (aumenti); Iah ha aggiunto (aumentato)”].

1. Primo dei due figli che Giacobbe ebbe dalla diletta moglie Rachele. (Ge 35:24) Alla nascita di questo figlio, Rachele, poiché era stata sterile, esclamò: “Dio ha tolto il mio biasimo!” Quindi lo chiamò Giuseppe, dicendo: “Geova mi aggiunge un altro figlio”, vale a dire un altro figlio oltre Dan e Neftali, che Rachele aveva riconosciuto come figli suoi benché fossero stati partoriti dalla sua serva Bila. (Ge 30:3-8, 22-24) All’epoca Giacobbe aveva 91 anni. — Cfr. Ge 41:46, 47, 53, 54; 45:11; 47:9.

Sei anni dopo Giacobbe con tutta la famiglia lasciò Paddan-Aram per fare ritorno al paese di Canaan. (Ge 31:17, 18, 41) Saputo che suo fratello Esaù gli veniva incontro con 400 uomini, Giacobbe divise i figli, le mogli e le concubine, mettendo Rachele e Giuseppe in coda, il posto più sicuro. (Ge 33:1-3) Giuseppe e sua madre furono perciò gli ultimi a inchinarsi davanti a Esaù. — Ge 33:4-7.

Dopo ciò Giuseppe dimorò con la famiglia a Succot, a Sichem (Ge 33:17-19) e a Betel. (Ge 35:1, 5, 6) Poi, durante il viaggio da Betel a Efrat (Betleem), sua madre Rachele morì nel dare alla luce Beniamino. — Ge 35:16-19.

Odiato dai fratellastri. A 17 anni Giuseppe, insieme ai figli che Giacobbe aveva avuto da Bila e Zilpa, badava alle pecore. Benché fosse il più giovane, non prendeva parte alle loro cattive azioni, anzi riferiva fedelmente al padre quello che facevano. — Ge 37:2.

Giacobbe amava Giuseppe più di tutti gli altri figli, poiché era un figlio della sua vecchiaia. L’amore di Giuseppe per la giustizia può avere pure contribuito a renderlo particolarmente caro a suo padre. Giacobbe fece fare per lui una lunga veste a righe, forse simile a quelle indossate da persone di alto rango. Per questo Giuseppe era odiato dai fratellastri. Quando poi raccontò un sogno che indicava che egli avrebbe avuto preminenza su di loro, i fratelli si inasprirono ancora di più contro di lui. Un secondo sogno indicò che non solo i suoi fratelli, ma anche suo padre e sua madre (evidentemente non Rachele, allora già morta, ma forse la famiglia o la moglie principale di Giacobbe ancora in vita), si sarebbero inchinati davanti a lui. Per aver raccontato questo sogno Giuseppe fu rimproverato dal padre, e la gelosia dei fratelli aumentò. Il fatto che Giuseppe parlasse dei suoi sogni non significa che si sentisse superiore. Semplicemente riferiva quello che Dio gli aveva rivelato. Può darsi che Giacobbe abbia riconosciuto la natura profetica dei sogni, poiché “osservò la parola”. — Ge 37:3-11.

In un’altra occasione Giacobbe, allora a Ebron, volle che Giuseppe andasse a vedere se il gregge e i suoi fratelli che si trovavano nelle vicinanze di Sichem stavano bene. Vista la loro animosità, questo non dovette essere un incarico piacevole per Giuseppe. Eppure senza esitazione disse: “Eccomi!” Dal bassopiano di Ebron s’incamminò alla volta di Sichem. Informato da un uomo che i suoi fratelli erano partiti per Dotan, Giuseppe proseguì. Quando i fratelli lo scorsero da lontano, cominciarono a tramare contro di lui dicendo: “Ecco, viene quel sognatore. E ora venite e uccidiamolo e gettiamolo in una delle cisterne . . . Quindi vediamo che ne sarà dei suoi sogni”. (Ge 37:12-20) Ruben, il primogenito, cercò però di sventare il complotto omicida e li esortò a non uccidere Giuseppe ma a gettarlo in una cisterna asciutta. Quando Giuseppe arrivò lo spogliarono della lunga veste a righe e fecero come Ruben aveva suggerito. Poi, avvistata una carovana di ismaeliti, Giuda in assenza di Ruben persuase gli altri che invece di uccidere Giuseppe sarebbe stato meglio venderlo ai mercanti di passaggio. — Ge 37:21-27.

Venduto schiavo. Benché Giuseppe li supplicasse di avere compassione di lui, essi lo vendettero per 20 pezzi d’argento. (Ge 37:28; 42:21) Quindi ingannarono Giacobbe facendogli credere che Giuseppe fosse stato ucciso da una bestia feroce. L’anziano Giacobbe fu così addolorato per la perdita del figlio che rifiutava di lasciarsi confortare. — Ge 37:31-35.

I mercanti portarono Giuseppe in Egitto e lo vendettero a Potifar, capo della guardia del corpo del faraone. (Ge 37:28, 36; 39:1) Un simile acquisto da parte di Potifar non era insolito, poiché antichi documenti papiracei rivelano che gli schiavi aramei (Giuseppe era per metà arameo [Ge 29:10; 31:20]) erano molto apprezzati in Egitto.

Come era stato diligente nel promuovere gli interessi di suo padre, così anche da schiavo Giuseppe si dimostrò industrioso e fidato. Con la benedizione di Geova tutto quello che faceva aveva successo. Perciò Potifar gli affidò tutti gli affari della sua famiglia. Sembra dunque che Giuseppe abbia avuto l’incarico di sovrintendente, incarico menzionato da documenti egiziani in relazione alle grandi case di egiziani influenti. — Ge 39:2-6.

Resiste alla tentazione. Nel frattempo Giuseppe era diventato un uomo molto bello. Di conseguenza la moglie di Potifar s’invaghì di lui. Ripetutamente gli chiese di avere rapporti sessuali con lei. Ma Giuseppe, addestrato nella via della giustizia, rifiutò dicendo: “Come potrei dunque commettere questo grande male e peccare realmente contro Dio?” Questo però non pose fine alle sue difficoltà. Come risulta dagli scavi archeologici, le case egiziane erano disposte in modo che per raggiungere la dispensa si doveva attraversare il corpo principale dell’edificio. Se la casa di Potifar era disposta in tal modo, sarebbe stato impossibile per Giuseppe evitare ogni contatto con la moglie di Potifar. — Ge 39:6-10.

Alla fine la moglie di Potifar approfittò di quella che secondo lei era una buona occasione. Mentre non c’erano altri uomini in casa e Giuseppe si stava occupando degli affari domestici, gli afferrò la veste dicendo: “Giaci con me!” Ma Giuseppe le lasciò la veste in mano e fuggì. Allora lei cominciò a gridare facendo credere che Giuseppe le avesse fatto proposte immorali. Quando lo raccontò a Potifar suo marito, questi adirato fece gettare Giuseppe nel carcere dove erano detenuti i prigionieri del re. — Ge 39:11-20.

In prigione. Sembra che inizialmente in prigione Giuseppe fosse trattato col massimo rigore. “Afflissero con i ceppi i suoi piedi, la sua anima entrò nei ferri”. (Sl 105:17, 18) Ma in seguito il comandante della prigione, vista la condotta esemplare di Giuseppe in circostanze avverse e la benedizione di Geova, gli affidò la sorveglianza degli altri prigionieri. In tale incarico di fiducia Giuseppe, sebbene prigioniero, dimostrò ancora una volta di essere un abile amministratore, disponendo che tutto il lavoro venisse fatto. — Ge 39:21-23.

In seguito, quando due funzionari del faraone, il capo coppiere e il capo panettiere, furono messi nella stessa prigione, Giuseppe fu incaricato di servirli. Col tempo questi uomini fecero entrambi dei sogni, che Giuseppe, dopo averne attribuito l’interpretazione a Dio, spiegò loro. Il sogno del coppiere indicava che di lì a tre giorni egli sarebbe stato riabilitato. Giuseppe gli chiese di ricordarsi di lui e di parlare al faraone affinché potesse essere liberato di prigione. Spiegò che era stato rapito “dal paese degli ebrei” e che non aveva fatto nulla per cui dovesse essere detenuto. Probabilmente per non mettere in cattiva luce la sua famiglia, Giuseppe non identificò i rapitori. Poi interpretò il sogno del panettiere spiegando che di lì a tre giorni egli sarebbe stato messo a morte. Entrambi i sogni si adempirono tre giorni dopo, in occasione del compleanno del faraone. Questo senza dubbio convinse Giuseppe del sicuro adempimento dei suoi stessi sogni e lo aiutò a perseverare. Erano ormai passati circa 11 anni da che era stato venduto dai fratelli. — Ge 40:1-22; cfr. Ge 37:2; 41:1, 46.

La Bibbia dice che il faraone aveva un capo coppiere: in una tomba a Tebe sono raffigurate la vendemmia e la pigiatura dell’uva

Davanti al faraone. Una volta riabilitato, il coppiere si dimenticò di Giuseppe. (Ge 40:23) Ma, passati altri due anni, il faraone fece due sogni che nessuno dei sacerdoti che praticavano la magia e nessuno dei saggi d’Egitto riuscì a interpretare. Fu allora che il coppiere menzionò Giuseppe al faraone, che lo mandò a chiamare immediatamente. Secondo la consuetudine egiziana, Giuseppe prima di presentarsi al faraone si rase e si cambiò d’abito. Anche in questo caso non si attribuì alcun merito ma disse che l’interpretazione apparteneva a Dio. Quindi spiegò che entrambi i sogni additavano sette anni di abbondanza seguiti da sette anni di carestia. Inoltre suggerì le misure da adottare per alleviare la futura carestia. — Ge 41:1-36.

Secondo governante d’Egitto. Il faraone riconobbe nel 30enne Giuseppe un uomo abbastanza saggio da amministrare ogni cosa in tempo di abbondanza e in tempo di carestia. Perciò lo costituì secondo governante d’Egitto, gli diede il proprio anello con sigillo, vesti di lino fine e una collana d’oro. (Ge 41:37-44, 46; cfr. Sl 105:17, 20-22). Un’investitura del genere è conforme a quelle descritte da iscrizioni e affreschi egiziani. Pure interessante è che da documenti dell’antico Egitto risulta che parecchi cananei ebbero alti incarichi in Egitto, e anche il fatto che a Giuseppe fu dato un altro nome, Zafenat-Panea, non è insolito. A Giuseppe inoltre venne data in moglie Asenat figlia di Potifera (da un termine egiziano che significa “colui che Ra ha dato”), sacerdote di On. — Ge 41:45.

Dopo ciò Giuseppe fece un giro del paese d’Egitto e si preparò ad amministrare gli affari di stato, immagazzinando grandi quantità di viveri durante gli anni di abbondanza. Prima che iniziasse la carestia la moglie Asenat gli aveva dato due figli, Manasse ed Efraim. — Ge 41:46-52.

Mietitura e ammasso del grano raffigurati in una tomba egizia. Genesi parla di abbondanti raccolti di cereali in Egitto

I fratellastri vengono a comprare viveri. Poi giunse la carestia. Poiché si estese ben oltre i confini d’Egitto, molti vennero dai paesi circostanti per comprare viveri da Giuseppe. Alla fine arrivarono anche i suoi dieci fratellastri che si prostrarono davanti a lui adempiendo in parte i due precedenti sogni di Giuseppe. (Ge 41:53–42:7) Ma essi non lo riconobbero, perché indossava abiti regali e parlava loro per mezzo di un interprete. (Ge 42:8, 23) Fingendo di non conoscerli, Giuseppe li accusò di essere spie; al che essi dichiararono di essere dieci fratelli che avevano lasciato a casa il padre e il fratello minore, e che un altro fratello non era più. Giuseppe tuttavia ribadì che erano spie e li fece arrestare. Il terzo giorno disse loro: “Fate questo e continuate a vivere. Io temo il vero Dio. Se siete retti, uno dei vostri fratelli sia tenuto legato nella vostra casa di custodia [evidentemente quella in cui tutti e dieci erano detenuti], ma voi altri andate, prendete cereali per la carestia nelle vostre case. Quindi condurrete da me il vostro fratello più giovane, perché le vostre parole siano trovate degne di fede; e non morirete”. — Ge 42:9-20.

A motivo di questi sviluppi i fratellastri di Giuseppe cominciarono a pensare che si trattava di una punizione divina perché anni prima l’avevano venduto schiavo. Di fronte al fratello, che non avevano ancora riconosciuto, parlarono della loro colpa. Sentendo le loro parole che manifestavano pentimento, Giuseppe si commosse tanto che gli venne da piangere e dovette allontanarsi. Poi fece legare Simeone e lo trattenne finché non fossero tornati con il fratello minore. — Ge 42:21-24.

I fratellastri ritornano con Beniamino. Quando i nove fratellastri di Giuseppe raccontarono a Giacobbe cosa era accaduto in Egitto e poi scoprirono che il denaro era di nuovo nei loro sacchi, tutti si spaventarono moltissimo, e il padre diede sfogo al suo dolore. Solo la gravità della carestia, insieme all’assicurazione di Giuda che Beniamino sarebbe tornato sano e salvo, indussero Giacobbe a lasciare che il figlio minore accompagnasse gli altri in Egitto. — Ge 42:29–43:14.

Al loro arrivo ritrovarono Simeone e, con grande sorpresa, furono tutti invitati a pranzare con l’amministratore annonario. Quando Giuseppe entrò essi gli offrirono un dono, si prostrarono e, dopo aver risposto alle sue domande circa il loro padre, s’inchinarono di nuovo davanti a lui. Vedendo suo fratello Beniamino, Giuseppe rimase così turbato che se ne andò dalla loro presenza per dare libero sfogo alle lacrime. Quando riuscì a dominarsi fece servire il pranzo. Gli 11 fratelli erano seduti al loro tavolo secondo l’età, e a Beniamino furono date porzioni cinque volte maggiori che agli altri. Probabilmente Giuseppe voleva vedere se i fratelli nutrivano ancora gelosia. Ma essi non si mostrarono gelosi. — Ge 43:15-34.

Come la volta precedente, Giuseppe fece rimettere il denaro di ciascuno nel suo sacco (Ge 42:25), e per di più fece mettere il suo calice d’argento nel sacco di Beniamino. Dopo che si erano incamminati li fece inseguire e li accusò di avere rubato il suo calice d’argento. Forse per convincerli del grande valore che aveva per lui e della gravità del loro presunto reato, l’uomo preposto alla casa di Giuseppe fu incaricato di dir loro: “Non è questa la cosa da cui il mio padrone beve e per mezzo di cui trae abilmente presagi?” (Ge 44:1-5) Naturalmente, poiché faceva tutto parte di uno stratagemma, non c’è ragione di ritenere che Giuseppe usasse effettivamente il calice d’argento per trarre presagi. Giuseppe infatti voleva sostenere la parte di amministratore di un paese in cui la vera adorazione era sconosciuta.

Quando il calice fu trovato nel sacco di Beniamino la costernazione dei fratelli dovette essere grande. Con gli abiti strappati tornarono a casa di Giuseppe e si inchinarono davanti a lui. Giuseppe disse loro che potevano partire tutti tranne Beniamino. Ma essi non vollero partire, dimostrando di non avere più lo spirito invidioso che circa 22 anni prima li aveva indotti a vendere il fratello. Giuda perorò con eloquenza la loro causa, offrendosi di prendere il posto di Beniamino affinché il loro padre non morisse dal dolore se Beniamino non fosse tornato. — Ge 44:6-34.

Giuseppe rivela la sua identità. Giuseppe fu così commosso dalla supplica di Giuda che non poté più trattenersi. Dopo avere ordinato a tutti gli estranei di uscire, si fece riconoscere dai suoi fratelli. Pur essendo stato trattato duramente da loro, non covava rancore, e disse: “Ora non vi addolorate e non vi adirate con voi stessi per avermi venduto qui; perché Dio mi ha mandato davanti a voi per la conservazione della vita. Poiché questo è il secondo anno della carestia in mezzo alla terra, e ci saranno altri cinque anni nei quali non ci sarà né aratura né mietitura. Di conseguenza Dio mi ha mandato davanti a voi affinché abbiate sulla terra un rimanente e per mantenervi in vita mediante un grande scampo. Or dunque non foste voi a mandarmi qui, ma fu il vero Dio”. (Ge 45:1-8) Il perdono di Giuseppe era sincero, poiché pianse e li baciò tutti. — Ge 45:14, 15.

Quindi, secondo gli ordini del faraone, Giuseppe provvide ai suoi fratelli dei carri perché potessero portare Giacobbe e l’intera famiglia in Egitto. Inoltre diede loro doni e provviste per il viaggio. E nell’accomiatarsi li incoraggiò dicendo: “Non vi esasperate l’un l’altro per la via”. — Ge 45:16-24.

Il padre di Giuseppe in Egitto. Giacobbe, che aveva ormai 130 anni, in un primo tempo non poteva credere che suo figlio Giuseppe fosse ancora vivo. Ma quando alla fine si convinse, esclamò: “Ah, fammi andare a vederlo prima che io muoia!” Poi, a Beer-Seba, mentre era diretto in Egitto con l’intera famiglia, Giacobbe ebbe l’assicurazione che Dio approvava il trasferimento e gli fu anche detto: “Giuseppe ti porrà la mano sugli occhi”. Sarebbe stato Giuseppe dunque a chiudere gli occhi di Giacobbe dopo la sua morte. Poiché abitualmente era il primogenito a farlo, Geova rivelò in questo modo che Giuseppe doveva avere la primogenitura. — Ge 45:25–46:4.

Avvertito dell’arrivo del padre da Giuda, che era stato mandato avanti, Giuseppe fece preparare il suo carro e andò incontro a Giacobbe a Gosen. Poi con cinque fratelli andò dal faraone. Secondo le istruzioni di Giuseppe, i suoi fratelli si dichiararono pastori di pecore e chiesero di poter risiedere come stranieri nel paese di Gosen. Il faraone accolse la loro richiesta, e Giuseppe, dopo avere presentato suo padre al faraone, lo sistemò insieme alla sua famiglia nella parte migliore del paese. (Ge 46:28–47:11) In modo amorevole e saggio Giuseppe approfittò così di un pregiudizio che gli egiziani avevano nei confronti dei pastori. Questo servì a salvaguardare la famiglia di Giacobbe dalla corruttrice influenza egiziana ed eliminò il pericolo che, contraendo matrimoni con loro, venissero completamente assorbiti dagli egiziani. Da quel momento in poi Giacobbe e tutta la sua famiglia dipesero da Giuseppe. (Ge 47:12) In effetti, in rimarchevole adempimento dei suoi sogni profetici, tutti si inchinavano a Giuseppe, primo ministro del faraone.

Effetto della carestia sugli egiziani. Poiché la carestia continuava, gli egiziani a poco a poco diedero tutto il denaro e il bestiame che avevano in cambio di viveri. Alla fine vendettero la loro terra e divennero essi stessi schiavi del faraone. Allora Giuseppe li sistemò in città, senza dubbio per facilitare la distribuzione dei cereali. Ma a quanto pare questo insediamento nelle città fu solo una misura temporanea. Dovendo tornare ai loro campi per seminare, gli egiziani logicamente rioccuparono le loro case di un tempo. Quando avrebbero avuto un nuovo raccolto, secondo il decreto di Giuseppe, gli egiziani in cambio dell’uso della terra avrebbero dovuto dare un quinto del prodotto al faraone. I sacerdoti però furono esentati. — Ge 47:13-26.

Giacobbe benedice i figli di Giuseppe. Circa 12 anni dopo la fine della carestia Giuseppe portò da Giacobbe i suoi due figli, Manasse ed Efraim. Allora Giacobbe indicò che la primogenitura spettava a Giuseppe, essendo Efraim e Manasse considerati pari ai figli diretti di Giacobbe. Perciò da Giuseppe sarebbero sorte due tribù distinte, con due diverse eredità tribali. Nel benedire Efraim e Manasse, Giacobbe pose la destra sul più giovane, Efraim, anche se questo dispiacque a Giuseppe. Dando la preferenza a Efraim, Giacobbe indicò profeticamente che il più giovane sarebbe diventato il più grande. — Ge 47:28, 29; 48:1-22; vedi anche De 21:17; Gsè 14:4; 1Cr 5:1.

Benedetti Giuseppe e gli altri figli. Poi, in punto di morte, Giacobbe chiamò a sé tutti i suoi figli e li benedisse uno per uno. Paragonò Giuseppe al “germoglio di un albero fruttifero”. L’“albero fruttifero” era il patriarca Giacobbe stesso, e Giuseppe diventò uno dei rami principali. (Ge 49:22) Benché angariato da arcieri e oggetto di animosità, l’arco di Giuseppe “dimorava in luogo permanente, e la forza delle sue mani era agile”. (Ge 49:23, 24) Questo si poteva dire personalmente di Giuseppe. I suoi fratellastri avevano covato animosità e figurativamente l’avevano colpito per eliminarlo. Eppure Giuseppe li ripagò con misericordia e amorevole benignità, qualità simili a frecce che uccisero la loro animosità. Gli arcieri nemici non riuscirono a uccidere Giuseppe né a indebolire la sua devozione alla giustizia e il suo affetto fraterno.

Tuttavia profeticamente le parole di Giacobbe potevano applicarsi alle tribù che avrebbero avuto origine dai due figli di Giuseppe, Efraim e Manasse, e alle loro future battaglie. (Cfr. De 33:13, 17; Gdc 1:23-25, 35). È interessante che Giosuè (Oshea), successore di Mosè e condottiero nella lotta contro i cananei, era della tribù di Efraim. (Nu 13:8, 16; Gsè 1:1-6) Un altro discendente di Giuseppe, Gedeone della tribù di Manasse, con l’aiuto di Geova sconfisse i madianiti. (Gdc 6:13-15; 8:22) E Iefte, evidentemente anche lui della tribù di Manasse, soggiogò gli ammoniti. — Gdc 11:1, 32, 33; cfr. Gdc 12:4; Nu 26:29.

Altri aspetti della benedizione profetica di Giacobbe pure trovano un parallelo nelle esperienze di Giuseppe. Il fatto che Giuseppe, anziché vendicarsi, provvide per l’intera famiglia di Giacobbe o Israele, rivela che fu un pastore e una pietra di sostegno per Israele. Poiché Geova aveva diretto le cose in modo che potesse divenire tale, Giuseppe era venuto dalle mani del “Potente di Giacobbe”. Essendo da Dio, Giuseppe ebbe il Suo aiuto. Ed era con l’Onnipotente in quanto era dalla parte di Geova e perciò oggetto della sua benedizione. — Ge 49:24, 25.

Anche le tribù che sarebbero discese da Giuseppe per mezzo di Efraim e Manasse avrebbero avuto la benedizione di Geova. Giacobbe aveva detto: “[L’Onnipotente] ti benedirà con le benedizioni dei cieli di sopra, con le benedizioni delle acque dell’abisso che giacciono di sotto, con le benedizioni delle mammelle e del seno”. (Ge 49:25) Questo assicurava ai discendenti di Giuseppe che avrebbero avuto l’acqua necessaria dai cieli e dal sottosuolo, e anche una numerosa popolazione. — Cfr. De 33:13-16; Gsè 17:14-18.

Le benedizioni che Giacobbe pronunciò sul diletto figlio Giuseppe sarebbero state come un ornamento per le due tribù discese da lui. Queste benedizioni sarebbero state un ornamento superiore alle benedizioni delle foreste e delle sorgenti che adornano i monti eterni e i colli di durata indefinita. Sarebbero state una benedizione sempre presente sul capo di Giuseppe e dei suoi discendenti, permanente come permanenti erano i monti e i colli. — Ge 49:26; De 33:16.

Giuseppe fu “separato di fra i suoi fratelli” perché Dio lo scelse per svolgere un ruolo speciale. (Ge 49:26) Egli si era distinto manifestando ottimo spirito e capacità di sorvegliare e organizzare. Era dunque appropriato che speciali benedizioni si riversassero sulla sua testa.

Dopo che ebbe finito di benedire i suoi figli Giacobbe morì. Giuseppe allora cadde sulla faccia del padre e lo baciò. In base al desiderio di Giacobbe di essere sepolto nella caverna di Macpela, Giuseppe ne fece imbalsamare il corpo dai medici egiziani in preparazione del viaggio fino in Canaan. — Ge 49:29–50:13.

Atteggiamento nei confronti dei fratelli. Una volta tornati dall’avere seppellito Giacobbe, i fratellastri di Giuseppe, che provavano ancora rimorsi di coscienza, temevano che Giuseppe potesse vendicarsi, e implorarono perdono. Allora Giuseppe scoppiò in lacrime, e li confortò rassicurandoli che non avevano ragione di temere: “Non abbiate timore, poiché sono io in luogo di Dio? In quanto a voi, pensaste del male contro di me. Dio lo pensò per il bene allo scopo di agire come in questo giorno per conservare in vita molta gente. Or dunque non abbiate timore. Io stesso continuerò a provvedere al sostentamento vostro e dei vostri fanciulletti”. — Ge 50:14-21.

Morte. Giuseppe sopravvisse al padre di circa 54 anni, raggiungendo l’età di 110 anni. Ebbe il privilegio di vedere nipoti fino alla terza generazione. Prima di morire, chiese con fede che le sue ossa fossero portate in Canaan dagli israeliti al momento dell’Esodo. Alla morte di Giuseppe il suo corpo venne imbalsamato e deposto in una bara. — Ge 50:22-26; Gsè 24:32; Eb 11:22.

Preminenza del nome di Giuseppe. Vista la preminenza di Giuseppe tra i figli di Giacobbe, era del tutto appropriato che il suo nome fosse usato a volte per indicare tutte le tribù di Israele (Sl 80:1) o quelle che furono poi incluse nel regno settentrionale. (Sl 78:67; Am 5:6, 15; 6:6) Il suo nome figura anche nelle profezie della Bibbia. Nella visione profetica di Ezechiele l’eredità di Giuseppe è doppia (Ez 47:13), una delle porte della città chiamata “Geova stesso è lì” porta il nome di Giuseppe (Ez 48:32, 35) e, a proposito della riunificazione del popolo di Geova, Giuseppe è chiamato capo di una parte della nazione e Giuda capo dell’altra. (Ez 37:15-26) La profezia di Abdia indicava che “la casa di Giuseppe” avrebbe avuto una parte nel distruggere “la casa di Esaù” (Abd 18), e la profezia di Zaccaria indicava che Geova avrebbe salvato “la casa di Giuseppe”. (Zac 10:6) Giuseppe compare come una delle tribù dell’Israele spirituale al posto di Efraim. — Ri 7:8.

Il fatto che Giuseppe sia menzionato in Rivelazione 7:8 fa pensare che la profezia di Giacobbe in punto di morte doveva avere un’applicazione sull’Israele spirituale. È perciò degno di nota che il Potente di Giacobbe, Geova Dio, abbia provveduto Cristo Gesù quale pastore eccellente che depose la sua vita per “le pecore”. (Gv 10:11-16) Cristo Gesù è pure la pietra angolare di fondamento su cui poggia il tempio di Dio composto di israeliti spirituali. (Ef 2:20-22; 1Pt 2:4-6) Inoltre questo Pastore e questa Pietra è con l’Onnipotente Dio. — Gv 1:1-3; At 7:56; Eb 10:12; cfr. Ge 49:24, 25.

Paralleli fra Giuseppe e Cristo. Fra la vita di Giuseppe e la vita di Cristo Gesù si possono notare numerosi paralleli. Come Giuseppe in particolare era stato oggetto dell’affetto paterno, così lo fu Gesù. (Cfr. Mt 3:17; Eb 1:1-6). I fratellastri furono ostili a Giuseppe. Similmente Gesù fu respinto dai suoi, dagli ebrei (Gv 1:11), e i suoi fratellastri carnali in un primo momento non ebbero fede in lui. (Gv 7:5) La pronta ubbidienza di Giuseppe nel sottomettersi alla volontà del padre andando a vedere come stavano i fratellastri ha un parallelo nella prontezza con cui Gesù venne sulla terra. (Flp 2:5-8) Le amare esperienze che Giuseppe ebbe in seguito a quella missione sono paragonabili a quelle avute da Gesù, specie quando fu maltrattato e infine messo a morte su un palo di tortura. (Mt 27:27-46) Come i fratellastri vendettero Giuseppe alla carovana di madianiti-ismaeliti, così gli ebrei consegnarono Gesù all’autorità romana perché fosse messo a morte. (Gv 18:35) Sia Giuseppe che Gesù furono affinati e preparati attraverso la sofferenza per il loro ruolo salvifico. (Sl 105:17-19; Eb 5:7-10) Il fatto che Giuseppe fu elevato alla posizione di amministratore annonario d’Egitto, e perciò poté salvare delle vite, trova un parallelo nell’esaltazione di Gesù e nel suo ruolo di Salvatore sia degli ebrei che dei non ebrei. (Gv 3:16, 17; At 5:31) Le macchinazioni dei fratelli ai danni di Giuseppe furono il mezzo con cui Dio li salvò dal morire di fame. Similmente la morte di Gesù provvide la base per la salvezza. — Gv 6:51; 1Co 1:18.

2. Padre di Igal, uomo della tribù di Issacar che Mosè mandò in esplorazione dal deserto di Paran. — Nu 13:2, 3, 7.

3. Levita “dei figli di Asaf” scelto a sorte durante il regno di Davide per prestare servizio nel primo dei 24 gruppi di musicisti. — 1Cr 25:1, 2, 9.

4. “Figlio di Ionam”; antenato di Cristo Gesù da parte della madre terrena Maria. (Lu 3:30) Discendente di Davide vissuto prima che i babilonesi distruggessero Gerusalemme.

5. Uno di coloro che dietro consiglio di Esdra mandarono via le mogli straniere e i figli. — Esd 10:10-12, 42, 44.

6. Sacerdote della casa paterna di Sebania all’epoca del sommo sacerdote Ioiachim, del governatore Neemia e del sacerdote Esdra. — Ne 12:12, 14, 26.

7. “Figlio di Mattatia” e antenato di Gesù da parte di madre (Lu 3:24, 25), vissuto anni dopo l’esilio in Babilonia.

8. Figlio di un certo Giacobbe; padre adottivo di Cristo Gesù e marito di Maria, dalla quale in seguito ebbe almeno quattro figli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda, e anche delle figlie. (Mt 1:16; 13:55, 56; Lu 4:22; Gv 1:45; 6:42) Giuseppe era chiamato anche figlio di Eli (Lu 3:23), essendo questo evidentemente il nome di suo suocero. Sempre ubbidiente ai comandi di Dio, il giusto Giuseppe era ligio alla Legge mosaica e sottomesso ai decreti di Cesare.

Di mestiere falegname e residente a Nazaret, Giuseppe era piuttosto limitato in quanto a risorse finanziarie. (Mt 13:55; Lu 2:4; cfr. Lu 2:24 con Le 12:8). Era fidanzato con Maria, una ragazza vergine (Lu 1:26, 27), ma prima che si unissero in matrimonio essa rimase incinta per opera dello spirito santo. Non volendo farne un pubblico spettacolo, Giuseppe intendeva divorziare segretamente da lei. (Vedi DIVORZIO). Ma, avendo ricevuto in sogno una spiegazione da un angelo di Geova, Giuseppe portò Maria a casa come sua legittima sposa. Tuttavia non ebbe rapporti con lei fin dopo la nascita del figlio concepito miracolosamente. — Mt 1:18-21, 24, 25.

In ottemperanza al decreto di Cesare Augusto di farsi registrare nella propria città, Giuseppe, discendente del re Davide, si recò con Maria a Betleem di Giudea. Là Maria diede alla luce Gesù e lo depose in una mangiatoia, perché non c’erano altri alloggi disponibili. Quella notte alcuni pastori, informati della nascita da un angelo, vennero a vedere il neonato. Circa 40 giorni dopo, com’era richiesto dalla Legge mosaica, Giuseppe e Maria presentarono Gesù al tempio di Gerusalemme insieme a un’offerta. Sia Giuseppe che Maria si meravigliarono udendo le parole profetiche dell’anziano Simeone circa le grandi cose che Gesù avrebbe fatto. — Lu 2:1-33; cfr. Le 12:2-4, 6-8.

Qualche tempo dopo, mentre abitavano in una casa a Betleem, Maria e il suo figlioletto furono visitati da alcuni astrologi orientali. (Anche se Luca 2:39 potrebbe far pensare che Giuseppe e Maria siano tornati a Nazaret subito dopo aver presentato Gesù al tempio, si deve ricordare che questo versetto fa parte di una descrizione molto riassuntiva). L’intervento divino impedì che la visita degli astrologi provocasse la morte di Gesù. Avvertito in sogno che Erode cercava il bambino per sopprimerlo, Giuseppe seguì le istruzioni divine e fuggì con la famiglia in Egitto. — Mt 2:1-15.

Dopo la morte di Erode, l’angelo di Dio apparve di nuovo in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi il bambino e sua madre e vattene nel paese d’Israele”. Ma saputo che Archelao figlio di Erode regnava al posto del padre, Giuseppe ebbe paura di tornare in Giudea e, “avendo ricevuto in sogno divino avvertimento, si ritirò nel territorio della Galilea, e venne ad abitare in una città detta Nazaret”. — Mt 2:19-23.

Ogni anno Giuseppe assisteva con tutta la famiglia alla celebrazione della Pasqua a Gerusalemme. Una volta stavano ritornando a Nazaret quando, dopo un giorno di viaggio da Gerusalemme, si accorsero che il 12enne Gesù non era con loro. Lo cercarono con diligenza e infine lo trovarono a Gerusalemme nel tempio, intento ad ascoltare e interrogare i maestri. — Lu 2:41-50.

Le Scritture non dicono in che cosa consistesse l’addestramento che Giuseppe impartì a Gesù. Ma senza dubbio contribuì al fatto che “Gesù progrediva in sapienza”. (Lu 2:51, 52) Giuseppe gli insegnò anche il mestiere di falegname, poiché Gesù era conosciuto sia come “il figlio del falegname” (Mt 13:55) che come “il falegname”. — Mr 6:3.

Nelle Scritture non è precisato quando sia morto Giuseppe, ma sembra che non sia sopravvissuto a Gesù. Se fosse stato ancora in vita all’epoca della Pasqua del 33 E.V., è improbabile che Gesù al palo avrebbe affidato Maria all’apostolo Giovanni. — Gv 19:26, 27.

9. Fratellastro di Gesù Cristo. (Mt 13:55; Mr 6:3) Come gli altri fratelli, Giuseppe in un primo tempo non aveva fede in Gesù. (Gv 7:5) Comunque in seguito i fratellastri di Gesù, compreso senza dubbio Giuseppe, diventarono credenti. Sono menzionati insieme agli apostoli e ad altri dopo l’ascensione di Gesù al cielo, per cui probabilmente erano fra i circa 120 discepoli radunati in una stanza al piano superiore di una casa di Gerusalemme quando venne scelto a sorte Mattia per sostituire l’infedele Giuda Iscariota. Sembra che questo stesso gruppo di circa 120 abbia poi ricevuto lo spirito di Dio il giorno di Pentecoste del 33 E.V. — At 1:9–2:4.

10. Uomo facoltoso della città giudea di Arimatea e stimato membro del Sinedrio. Per quanto fosse un uomo buono e giusto che aspettava il Regno di Dio, Giuseppe, per timore degli ebrei increduli, non si dichiarò apertamente discepolo di Gesù Cristo. Comunque non votò a favore dell’ingiusta azione del Sinedrio contro Cristo Gesù. In seguito chiese coraggiosamente a Pilato il corpo di Gesù e, insieme a Nicodemo, lo preparò per la sepoltura e lo depose in una tomba nuova scavata nella roccia. Quella tomba si trovava in un giardino nei pressi del luogo in cui Gesù fu messo al palo e apparteneva a Giuseppe di Arimatea. — Mt 27:57-60; Mr 15:43-46; Lu 23:50-53; Gv 19:38-42.

11. Candidato, insieme a Mattia, al posto di sorveglianza reso vacante dall’infedele Giuda Iscariota. Giuseppe chiamato anche Barsabba (forse un patronimico o semplicemente un secondo nome) e soprannominato Giusto, era stato testimone dell’opera, dei miracoli e della risurrezione di Gesù Cristo. Tuttavia Mattia e non Giuseppe fu scelto a sorte per sostituire Giuda Iscariota prima della Pentecoste del 33 E.V. e fu “annoverato con gli undici apostoli”. — At 1:15–2:1.

12. Levita soprannominato Barnaba e nativo di Cipro (At 4:36, 37), stretto collaboratore dell’apostolo Paolo. — Vedi BARNABA.