Trasfusioni di sangue: Sono sicure?
Trasfusioni di sangue: Sono sicure?
Prima di sottoporsi a qualsiasi terapia medica, la persona riflessiva si informerà sui possibili benefìci e rischi. Che dire delle trasfusioni di sangue? Oggigiorno sono considerate uno dei principali presidi terapeutici. Molti medici che hanno a cuore il benessere dei pazienti non hanno esitazioni a somministrare sangue. Donare sangue è stato paragonato al donare la vita.
Milioni di persone donano o ricevono sangue. Per esempio, nel 1986-87 in Canada i donatori sono stati 1.300.000 su una popolazione di 25 milioni di persone. “[Nell’]anno più recente per cui sono disponibili delle statistiche, nei soli Stati Uniti sono state trasfuse dai 12 ai 14 milioni di unità di sangue”. — The New York Times, 18 febbraio 1990.
“Il sangue è sempre stato circondato da un alone ‘magico’”, osserva la dottoressa Louise J. Keating. “Nei primi 46 anni sia la classe medica che il pubblico considerarono le scorte di sangue più sicure di quanto in realtà non fossero”. (Cleveland Clinic Journal of Medicine, maggio 1989) Qual era la situazione allora, e qual è oggi?
Già trent’anni fa venne detto a patologi e addetti alle banche del sangue: “Il sangue è dinamite! Può fare molto bene o molto male. La mortalità da trasfusione di sangue è uguale a quella da anestesia eterea o da appendicectomia. Si dice che si verifichi un caso di morte ogni 1.000-3.000, o forse 5.000, trasfusioni. Nella zona di Londra l’incidenza sarebbe di un decesso ogni 13.000 flaconi di sangue trasfuso”. — New York State Journal of Medicine, 15 gennaio 1960.
Da allora i pericoli sono forse stati eliminati? Si può dire che ora le trasfusioni siano sicure? Ebbene, ogni anno sono centinaia di migliaia le persone che subiscono danni a causa del sangue, e molte muoiono. Forse questo vi fa pensare a certe malattie trasmesse dal sangue. Prima di esaminare questo aspetto, però, consideriamo alcuni dei rischi meno noti.
SANGUE E IMMUNITÀ
Agli inizi del secolo gli scienziati cominciarono a comprendere meglio la straordinaria complessità del sangue. Appresero che esistono vari gruppi sanguigni. Nelle trasfusioni è determinante accertare la compatibilità fra il sangue del paziente e quello del donatore. Se un paziente con sangue del gruppo A riceve sangue del gruppo B, può verificarsi una grave reazione emolitica che può distruggere gran parte dei suoi globuli rossi e portare in poco tempo alla morte. Benché ora la tipizzazione dei gruppi sanguigni e le prove crociate di compatibilità vengano eseguite di routine, sono sempre possibili degli errori. Ogni anno un certo numero di pazienti muoiono in seguito a reazioni emolitiche.
I fatti dimostrano che il problema della compatibilità va ben oltre i relativamente pochi gruppi sanguigni per cui vengono eseguite le prove crociate. Come mai? In un suo articolo intitolato “Emotrasfusioni: usi, abusi e pericoli”, il dott. Douglas H. Posey junior scrive: “Quasi 30 anni fa Sampson descriveva la trasfusione di sangue come una procedura relativamente pericolosa . . . [Da allora] sono stati individuati e caratterizzati almeno altri 400 antigeni dei gruppi sanguigni. Non c’è dubbio che il numero continuerà a salire perché la membrana degli eritrociti è enormemente complessa”. — Journal of the National Medical Association, luglio 1989.
Ora gli scienziati stanno studiando l’effetto che il sangue trasfuso ha sulle difese dell’organismo, cioè sul sistema immunitario. Cosa potrebbe significare questo per voi o per un vostro familiare che dovesse sottoporsi a un intervento chirurgico?
Quando viene trapiantato un cuore, un fegato o un altro organo, il sistema immunitario del ricevente avverte la presenza del tessuto estraneo, e ciò può dar luogo a un fenomeno di rigetto. Anche la trasfusione è un trapianto di tessuto. Persino il sangue che ha superato le prove crociate di compatibilità può deprimere seriamente il sistema immunitario. A un congresso di patologia è stato ribadito che centinaia di relazioni scientifiche “hanno stabilito un nesso fra trasfusioni di sangue e risposte immunitarie”. — Medical World News, 11 dicembre 1989.
Fra i compiti principali del sistema immunitario c’è quello di individuare e distruggere le cellule maligne (cancerose). L’immunosoppressione potrebbe aumentare il rischio di ammalarsi di cancro e di morire? Ecco due notizie in merito.
La rivista Cancer (15 febbraio 1987) ha pubblicato i risultati di uno studio condotto nei Paesi Bassi: “Nei pazienti affetti da cancro del colon è stato riscontrato un significativo effetto sfavorevole delle trasfusioni sulla sopravvivenza a lungo termine. In questo gruppo la sopravvivenza globale cumulativa in un periodo di 5 anni è stata del 48% nei pazienti trasfusi e del 74% nei non trasfusi”. Un gruppo di medici della University of Southern California ha seguito un centinaio di pazienti sottoposti a interventi di chirurgia oncologica. “La recidività di tutti i carcinomi laringei è stata del 14% per i non trasfusi e del 65% per i trasfusi. Per i tumori del cavo orale, della faringe e del naso o dei seni paranasali, il tasso di recidive è stato del 31% senza trasfusioni
e del 71% con le trasfusioni”. — Annals of Otology, Rhinology & Laryngology, marzo 1989.Cosa indicano questi studi riguardo alle trasfusioni? In un suo articolo intitolato “Emotrasfusioni e chirurgia oncologica”, il dott. John S. Spratt osserva: “Il chirurgo oncologo potrebbe dover rinunciare alle trasfusioni”. — The American Journal of Surgery, settembre 1986.
Un altro compito fondamentale del sistema immunitario è quello di difendere l’organismo dalle infezioni. Si capisce pertanto perché alcuni studi rivelino che i pazienti trasfusi sono più soggetti alle infezioni. Il dott. P. I. Tartter ha compiuto uno studio su pazienti sottoposti a chirurgia colorettale. Di quelli trasfusi, il 25 per cento aveva contratto infezioni, in paragone col 4 per cento dei non trasfusi. Tartter riferisce: “Trasfusioni di sangue somministrate prima, durante o dopo l’intervento sono state associate a complicanze infettive . . . Il rischio di contrarre un’infezione postoperatoria aumentava proporzionalmente al numero di unità di sangue trasfuse”. (The British Journal of Surgery, agosto 1988) I partecipanti a un congresso tenuto nel 1989 dall’Associazione americana delle banche del sangue hanno appreso che mentre il 23 per cento di coloro che avevano ricevuto sangue omologo nel corso di un intervento di sostituzione dell’articolazione dell’anca avevano contratto infezioni, i non trasfusi non avevano avuto nessuna infezione.
A proposito di questi effetti collaterali delle trasfusioni di sangue, il dott. John A. Collins scrive: “Sarebbe il colmo dell’ironia se si riscontrasse che una ‘terapia’ della cui reale efficacia esistono ben poche prove addirittura aggrava uno dei problemi principali che questi pazienti devono affrontare”. — World Journal of Surgery, febbraio 1987.
IL SANGUE PUÒ TRASMETTERE MALATTIE?
Le malattie trasmesse dal sangue preoccupano sia medici coscienziosi che molti pazienti. Quali sono queste malattie? In effetti non ce ne sono una o due soltanto, ma davvero molte.
Dopo aver preso in esame quelle più note, un testo menziona “altre malattie infettive associate alle trasfusioni”, come la sifilide, l’infezione da citomegalovirus e la malaria. Poi aggiunge: “Si ha notizia di molte altre malattie trasmissibili mediante le trasfusioni di sangue, fra cui infezioni da virus erpetico, mononucleosi infettiva (virus di Epstein-Barr), toxoplasmosi, tripanosomiasi [malattia del sonno africana e morbo di Chagas], leishmaniosi, brucellosi [febbre maltese], tifo, filariosi,
morbillo, salmonellosi e febbre delle Montagne Rocciose”. — Techniques of Blood Transfusion, a cura di L. C. Stehling, Boston 1982, pp. 189-90.In effetti l’elenco di queste malattie si va allungando. Forse avrete letto titoli come “Morbo di Lyme da trasfusioni? È improbabile, ma gli esperti lo sospettano”. È sicuro il sangue di un donatore risultato positivo al test per il morbo di Lyme? A un gruppo di medici è stato chiesto se avrebbero accettato di farsi trasfondere quel sangue. “Tutti hanno risposto di no, anche se nessuno ha raccomandato di scartare il sangue di questi donatori”. Cosa deve pensare la gente se gli addetti stessi non accetterebbero quel sangue conservato nelle emoteche? — The New York Times, 18 luglio 1989.
Un secondo motivo di preoccupazione è che il sangue raccolto in un paese in cui è diffusa una certa malattia può essere impiegato in luoghi molto distanti, dove né la gente né i medici sono a conoscenza del pericolo. Con la facilità con cui oggi ci si sposta da un luogo all’altro e con l’aumento dei rifugiati e degli immigrati in generale, aumenta il rischio che un prodotto ematico possa trasmettere qualche malattia esotica.
Inoltre, uno specialista in malattie infettive avverte: “Può darsi che le scorte di sangue debbano essere sottoposte a test per evitare la trasmissione di varie malattie che in precedenza non erano ritenute infettive, come leucemia, linfoma e demenza presenile [o morbo di Alzheimer]”. — Transfusion Medicine Reviews, gennaio 1989.
Per quanto questi rischi mettano già paura, ce ne sono altri molto più temibili.
LA PANDEMIA DI AIDS
“L’AIDS ha modificato per sempre l’opinione di medici e pazienti in merito al sangue. E la cosa ha i suoi lati positivi, dicono i medici radunati per un congresso sulle emotrasfusioni presso i National Institutes of Health”. — Washington Post, 5 luglio 1988.
La pandemia di AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita) ha drammaticamente ricordato il pericolo di contrarre malattie infettive attraverso il sangue. La diffusione della malattia sta assumendo proporzioni incontrollabili: ne sono affette milioni di persone, con una mortalità che in pratica è del 100 per cento.
L’AIDS è causata dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV), che può essere trasmesso attraverso il sangue. Il flagello dell’AIDS salì alla ribalta nel 1981. Già l’anno dopo, gli esperti scoprirono che probabilmente il virus poteva trasmettersi attraverso il sangue e i suoi derivati. Si ammette ora che l’industria del sangue fu lenta a reagire, anche dopo che erano stati messi a punto i test per individuare gli anticorpi anti-HIV nel sangue. Finalmente nel 1985 * si cominciò a sottoporre a test i donatori, ma anche allora la prassi non fu estesa ai prodotti sanguigni già in circolazione.
In seguito fu garantito: ‘Ora le scorte di sangue sono sicure’. Successivamente però si scoprì l’esistenza di una pericolosa “fase finestra” o di latenza. Dopo che una persona è stata contagiata dal virus dell’AIDS, possono passare mesi prima che sviluppi anticorpi rilevabili dai test. Non sapendo di essere portatore del virus, l’individuo potrebbe donare sangue che risulterebbe negativo al test. Questo è già accaduto. Alcuni hanno contratto l’AIDS dopo essere stati trasfusi con sangue di questi donatori!
Il quadro si è fatto ancor più preoccupante. Il New England Journal of Medicine (1° giugno 1989) parlava di “Infezioni latenti da HIV”. È stato accertato che si può essere portatori del virus dell’AIDS per anni senza che ciò venga evidenziato dagli attuali test indiretti. C’è chi vorrebbe minimizzare questi fatti considerandoli possibilità remote, ma essi dimostrano “che il rischio di trasmettere l’AIDS attraverso il sangue e i suoi derivati non può essere completamente eliminato”. (Patient Care, 30 novembre 1989) La conclusione allarmante è che un test negativo non è necessariamente una garanzia di salute. Quanti ancora contrarranno l’AIDS attraverso il sangue?
È SOLO L’INIZIO?
Per quanto riguarda il problema del sangue, nessuno sa quali e quanti pericoli letali si potranno ancora scoprire.
Il virus dell’AIDS è stato chiamato HIV, ma ora alcuni esperti lo chiamano HIV-1. Perché? Perché è stato scoperto un altro virus (HIV-2), della stessa famiglia, che può provocare gli stessi sintomi ed è diffuso in certe zone. Per di più, questo virus “non viene sempre individuato dai test per l’AIDS attualmente in uso qui”, riferisce il New York Times (27 giugno 1989). “Le nuove scoperte . . . rendono più difficile per le banche del sangue avere la certezza che una donazione sia sicura”.
E che dire di lontani parenti del virus dell’AIDS? Negli Stati Uniti una commissione presidenziale ha riferito che uno di questi virus “è ritenuto la causa della leucemia/linfoma a cellule T adulte e di una grave malattia neurologica”. Questo virus è già presente nella popolazione dei donatori di sangue e può essere diffuso attraverso il sangue. La gente ha il diritto di chiedersi: ‘Fino a che punto è efficace lo screening adottato dalle banche del sangue per questi altri virus?’
In effetti solo il tempo dirà quanti virus trasmessi dal sangue si annidano nelle scorte esistenti. “Quello che ancora non sappiamo potrebbe essere più preoccupante di quello che sappiamo”, scrive il dott. Harold T. Meryman. “Sarà più difficile stabilire un nesso fra le trasfusioni e i virus trasmissibili che hanno periodi di incubazione di molti anni, e ancora più difficile sarà individuare questi virus. Senz’altro il gruppo HTLV è soltanto il primo a essere stato individuato”. (Transfusion Medicine Reviews, luglio 1989) “Come se l’epidemia di AIDS non fosse già abbastanza tragica, . . . negli anni ’80 sono emersi altri rischi delle trasfusioni, presunti o dimostrati. Non ci vuole una grande immaginazione per ritenere che esistano altre gravi malattie virali trasmesse da trasfusioni di sangue omologo”. — K. B. Carlson e A. H. Golub, Limiting Homologous Exposure: Alternative Strategies, Arlington 1989, p. 4.
I pericoli accertati sono ormai tanti e tali che negli Stati Uniti i Centri per il Controllo delle Malattie raccomandano l’adozione di “precauzioni universali”. In altre parole, ‘gli operatori sanitari dovrebbero partire dal presupposto che tutti i pazienti siano portatori di HIV e di altri agenti patogeni trasmessi attraverso il sangue’. Operatori sanitari e gente comune stanno giustamente modificando le proprie opinioni sul sangue.
[Nota in calce]
^ par. 27 Nemmeno oggi si può avere la certezza che tutto il sangue venga sottoposto a test di controllo. Per esempio, è stato riferito che agli inizi del 1989 circa l’80 per cento delle banche del sangue brasiliane non era sottoposto a controllo statale né eseguiva i test per l’AIDS.
[Riquadro a pagina 8]
“Circa una trasfusione su 100 è accompagnata da febbre, brividi o orticaria. . . . Circa una trasfusione di eritrociti su 6.000 dà luogo a una reazione emolitica. Questa è una grave reazione immunitaria che può verificarsi in modo acuto o qualche giorno dopo la trasfusione; può provocare insufficienza renale acuta, shock, coagulazione intravascolare disseminata e anche la morte”. — Congresso NIH (National Institutes of Health), 1988.
[Riquadro a pagina 9]
Alla domanda sul perché avesse rifiutato una trasfusione di sangue, lo scienziato danese Niels Jerne, premio Nobel per la medicina nel 1984, ha risposto: “Il sangue di un individuo è come le sue impronte digitali: non esistono due tipi di sangue esattamente uguali”.
[Riquadro a pagina 10]
SANGUE, FEGATO ROVINATO, E...
Un giornale americano afferma: “Ironicamente, l’AIDS trasmesso dal sangue . . . non ha mai costituito una minaccia tanto grave quanto altre malattie, per esempio l’epatite”. — Washington Post, 5 luglio 1988.
Molti hanno infatti contratto una grave forma di epatite, per la quale non esiste una cura specifica, e sono morti. Secondo un periodico (U.S.News & World Report del 1° maggio 1989), negli Stati Uniti circa il 5 per cento dei trasfusi contrae l’epatite: 175.000 persone l’anno. Di questi, la metà circa diventa portatrice cronica e almeno 1 su 5 sviluppa una cirrosi o un cancro del fegato. Si calcola che 4.000 muoiano. Pensate ai titoli di giornale quando cade un jumbo e tutti i passeggeri perdono la vita. Ma 4.000 decessi all’anno equivalgono a quelli provocati dalla caduta di un jumbo ogni mese!
Da tempo i medici sapevano che una forma più blanda di epatite (quella di tipo A) si trasmette attraverso cibi o acqua contaminati. Poi scoprirono che una forma più grave era trasmessa attraverso il sangue, e non c’erano test di controllo idonei. Infine alcuni brillanti scienziati trovarono il modo per individuare le “impronte” lasciate da questo virus (quello di tipo B) All’inizio degli anni ’70, in alcuni paesi il sangue veniva sottoposto a controllo. Le scorte di sangue sembravano sicure e pareva che l’impiego del sangue avesse un luminoso futuro. Era così?
Non passò molto prima che si scoprisse che migliaia di persone che avevano ricevuto sangue sottoposto a controllo avevano contratto ugualmente l’epatite. Molti, debilitati dalla malattia, appresero che il loro fegato era ormai rovinato. Ma se il sangue era stato controllato, com’era potuto succedere questo? Il sangue era veicolo di un’altra forma di epatite, definita non-A non-B (NANB). Per un decennio essa fu il terrore di chi doveva ricevere trasfusioni, colpendo dall’8 al 17 per cento dei trasfusi in Giappone, Israele, Italia, Spagna, Svezia e Stati Uniti.
Poi comparvero titoli come “Finalmente isolato il misterioso virus dell’epatite non-A non-B”. Ancora una volta il messaggio era: ‘Abbiamo trovato l’agente misterioso!’ Nell’aprile 1989 fu annunciato ufficialmente che era stato messo a punto un test per l’epatite NANB, ora chiamata epatite C.
Forse vi chiederete se questo ottimismo non fosse un po’ prematuro. Infatti ricercatori italiani hanno individuato un altro virus dell’epatite, un mutante, che potrebbe essere responsabile di un terzo dei casi. “Autorevoli esperti”, osserva l’Harvard Medical School Health Letter (novembre 1989), “temono che A, B, C e D non rappresentino l’intero alfabeto dei virus dell’epatite; potrebbero saltarne fuori degli altri”. Il New York Times del 13 febbraio 1990 affermava: “Gli esperti sospettano fortemente che altri virus possano provocare epatiti; se verranno scoperti, si parlerà di epatite E e via dicendo”.
Le banche del sangue continueranno a fare lunghe ricerche per mettere a punto nuovi test che garantiscano la sicurezza del sangue? Riferendosi al problema dei costi, un funzionario della Croce Rossa americana ha fatto questa preoccupante dichiarazione: “Non possiamo continuare ad aggiungere un test dopo l’altro per ogni agente infettivo che potrebbe diffondersi”. — Medical World News, 8 maggio 1989.
Anche il test dell’epatite B non è sicuro al 100 per cento: ci sono ancora molti che contraggono l’epatite da trasfusione. Inoltre, l’annunciato test per l’epatite C darà sufficienti garanzie? Il Journal of the American Medical Association (5 gennaio 1990) spiega che può passare un anno prima che gli anticorpi della malattia siano evidenziabili dal test. Nel frattempo chi è stato trasfuso con quel sangue può ritrovarsi col fegato rovinato, e rischiare la vita.
[Riquadro/Immagine a pagina 11]
Il morbo di Chagas illustra come il sangue può diffondere una malattia a distanza. Il “Medical Post” (16 gennaio 1990) riferisce che ‘nell’America Latina ci sono dai 10 ai 12 milioni di persone affette da questa malattia nella sua forma cronica’. Questo morbo è stato definito “uno dei principali rischi trasfusionali nell’America del Sud”. Un insetto “assassino” punge sul viso una vittima che dorme, ne succhia il sangue e depone i suoi escrementi nella ferita. La vittima può essere portatrice del morbo di Chagas per anni (e nel frattempo donare sangue) prima di manifestare complicazioni cardiache letali.
Perché la cosa dovrebbe preoccupare chi vive in continenti distanti? Sul “New York Times” del 23 maggio 1989, parlando di pazienti — uno dei quali deceduto — che avevano contratto il morbo di Chagas in seguito a una trasfusione, il dott. L. K. Altman ha scritto: “Altri casi potrebbero essere passati inosservati perché [qui i medici] non hanno dimestichezza col morbo di Chagas, né si rendono conto che può essere trasmesso con le trasfusioni”. Il sangue può quindi diffondere malattie a grande distanza.
[Riquadro a pagina 12]
Il dott. Knud Lund-Olesen scrive: “Dato che . . . persone appartenenti a gruppi ad alto rischio si offrono come donatori perché così vengono automaticamente sottoposte al test per l’AIDS, ritengo giustificata la riluttanza ad accettare trasfusioni di sangue. I testimoni di Geova le rifiutano da molti anni. Prevedevano il futuro?” — “Ugeskrift for Læger” (settimanale per i medici), 26 settembre 1988.
[Immagine a pagina 9]
Sopravvissuto al vile attentato e dimesso poi dall’ospedale, il papa dovette rientrarvi e rimanervi per due lunghi mesi. Perché? A causa di un’infezione potenzialmente letale da citomegalovirus causata dalle trasfusioni di sangue
[Fonte]
UPI/Bettmann Newsphotos
[Immagine a pagina 12]
Virus dell’AIDS
[Fonte]
CDC, Atlanta, Georgia