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Mondo

Mondo

Il sostantivo greco kòsmos è tradotto di solito “mondo” ogni volta che ricorre nelle Scritture Greche Cristiane, tranne che in 1 Pietro 3:3 dove è reso “adornamento”. “Mondo” può significare (1) l’umanità in generale, a prescindere dalla condizione morale o dal modo di vivere, (2) il contesto delle circostanze umane in cui uno nasce e vive (e in questo senso a volte è molto simile al greco aiòn, “sistema di cose”) o (3) la massa del genere umano al di fuori degli approvati servitori di Dio.

Un tempo la parola “mondo” veniva usata per tradurre non solo kòsmos ma anche, in alcuni casi, altri tre termini greci (ge; aiòn; oikoumène) e cinque termini ebraici (ʼèrets; chèdhel; chèledh; ʽohlàm; tevèl). Questo non faceva che confondere le idee e rendere difficile il corretto intendimento del brano scritturale in questione. Traduzioni più recenti hanno eliminato in gran parte questa confusione.

L’ebraico ʼèrets e il greco ge (da cui derivano i vocaboli italiani “geografia” e “geologia”) significano “terra; terreno; paese” (Ge 6:4; Nu 1:1; Mt 2:6; 5:5; 10:29; 13:5), anche se in alcuni casi possono indicare in senso figurato gli abitanti della terra, come in Salmo 66:4 e in Rivelazione 13:3. Sia ʽohlàm (ebr.) che aiòn (gr.) si riferiscono fondamentalmente a un periodo di tempo di durata indefinita. (Ge 6:3; 17:13; Lu 1:70) Aiòn può anche significare il “sistema di cose” che caratterizza un determinato periodo, era o epoca. (Gal 1:4) Chèledh (ebr.) ha significato alquanto simile e può essere reso “durata della vita” e “sistema di cose”. (Gb 11:17; Sl 17:14) Oikoumène (gr.) significa “terra abitata” (Lu 21:26), e tevèl (ebr.) può essere reso “paese produttivo” (2Sa 22:16). Chèdhel (ebr.) ricorre solo in Isaia 38:11, e nella Diodati è reso “mondo” nell’espressione “abitanti del mondo”. Un dizionario biblico suggerisce la traduzione “abitanti (del mondo) della cessazione”, pur indicando che quasi tutti gli studiosi preferiscono la lezione di alcuni manoscritti ebraici che hanno chèledh al posto di chèdhel (The Interpreter’s Dictionary of the Bible, a cura di G. A. Buttrick, 1962, vol. 4, p. 874). La Traduzione del Nuovo Mondo ha “abitanti [del paese] della cessazione”. — Vedi ETÀ; SISTEMI DI COSE; TERRA.

“Kòsmos” e i suoi vari significati. Il significato fondamentale del greco kòsmos è “ordine” o “disposizione”. E, poiché il concetto di bellezza è legato all’ordine e alla simmetria, kòsmos esprime anche un’idea del genere e perciò era spesso usato dai greci nel senso di “adornamento”, specie femminile. In questo senso è usato in 1 Pietro 3:3. Da kòsmos deriva anche il termine italiano “cosmetico”. Il relativo verbo kosmèo significa “mettere in ordine” (Mt 25:7) oppure “adornare”. (Mt 12:44; 23:29; Lu 11:25; 21:5; 1Tm 2:9; Tit 2:10; 1Pt 3:5; Ri 21:2, 19) L’aggettivo kòsmios, in 1 Timoteo 2:9 e 3:2, ha il senso di “convenevole” o “ordinato”.

A motivo dell’ordine manifesto nell’universo, i filosofi greci usavano a volte il termine kòsmos per indicare l’intera creazione visibile. Comunque non lo usavano in modo univoco; infatti alcuni si limitavano a usarlo in riferimento ai corpi celesti, mentre altri lo riferivano all’intero universo. Il termine kòsmos riferito alla creazione materiale nel suo insieme ricorre in alcuni libri apocrifi (cfr. Sapienza 9:9; 11:17), scritti nel periodo in cui la filosofia greca aveva cominciato a infiltrarsi in molti campi del pensiero ebraico. Tuttavia nelle ispirate Scritture Greche Cristiane questo significato è quasi, se non del tutto, assente. In qualche versetto potrebbe sembrare che il termine sia usato in questo senso, come per esempio nel discorso pronunciato dall’apostolo Paolo agli ateniesi nell’Areopago: “L’Iddio che ha fatto il mondo [forma di kòsmos] e tutte le cose che sono in esso, essendo, come Questi è, Signore del cielo e della terra, non dimora in templi fatti con mani”. (At 17:22-24) Poiché l’uso di kòsmos nel senso di universo era comune presso i greci, Paolo può aver usato il termine con questo significato. Anche in questo caso, però, è senz’altro possibile che l’abbia usato con uno dei significati menzionati nel resto di questa voce.

Riferito al genere umano. Un’opera di consultazione, dopo avere menzionato l’uso filosofico di kòsmos per universo, dice: “Da questo significato di κόσμος [kòsmos] in quanto universo materiale, . . . deriva quello di κόσμος in quanto contesto esteriore delle cose in cui l’uomo vive e si muove, che esiste per lui e di cui egli è il centro morale (Giov. xvi. 21; I Cor. xiv. 10; I Giov. iii. 17); . . . e quindi gli uomini stessi, il complesso delle persone viventi nel mondo (Giov. i. 29; iv. 42; II Cor. v. 19); e quindi in base a ciò, ed eticamente, quanti non fanno parte dell’ἐκκλησία [ekklesìa; la chiesa o congregazione], estraniati dalla vita di Dio e nemici Suoi a causa delle opere malvage (I Cor. i. 20, 21; II Cor. vii. 10; Giac. iv. 4)”. — R. C. Trench, Synonyms of the New Testament, Londra, 1961, pp. 201, 202.

Similmente un’altra opera di consultazione, citando le parole del grecista Cremer, dice: “Poiché kosmos è considerato l’ordine delle cose il cui centro è l’uomo, l’attenzione è rivolta principalmente a lui, e kosmos indica il genere umano entro quell’ordine di cose, l’umanità come si manifesta in e attraverso tale ordine (Mt. 18:7)”. — K. S. Wuest, Studies in the Vocabulary of the Greek New Testament, 1946, p. 57.

Tutta l’umanità. Kòsmos o “mondo” quindi si riferisce ed è strettamente legato al genere umano. Questo nella letteratura greca in generale e particolarmente nelle Scritture. Quando Gesù disse che l’uomo che cammina alla luce del giorno “vede la luce di questo mondo [forma di kòsmos]” (Gv 11:9), potrebbe sembrare che per “mondo” si intenda semplicemente il pianeta Terra, che di giorno ha come fonte di luce il sole. Tuttavia nel successivo versetto si parla dell’uomo che camminando di notte urta contro qualcosa “perché la luce non è in lui”. (Gv 11:10) Dio fece il sole e altri corpi celesti primariamente per il genere umano. (Cfr. Ge 1:14; Sl 8:3-8; Mt 5:45). Similmente, usando la luce in senso spirituale, Gesù disse ai suoi seguaci che sarebbero stati “la luce del mondo” (Mt 5:14), non volendo certo dire che avrebbero illuminato il pianeta, e infatti proseguì spiegando che la loro luce doveva risplendere “davanti agli uomini”. (Mt 5:16; cfr. Gv 3:19; 8:12; 9:5; 12:46; Flp 2:15). Anche predicare la buona notizia “in tutto il mondo” (Mt 26:13) significa predicarla al genere umano nel suo insieme. Infatti in alcune lingue l’espressione “tutto il mondo” significa semplicemente “tutti” (cfr. il francese tout le monde e lo spagnolo todo el mundo). — Cfr. Gv 8:26; 18:20; Ro 1:8; Col 1:5, 6.

In uno dei suoi significati fondamentali kòsmos si riferisce dunque a tutta l’umanità. Perciò le Scritture dicono che il kòsmos, o mondo, è colpevole di peccato (Gv 1:29; Ro 3:19; 5:12, 13) e che, perché abbia la vita, è necessario un salvatore (Gv 4:42; 6:33, 51; 12:47; 1Gv 4:14). Ciò riguarda solo il genere umano, non la creazione inanimata e neanche gli animali. Questo è il mondo che Dio ha amato al punto di dare “il suo unigenito Figlio, affinché chiunque esercita fede in lui non sia distrutto ma abbia vita eterna”. (Gv 3:16, 17; cfr. 2Co 5:19; 1Tm 1:15; 1Gv 2:2). Questo mondo del genere umano è il campo in cui Gesù Cristo ha seminato il seme eccellente, “i figli del regno”. — Mt 13:24, 37, 38.

Dicendo che ‘le invisibili qualità di Dio si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo, perché si comprendono dalle cose fatte’, Paolo voleva dire dalla creazione del genere umano in poi, perché solo con la comparsa dell’uomo ci furono sulla terra menti capaci di ‘comprendere’ tali invisibili qualità osservando la creazione visibile. — Ro 1:20.

Similmente in Giovanni 1:10 viene detto a proposito di Gesù che “il mondo [kòsmos] venne all’esistenza per mezzo di lui”. È vero che Gesù ebbe una parte nel creare tutte le cose, inclusi i cieli, il pianeta Terra e tutte le cose che vi sono, ma qui kòsmos si riferisce primariamente all’umanità alla cui creazione Gesù pure partecipò. (Cfr. Gv 1:3; Col 1:15-17; Ge 1:26). Infatti il resto del versetto dice: “Ma il mondo [cioè, il mondo del genere umano] non l’ha conosciuto”.

La “fondazione del mondo”. L’evidente relazione fra kòsmos e il mondo del genere umano aiuta anche a capire cosa si intende con l’espressione “fondazione del mondo” che ricorre in diversi passi biblici, nei quali si parla del ‘sangue dei profeti versato’ dal tempo di Abele in poi, di un ‘regno preparato’ e di ‘nomi scritti nel rotolo della vita’ come di cose che hanno avuto luogo ‘dalla fondazione del mondo’. (Lu 11:50, 51; Mt 25:34; Ri 13:8; 17:8; cfr. Mt 13:35; Eb 9:26). Queste cose hanno relazione con la vita e le attività umane e perciò la “fondazione del mondo” deve riferirsi all’inizio del genere umano, non all’inizio della creazione inanimata o della creazione animale. Ebrei 4:3 indica che le opere creative di Dio erano “finite dalla fondazione del mondo”, non iniziate. Poiché Eva fu evidentemente l’ultima delle opere creative di Geova sulla terra, la fondazione del mondo non poteva precederla.

Come viene spiegato alle voci ABELE e PRESCIENZA, PREORDINAZIONE (Preordinazione del Messia), il termine greco per “fondazione” (katabolè) può riferirsi al concepimento di un essere umano. Il sostantivo katabolè deriva dal verbo katabàllo, che significa “gettare giù”. In Ebrei 11:11 l’espressione katabolè spèrmatos è resa “concepire un seme” (NM, vedi anche VR). In questo caso si riferisce evidentemente al fatto che Abraamo ‘gettò giù’ seme umano per generare un figlio e Sara accolse quel seme essendo resa feconda.

Perciò la “fondazione del mondo” non si deve intendere come l’inizio della creazione dell’universo materiale, e l’espressione “prima della fondazione del mondo” (Gv 17:5, 24; Ef 1:4; 1Pt 1:20) non si riferisce a un tempo precedente alla creazione dell’universo materiale. Piuttosto queste espressioni devono riferirsi al tempo in cui fu ‘fondata’ la razza umana per mezzo della prima coppia umana, Adamo ed Eva, i quali, fuori dell’Eden, cominciarono a concepire un seme che avrebbe tratto beneficio dal provvedimento di Dio per la liberazione dal peccato ereditato. — Ge 3:20-24; 4:1, 2.

‘Spettacolo per il mondo, per angeli e uomini’. Secondo alcuni in 1 Corinti 4:9 il termine kòsmos includerebbe sia creature invisibili, spirituali, sia creature visibili, umane, dato che il versetto dice: “Siamo divenuti uno spettacolo teatrale per il mondo, sia per gli angeli che per gli uomini”. La nota in calce suggerisce come versione alternativa “e per gli angeli e per gli uomini”. Poco prima, in 1 Corinti 1:20, 21, 27, 28; 2:12; 3:19, 22, lo scrittore usa kòsmos nel senso di mondo dell’umanità, ed è evidente che non si scosta da questo significato subito dopo, in 1 Corinti 4:9, 13. Quindi l’espressione “sia per gli angeli che per gli uomini” è semplicemente rafforzativa e non è intesa ad ampliare il significato del termine kòsmos, ma a includere fra gli spettatori, oltre al mondo del genere umano, anche gli “angeli”.

La sfera della vita umana e il suo contesto. Ciò non significa che kòsmos perda interamente l’originale significato di “ordine” o “disposizione” e diventi semplicemente sinonimo di genere umano. Il genere umano stesso riflette un certo ordine, essendo composto di famiglie e tribù che hanno dato origine a nazioni e gruppi linguistici (1Co 14:10; Ri 7:9; 14:6), con classi ricche e povere o di altro genere. (Gc 2:5, 6) Man mano che gli anni passavano e gli uomini si moltiplicavano, sulla terra si è consolidato un contesto di cose che circonda il genere umano e influisce su di esso. Nel parlare di un uomo che aveva ‘guadagnato tutto il mondo ma così facendo aveva perso l’anima sua’, Gesù voleva evidentemente dire che costui aveva guadagnato tutto ciò che la sfera della vita umana e la società umana nel suo insieme potevano offrire. (Mt 16:26; cfr. 6:25-32). Significato simile hanno le parole di Paolo a proposito di coloro che “fanno uso del mondo” e dell’‘ansietà per le cose del mondo’ che provano le persone sposate (1Co 7:31-34), e anche il riferimento di Giovanni ai “mezzi di sostentamento di questo mondo”. — 1Gv 3:17; cfr. 1Co 3:22.

Nel senso di contesto, ordine o sfera della vita umana, kòsmos ha significato simile a quello dell’altro termine greco, aiòn. In alcuni casi i due vocaboli sono quasi interscambiabili. Per esempio, si legge che Dema abbandonò l’apostolo Paolo perché ‘amava il presente sistema di cose [forma di aiòn]’; mentre l’apostolo Giovanni esortò a ‘non amare il mondo [forma di kòsmos]’ con il suo modo di vivere che attrae la carne peccaminosa. (2Tm 4:10; 1Gv 2:15-17) E colui che è descritto in Giovanni 12:31 come “il governante di questo mondo [forma di kòsmos]” è identificato in 2 Corinti 4:4 quale “iddio di questo sistema di cose [forma di aiòn]”.

Alla fine del suo Vangelo, l’apostolo Giovanni dice che, se si dovessero descrivere nei minimi particolari tutte le cose che Gesù aveva fatto, “il mondo [forma di kòsmos] stesso non potrebbe contenere i rotoli scritti”. (Gv 21:25) Non usò ge (terra) o oikoumène (terra abitata) e quindi non disse che il pianeta non poteva contenere i rotoli, ma usò kòsmos, volendo evidentemente dire che la società umana (con lo spazio allora esistente nelle sue biblioteche) non sarebbe stata in grado di accogliere la voluminosa documentazione (sotto forma di libri allora in uso) che ciò avrebbe richiesto. Per usi simili della parola kòsmos, cfr. anche versetti come Giovanni 7:4; 12:19.

Venire “nel mondo”. Quando uno viene al mondo o ‘nasce in questo mondo’, non si limita a nascere fra gli uomini ma viene anche a trovarsi nel contesto delle circostanze in cui l’uomo vive. (Gv 16:21; 1Tm 6:7) Tuttavia, anche se l’espressione venire al mondo può riferirsi alla nascita o all’ingresso nella sfera della vita umana, non è sempre così. Gesù, per esempio, disse in preghiera a Dio: “Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro [i discepoli] nel mondo”. (Gv 17:18) Quelli che Gesù mandò nel mondo erano uomini adulti, non neonati. Giovanni parla di falsi profeti e ingannatori “usciti nel mondo”. — 1Gv 4:1; 2Gv 7.

I numerosi riferimenti al fatto che Gesù ‘venne o fu mandato nel mondo’ non riguardano primariamente o non riguardano affatto la sua nascita umana, ma si riferiscono piuttosto al ministero che svolse pubblicamente in mezzo al genere umano dal suo battesimo e dalla sua unzione in poi, quale illuminatore del mondo del genere umano. (Cfr. Gv 1:9; 3:17, 19; 6:14; 9:39; 10:36; 11:27; 12:46; 1Gv 4:9). La sua nascita umana fu solo il mezzo necessario per conseguire questo fine. (Gv 18:37) A sostegno di ciò lo scrittore di Ebrei attribuisce a Gesù le parole “quando egli viene nel mondo”, tratte dal Salmo 40:6-8, e Gesù logicamente non le pronunciò quando era appena nato. — Eb 10:5-10.

Quando il suo ministero pubblico in mezzo al genere umano giunse alla conclusione, Gesù sapeva “che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre”. Egli sarebbe morto come uomo e sarebbe stato risuscitato alla vita celeste nel reame spirituale da cui era venuto. — Gv 13:1; 16:28; 17:11; cfr. Gv 8:23.

“Le cose elementari del mondo”. In Galati 4:1-3, dopo avere spiegato che un bambino è come uno schiavo in quanto è affidato alla custodia di altri finché non diventa maggiorenne, Paolo dichiarò: “Similmente anche noi, quando eravamo bambini, eravamo resi schiavi dalle cose elementari [stoichèia] che appartengono al mondo”. Quindi proseguì spiegando che il Figlio di Dio era venuto al “pieno limite del tempo” e aveva liberato quelli che erano diventati suoi discepoli dalla sottomissione alla Legge affinché potessero ricevere l’adozione quali figli. (Gal 4:4-7) Similmente in Colossesi 2:8, 9, 20 esortò i cristiani di Colosse a non lasciarsi trascinare via “per mezzo della filosofia e di un vuoto inganno secondo la tradizione degli uomini, secondo le cose elementari [stoichèia] del mondo e non secondo Cristo; perché in lui dimora corporalmente tutta la pienezza della qualità divina”, sottolineando che erano ‘morti insieme a Cristo rispetto alle cose elementari del mondo’.

A proposito del termine greco stoichèia (pl. di stoichèion) usato da Paolo, un commentario biblico dice: “Dal significato primitivo di ‘pali messi in fila’, . . . il termine [stoichèia] fu applicato alle lettere dell’alfabeto allineate, e quindi agli elementi fondamentali del discorso; poi agli elementi fondamentali di tutto ciò che esiste in natura, come per esempio i quattro ‘elementi’ (vedi 2 Piet. iii. 10, 12); e ai ‘rudimenti’ o primi ‘elementi’ di qualsiasi branca dello scibile. In quest’ultimo senso ricorre in Ebr. v. 12”. (The Pulpit Commentary, a cura di C. Spence, Londra, 1885, Galati, p. 181) Il relativo verbo stoichèo significa “camminare ordinatamente”. — Gal 6:16.

Nelle lettere ai Galati e ai Colossesi Paolo evidentemente non si riferiva agli elementi fondamentali della creazione materiale ma, piuttosto, come osserva uno studioso, agli “elementi dell’umanità non cristiana”, cioè ai suoi princìpi fondamentali. (H. A. W. Meyer, Critical and Exegetical Hand-Book, 1884, Galati, p. 168) Gli scritti di Paolo indicano che questo includerebbe le filosofie e le dottrine illusorie che si basano unicamente su norme, concetti, ragionamenti e mitologie umani, del tipo di cui si dilettavano i greci e gli altri popoli pagani. (Col 2:8) Comunque è chiaro che egli usò il termine per includere anche elementi della cultura ebraica, non solo insegnamenti ebraici non biblici che incoraggiavano l’ascetismo o l’“adorazione degli angeli”, ma anche l’idea che i cristiani dovessero osservare la Legge mosaica. — Col 2:16-18; Gal 4:4, 5, 21.

È vero, la Legge mosaica era di origine divina, ma ormai era stata adempiuta in Cristo Gesù, “la realtà” in essa adombrata, ed era perciò antiquata. (Col 2:13-17) Inoltre il tabernacolo (e poi il tempio) era “terreno”, di fattura umana, quindi “del mondo” (gr. kosmikòn; Eb 9:1, nt.), cioè apparteneva alla sfera umana, non a quella celeste o spirituale, e le sue esigenze erano “esigenze legali relative alla carne e furono imposte fino al tempo fissato per mettere le cose a posto”. Cristo Gesù era ora entrato nella “tenda più grande e più perfetta non fatta con mani, cioè non di questa creazione”, nel cielo stesso. (Eb 9:8-14, 23, 24) Lui stesso aveva detto a una samaritana che sarebbe venuto il momento in cui il tempio di Gerusalemme non sarebbe più stato una parte essenziale della vera adorazione e il luogo in cui i veri adoratori avrebbero ‘adorato il Padre con spirito e verità’. (Gv 4:21-24) Quindi con la morte, risurrezione e ascensione al cielo di Cristo Gesù non era più necessario servirsi di cose che erano solo “rappresentazioni tipiche” (Eb 9:23) nell’ambito della sfera umana, figure delle cose più grandi di natura celeste.

Ora i cristiani galati e colossesi potevano adorare secondo la superiore via basata su Cristo Gesù. Lui — e non esseri umani né i loro princìpi e insegnamenti, e neanche le “esigenze legali relative alla carne” proprie del patto della Legge — andava riconosciuto come norma stabilita e unico metro della veracità di qualunque insegnamento o modo di vivere. (Col 2:9) I cristiani non dovevano essere come bambini, sottoponendosi volontariamente a ciò che venne paragonato a un pedagogo o tutore, cioè la Legge mosaica (Gal 3:23-26), ma dovevano avere con Dio una relazione simile a quella di un figlio adulto con il padre. La legge era elementare, “l’A B C della religione”, in paragone all’insegnamento cristiano. (H. A. W. Meyer, op. cit., 1885, Colossesi, p. 292) I cristiani unti, essendo stati generati alla vita celeste, in effetti erano morti, messi al palo rispetto al kòsmos della sfera della vita umana, in cui erano state in vigore regole quali la circoncisione della carne; erano divenuti “una nuova creazione”. (2Co 5:17; Col 2:11, 12, 20-23; cfr. Gal 6:12-15; Gv 8:23). Sapevano che il Regno di Gesù non era di origine umana. (Gv 18:36) Certamente non dovevano tornare “alle deboli e meschine cose elementari” della sfera umana (Gal 4:9) ed essere quindi indotti a rinunciare alla “ricchezza della piena certezza del loro intendimento” e all’“accurata conoscenza del sacro segreto di Dio, cioè Cristo”, in cui sono occultati “tutti i tesori della sapienza e della conoscenza”. — Col 2:1-4.

Il mondo ostile a Dio. Un uso di kòsmos proprio delle Scritture è quello di mondo del genere umano al di fuori dei servitori di Dio. Pietro spiega che Dio portò il Diluvio “su un mondo di empi”, ma preservò Noè e la sua famiglia; in tal modo “il mondo di quel tempo subì la distruzione quando fu inondato dall’acqua”. (2Pt 2:5; 3:6) Si noti una volta di più che non si parla della distruzione del pianeta né dei corpi celesti dell’universo, ma solo della sfera umana, in questo caso dell’ingiusta società umana: questo è il “mondo” che Noè condannò con la sua fedele condotta. — Eb 11:7.

La società umana, o l’ingiusto mondo antidiluviano, ebbe fine, ma il genere umano stesso non finì, essendo preservato in Noè e nella sua famiglia. Dopo il Diluvio la maggioranza del genere umano si allontanò di nuovo dalla giustizia, producendo un’altra società umana malvagia. Eppure alcuni presero una via diversa e si attennero alla giustizia. In seguito Dio scelse Israele come suo popolo eletto, introducendolo in una relazione di patto con lui. Poiché in tal modo gli israeliti vennero distinti dal mondo in generale, Paolo in Romani 11:12-15 poté usare il termine kòsmos, “mondo”, come equivalente di “persone delle nazioni” (NM) o “Gentili” (VR), i non israeliti. Egli fece notare che l’apostasia di Israele costrinse Dio a revocare il patto che aveva fatto con gli israeliti e ciò diede ai gentili la possibilità di godere di tale relazione e della sua ricchezza, essendo riconciliati con Dio. (Cfr. Ef 2:11-13). Quindi, in quel periodo postdiluviano e precristiano, il “mondo” o kòsmos includeva tutta l’umanità al di fuori degli approvati servitori di Dio, e in particolare coloro che non facevano parte di Israele finché questo era in una relazione di patto con Geova. — Cfr. Eb 11:38.

Molto spesso kòsmos è similmente usato per indicare tutta la società umana non cristiana, di qualunque nazionalità. Questo mondo odiava Gesù e i suoi seguaci perché testimoniavano che esso era ingiusto e perché ne rimasero separati; così dimostrò di odiare Geova Dio stesso e non lo poté conoscere. (Gv 7:7; 15:17-25; 16:19, 20; 17:14, 25; 1Gv 3:1, 13) Su questo mondo dell’ingiusta società umana e sui suoi regni domina l’Avversario di Dio, Satana il Diavolo, che infatti ne è diventato il ‘dio’. (Mt 4:8, 9; Gv 12:31; 14:30; 16:11; cfr. 2Co 4:4). Dio non ha prodotto tale mondo ingiusto, che deve il suo sviluppo al principale Oppositore: infatti “tutto il mondo giace” in suo potere. (1Gv 4:4, 5; 5:18, 19) Satana e le sue “malvage forze spirituali che sono nei luoghi celesti” sono gli invisibili “governanti mondiali [o “cosmocratori”; forma del gr. kosmokràtor]” del mondo ostile a Dio. — Ef 6:11, 12.

In questi versetti non si intende semplicemente l’umanità, di cui i discepoli di Gesù facevano parte, ma l’intera società umana organizzata al di fuori della vera congregazione cristiana. Altrimenti i cristiani non potrebbero smettere di far “parte del mondo” senza morire e cessare di vivere nella carne. (Gv 17:6; 15:19) Anche se non possono evitare di vivere in questa società di persone mondane, fra cui si praticano fornicazione, idolatria, estorsione e simili (1Co 5:9-13), i cristiani devono rimanere puri e senza macchia dalla corruzione e contaminazione del mondo, non instaurando rapporti amichevoli col mondo, per non essere anche loro condannati. (1Co 11:32; Gc 1:27; 4:4; 2Pt 1:4; 2:20; cfr. 1Pt 4:3-6). Non possono lasciarsi guidare dalla sapienza del mondo, che è stoltezza agli occhi di Dio, e neanche ‘respirare’ lo “spirito del mondo”, cioè la forza egoista e peccaminosa che lo spinge ad agire. (1Co 1:21; 2:12; 3:19; 2Co 1:12; Tit 2:12; cfr. Gv 14:16, 17; Ef 2:1, 2; 1Gv 2:15-17; vedi SPIRITO [Inclinazione mentale impellente]). Così per mezzo della fede essi ‘vincono il mondo’ dell’ingiusta società umana, come l’ha vinto il Figlio di Dio. (Gv 16:33; 1Gv 4:4; 5:4, 5) L’ingiusta società umana è destinata a scomparire distrutta da Dio (1Gv 2:17), come perì l’empio mondo antidiluviano. — 2Pt 3:6.

Fine del mondo empio; preservata l’umanità. Quindi il kòsmos per cui Gesù è morto deve essere il mondo del genere umano inteso semplicemente come famiglia umana, come ogni carne umana. (Gv 3:16, 17) In quanto al mondo nel senso di società umana ostile a Dio, Gesù non pregò per tale mondo; pregò invece solo per quelli che ne erano usciti e avevano riposto fede in lui. (Gv 17:8, 9) E come degli uomini sopravvissero alla distruzione del mondo, o empia società umana, mediante il Diluvio, così Gesù spiegò che degli uomini sopravvivranno alla grande tribolazione, che paragonò al Diluvio. (Mt 24:21, 22, 36-39; cfr. Ri 7:9-17). “Il regno del mondo” (evidentemente del genere umano) deve, come è stato promesso, diventare “il regno del nostro Signore e del suo Cristo”, e coloro che regneranno con Cristo nel Regno celeste “regneranno sulla terra”, quindi sull’umanità al di fuori dell’empia e deceduta società umana dominata da Satana. — Ri 11:15; 5:9, 10.