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Idolo, Idolatria

Idolo, Idolatria

L’idolo è un’immagine, una rappresentazione o un simbolo di qualche cosa, reale o immaginaria, che è oggetto di fervida devozione. Generalmente parlando, idolatria è la venerazione, l’amore, il culto o l’adorazione di un idolo. Tale devozione di solito è rivolta a un’entità superiore, vera o presunta, sia che le venga attribuita un’esistenza propria (come un essere umano, un animale o un’organizzazione) o che sia inanimata (come una forza naturale o un oggetto senza vita). L’idolatria in genere è accompagnata da qualche cerimonia o rito.

I termini ebraici usati per indicare gli idoli ne sottolineano spesso l’origine e l’intrinseca futilità o esprimono disprezzo e ripugnanza per essi. Fra questi ci sono i termini resi “immagine scolpita” (lett., qualcosa di scolpito); “statua, immagine o idolo di metallo fuso” (lett., qualcosa di fuso o versato); “orribile idolo”; “idolo vano” (lett., vanità); “idolo di letame”. Il termine greco èidolon è solitamente tradotto “idolo”.

Non tutte le immagini sono idoli. La legge di Dio di non farsi immagini (Eso 20:4, 5) non vietava di fare qualsiasi rappresentazione o statua. Lo dimostra il successivo comando di Geova di fare due cherubini d’oro per il coperchio dell’Arca e di ricamare figure di cherubini sui dieci teli che costituivano la copertura interna della tenda del tabernacolo e sulla cortina che separava il Santo dal Santissimo. (Eso 25:18; 26:1, 31, 33) Anche l’interno del tempio di Salomone, i cui piani architettonici furono dati a Davide per ispirazione divina (1Cr 28:11, 12), era mirabilmente adorno di sculture di cherubini e di rappresentazioni di palme e fiori. Nel Santissimo di quel tempio c’erano due cherubini di legno d’albero oleifero ricoperti d’oro. (1Re 6:23, 28, 29) Il mare di metallo fuso poggiava su dodici tori di rame, e le fiancate dei carrelli di rame che si usavano nel tempio erano decorate da figure di leoni, tori e cherubini. (1Re 7:25, 28, 29) Dodici leoni erano allineati sui gradini che portavano al trono di Salomone. — 2Cr 9:17-19.

Queste rappresentazioni tuttavia non erano idoli da adorare. Solo i sacerdoti officianti vedevano le figure all’interno del tabernacolo e, in seguito, del tempio. Nessuno, tranne il sommo sacerdote, entrava nel Santissimo, e questi vi entrava solo nel giorno di espiazione. (Eb 9:7) Quindi non c’era alcun pericolo che gli israeliti cadessero nel laccio di idolatrare i cherubini d’oro del santuario. Tali rappresentazioni servivano principalmente per raffigurare i cherubini celesti. (Cfr. Eb 9:23, 24). Che non fossero da venerare è evidente dal fatto che non si dovevano adorare neanche gli angeli stessi. — Col 2:18; Ri 19:10; 22:8, 9.

Naturalmente a volte capitava che immagini che in origine non dovevano essere oggetto di adorazione diventavano idoli. Il serpente di rame che Mosè aveva fatto nel deserto finì per essere adorato e perciò il fedele re Ezechia lo fece a pezzi. (Nu 21:9; 2Re 18:1, 4) L’efod fatto dal giudice Gedeone diventò un “laccio” per lui e per la sua famiglia. — Gdc 8:27.

Immagini come ausili nell’adorazione. Le Scritture non approvano l’uso di immagini come mezzo per rivolgersi a Dio in preghiera. Tale consuetudine è contraria al principio che chi vuole servire Geova deve adorarlo con spirito e verità. (Gv 4:24; 2Co 4:18; 5:6, 7) Dio non tollera che usanze idolatriche vengano introdotte nella vera adorazione, com’è illustrato dalla sua condanna dell’adorazione dei vitelli, anche se gli israeliti l’avevano collegata con il suo nome. (Eso 32:3-10) Geova non condivide la sua gloria con le immagini scolpite. — Isa 42:8.

Non c’è un solo caso nelle Scritture in cui fedeli servitori di Geova siano ricorsi ad ausili visibili per pregare Dio o abbiano praticato qualche forma di adorazione relativa. Naturalmente, qualcuno potrebbe citare Ebrei 11:21 che, secondo alcune versioni cattoliche, dice: “Per la fede Giacobbe, moribondo, benedisse ciascuno dei figlioli di Giuseppe e adorò la sommità dello scettro di lui”. (Ti) In una nota a questo versetto la Martini spiega che “Giacobbe, pieno di fede, adorò, cioè rendè onore e riverenza allo scettro o baston di comando di Giuseppe”. E nella nota della Douay viene fatta la seguente osservazione: “Alcuni traduttori, che non erano favorevoli a tale onore relativo, hanno corrotto il testo, traducendo: adorò, appoggiandosi alla sommità del suo bastone”. Tuttavia, anziché essere una corruzione del testo, come sostiene questa nota in calce, questa e altre lezioni simili sono in armonia col testo ebraico di Genesi 47:31 e sono state adottate da diverse traduzioni cattoliche (CEI, Na, PIB).

Forme di idolatria. Alcune forme di idolatria menzionate nella Bibbia includevano pratiche ripugnanti come prostituzione cerimoniale, sacrifici di bambini, ubriachezza e autolesionismo cruento. (1Re 14:24; 18:28; Ger 19:3-5; Os 4:13, 14; Am 2:8) Gli idoli venivano venerati mangiando e bevendo nel corso di festività o cerimonie tenute in loro onore (Eso 32:6; 1Co 8:10), prostrandosi e compiendo sacrifici, cantando e danzando davanti a loro, e anche baciandoli. (Eso 32:8, 18, 19; 1Re 19:18; Os 13:2) Si commetteva idolatria anche imbandendo con cibi e bevande una tavola per i falsi dèi (Isa 65:11), offrendo libagioni, torte e fumo sacrificali (Ger 7:18; 44:17), e facendo pianti rituali (Ez 8:14). Certe azioni, come quella di tatuarsi, praticarsi incisioni nella carne, radersi i capelli sulla fronte, tagliarsi le basette e gli angoli della barba, erano vietate dalla Legge, forse perché legate, almeno in parte, a usanze idolatriche dei popoli circostanti. — Le 19:26-28; De 14:1.

Ci sono poi forme di idolatria più sottili. La concupiscenza è idolatria (Col 3:5), poiché l’oggetto dei propri desideri smodati distoglie l’affetto dal Creatore, diventando così un vero e proprio idolo. Invece di servire fedelmente Geova Dio, si può diventare schiavi del proprio ventre, vale a dire dell’appetito o desiderio carnale, facendone il proprio dio. (Ro 16:18; Flp 3:18, 19) Poiché l’amore per il Creatore si dimostra con l’ubbidienza (1Gv 5:3), la ribellione e lo spingersi presuntuosamente avanti sono paragonabili ad atti di idolatria. — 1Sa 15:22, 23.

Prima del Diluvio. L’idolatria non ebbe inizio nel reame visibile, ma in quello invisibile. Una gloriosa creatura spirituale coltivò il bramoso desiderio di somigliare all’Altissimo. Il desiderio di costui era così forte che lo fece allontanare dal suo Dio, Geova, e l’idolatria lo indusse a ribellarsi. — Gb 1:6-11; 1Tm 3:6; cfr. Isa 14:12-14; Ez 28:13-15, 17.

Eva fece similmente di se stessa la prima idolatra umana bramando il frutto proibito: tale desiderio errato la spinse a disubbidire al comando di Dio. Anche Adamo, permettendo a un desiderio egoistico di contrastare il suo amore per Geova e quindi disubbidendoGli, si rese colpevole di idolatria. — Ge 3:6, 17.

Dalla ribellione in Eden in poi solo una minoranza del genere umano non è caduta nell’idolatria. Durante la vita di Enos, nipote di Adamo, gli uomini a quanto pare cominciarono a praticare una forma di idolatria. “In quel tempo si cominciò a invocare il nome di Geova”. (Ge 4:26) Ma evidentemente Geova non veniva invocato con fede, come invece aveva fatto il giusto Abele molti anni prima e per cui aveva subìto il martirio per mano del fratello Caino. (Ge 4:4, 5, 8) Sembra che ciò che ebbe inizio ai giorni di Enos fosse una falsa forma di adorazione, in cui il nome Geova era usato in modo errato o veniva applicato in maniera sbagliata. Può darsi che gli uomini attribuissero il nome di Dio a se stessi o ad altri uomini (per mezzo dei quali pretendevano di adorare Dio), oppure che attribuissero il nome divino a oggetti idolatrici (come un ausilio visibile, tangibile, per mezzo del quale adorare l’Iddio invisibile).

La Bibbia non rivela in che misura l’idolatria fosse praticata dai giorni di Enos fino al Diluvio. La situazione dovette deteriorarsi progressivamente, tanto che ai giorni di Noè “Geova vide che la cattiveria dell’uomo era abbondante sulla terra e che ogni inclinazione dei pensieri del suo cuore era solo cattiva in ogni tempo”. Oltre alla condizione peccaminosa ereditaria dell’uomo, anche gli angeli materializzati, che si erano uniti alle figlie degli uomini, e l’ibrida progenie di tali unioni, i nefilim, esercitavano sul mondo di allora una forte influenza malefica. — Ge 6:4, 5.

All’epoca dei patriarchi. Benché ai giorni di Noè il Diluvio avesse sterminato tutti gli esseri umani idolatri, l’idolatria ricominciò, alimentata da Nimrod, “potente cacciatore in opposizione a Geova”. (Ge 10:9) La costruzione di Babele e della sua torre (probabilmente una ziqqurat per l’adorazione idolatrica) ebbe inizio senza dubbio sotto la direttiva di Nimrod. Ma i piani dei costruttori furono frustrati quando Geova confuse la loro lingua. Non più in grado di capirsi, a poco a poco essi smisero di costruire la città e si dispersero. Comunque l’idolatria che aveva avuto inizio a Babele non finì lì. Ovunque andarono, i costruttori portarono con sé le loro false concezioni religiose. — Ge 11:1-9; vedi DEI E DEE.

Come a Babele, anche nella successiva città menzionata nelle Scritture, Ur dei caldei, non era praticata l’adorazione del vero Dio, Geova. Gli scavi archeologici hanno rivelato che il patrono della città era il dio-luna Sin. A Ur abitava Tera, padre di Abramo (Abraamo). (Ge 11:27, 28) Vivendo in mezzo all’idolatria, può darsi che anche Tera l’abbia praticata, com’è indicato dalle parole che Giosuè rivolse secoli dopo agli israeliti: “I vostri antenati, Tera padre di Abraamo e padre di Nahor, dimorarono molto tempo fa dall’altra parte del Fiume [Eufrate] e servivano altri dèi”. (Gsè 24:2) Ma Abraamo ebbe fede nel vero Dio, Geova.

Ovunque andarono, Abraamo e più tardi i suoi discendenti incontrarono l’idolatria, derivata dall’apostasia di Babele. Perciò c’era sempre il pericolo di essere contaminati dall’idolatria. Anche i parenti di Abraamo avevano idoli. Labano, suocero di Giacobbe nipote di Abraamo, aveva in suo possesso terafim, o divinità familiari. (Ge 31:19, 31, 32) Giacobbe ritenne necessario ordinare alla sua famiglia di eliminare tutti gli dèi stranieri che avevano, ed egli stesso nascose quegli idoli sotterrandoli. (Ge 35:2-4) Forse li eliminò in questo modo affinché nessuno della famiglia potesse riutilizzare il metallo in maniera indebita a motivo del precedente uso idolatrico. Non è precisato se Giacobbe fuse o frantumò le immagini.

L’idolatria e il popolo del patto. Come Geova aveva detto ad Abraamo, i suoi discendenti, gli israeliti, diventarono residenti forestieri in un paese non loro, l’Egitto, dove furono maltrattati. (Ge 15:13) In Egitto vennero in contatto con l’idolatria più sfacciata. Infatti in quel paese la produzione di immagini era un’industria fiorente. Molte delle divinità adorate erano rappresentate con testa di animali: Bast con la testa di gatto, Hathor con la testa di giovenca, Horus con la testa di falco, Anubi con la testa di sciacallo (ILLUSTRAZIONE, vol. 1, p. 946) e Thot con la testa di ibis, per nominarne solo alcune. Erano venerate creature marine, volatili e terrestri, e alla morte gli animali “sacri” venivano mummificati.

La Legge che Geova diede al suo popolo dopo averlo liberato dall’Egitto vietava in maniera esplicita le pratiche idolatriche così diffuse presso gli antichi. Il secondo dei Dieci Comandamenti proibiva espressamente di fare immagini scolpite o forme simili a cose che erano nei cieli, sulla terra o nelle acque. (Eso 20:4, 5; De 5:8, 9) Nelle ultime esortazioni agli israeliti, Mosè diede risalto all’impossibilità di fare un’immagine del vero Dio e li ammonì di evitare il laccio dell’idolatria. (De 4:15-19) Per proteggere ulteriormente gli israeliti dall’idolatria, fu ordinato loro di non concludere alcun patto con gli abitanti pagani del paese in cui stavano per entrare e di non stringere con loro alleanze matrimoniali, ma di sterminarli. Tutto ciò che riguardava l’idolatria — altari, colonne sacre, pali sacri e immagini scolpite — doveva essere distrutto. — De 7:2-5.

Giosuè successore di Mosè radunò tutte le tribù di Israele a Sichem e le esortò a eliminare i falsi dèi e a servire fedelmente Geova. Il popolo si impegnò a farlo e continuò a servire Geova durante tutta la vita di Giosuè e degli anziani che gli sopravvissero. (Gsè 24:14-16, 31) Ma poi subentrò un’estesa apostasia. Il popolo cominciò ad adorare divinità cananee: Baal, Astoret e il palo sacro o Asheràh. Perciò Geova abbandonò gli israeliti nelle mani dei loro nemici. Ma quando si pentivano, egli suscitava misericordiosamente dei giudici per liberarli. — Gdc 2:11-19; 3:7; vedi ASTORET; BAAL n. 4; COLONNA SACRA; PALO SACRO.

All’epoca dei re. Durante il regno del primo re d’Israele, Saul, di suo figlio Is-Boset e poi di Davide non si ha notizia che gli israeliti praticassero l’idolatria su vasta scala. Tuttavia ci sono indicazioni che l’idolatria era latente. Ad esempio, la stessa figlia di Saul, Mical, aveva un’immagine di terafim. (1Sa 19:13; vedi TERAFIM). Solo verso la fine del regno di Salomone figlio di Davide l’idolatria cominciò a essere praticata apertamente, poiché il re stesso, sotto l’influenza delle numerose mogli straniere, la incentivò approvandola. Si costruirono alti luoghi in onore di Astoret, Chemos e Milcom o Molec. Il popolo in generale divenne preda della falsa adorazione e cominciò a prostrarsi a questi dèi idolatrici. — 1Re 11:3-8, 33; 2Re 23:13; vedi CHEMOS; MOLEC.

A motivo di questa idolatria Geova strappò dieci tribù a Roboamo figlio di Salomone e le diede a Geroboamo. (1Re 11:31-35; 12:19-24) Nonostante l’assicurazione che il suo regno sarebbe rimasto saldo se egli avesse continuato a servire fedelmente Geova, Geroboamo, divenuto re, istituì l’adorazione dei vitelli, per timore che il popolo, continuando ad andare a Gerusalemme per adorare, si ribellasse al suo dominio. (1Re 11:38; 12:26-33) Il culto idolatrico dei vitelli continuò finché esisté il regno delle dieci tribù, e durante il regno di Acab fu introdotto il baalismo praticato a Tiro. (1Re 16:30-33) Non tutti però apostatarono. All’epoca di Acab erano rimasti 7.000 che non si erano inginocchiati davanti a Baal né lo avevano baciato, e questo in un tempo in cui i profeti di Geova venivano passati a fil di spada, senza dubbio dietro istigazione di Izebel moglie di Acab. — 1Re 19:1, 2, 14, 18; Ro 11:4; vedi VITELLO (Adorazione dei vitelli).

Ad eccezione di Ieu, che estirpò l’adorazione di Baal (2Re 10:20-28), non si ha notizia di riforme religiose intraprese da qualche monarca del regno delle dieci tribù. La popolazione e i sovrani del regno settentrionale non prestarono ascolto ai profeti ripetutamente inviati da Geova, così che alla fine l’Onnipotente, a motivo della loro sordida idolatria, li abbandonò nelle mani degli assiri. — 2Re 17:7-23.

Nel regno di Giuda la situazione non era molto diversa, a parte le riforme compiute da alcuni re. Anche se la divisione del regno era avvenuta proprio a causa dell’idolatria, Roboamo figlio di Salomone non prese a cuore la disciplina di Geova e non rifuggì dall’idolatria. Non appena ebbe consolidato la sua posizione, sia lui che l’intero paese di Giuda apostatarono. (2Cr 12:1) Il popolo edificò alti luoghi, dotandoli di colonne sacre e pali sacri, e praticò la prostituzione rituale. (1Re 14:23, 24) Abiam (Abia), benché esprimesse fede in Geova quando combatté contro Geroboamo e fosse aiutato a vincere, imitò in larga misura la condotta peccaminosa di suo padre Roboamo, al quale era succeduto. — 1Re 15:1, 3; 2Cr 13:3-18.

I successivi due re di Giuda, Asa e Giosafat, servirono fedelmente Geova e cercarono di eliminare l’idolatria dal regno. Ma l’adorazione praticata sugli alti luoghi era così radicata in Giuda che, nonostante gli sforzi di entrambi questi re per distruggerli, gli alti luoghi continuarono a esistere clandestinamente o vennero riedificati. — 1Re 15:11-14; 22:42, 43; 2Cr 14:2-5; 17:5, 6; 20:31-33.

Il regno di Ieoram, successivo re di Giuda, iniziò con uno spargimento di sangue e aprì un nuovo capitolo nell’idolatria di Giuda. Questo è attribuito al fatto che egli prese in moglie Atalia, figlia dell’idolatra Acab. (2Cr 21:1-4, 6, 11) La regina madre Atalia fu pure consigliera di Acazia, figlio di Ieoram. Perciò durante il regno di Acazia e quello dell’usurpatrice Atalia, l’idolatria ebbe il sostegno della Corona. — 2Cr 22:1-3, 12.

All’inizio del regno di Ioas, dopo l’uccisione di Atalia, ci fu un ritorno alla vera adorazione. Ma in seguito alla morte del sommo sacerdote Ieoiada l’adorazione idolatrica tornò in auge per istigazione dei principi di Giuda. (2Re 12:2, 3; 2Cr 24:17, 18) Geova abbandonò quindi l’esercito di Giuda in mano agli invasori siri, e Ioas fu assassinato dai suoi stessi servitori. — 2Cr 24:23-25.

Senza dubbio l’esecuzione del giudizio di Dio su Giuda e la violenta morte del padre, Ioas, fecero una profonda impressione su Amazia, così che questi inizialmente fece ciò che era giusto agli occhi di Geova. (2Cr 25:1-4) Ma dopo aver sconfitto gli edomiti e averne catturato le immagini, egli cominciò a servire gli dèi dei nemici sconfitti. (2Cr 25:14) La punizione arrivò quando Giuda fu sconfitto dal regno delle dieci tribù e poi quando Amazia fu assassinato dai cospiratori. (2Cr 25:20-24, 27) Sebbene di Azaria (Uzzia) e di suo figlio Iotam sia detto che in linea di massima fecero ciò che era giusto agli occhi di Geova, i loro sudditi continuarono a praticare l’idolatria sugli alti luoghi. — 2Re 15:1-4, 32-35; 2Cr 26:3, 4, 16-18; 27:1, 2.

Durante il regno di Acaz figlio di Iotam la condizione religiosa di Giuda peggiorò ulteriormente. Acaz cominciò a praticare l’idolatria come non era mai avvenuto in Giuda prima di allora; fu il primo re di Giuda di cui si dica che sacrificò i propri figli nel fuoco come atto di falsa religione. (2Re 16:1-4; 2Cr 28:1-4) Geova castigò Giuda lasciando che venisse sconfitto dai suoi nemici. Invece di pentirsi, Acaz pensò che fossero le divinità dei re di Siria a dar loro la vittoria, per cui decise di offrire sacrifici ad esse affinché aiutassero anche lui. (2Cr 28:5, 23) Come se non bastasse, le porte del tempio di Geova furono chiuse e i suoi utensili vennero fatti a pezzi. — 2Cr 28:24.

A differenza di Acaz, suo figlio Ezechia trasse beneficio dalla disciplina di Geova. (2Cr 29:1, 5-11) Nel suo primo anno di regno Ezechia ripristinò la vera adorazione di Geova. (2Cr 29:3) Sotto il suo regno si assisté alla distruzione degli strumenti della falsa adorazione non solo in Giuda e Beniamino, ma anche in Efraim e Manasse. — 2Cr 31:1.

Tuttavia Manasse, figlio di Ezechia, riportò completamente in auge l’idolatria. (2Re 21:1-7; 2Cr 33:1-7) La Bibbia non ne menziona le ragioni. Forse all’inizio Manasse, che cominciò a regnare a 12 anni, fu mal indirizzato da consiglieri e principi che non erano esclusivamente devoti a Geova. A differenza di Acaz, però, Manasse, finito prigioniero a Babilonia, si pentì dopo la severa disciplina impartitagli da Geova e, tornato a Gerusalemme, intraprese la via delle riforme. (2Cr 33:10-16) Suo figlio Amon, però, ricominciò a sacrificare alle immagini scolpite. — 2Cr 33:21-24.

Il successivo re fu Giosia, sotto il cui regno l’idolatria venne completamente sradicata in Giuda. I luoghi dell’adorazione idolatrica furono sconsacrati non solo lì ma anche in Samaria. I sacerdoti di dèi stranieri e quelli che facevano fumo di sacrificio a Baal, nonché al sole, alla luna, alle costellazioni dello zodiaco e a tutto l’esercito dei cieli, furono tolti di mezzo. (2Re 23:4-27; 2Cr 34:1-5) Ma anche questa vasta campagna contro l’idolatria non risolse il problema una volta per tutte. Gli ultimi quattro re di Giuda — Ioacaz, Ioiachim, Ioiachin e Sedechia — praticarono l’idolatria. — 2Re 23:31, 32, 36, 37; 24:8, 9, 18, 19; vedi ALTI LUOGHI; ASTROLOGI; ZODIACO.

I riferimenti all’idolatria negli scritti dei profeti fanno ulteriormente luce su ciò che accadde negli ultimi anni del regno di Giuda. Luoghi di culto idolatrici, prostituzione rituale e sacrifici di bambini continuarono a esistere. (Ger 3:6; 17:1-3; 19:2-5; 32:29, 35; Ez 6:3, 4) Persino i leviti praticavano l’idolatria. (Ez 44:10, 12, 13) Ezechiele, trasportato in visione nel tempio di Gerusalemme, vide un idolo detestabile, il “simbolo della gelosia”, e gente che venerava rappresentazioni di creature striscianti e di bestie immonde, mentre altri adoravano il falso dio Tammuz e il sole. — Ez 8:3, 7-16.

Nonostante adorassero gli idoli fino al punto di sacrificare loro i propri figli, apparentemente gli israeliti continuavano ad adorare Geova e si sentivano al sicuro da qualsiasi calamità. (Ger 7:4, 8-12; Ez 23:36-39) L’idolatria li aveva fatti sragionare a tal punto che quando in effetti la calamità si abbatté su di loro e Gerusalemme fu devastata dai babilonesi nel 607 a.E.V., in adempimento della parola di Geova, essi pensarono che ciò fosse dovuto al fatto che non avevano offerto fumo sacrificale e libagioni alla “regina dei cieli”. — Ger 44:15-18; vedi REGINA DEI CIELI.

Perché Israele si diede all’idolatria. Furono diversi i fattori che indussero molti israeliti ad abbandonare ripetutamente la vera adorazione. Essendo una delle opere della carne, l’idolatria fa leva sui desideri carnali. (Gal 5:19-21) Una volta stabilitisi nella Terra Promessa, gli israeliti notarono forse che i vicini pagani, da loro non completamente spodestati, ottenevano buoni raccolti grazie alla maggiore esperienza in campo agricolo. È probabile che molti abbiano chiesto e seguito il consiglio dei vicini cananei sul modo di placare il Baal o “proprietario” di ciascun pezzo di terra. — Sl 106:34-39.

Le alleanze matrimoniali con gli idolatri furono un altro incentivo all’apostasia. (Gdc 3:5, 6) Gli eccessi sessuali associati all’idolatria non erano una tentazione da poco. Per esempio, a Sittim, nelle pianure di Moab, migliaia di israeliti cedettero all’immoralità e si diedero alla falsa adorazione. (Nu 22:1; 25:1-3) Alcuni furono forse tentati dalla possibilità di ubriacarsi presso i santuari dei falsi dèi. — Am 2:8.

C’era poi l’illusione di poter conoscere il futuro, derivante dal desiderio di assicurarsi che tutto andasse bene. Ne sono un esempio Saul, che consultò una medium, e Acazia, che mandò a interrogare Baal-Zebub dio di Ecron. — 1Sa 28:6-11; 2Re 1:2, 3.

Stoltezza dell’adorazione degli idoli. Molte volte le Scritture richiamano l’attenzione sulla stoltezza di confidare in dèi di legno, pietra o metallo. Isaia descrive la fabbricazione di idoli, e fa notare la stupidità di chi utilizza parte del legno di un albero per cucinare e per scaldarsi e poi con quello che rimane si fa un dio a cui chiede aiuto. (Isa 44:9-20) Nel giorno dell’ira di Geova, scrive Isaia, i falsi adoratori getteranno ai topiragno e ai pipistrelli i loro idoli privi di valore. (Isa 2:19-21) “Guai a colui che dice al pezzo di legno: ‘Oh svegliati!’ alla pietra muta: ‘Oh destati!’” (Aba 2:19) Coloro che fanno idoli muti diventeranno proprio come quelli, privi di vita. — Sl 115:4-8; 135:15-18; vedi Ri 9:20.

Atteggiamento verso l’idolatria. I fedeli servitori di Geova hanno sempre detestato gli idoli. Nelle Scritture, falsi dèi e idoli sono spesso menzionati con disprezzo, essendo considerati privi di valore (1Cr 16:26; Sl 96:5; 97:7), orribili (1Re 15:13; 2Cr 15:16), vergognosi (Ger 11:13; Os 9:10), detestabili (Ez 16:36, 37) e disgustanti (Ez 37:23). Spesso si parla di “idoli di letame”, espressione che traduce la parola ebraica gillulìm, collegata con un termine che significa “sterco”. (1Re 14:10; Sof 1:17) Questo termine dispregiativo ricorre per la prima volta in Levitico 26:30, e si trova quasi 40 volte nel solo libro di Ezechiele, a partire dal capitolo 6, versetto 4.

Il fedele Giobbe riconobbe che, anche se il suo cuore fosse stato indotto in segreto a scrutare corpi celesti come la luna e ‘la sua mano avesse baciato la sua bocca’ (alludendo probabilmente al mandare un bacio con la mano come pratica idolatrica), ciò avrebbe significato rinnegare Dio, e quindi commettere idolatria. (Gb 31:26-28; cfr. De 4:15, 19). Parlando di un uomo giusto, Geova disse per mezzo del profeta Ezechiele che ‘non aveva alzato gli occhi agli idoli di letame della casa d’Israele’, come per rivolgere loro delle suppliche o chiedere aiuto. — Ez 18:5, 6.

Un altro ottimo esempio in quanto a evitare l’idolatria è quello dei tre ebrei, Sadrac, Mesac e Abednego, i quali, benché minacciati di morte nella fornace ardente, rifiutarono di inchinarsi davanti all’immagine d’oro eretta dal re Nabucodonosor nella pianura di Dura. — Da 3.

I primi cristiani seguivano il consiglio ispirato di ‘fuggire l’idolatria’ (1Co 10:14), e alcuni fabbricanti di immagini vedevano nel cristianesimo una minaccia ai loro lucrativi affari. (At 19:23-27) Come attesta la storia secolare, astenendosi dall’idolatria i cristiani residenti nell’impero romano si trovavano spesso in una posizione simile a quella dei tre ebrei. Riconoscere la divinità dell’imperatore quale capo dello stato offrendo qualche grano di incenso poteva salvare loro la vita, ma pochi fecero compromesso. Quei primi cristiani sapevano bene che tornare all’idolatria dopo essersi allontanati dagli idoli per servire il vero Dio (1Ts 1:9) voleva dire essere esclusi dalla Nuova Gerusalemme e perdere il premio della vita. — Ri 21:8; 22:14, 15.

I servitori di Geova devono tuttora guardarsi dagli idoli. (1Gv 5:21) Fu predetto che grande pressione sarebbe stata esercitata su tutti gli abitanti della terra per spingerli ad adorare la simbolica “bestia selvaggia” e la sua “immagine”. Nessuno che persista in tale adorazione idolatrica riceverà da Dio il dono della vita eterna. “Qui sta la perseveranza dei santi”. — Ri 13:15-17; 14:9-12; vedi COSA DISGUSTANTE.